TFR. Colpo di scena: le trattenute sono illegittime e vanno restituite ai lavoratori pubblici

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TFR. Colpo di scena: le trattenute sono illegittime e vanno
restituite ai lavoratori pubblici
TFR, trattamento di fine rapporto, le trattenute sono legittime. Anzi no. Dopo una frettolosa doccia fredda indotta
da una lettura veloce della sentenza della Corte Costituzionale n. 244 del 28 ottobre 2014, di cui abbiamo riferito
nei giorni scorsi, l’interpretazione prevalente di questa sentenza è tutt’altro che pessimistica per i lavoratori.

Il MEF ha appena pubblicato sulla piattaforma Noipa un comunicato con il quale giudica la sentenza della
Consulta una sorta di pietra tombale sulle speranze di quanti hanno agito o stavano per agire per la restituzione
delle trattenute sul TFR, riguardante i docenti, gli Ata e i lavoratori pubblici a tempo determinato e indeterminato,
comunicato che si aggiunge a un altro con il quale negli anni scorsi dissuadeva i lavoratori dal chiedere la
restituzione delle somme.

Ma sono in tanti a ritenere infondata la presa di posizione dell’amministrazione. Il leader della Gilda, Rino Di
Meglio, parla di “uso improprio dellasentenza della Suprema Corte” e sottolinea come la Consulta “non poteva
pronunciarsi su tale tematica, né lo potrà in futuro, per un motivo semplicissimo, la trattenuta non è prevista da
alcuna legge, ma da una semplice circolare dell’Inpdap (ora Inps)”. D’altra parte, l’Anief osserva che con questa
sentenza, tutt’altro che negativa, “si ribadisce quanto già deciso con sentenza n. 223/2012”, mentre si dichiara
legittima solo “la trattenuta per i dipendenti rimasti e transitati nuovamente in regime Tfs”.

Il sindacato invita tutti a inviare la diffida per bloccare i termini decennali di prescrizione e a ricorrere per
recuperare gli arretrati. Per capire meglio la questione abbiamo chiesto un’intervista all’avvocato Sergio Galleano,
del Foro di Milano, uno dei maggiori esperti della materia, peraltri reduce dalla vittoria del 26 novembre scorso
presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo dove patrocinava uno dei ricorsi contro la reiterazione dei contratti a
termine nella scuola italiana.

Avvocato Galleano, la sentenza n. 244/2014 della Corte Costituzionale a detta di molti avrebbe spento
tutte le speranze in merito alla illegittimità delle trattenute sul Tfr. Lei però non è d’accordo con questa
interpretazione. Anzi ritiene che la sentenza sia addirittura positiva. E’ così?

“Sì, la sentenza conferma l’illegittimità della trattenuta per coloro che sono in regime di TFR”.

Facciamo un passo indietro e proviamo a fare chiarezza sui regimi di trattamento di fine rapporto e di fine
servizio. Qual è la differenza? Quando è nata?

“Il trattamento di fine servizio, regolato dal DPR 1032 del 1973, prevede la corresponsione di un importo pari all’80
per cento dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore moltiplicata per gli anni di servizio. Il sistema è
finanziato, tra l’altro, da un contributo del 9,60 per cento sull’80 per cento della retribuzione lorda a carico
dell’Amministrazione di appartenenza, con diritto, della stessa, di rivalersi sul dipendente del 2,50 per cento di
tale importo.

Il TFR, regolato dall’art. 2120 del codice civile, prevede invece che venga accantonata , al 31 dicembre di ogni
anno, una percentuale (13,5 per cento) della retribuzione annua percepita per formare un monte che viene poi
parzialmente rivalutato nel corso della vita lavorativa: l’importo del TFR, così calcolato, è a totale carico del datore
di lavoro, nella misura del 6.91 per cento della retribuzione.

La convenienza del TFS per il lavoratore è evidente: l’importo corrisposto alla fine del rapporto di lavoro è
calcolato sull’ultima retribuzione percepita, indipendentemente dalla carriera del lavoratore – in ipotesi assunto al
primo livello e diventato dirigente solo nell’ultimo anno di servizio – mentre il TFR è legato, anno per anno,
all’evoluzione retributiva del lavoratore. Il primo è dunque sempre maggiore del secondo. In pratica, può
verificarsi una differenza di parecchie migliaia di euro, talvolta decine, tra i due trattamenti”.
In effetti i due regimi si discostano molto l’uno dall’altro. E allora perché le amministrazioni hanno
continuato a mantenere la trattenuta ai fini del Tfs anche a carico di coloro che sono in regime Tfr, dando
vita alla denunciata disparità di trattamento dei dipendenti della PA rispetto ai dipendenti del settore
privato?

“Occorre risalire alla riforma pensionistica del 1995 (legge Dini 335/95) che prevedeva l’istituzione della
previdenza complementare, da finanziarsi anche attraverso i risparmi conseguenti all’introduzione del TFR al
posto del TFS. L’operazione è stata concretamente attuata nel 1999 con l’accordo quadro del 29 luglio, poi
recepito dal DPCM 20.12.1999, dove si prevede l’applicazione del TFR per coloro che optano per la previdenza
integrativa – il famoso fondo ‘Sirio’, poi sostanzialmente finito nel nulla per mancanza di adesioni – e, con
l’occasione, anche per i lavoratori assunti a partire dal 1° gennaio 2000 e per tutti i precari pubblici.

L’accordo prevede, al comma 2, che per coloro che passano al TFR non si applica più la trattenuta del 2,5 per
cento ma, al comma 3, con una formulazione volutamente confusa e contorta, dispone che,
contemporaneamente, la retribuzione mensile viene ridotta dello stesso importo della trattenuta appena eliminata,
giustificando tale sostanziale decurtazione retributiva con lo scopo di assicurare ‘l’invarianza della retribuzione dei
dipendenti’.

In pratica, con un lungo giro di parole, si è prima tolta e poi reintrodotta la trattenuta in modo da evitare che i
dipendenti che passavano al TFR percepissero in busta paga a fine mese una retribuzione mensile maggiore di
coloro che rimanevano con il TFS. Si tratta evidentemente di una sciocchezza, poiché se è vero che i lavoratori a
cui si applica il regime del TFR si sarebbero ritrovati con una retribuzione mensile maggiorata del 2 per cento –
ovvero senza la trattenuta del 2,5 sull’80 per cento della retribuzione – è altrettanto vero che a fine rapporto
percepiranno importi notevolmente inferiori a quelli che godono ancora del TFS.

Dunque l’accordo quadro, poi recepito nel DCPM, invece di garantire l’invocata ‘uguaglianza di trattamento’, con il
meccanismo dell’eliminazione prima e della reintroduzione della trattenuta poi, crea invece una vistosa disparità
di trattamento non solo tra dipendenti pubblici e privati ma anche tra gli stessi impiegati statali, poiché la
retribuzione complessiva del lavoratore va calcolata cumulando lo stipendio con il trattamento di fine rapporto.

Ed è evidente che, a parità di stipendio mensile, vi è chi – col TFS – a fine rapporto percepisce un importo
notevolmente superiore ad un altro, col TFR. Del tutto a sorpresa, poi, il nuovo regime veniva esteso, oltre a
coloro che optavano per la previdenza integrativa, anche ai dipendenti assunti dal giorno successivo alla data di
approvazione del DCPM, ovvero il 1° gennaio 2000. E ciò, si legge al comma 4, sempre per ‘garantire la parità di
trattamento dei rapporti di lavoro’. Il comma 9, infine, prevede che lo stesso regime - persistenza della trattenuta e
applicazione del regime TFR - vale anche per i lavoratori a tempo determinato”

Perché questo tipo di operazione?

“Sui motivi di tale decisione posso dire che io nel 2011 venni incaricato da un sindacato nazionale di promuovere
un contenzioso per il recupero di tali trattenute. Nella preparazione della causa ebbi modo di parlare con uno dei
sindacalisti firmatari dell’accordo del luglio 1999 il quale mi disse che a fronte dell’intenzione del Governo di
prevedere il passaggio dei nuovi assunti al TFR, i sindacati posero la questione dell’eliminazione della trattenuta
del 2,5 per cento, ma si sentirono rispondere che ‘non vi erano soldi’.

Si aprì quindi la trattativa che portò al temperamento della riduzione retributiva limitandola alla sola retribuzione
mensile e giustificandola, come si è detto, con la ‘necessità’ di mantenere l’invarianza della retribuzione, senza
estenderla al trattamento pensionistico e al conteggio del TFR (e tanto risulta infatti dal comma 3 del DPCM).
Insomma, la discriminazione è stata attenuata, ma sempre di discriminazione si tratta”.

E così sorto un contenzioso amministrativo e giurisdizionale sfociato nella sentenza della Corte
Costituzionale n. 223/2012 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 10, comma 12 del
Decreto legge n. 78/2010, per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Quanto furono importanti le
conseguenze di quella sentenza? Fecero ricorso anche i giudici in qualità di dipendenti pubblici.

“L’Esecutivo, con il D.L. 78/2010, oltre che applicare il primo blocco agli stipendi pubblici, all’art. 12, comma 10,
disponeva anche il passaggio al TFR di tutti i dipendenti che ancora godevano del TFS. I giudici italiani ricorsero
in massa avanti ai TAR, ottenendo svariate ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale la quale, nel giro di
pochi mesi, dichiarò l’incostituzionalità sia del blocco degli stipendi che della trattenuta del 2,5 per cento a seguito
del passaggio al TFR.

Ma mentre l’incostituzionalità del blocco era motivata per il fatto che la retribuzione percepita dai giudici era
garanzia per l’imparzialità della loro delicata funzione giurisdizionale – infatti il blocco di tutti gli altri dipendenti
pubblici fu ‘salvato’ dalla sentenza 310/2013 – quello relativo alla trattenuta del 2,5 per cento veniva motivato con
la disparità di trattamento con i lavoratori privati. Con la conseguenza che la pronuncia valeva, in pratica, per tutti
e non solo per i magistrati”.

Pochi giorni dopo, il governo corse ai ripari con il decreto legge 185/2012. Lo fece per frenare gli effetti
della sentenza? Cosa prevedeva?

“A seguito della sentenza 223 del 2012 lo Stato avrebbe dovuto restituire ai lavoratori interessati tutte le trattenute
del 2,5 per cento indebitamente effettuate nel 2011 e nel 2012. Poiché non si volevano tirare fuori i soldi – era
anche il periodo del controllo europeo sui conti italiani – si scelse, come al solito, di rinviare il problema e il
Governo, con il D.L. 185/2012, abrogò l’art. 9 comma 10 del D.L. 78/2010 e ripristinò il TFS per coloro ai quali era
stato sostituito dal TFR, così legittimando ex post la trattenuta operata e facendo venire meno la materia del
contendere”.

Tuttavia il decreto 185 decadde perché non fu poi trasformato in legge dal Parlamento. Però in tanti e la
stessa amministrazione ritengono che la normativa sia rientrata in gioco grazie alla Legge 24 dicembre
2012, n. 228, la Legge di Stabilità per 2013.

“Esatto. Il D.L. n. 185 del 2012 è decaduto per mancata conversione in legge, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi
dalla legge n. 228 del 2012”.

In ogni caso, dopo la sentenza della Consulta, i sindacati hanno invitato gli iscritti a chiedere la
restituzione delle somme, ma solo ai fini dell’interruzione dei termini di prescrizione. Mentre sono state
avviate varie azioni giudiziarie volte a ottenere il blocco della trattenuta e la restituzione di somme
ritenute indebite. Come sono andate a finire?

“Vi sono sentenze positive e sentenze negative. Queste ultime non sono affatto convincenti. Il Tribunale di
Milano, ad esempio, nella sentenza 2084/2014 sostiene che non vi sarebbe discriminazione in quanto dopo il
2000 i lavoratori sarebbero stati assunti in un non ben precisato contesto socio economico diverso e non possono
quindi pretendere un trattamento previdenziale uguale a quelli assunti in precedenza e che la decurtazione
retributiva dello stipendio mensile sarebbe giustificata con la parità di trattamento di cui all’art. 45 del Testo unico
sul Pubblico impiego.

E’ facile replicare che la prima parte della motivazione ha poco di giuridico e molto di politico, perché la differenza
di trattamento deve esser basata su fatti oggettivi legati all’attività svolta e tale non è il semplice periodo
dell’assunzione - peraltro nel 2000 la ‘crisi’ attuale neppure era ipotizzabile – mentre la seconda è palesemente
contraria ai principi internazionali ed europei.

Qui basta ricordare che art. 14 della Convenzione OIL 117 del 1962 prevede che la retribuzione sarà stabilita in
conformità del principio ‘a lavoro eguale, eguale retribuzione’ sia nella stessa impresa che nello stesso settore e
che l’art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata all’Assemblea generale dell’ONU il 10
dicembre 1984, che stabilisce che ‘ogni uomo, senza discriminazione, ha diritto ad uguale retribuzione per uguale
lavoro’.

Nello stesso senso si esprimono in sede europea gli art. 20 e 31 Trattato di Nizza e in sede nazionale, l’art. 3
Costituzione. L’art. 45 D.Lgs. 165/2001 è espressione di tali principi e non consente quindi certamente che il
vicino di scrivania che svolge le stesse identiche mansioni del nuovo assunto riceva una retribuzione maggiore,
costituita dal TFS che percepirà a fine rapporto. La pretesa dello Stato italiano è invece che a un lavoratore che
giustamente dovrebbe percepire uno stipendio maggiore a compensazione delle operate riduzioni delle
competenze di fine rapporto , gli si deve tagliare la retribuzione per non creare discriminazioni con i colleghi. Un
vero obbrobrio giuridico, oltre che logico”.

Il Giudice del Lavoro di Belluno, su ricorso patrocinato dalla Gilda, ha concesso un decreto ingiuntivo
con provvisoria esecutività per la restituzione della ritenuta alla dipendente. Mentre a seguito di
procedura processuale ordinaria, il Tribunale di Roma a novembre 2013 con una sentenza storica ha
ordinato la restituzione della trattenuta in questione ad alcuni dipendenti della Presidenza del Consiglio
dei Ministri. Insomma, qualcosa si era mosso.

“Certamente. La sentenza del dott. Di Stefano del Tribunale di Roma è una decisione ben motivata, anche se
sbaglia, a mio parere, sulla prescrizione. Si tratta infatti, nel nostro caso, non di differenze retributive, la cui
prescrizione è di cinque anni, ma di azione di ripetizione di indebito – le trattenute operate – a cui si applica la
prescrizione decennale”.

Infine il Tribunale di Reggio Emilia, adito da alcuni dipendenti pubblici, ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale davanti alla Consulta. Quali erano i dubbi dei giudici emiliani?

“L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia era inevitabile che fosse rigettata. Si è già spiegata l’operazione fatta
dal Governo dopo la sentenza 223 del 2012. Ripristinando dall’origine il regime del TFS per i lavoratori già in
servizio al 1° gennaio 2000 ha reso legittime le trattenute effettuate negli anni 2011 e 2012, facendo venir meno
la ragione per cui la causa era stata fatta”.

E veniamo al punto iniziale. La Corte Costituzionale, con la sua sentenza 244 del 28 ottobre 2014, ritenuta
svantaggiosa per i lavoratori da molti commentatori, ha sancito che il trattamento di fine servizio è
“migliore” rispetto al trattamento di fine rapporto per cui il fatto che il dipendente partecipi al suo
finanziamento, con il contributo in questione non integra un’irragionevole disparità di trattamento
rispetto al dipendente che ha diritto al trattamento di fine rapporto. Perché lei sostiene che non si tratta di
una sentenza negativa ma che addirittura sia favorevole ai possibili ricorrenti?

“Proprio per quel ragionamento. Il contributo non integra una disparità di trattamento se finalizzato a partecipare
alla costituzione di competenze di fine rapporto che sono, nel loro complesso, ‘migliori’ di altri trattamenti:
appunto, il TFS. A contrariis se ne deduce che il contributo non è giustificato in presenza di un trattamento di fine
rapporto, il TFR, che è invece ‘peggiore’ rispetto al TFS. Mi sembra molto semplice”.

La Corte ha inoltre escluso che sia illegittima l’estinzione dei processi in corso. Che cosa significa?

“Obiettivamente, su questo punto, la Corte ha ragione essendo, come già detto, cessata la materia del
contendere. Peraltro la questione posta dal Tribunale di Reggio Emilia riguardava la asserita compensazione
delle spese di causa che la Consulta afferma non essere stata prevista dalla legge con la quale, per il vero, si
dispone l’estinzione di diritto delle cause, sicché è opinabile che il Giudice potesse liquidare le spese, ma questa
è un’altra questione”.

Il Mef ha appena diramato un comunicato sul portale Noipa e con esso ha ribadito l’importanza della
sentenza ultima della Consulta informando che non sono accoglibili le richieste di cessazione e
restituzione delle ritenute in questione. Il leader della Gilda, Rino Di Meglio, osserva che è singolare che
l’INPS tenti ora di confondere le idee, utilizzando in modo improprio la sentenza della Suprema Corte.
Qual è il suo parere?

“L’Inps cerca di tirare l’acqua al suo mulino. E’ chiaro che il riconoscimento del diritto alla restituzione della
trattenuta operata mette in gioco una quantità enorme di denaro. In questa situazione lo Stato italiano tenterà di
tutto per sottrarsi all’obbligo di doverlo fare, ma, come si è visto, non paiono esservi molte vie d’uscita: la
trattenuta era legata al meccanismo di formazione del TFS. Mutato il regime la trattenuta non ha più ragione
d’essere perché il TFR costa meno. Non a caso il DCPM del 1999 è costretto a fare una complicata operazione,
eliminazione della trattenuta prima e riduzione della retribuzione poi, giustificata con la parità di trattamento. Era
più semplice dire che la trattenuta restava anche con il TFR, ma così il gioco sarebbe stato scoperto subito”.

Sempre Di Meglio ritiene che la Corte Costituzionale non poteva pronunciarsi su tale tematica, né lo potrà
in futuro, per il motivo semplicissimo che la trattenuta in questione per coloro che, assunti a partire dal
2000, si trovano in regime di TFR, non è prevista da alcuna legge, ma da una semplice circolare
dell’Inpdap, ora Inps. Cosa ne pensa?

“La persistenza della trattenuta per gli assunti dopo il 2000 è stabilita da un DCPM che recepisce un accordo
sindacale previsto espressamente dalla finanziaria 1999 (legge 448 del 1998). Altra cosa è che l’accordo
sindacale sia andato oltre la delega della finanziaria. Come si è detto all’inizio la trasformazione del TFS in TFR
era inizialmente finalizzata a finanziare la previdenza complementare che non è mai decollata. Il Governo ha
insistito per l’estensione del TFR anche per gli assunti dal 1° gennaio 2000 – e per i precari – senza però togliere
la trattenuta del 2,5 per cento. I sindacati, nei termini che sono spiegati, hanno ceduto in parte, salvando la parte
‘contributiva’ – TFR e pensioni – ma consentendo una ingiustificata diminuzione retributiva sulla retribuzione
mensile”.

Pare di capire dunque che chi ha un processo in corso possa stare tranquillo. Lei invita gli insegnanti e
gli altri impiegati pubblici che non abbiano ancora fatto ad agire in giudizio?

“Da quanto detto, ritengo che la questione sia tutta da giocare. Con gli avvocati Vincenzo De Michele e Tommaso
De Grandis, insieme ai quali ho studiato a fondo la questione, si è concluso che sotto il profilo giuridico i lavoratori
hanno pienamente ragione. Sotto quello politico vogliamo proprio vedere con quale coraggio i giudici potranno
avallare un vero e proprio ‘scippo’ in danno di lavoratori che è già stato ritenuto incostituzionale quanto è stato
applicato alla magistratura. Noi siamo intenzionati ad andare avanti, eventualmente anche con un passaggio alla
Corte Costituzionale e a quella europea di Lussemburgo per violazione del principio di parità di trattamento,
come si è visto, universalmente riconosciuto”.
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