Testamento biologico e obiezione di coscienza

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Testamento biologico
                     e obiezione di coscienza

       Marina Casini*, Maria Luisa Di Pietro**, Carlo Casini***

Il perché di una riflessione

    In un precedente contributo abbiamo illustrato le ragioni per le
quali riteniamo non necessaria una legge sul testamento biologico.1
Ferme restando le valutazioni ivi espresse nell’ipotesi che le nostre
tesi non prevalessero in Parlamento, ci limitiamo - in questa sede - a
prendere in esame la questione dell’obiezione di coscienza per i me-
dici destinatari delle “volontà anticipate”.
    La questione si pone perché quasi tutti i DDL che disciplinano le
cosiddette “direttive anticipate di volontà” (alcuni dei quali sono al-
l’attenzione della Commissione XII del Senato - Igiene e sanità), ne
sanciscono il carattere vincolante. Ciò contrasta con quanto aveva
consigliato il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel parere
del 2003 con cui aveva invitato il legislatore a vincolare il medico
soltanto a prendere in seria e adeguata considerazione le indicazioni
contenute nel documento e non ad assoggettarvisi rigidamente senza
alcuna eccezione e flessibilità.2 Questa posizione era stata assunta
dal CNB sulla base della Convenzione di Oviedo che all’art. 9 - uti-
lizzando l’espressione “auspici” (wishes, souhaites) - non aveva as-

* Ricercatore, ** Professore associato di Bioetica, Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina
e Chirurgia “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, *** Magistrato,
Parlamentare europeo (recapito per la corrispondenza: marina.casini@rm.unicatt.it).

1 CASINI M, DI PIETRO ML, CASINI C. Profili storici del dibattito italiano sul testamento
biologico ed esame comparato dei disegni di legge all’esame della XII Commissione (Igie-
ne Sanità) del Senato. Medicina e Morale 2007; 1: 19 - 60.
2 COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA (CNB) Dichiarazioni anticipate di trattamento (18 di-
cembre 2003). Roma: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e
l’Editoria; 2003. A commento si veda: BOMPIANI A. Dichiarazioni anticipate di trattamento del
Comitato nazionale per la Bioetica: l’ispirazione alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la bio-
medicina. Medicina e Morale 2004; 6: 1115-1130; SARTEA C. Dichiarazioni anticipate di tratta-
mento: la prospettiva del Comitato Nazionale per la Bioetica. Iustitia 2004; 1: 109-116.

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solutamente inteso obbligare il medico ad essere un mero esecutore
della decisione precedentemente manifestata dal paziente. Che que-
sta interpretazione sia corretta è dimostrato sia dal punto 62 del rap-
porto esplicativo, dove veniva chiarito che “tenere in considerazione
i desideri precedentemente espressi non significa che essi debbano
essere necessariamente eseguiti”; sia dal fatto che la precedente ste-
sura aveva sostituito l’aggettivo “determinanti” con l’espressione
“tenere in considerazione”.
    È evidente che nell’humus culturale che sostiene il testamento
biologico è presente – pur nella complessità delle questioni in gioco
– l’idea discriminatoria secondo cui in mancanza della tangibilità
dei cosiddetti “signa personae” o “indicatori di umanità” ravvisati
nella coscienza, nella capacità di relazione, nella capacità decisiona-
le ecc., la persona verrebbe declassata a mero essere umano privo di
dignità se non addirittura ad “astratta vita biologica”.
    Disattendendo le indicazioni del CNB, in tre DDL (nn. 542, 665,
818)3 si afferma che “Il rifiuto deve essere rispettato dai sanitari, an-
che qualora ne derivasse un pericolo per la salute o per la vita, e li
rende esenti da ogni responsabilità, indipendentemente da qualunque
disposizione di legge vigente prima della data di entrata in vigore
della presente legge”. Analogamente dispone il DDL n. 357:4 “l’e-
ventuale rifiuto (…) deve essere rispettato dai sanitari anche se dalla
mancata effettuazione dei trattamenti proposti derivi un pericolo per
la salute o per la vita del paziente, e rende gli stessi sanitari esenti da
ogni responsabilità”. I DDL nn. 3,5 4336 e 687,7 in modo più equivo-

3   Senato della Repubblica, Atto n. 542, Disegno di legge d’iniziativa dei senatori A.M. Carlo-
ni et al. (31 maggio 2006): Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di
volontà anticipate nei trattamenti sanitari.); ID., Atto n. 6665, Disegno di legge d’iniziativa del
senatore N. Ripamonti (20 giungo 2006): Disposizioni in materia di consenso informato e di
dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari; ID., Atto n. 818, Disegno di legge
d’iniziativa dei senatori A. Del Pennino e A. Biondi (18 luglio 2006): Disposizioni in materia
di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari.
4 ID., Atto n. 357, Disegno di legge d’iniziativa del senatore G. Benvenuto (17 maggio
2006): Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari.
5 ID., Atto n. 3, Disegno di legge d’iniziativa del senatore A. Tomassini (28 aprile 2006):
Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
6 ID., Atto n. 433, Disegno di legge d’iniziativa del senatore P. Massidda (19 maggio
2006): Norme a tutela della dignità e delle volontà del morente.
7 ID., Atto n. 687, Disegno di legge d’iniziativa del senatore I. Marino et al. (27 giugno

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co, affermano che le disposizioni contenute nel testamento di vita
“sono impegnative per le scelte sanitarie del medico”. Infine, il DDL
n. 12228 si esprime nel senso che “il rifiuto è vincolante per qualun-
que operatore sanitario, nelle strutture sia pubbliche che private” e
“la mancata somministrazione dei trattamenti (…) non costituisce
reato”. Il DDL n. 17029 giunge a prevedere che “Il mancato rispetto
delle volontà contenute nel testamento biologico, nonché di quelle
espresse dal fiduciario (…) è perseguibile in sede civile e penale”.

La previsione dell’obiezione di coscienza nei DDL in discussione al-
la Commissione Sanità del Senato

   Tra i DDL in discussione alla Commissione Sanità del Senato solo
il DDL n. 77310 garantisce, all’art. 7, il diritto all’obiezione di co-
scienza per il personale medico “in caso di contrasto con la volontà
espressa dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamen-
to”. Sebbene la previsione della possibilità di appello da parte del fi-
duciario al comitato etico ponga alcuni interrogativi (se in luogo del
fiduciario c’è il tutore o l’amministratore di sostegno? E se il fidu-
ciario non si trova? Che significato ha l’appello al comitato etico?)
resta il fatto che soltanto questo DDL prevede in modo esplicito l’o-
biezione di coscienza.
   Negli altri DDL l’unico motivo addotto al fine di consentire al
medico di valutare se eseguire o meno le volontà del paziente è la
non coincidenza scientifica tra la situazione concreta, in cui la vo-
lontà anteriormente espressa dovrebbe essere attuata, e la situazione
immaginata al momento della redazione del testamento biologico.

2006): Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipa-
te nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico.
8 ID., Atto n. 687, Disegno di legge d’iniziativa del senatore M. Villone et al. (19 dicem-
bre): Disciplina del rifiuto di trattamento sanitario in attuazione dell’ articolo 32 della Co-
stituzione.
9 Camera dei deputati, Atti Parlamentari, n. 1702 Progetto di legge d’iniziativa del depu-
tato F. Grillini (27 novembre 2006): Disciplina dell’eutanasia e del testamento biologico.
10 Senato della Repubblica, Atto n. 773, Disegna di legge d’iniziativa dei senatori P. Binet-
ti e E. Baio Dossi (7 luglio 2006): Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di
trattamento.

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Tale non coincidenza riguarderebbe esclusivamente l’eventuale di-
sponibilità di nuovi trattamenti non esistenti nel momento in cui il
soggetto ha stilato il documento a futura memoria.
    Questa limitata eccezione si trova nei già ricordati DDL nn. 3,
433, 687 all’esame della XII Commissione del Senato, che prevedo-
no - per l’appunto - come unica motivazione per disattendere in tutto
o in parte le volontà anticipate la loro cosiddetta “inattualità scienti-
fica”, restando comunque l’obbligo di indicare nella cartella clinica i
motivi della decisione. Si ha “inattualità scientifica” quando le vo-
lontà anticipate “siano divenute inattuali con riferimento all’evolu-
zione dei trattamenti tecnico-sanitari” (DDL 433), ovvero quando
non siano più corrispondenti a quanto l’interessato aveva espressa-
mente previsto al momento della redazione della dichiarazione anti-
cipata di trattamento, sulla base degli sviluppi delle conoscenze
scientifiche e terapeutiche” (DDL 3, 687). In altri termini, l’unico
ambito di intervento per il medico è meramente tecnico. Si aggiunga
che nel DDL 687 la possibilità per il medico di disattendere le dispo-
sizioni è subordinata al “parere vincolante del comitato etico della
struttura sanitaria”.
    Il limite alla vincolatività con riferimento alla sola inattualità
scientifica si presta ad alcune considerazioni: 1. nei casi in cui la
manifestazione di volontà è generica (ad esempio, si richiede “di
non essere sottoposto ad alcun trattamento” o a “trattamenti perma-
nenti con macchine o sistemi artificiali”), il limite è apparente per-
ché non c’è spazio per un giudizio di inattualità scientifica; 2. anche
all’interno del margine di discrezionalità lasciato al medico dalla va-
lutazione dell’“inattualità scientifica”, vi è il rischio di una selezione
tra vite degne di vivere e vite non degne di vivere, come è dimostra-
to dal modulo di testamento biologico elaborato dalla Fondazione
Veronesi. Il testo è il seguente: “In caso di malattia o lesione trauma-
tica cerebrale irreversibile e invalidante, malattia che mi costringa a
trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impedi-
scano una normale vita di relazione chiedo di non essere sottoposto
ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione
forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autono-
mamente”. È facile interpretare la “normale vita di relazione” come
criterio selettivo. La conferma viene da chi ritiene che “affermare il

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carattere vincolante delle dichiarazioni anticipate di volontà non si-
gnifica (…) privare un individuo della possibilità di godere di tratta-
menti che si rendessero disponibili in un momento in cui egli non
fosse più in grado di modificare la volontà anticipatamente manife-
stata. Significa, piuttosto, richiedere che, in presenza di nuovi tratta-
menti, le sue volontà non siano messe nel nulla in cambio di qualun-
que beneficio terapeutico, ma solo se il nuovo trattamento disponibi-
le è in grado di assicurare un livello di qualità della vita che l’inte-
ressato considererebbe presumibilmente accettabile”.11

La II Commissione permanente (Giustizia) e le Audizioni alla XII
Commissione (Igiene e sanità) del Senato

    Nel parere elaborato dalla II Commissione permanente del Senato
(Giustizia) in data 10 gennaio 2007 e integrato, successivamente, il
6 febbraio 2007, si legge in merito alla vincolatività delle direttive
anticipate che: “tale vincolo giuridico ed il necessariamente conse-
guente esonero da ogni responsabilità debbano essere previsti in ma-
niera puntuale e specifica, precisando che l’esonero riguarda ogni
forma di responsabilità, anche di natura penale (…) la Commissione
non può che ribadire la necessità di precisare da una parte la natura
vincolante per il personale sanitario della dichiarazione - direttiva e
dall’altra l’esonero per il medesimo personale da qualsiasi forma di
giuridica responsabilità”.
    Rispetto a tale vincolatività, la II Commissione ritiene “impro-
ponibile” e “non accettabile” l’istituto dell’obiezione di coscienza.
Nella stessa direzione si sono espressi alcuni degli esperti convocati
in audizione alla XII Commissione: “molte perplessità sulla possi-
bilità di sollevare obiezione di coscienza per i medici (…) non può
essere introdotto il diritto all’obiezione di coscienza del singolo
medico”; 12 “la richiesta di obiezione di coscienza è fuori

11 BORSELLINO P. (SENATO DELLA REPUBBLICA). Dichiarazioni anticipate di volontà sui trat-
tamenti sanitari. Raccolta di contributi forniti alla Commissione Igiene e Sanità. Documen-
tazione di commissione, XV legislatura, 2007; 5: 63-79, p. 67.
12 TOMASSONE L. (SENATO DELLA REPUBBLICA). Dichiarazioni anticipate di volontà sui trat-

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contesto”;13 “quando, nei confronti di che, in nome di che cosa è
possibile l’obiezione? La contraddizione è evidente. Se non si tratta
di eutanasia, come può il personale sanitario legittimamente sottrar-
si al rispetto della volontà del malato e imporgli un trattamento?”.14
    La refrattarietà all’obiezione di coscienza sembra, dunque, essere
legata al fatto che non si ravviserebbero motivi plausibili a sostegno
di tale istituto. Se in fondo - si dice - rifiutare le cure è un diritto in-
dividuale che senso ha introdurre l’obiezione di coscienza del medi-
co di fronte alla legittima richiesta del paziente? Perché rendere va-
nificabile un diritto acquisito e giuridicamente fondato? Non vi è il
rischio di ricadere in una sorta di “paternalismo medico”? Perché in-
vocare l’obiezione di coscienza se il testamento biologico riguarda
solo i limiti alle terapie, le modalità del morire e il rifiuto dell’acca-
nimento terapeutico che nulla hanno a che fare con l’eutanasia?
    Su quest’ultimo punto è interessante un passaggio del parere pro-
posto dalla Commissione Giustizia: “Nei disegni di legge in esame
non si discute assolutamente né di suicidio assistito né di eutanasia.
In tutte queste proposte di legge, si possono ravvisare oggetto e inte-
ressi comuni, consistenti nella volontà (da tutti enunciata ampiamen-
te nelle rispettive relazioni introduttive) (….) Oltre che di riconosce-
re e di rendere attuale il diritto di ogni individuo alla autodetermina-
zione, anche di evitare ogni forma di accanimento terapeutico. A tal
fine, viene proposto tutto un insieme di regole e di procedure volte a
rendere reale ed effettivo tale diritto (basato sulla Costituzione), at-
traverso la previsione di una dichiarazione-direttiva, sul valore etico
e giuridico della quale - fin che il paziente è “capace” - nessuno può
nutrire alcun dubbio e nessuno può obiettare nulla (neanche quando
le “direttive” dovessero essere date solo verbalmente). Ora, non si
capisce per quale motivo, una volta divenuto incapace il paziente, le

tamenti sanitari. Raccolta di contributi forniti alla Commissione Igiene e Sanità, Documen-
tazione di commissione, XV legislatura, 2007; 5: 57-70, p. 59.
13 BOTTI C. (SENATO DELLA REPUBBLICA). Dichiarazioni anticipate di volontà sui tratta-
menti sanitari. Raccolta di contributi forniti alla Commissione Igiene e Sanità. Documenta-
zione di commissione, XV legislatura, 2007; 5: 25-34, p. 31.
14 CARLASSARE L. (SENATO DELLA REPUBBLICA). Dichiarazioni anticipate di volontà sui
trattamenti sanitari. Raccolta di contributi forniti alla Commissione Igiene e Sanità, Docu-
mentazione di commissione, XV legislatura, 2007; 5: 113-122, p.116.

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medesime direttive dovrebbero perdere di valore giuridico ed etico e
qualcuno potrebbe permettersi di contestarle e non applicarle. Poi-
ché nella normalità dei casi (e senza voler fare distinzioni di censo o
di capacità economica), non è possibile alla persona malata scegliere
il medico o, meglio, l’equipe medica (…) in una situazione sociale
in cui le strutture ospedaliere sono complesse e magari un malato
terminale è costretto a passare da un reparto all’altro (se non addirit-
tura da un ospedale all’altro), non si ritiene accettabile l’introduzio-
ne dell’istituto dell’obiezione di coscienza per il singolo medico o
infermiere: a discapito di un diritto fondamentale e personalissimo
del singolo individuo, ammalato e divenuto incapace a norma di leg-
ge, diritto assoluto garantito dalla nostra Costituzione”.
   Questa posizione non è, però, convincente e manifesta tutta la
sua rigidità per le seguenti ragioni: 1. nel momento in cui prevede
la possibilità di rifiutare al di fuori di un concreto contesto clinico
ogni trattamento sanitario a prescindere che sia o meno proporzio-
nato e adeguato, il testamento biologico apre a logiche eutanasiche
di tipo omissivo che restano tali anche se veicolate dalla volonta-
rietà del rifiuto da parte del paziente; 2. il giusto obiettivo di evita-
re ogni forma di accanimento terapeutico viene vanificato da un
concetto “soggettivizzato” e “decontestualizzato” di accanimento
terapeutico, così che lo stesso criterio della proporzionalità viene
ricondotto esclusivamente alla decisione del soggetto (è “spropor-
zionato” ciò che eccede la volontà); 3. non può darsi - se non in
modo meramente esteriore - un’uguaglianza tra volontà di rifiuto
aventi identico contenuto, ma manifestate in un caso da un sogget-
to capace nella concreta situazione di malattia o di trauma all’in-
terno della relazione col suo medico curante e in un altro da un
soggetto capace al di fuori di una simile situazione;15 4. il rispetto
del medico nei confronti di un paziente capace che rifiuta un tratta-
mento anche “salvavita” (esemplare a riguardo è il caso della si-
gnora che ha rifiutato l’amputazione di un arto sapendo che ciò l’a-
vrebbe condotta alla morte) non è dovuto solo all’assoluta autode-

15 Sul punto si veda: CASINI M. Il dibattito in Bioetica: il rifiuto anticipato delle cure “sal-
vavita” è uguale al rifiuto attuale?. Medicina e Morale 2006; 6: 1205-1215.

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terminazione del paziente, ma anche al fatto che non è consentito
al medico il ricorso a comportamenti coercitivi, fermo restando
l’impegno del medico stesso a spendersi nella relazione col pazien-
te.16

Perché andrebbe prevista l’obiezione di coscienza?

   Per rispondere a questa domanda occorre, da una parte, compren-
dere cos’è l’obiezione di coscienza e, dall’altra, chiarire le ragioni
che ne giustificano la previsione.
   Il riferimento all’istituto dell’obiezione di coscienza si pone
quando ad un soggetto viene imposto di ottemperare ad un obbligo
sancito dalla legge che però la sua coscienza avverte come ingiusto
in nome di una norma ritenuta ancor più vincolante del dettato le-
gislativo. Comunemente si ravvisa il fondamento dell’obiezione di
coscienza nella libertà di coscienza, di religione e di pensiero. È
innegabile la ragionevolezza di questa indicazione e in questo sen-
so si è pronunciata la Corte Costituzionale nella Sentenza 467 del
1991:17 “A livello dei valori costituzionali, la protezione della co-
scienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali
e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come sin-
golo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non
può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che

16 Significativo a riguardo è quanto afferma la Corte di Cassazione (Sez. IV pen.) nella
sentenza n. 38852 del 21 ottobre 2005 in un caso relativo ad un paziente che si era rifiutato
di andare con urgenza al pronto soccorso a causa di un incipiente infarto cardiaco: “Indub-
biamente quanto più elevato è il rischio che la malattia degeneri in un evento grave, tanto
più il medico deve prospettare con chiarezza la situazione di pericolo al paziente ed insiste-
re affinché egli si sottoponga alle cure adeguate, ma come esattamente rilevato dal giudice
di primo grado, tale insistenza non può sfociare in una azione impositiva contro la volontà
della persona ammalata. (…). Al rifiuto opposto da quest’ultimo, dopo un prolungato tenta-
tivo di convincimento, solo un’azione violenta, nel senso di caricarlo a forza contro la sua
volontà nell’autoambulanza, ovvero nell’autovettura, avrebbe sortito l’effetto richiesto, e
certamente, pur versando in pericolo di vita, il trattamento terapeutico e ancor meno le mo-
dalità di trasporto, non potevano essere imposte contro la volontà del paziente”.
17 C ORTE C OSTITUZIONALE . Sentenza n. 467 del 16-19 dicembre 1991 (accesso del
06.06.2007, a: http://www.giurcost.org/decisioni/index.html).

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TESTAMENTO BIOLOGICO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella rela-
zione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli
costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore
etico-giuridico”.
    Tuttavia, il riferimento alla libertà di coscienza, di religione, di
pensiero, non è in grado da solo di fondare in modo solido l’obiezio-
ne di coscienza: occorre che l’ambito in cui viene messa da parte
l’applicazione della legge attraverso il ricorso all’obiezione di co-
scienza, sia di grande e significativo rilievo, cioè tocchi l’essenza
della convivenza civile. Se così non fosse verrebbe vanificata l’ar-
chitettura che regge lo Stato e svuotato il principio di legalità. Non
si tratta, in altri termini, di tutelare la coscienza individuale in ordine
ad un qualsiasi stato di coscienza dell’individuo, ma in ordine ad un
valore che per l’ordinamento giuridico è rilevante poiché da esso
stesso in via generale affermato.
    Pertanto, affinché l’obiezione di coscienza sia giuridicamente ri-
conosciuta occorre che accanto alle istanze di rispetto dell’“intima e
privilegiata relazione dell’uomo con se stesso” (aspetto soggettivo:
principio di autonomia) sia coinvolto un valore che l’ordinamento
giuridico riconosce meritevole di protezione (aspetto oggettivo:
principio di rilevanza).
    Qual è, dunque, il contenuto del testamento biologico che esige il
riconoscimento dell’obiezione di coscienza? Nei DDL qui in com-
mento il contenuto delle disposizioni anticipate è così ampio oppure
generico che occorre individuare il nucleo a cui riferire razionalmen-
te l’obiezione di coscienza. L’eventuale richiesta di assistenza reli-
giosa, la preferenza per la degenza a domicilio o in strutture sanita-
rie pubbliche o private, la donazione dei tessuti o degli organi, le
modalità di sepoltura, non possono essere materia di obiezione. Si
tratta di indicazioni che rientrano nell’ambito delle scelte assoluta-
mente personali che devono essere onorate, salvo, evidentemente, il
sopraggiungere di eventi che ne ostacolino totalmente la realizzazio-
ne e che il diritto ha già contemplato (caso fortuito, forza maggiore,
etc.). Del resto, è noto il brocardo: ad impossibilia nemo tenetur.
    La questione dell’obiezione non si pone neppure nei confronti
della richiesta di cure palliative la cui pratica rientra nel più generale
contesto dell’umanizzazione della medicina. Ed è, d’altra parte, que-

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sta l’intima essenza della professione medica: curare chi si è affidato
al medico con fiducia e, anche laddove non vi è nulla da fare da un
punto di vista terapeutico, continuare ad assistere senza negare la fi-
nitezza e il dolore della vicenda umana. D’altra parte, nel Codice di
Deontologia medica della Federazione nazionale degli ordini dei
medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCEO) (16 dicembre 2006),
laddove si parla di doveri del medico vengono evidenziati: all’art. 3
il dovere del “sollievo dalla sofferenza”; all’art. 23 (continuità delle
cure) che “Il medico non può abbandonare il malato ritenuto ingua-
ribile, ma deve continuare ad assisterlo anche solo al fine di lenirne
la sofferenza fisica e psichica”; all’art. 39 (assistenza al malato a
prognosi infausta) che “In caso di malattie a prognosi infausta o per-
venute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad
atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psichico-
fisiche e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per
quanto possibile, della qualità di vita e della dignità della persona”;
all’art. 18 (trattamenti che incidono sulla integrità psico-fisica) che
“I trattamenti che incidono sulla integrità e sulla resistenza psico-fi-
sica del malato possono essere attuati, previo accertamento delle ne-
cessità terapeutiche, e solo al fine di procurare un concreto beneficio
clinico al malato o di alleviarne le sofferenze”.
    Neppure avrebbe senso obiettare nei confronti del rifiuto dell’ac-
canimento terapeutico contenuto nel testamento biologico. Esso è già
vietato al medico dalle norme deontologiche: “Il medico, anche te-
nendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve aste-
nersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui
non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del
malato e/o un miglioramento della qualità della vita” (art. 16); “In ca-
so di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve prose-
guire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente
utile evitando ogni forma di accanimento terapeutico” (art. 39).

L’obiezione di coscienza tra “non fare” e “fare”

   A questo punto occorre che la riflessione sia alquanto approfon-
dita. Il confronto con gli altri casi in cui l’ordinamento ha previsto

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TESTAMENTO BIOLOGICO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

(come nel caso del servizio di leva obbligatorio, oggi abolito) o pre-
vede - come nel caso dell’aborto (art. 9 legge 194/1978), della pro-
creazione artificiale (art. 16 della legge del 19 febbraio 2004, n. 40)
e persino nella sperimentazione animale (legge 12 ottobre 1993) -
l’obiezione di coscienza è istruttivo. In queste ipotesi l’obiezione
rende lecito un “non fare” da parte dell’operatore sanitario. Vi è un
obbligo giuridico di azione da cui l’obiettore viene dispensato. Egli
viene dispensato dal compiere un’azione. La sua coscienza è rispet-
tata mediante l’omissione.
    Viceversa la situazione alla quale tutti i disegni di legge pensano,
al di là del mascheramento in una più ampia descrizione del conte-
nuto del testamento di vita in essi proposta, è quella in cui il pazien-
te – prima di cadere in una incapacità di autodeterminarsi – chiede
di non essere sottoposto a determinate cure. In concreto chiede di es-
sere lasciato morire. In questo caso l’obiezione si esplica nell’azio-
ne, non nella inazione, perché l’obiettore respinge il dovere impo-
stogli dall’ordinamento giuridico di obbedire alle disposizioni del
paziente (espresse direttamente ovvero tramite fiduciario) ed esegue
invece un trattamento medico contro la presunta volontà del paziente
divenuto “incompetente”.
    Tuttavia, dato l’ampio possibile contenuto delle disposizioni anti-
cipate di trattamento, si può immaginare che un paziente chieda
azioni positive che – a suo giudizio – gli potrebbero garantire la sa-
lute e la vita: ad esempio di essere curato con particolari metodiche
(terapie omeopatiche, agopuntura, tecniche cinesi, etc.), oppure di
essere sottoposto a interventi chirurgici o terapeutici assolutamente
sperimentali (ad es. somministrazione di cellule staminali) e, persi-
no, di essere tenuto in vita al massimo possibile fino al configurarsi
di un vero e proprio accanimento terapeutico.
    Ma si può immaginare un dovere giuridico gravante su un medico
di effettuare un determinato trattamento terapeutico, magari non
convenzionali o addirittura inappropriato e dannoso solo perché il
paziente lo esige? Evidentemente no. Il rifiuto del paternalismo me-
dico non può mutarsi nel suo opposto: ovvero la trasformazione del-
l’operatore sanitario in mero esecutore della volontà del paziente,
qualunque essa sia, magari la più assurda. L’alleanza terapeutica
esprime, invece, la necessità di una partecipazione conoscitiva e vo-

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litiva del paziente alle cure che il medico propone basandosi sulla
sua scienza e coscienza. Lo scopo dell’alleanza è quello di persegui-
re al meglio e nel modo più umano quella difesa della vita e del be-
nessere psicofisico che è l’inevitabile obiettivo della medicina (e di
ogni malato).
    Dunque, se non ha senso costringere il medico ad ubbidire ad una
richiesta positiva di un determinato trattamento asseritamente tera-
peutico, non ha senso neppure prevedere l’obiezione di coscienza
per evitare al medico la costrizione ad eseguire quei trattamenti che
egli può in via generale non intraprendere. A meno che non si inten-
da l’autonomia del singolo così sovrana da imporre l’obbligo di ef-
fettuare un trattamento invece di un altro. In tal caso però bisogne-
rebbe anche capire quale sanzione applicare al sanitario che non ese-
gue la scelta del paziente e non si vede come potrebbe essere indivi-
duata se non in riferimento all’ordinamento penale e civile generale.
In altri termini, se l’omesso trattamento richiesto determinasse la
morte del paziente o un aggravamento della patologia e l’omissione
fosse effetto di una colpa professionale, la sanzione sarebbe quella
dell’omicidio colposo o quella delle lesioni colpose e, in ogni caso,
del risarcimento del danno. Ma è evidente che l’esercizio di una
eventuale obiezione di coscienza non escluderebbe l’applicabilità di
queste sanzioni.
    Il ragionamento sull’ipotesi di disposizioni anticipate dirette a
prescrivere comportamenti realmente pensati come terapeutici ci ha
portato lontano. È un ragionamento che può apparire fuori dalla
realtà pratica, ma ha il merito di evidenziare che in effetti l’unico e
reale intento dei vari DDL non è altro che quello di attribuire all’in-
dividuo la facoltà di decidere la propria morte.
    Si tocca qui una questione che non riguarda solo il c.d. “testamento
biologico”, ma l’intero tema dell’eutanasia. Il principio fondamentale
della bioetica personalista è l’indisponibilità della vita umana. Se que-
sto principio è valido viene a cadere quello della libertà in favore di
ogni logica eutanasica. Esso impone anche un’interpretazione corretta
dell’art. 32 della Costituzione, giustamente invocato come fondamen-
to della necessità di un consenso informato per ogni trattamento tera-
peutico. La norma non può, però, cancellare l’indisponibilità della vita
che, a sua volta, è fondamento della libertà e non viceversa.

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TESTAMENTO BIOLOGICO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

    L’art. 32 della Costituzione va letto per intero. Esso, in primo
luogo, garantisce il diritto alla salute come interesse non solo indivi-
duale, ma anche sociale. “Salute” significa prima di tutto vita. Se ne
deduce un dovere, anche se solo morale, dell’individuo di curare la
propria salute.18 Il divieto di trattamenti sanitari obbligatori (salva,
per la verità, la facoltà del legislatore ordinario di stabilire eccezio-
ni) si fonda sul rispetto del corpo, da cui deriva il rifiuto di ogni av-
vicinamento al corpo altrui che risulti umiliante e degradante, ma
non per affermare un diritto alla morte.19 Che vi sia una forzatura
nell’interpretare il divieto di trattamenti sanitari obbligatori (art. 32,
secondo comma, Cost.) come implicito riconoscimento del “diritto a
morire” è dimostrato dal combinato disposto degli art. 2 Cost (dove-
ri inderogabili di solidarietà a tutela dei diritti umani fondamentali e
il diritto alla vita è un indiscutibile diritto umano) e 32 Cost. (diritto
alla salute come bene sociale) che implica l’organizzazione della so-
lidarietà da parte delle istituzioni affinché l’uomo viva. Le strutture
sanitarie e i medici sono costituzionalmente, identicamente, esclusi-
vamente destinate a proteggere e promuovere la vita umana, possi-
bilmente nella sua massima estensione sia di durata che di qualità.
Ma questa battaglia di solidarietà per la vita è destinata inevitabil-
mente, in termini umani, alla sconfitta, perché prima o poi soprag-
giunge la morte e viene il momento della resa. Anche per i medici. Il
rifiuto dell’accanimento terapeutico è espressione della consapevo-
lezza di chi, dopo aver fatto tutto per la vita, si rende conto che il li-
mite va accettato. Ma, al di là di questa imposta accettazione della

18 Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, con riferimento a quello che poi è divenuto
l’art. 32 primo comma della Costituzione, fu proposto da parte dell’on. Merighi un emenda-
mento aggiuntivo in modo che la declaratoria della salute come dovere della collettività fos-
se seguita dal dovere dell’individuo di “tutelare la propria sanità fisica, anche per rispetto
della stessa collettività”. L’on. Tupini osservò che tale principio si poteva considerare impli-
cito nella formula che poi è stata approvata e così l’on. Merighi rinunziò all’emendamento.
Sul punto si veda: FALZONE V, PALERMO F, CASENTINO F. La Costituzione della Repubblica
italiana illustrata con i lavori preparatori. Milano: Arnoldo Mondatori Editore; 1976: 114.
19 Quanto al divieto di trattamenti disumani e degradanti, vale la pena di ricordare l’art. 3
della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti e delle Libertà fondamentali
(“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) e
l’art. 52, secondo comma, del Codice di Deontologia medica (“Il medico non deve pratica-
re, per finalità diversa da quelle diagnostiche e terapeutiche, alcuna forma di mutilazione o
menomazione, né trattamenti crudeli, disumani o degradanti).

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morte non v’è spazio per una volontaria decisione di morte. La soli-
darietà implica doveri di assistenza che gravano particolarmente sui
medici. Perciò, per essi, che hanno il dovere giuridico di contrastare
la malattia e la morte al di fuori dell’accanimento terapeutico, non
somministrare le cure che potrebbero salvare la vita e che non impli-
cano la necessità di usare metodi umilianti e degradanti (come av-
verrebbe con l’uso della forza su persona “competente”) significa
contribuire alla morte di una persona.

Il “valore rilevante” per l’ordinamento giuridico a sostegno dell’o-
biezione di coscienza

    Ed allora, nell’ambito dei contenuti del testamento biologico qua-
le è il “valore rilevante” anche per l’ordinamento giuridico che la
coscienza del medico potrebbe ritenere violato e in nome del quale
si ribella?
    È di tutta evidenza che la vita umana è alla base del precetto di
“non uccidere” che è fondativo dell’intero ordinamento. Tale valore
potrebbe essere violato da disposizioni anticipate vincolanti relative
al rifiuto di ogni trattamento sanitario. Il condizionale è d’obbligo
poiché lo stesso gesto omissivo, sospensivo o interruttivo, potrebbe
significare - a seconda del contesto e della situazione - un doveroso
“accettare” la morte oppure “cagionare” la morte dal momento che
si priva il paziente di un trattamento ritenuto, a giudizio del medico,
proporzionato e adeguato al caso clinico concreto.
    Dunque: rinunciare ad un trattamento sproporzionato e inadegua-
to contribuisce alla morte? Non è possibile generalizzare una simile
valutazione, perché solo il medico – eventualmente supportato anche
da un’adeguata consulenza etica – può in “scienza e coscienza” al
letto del paziente valutare il comportamento richiesto. Questo dimo-
stra, tra l’altro che la professione medica ha uno spessore veramente
peculiare sul piano morale rispetto a tutte le altre. E la differenza tra
“cagionare” e “accettare” la morte è fondamentale.
    Il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza implica
che quando la legge prevede comportamenti che causano diretta-
mente (ad esempio nel caso dell’aborto volontario) o possono con-

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TESTAMENTO BIOLOGICO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

correre a causare (ad esempio, per la sospensione/interruzione di
trattamenti sanitari) la soppressione della vita umana, il medico può
legittimamente non applicarla. Poiché il fine della complessa orga-
nizzazione statale è la difesa della vita umana, il riconoscimento del-
l’obiezione di coscienza implica anche il riconoscimento della coe-
renza dell’obiezione stessa con i fini ultimi dello Stato. In tale inter-
pretazione l’esercizio dell’obiezione non è soltanto la salvaguardia
della libertà di coscienza, di pensiero e di religione, ma anche - sia
pur in modo contraddittorio - lo strumento per mantenere nella so-
cietà civile ciò che allo Stato moderno sommamente interessa: il va-
lore della vita umana.

Considerazioni conclusive

    Da quanto fin qui detto appare evidente come il testamento biolo-
gico - pensato come uno strumento per consentire la prosecuzione di
un “dialogo” tra il medico e il paziente divenuto incompetente - ove
sia vincolante per il sanitario apre ulteriormente la possibilità a pra-
tiche eutanasiche omissive.
    Tale deriva è resa ancor più evidente dal dibattito che si sta svi-
luppando sui temi di fine vita, in cui l’eutanasia è stata “ridotta” al
solo profilo “attivo” (“interruzione volontaria della vita”), come se
essa si concretizzasse soltanto nella somministrazione di una sostan-
za letale e non riguardasse anche l’omissione/sospensione di tratta-
menti proporzionati. L’omissione/sospensione di trattamenti propor-
zionati viene, invece, fatta scivolare dall’ambito dell’eutanasia a
quello del rifiuto dell’accanimento terapeutico o, più in generale, del
rifiuto delle cure/terapie (“interruzione volontaria delle terapie”).
    È quanto emerge anche dalla definizione di “accanimento tera-
peutico” riportata nello schema di parere proposto proprio da quella
II Commissione del Senato, che esclude la possibilità di sollevare
obbiezione di coscienza. “Inoltre - si legge -, va detto che o si speci-
fica nel testo di legge che cosa si intenda per accanimento terapeuti-
co (…) oppure, sulla scia di quanto segnalato dal rappresentante del
Governo in Commissione se per accanimento terapeutico si intende
quel trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un

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vitale recupero organico-funzionale, allora anche l’idratazione e l’a-
limentazione parenterale (e la ventilazione artificiale), praticate in
un organismo altrimenti privo di vitalità, per assoluta e definitiva in-
capacità di autonoma idratazione e alimentazione e respirazione per
via ordinaria, costituiscono accanimento terapeutico”.
   In questo contesto contemplare il diritto di sollevare obiezione di
coscienza appare quantomeno doveroso anche al fine di tutelare la
professione medica, il cui Codice deontologico guarda alla coscien-
za come entità non solo autonoma rispetto al convincimento clinico
ma addirittura svincolata dalla previsione dell’obiezione di coscien-
za da parte di una legge. Infatti, nel sesto comma dell’art. 13 si af-
ferma che “In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del
paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo
di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure di-
sponibili” e nell’art. 22 (Autonomia e responsabilità diagnostico-te-
rapeutica) si legge: “il medico al quale vengano richieste prestazioni
che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento cli-
nico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comporta-
mento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della
persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e
chiarimento”.
   Ed allora, se una legge si allontana - in modo evidente o surretti-
zio - dalle ragioni profonde e strutturali che reggono i moderni ordi-
namenti giuridici (nella fattispecie, il valore della vita), non si può
non riconoscere al medico un vero e proprio diritto all’obiezione,
non solo come diritto di libertà, ma anche come esigenza di Giusti-
zia: “L’obiettore non nega il principio auctoritas, non veritas facit
legem, ma gliene pone subito accanto un altro veritas, non auctori-
tas facit ius”.20

Parole chiave: testamento biologico, eutanasia, accanimento terapeutico, di-
ritto, consenso informato.

20 D’AGOSTINO F. Obiezione di coscienza e verità del diritto tra moderno e post-moderno.
Questioni di diritto e politica ecclesiastica 1989; 2: 56.

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TESTAMENTO BIOLOGICO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

Key words: living will, euthanasia, overtreatment, law, informed consent.

RIASSUNTO

    Il presente contributo muove dal considerare come i progetti e i disegni di
legge che disciplinano le cosiddette “direttive anticipate di volontà”, ne san-
ciscono il carattere vincolante. Nella stessa direzione procede anche il parere
elaborato dalla Commissione Giustizia. Quest’ultima rispetto a tale vincolati-
vità ritiene addirittura “improponibile” e “non accettabile” l’istituto dell’o-
biezione di coscienza.
    Gli Autori, invece, sostengono l’importanza della previsione dell’obiezio-
ne di coscienza in una normativa sul testamento biologico che voglia “impe-
gnare” il medico ad “ubbidire” alle volontà manifestate anteriormente. La
questione si pone con riferimento alle azioni o alle omissioni che possono
causare la morte. Il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza
comporta che quando la legge prevede comportamenti che causano diretta-
mente (ad esempio nel caso dell’aborto volontario) o possono concorrere a
causare (ad esempio, per la sospensione/interruzione di trattamenti sanitari)
la soppressione della vita umana, il medico può legittimamente non applicar-
la. D’altra parte non va dimenticata – ricordano gli Autori – la ratio dell’o-
biezione di coscienza.
    Poiché il fine dell’organizzazione statale è la difesa della vita umana, il
riconoscimento dell’obiezione di coscienza implica anche il riconoscimento
della coerenza dell’obiezione stessa con i fini ultimi dello Stato. In tale inter-
pretazione l’esercizio dell’obiezione non è soltanto la salvaguardia della li-
bertà di coscienza, di pensiero e di religione, ma anche lo strumento per man-
tenere il valore della vita umana.

SUMMARY

Living will and objection of conscience.

    This contribution, starting from the evaluation of bills on “living will”,
shows how such “will” confirm their obligatoriness. The opinion elaborated
by the Commission of Justice goes on the same way. This one holds such
obligatoriness as a solution that absolutely “cannot be proposed” and it holds
the objection of conscience as “unacceptable”.
    On the contrary, the Authors support the importance of the provision of
the objection of conscience within regulations, on living will, inclined to
“bind” the physician to “obey” the will previously manifested. The kernel of
the problem is the action or the omission that can cause the death. The legal
recognition of the objection of conscience implies that, if the law provides

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behaviors that directly cause (voluntary abortion for example) or that can as-
sist to cause the suppression of human life (the suspension/withdrawal of
medical treatments for example), the physician can legally not to apply it.
One should not forget, as the Authors remind us, the ratio of the objection of
conscience.
    Since the aim of the public authority consists in the defense of the human
life, the recognition of the objection of conscience implies the recognition of
the coherence of this objection with the ultimate aims of the State too. In this
interpretation, the use of the objection is not just the protection of the free-
dom of objection, of thought and religion, but also the instrument to preserve
human life value.

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