SIPNEI EARLY LIFE RASSEGNA N. 13 FEBBRAIO 2021

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SIPNEI EARLY LIFE RASSEGNA N. 13 FEBBRAIO 2021
SIPNEI EARLY LIFE
Rassegna della ricerca scientifica internazionale sulle prime fasi della vita a cura
della Commissione Nazionale Sipnei Early Life.

RASSEGNA N. 13 FEBBRAIO 2021

Rassegna Febbraio 2021 pag. 1
Care colleghe e cari colleghi SIPNEI
Siamo un gruppo di socie, che vengono da percorsi differenti ma
accomunate dal desiderio di conoscere e dalla volontà di apprendere e
migliorarci ogni giorno; curiose per natura, abbiamo nutrito questo
progetto perché diventasse uno stimolo per i professionisti Sipnei della
cura integrata, con l’intento di potenziare la prevenzione
nell’ infanzia in funzione di adulti più sani e resilienti.
Grazie al sostegno e allo stimolo del Prof. Francesco Bottaccioli,
la rassegna vorrà essere uno strumento di approfondimento e di studio
per altri professionisti che condividono l’interesse verso la
Psiconeuroendocrinoimmunologia, con particolare riferimento alle
prime età della vita.

La rassegna, che arriverà al vostro indirizzo email alla fine di ogni mese,
sarà composta da tre articoli principali, ciascuno
dei quali è arricchito da articoli correlati.

Contributi a cura di:

Dott. Marilena Coniglio - psicologa psicoterapeuta
Dott. Gloria Curati – osteopata fisioterapista
Dott. Mariapia de Bari - osteopata fisioterapista
Dott. Roberta Dell’Acqua – psicologa psicoterapeuta
Dott. Vera Gandini - medico pediatra
Dott. Eleonora Lombardi Mistura - medico pediatra
Dott. Veronica Ricciuto - ostetrica
Dott. Ornella Righi - medico pediatra
Dott. Emanuela Stoppele - psicologa psicoterapeuta
Dott. Federica Taricco – ostetrica

Rassegna a cura di: Dott. Vera Gandini - pediatra

Rassegna Febbraio 2021 pag. 2
Il primo studio della rassegna propone una lettura interessante sul ruolo
del dispendio energetico del cervello durante l’infanzia e il rischio di
obesità. L’ipotesi è che la variazione del fabbisogno energetico del
cervello, così importante durante la prima infanzia, possa influenzare il
consumo di energia e, di conseguenza, l’andamento del peso. Gli autori
hanno valutato quanta energia il cervello consuma rispetto al corpo,
come lo sviluppo cognitivo può influenzare la massa corporea e come i
geni possono influenzare lo sviluppo del cervello che, a sua volta,
influenza il metabolismo. L’ipotesi avanzata è supportata dall'evidenza
che l'energia richiesta dal cervello in via di sviluppo diminuisce nella
tarda infanzia, periodo in cui si assiste all'aumento del peso corporeo. Gli
autori sostengono che gli sforzi per quantificare la variabilità nell'uso
dell'energia cerebrale tra i bambini potrebbero essere di ispirazione per
nuove strategie educative volte ad aumentare la domanda di energia
cerebrale e quindi ridurre il rischio di obesità.

Il microbiota intestinale infantile è da considerarsi un vero e proprio
organo, in grado influenzare lo stato di salute dell’ospite. La sua
formazione avviene immediatamente dopo la nascita coinvolgendo prima
i batteri commensali chiave, acquisiti dalla madre, successivamente è
invece guidata e modulata da specifici composti dietetici presenti nel
latte umano (HMO) che ne supportano la colonizzazione selettiva. Il
secondo articolo evidenzia curiosamente come, insieme ad altri fattori, la
modalità di allattamento al seno (latte materno versus latte materno tirato
e poi somministrato con biberon), possa determinarne la composizione,
con implicazioni significative per il sistema immunitario infantile e
risultati di salute sia a breve che a lungo termine.

Infine, l’ultimo articolo della rassegna fa luce sul ruolo dei processi
epigenetici per spiegare la programmazione evolutiva dell'obesità.
Esaminando gli studi sugli esseri umani e i recenti riscontri sugli animali,
viene analizzato il ruolo degli acidi grassi del latte materno, l'ambiente
metabolico e ormonale neonatale e il microbiota intestinale con il fine di
definire i mediatori e i percorsi attraverso i quali la nutrizione postnatale
può promuovere adattamenti metabolici validi per tutta la vita.
Comprendere ciò aiuterebbe a progettare potenziali strumenti diagnostici
e terapeutici per combattere l'obesità.

Rassegna Febbraio 2021 pag. 3
ARTICOLO 1

Proc Natl Acad Sci U S A . 2019 Jul 2;116(27):13266-13275.
doi: 10.1073/pnas.1816908116. Epub 2019 Jun 17.

A hypothesis linking the energy demand of the brain to obesity risk.

Christopher W Kuzawa, Clancy Blair

ABSTRACT

The causes of obesity are complex and multifactorial. We propose that one unconsidered
but likely important factor is the energetic demand of brain development, which could
constrain energy available for body growth and other functions, including fat deposition.
Humans are leanest during early childhood and regain body fat in later childhood. Children
reaching this adiposity rebound (AR) early are at risk for adult obesity. In aggregate data,
the developing brain consumes a lifetime peak of 66% of resting energy expenditure in the
years preceding the AR, and brain energy use is inversely related to body weight gain from
infancy until puberty. Building on this finding, we hypothesize that individual variation in
childhood brain energy expenditure will help explain variation in the timing of the AR and
subsequent obesity risk. The idea that brain energetics constrain fat deposition is
consistent with evidence that genes that elevate BMI are expressed in the brain and
mediate a trade-off between the size of brain structures and BMI. Variability in energy
expended on brain development and function could also help explain widely documented
inverse relationships between the BMI and cognitive abilities. We estimate that variability
in brain energetics could explain the weight differential separating children at the 50th and
70th BMI-for-age centiles immediately before the AR. Our model proposes a role for brain
energetics as a driver of variation within a population's BMI distribution and suggests that
educational interventions that boost global brain energy use during childhood could help
reduce the burden of obesity.

ABSTRACT TRADOTTO

Un’ipotesi che collega la richiesta di energia del cervello al rischio di obesità.

Le cause dell'obesità sono complesse e multifattoriali. Proponiamo che un fattore non
considerato ma probabilmente importante sia la richiesta energetica per lo sviluppo del
cervello, che potrebbe limitare l'energia disponibile per la crescita del corpo e altre
funzioni, inclusa la deposizione di grasso. Gli esseri umani sono più magri durante la
prima infanzia e riguadagnano grasso corporeo nella tarda infanzia. I bambini che
raggiungono precocemente questo rimbalzo di adiposità (adiposity rebound, AR) sono a
rischio di obesità nell’età adulta. In dati aggregati, il cervello in via di sviluppo consuma un
picco nel corso della vita fino al 66% del dispendio energetico a riposo negli anni
precedenti l'AR e l'uso di energia cerebrale è inversamente correlato all'aumento di peso
corporeo dall'infanzia fino alla pubertà. Basandosi su questa scoperta, ipotizziamo che la
variazione individuale nel dispendio energetico del cervello infantile aiuti a spiegare la
variazione nella tempistica dell'AR e il conseguente rischio di obesità. L'idea che l'energia

Rassegna Febbraio 2021 pag. 4
del cervello limiti la deposizione di grasso è coerente con l'evidenza che i geni che
aumentano il BMI sono espressi nel cervello e mediano un compromesso tra le dimensioni
delle strutture cerebrali e il BMI. La variabilità dell'energia spesa per lo sviluppo e la
funzione del cervello potrebbe anche aiutare a spiegare le relazioni inverse ampiamente
documentate tra il BMI e le capacità cognitive. Stimiamo che la variabilità dell'energia
cerebrale potrebbe spiegare la differenza di peso che separa i bambini al 50 ° e 70 ° BMI
per età immediatamente prima dell'AR. Il nostro modello propone un ruolo per l'energia
cerebrale come fattore trainante della variazione all'interno della distribuzione del BMI di
una popolazione e suggerisce che gli interventi educativi che aumentano l'uso globale
dell'energia cerebrale durante l'infanzia potrebbero aiutare a ridurre il peso dell'obesità.

COMMENTO

Lo studio preso in esame dimostra che il cervello consuma la più grande frazione del
metabolismo del corpo non alla nascita, quando la dimensione relativa del cervello è
maggiore, ma nella prima infanzia, quando i processi di proliferazione e di eliminazione
delle sinapsi sono ai loro picchi massimi. Questa scoperta è di forte interesse per la
ricerca sul rischio di obesità perché mostra che il picco della domanda di energia del
cervello coincide, dal punto di vista dello sviluppo, con l'età del più lento aumento di peso,
che corrisponde approssimativamente anche alle più basse riserve di grasso corporeo
della vita. I processi di formazione ed eliminazione delle sinapsi continuano per tutta
l'infanzia e nell'adolescenza, tuttavia, dalla nascita all'adolescenza, il CMRglc (glucose
consumption rate) nel cervello è elevato rispetto ai valori degli adulti, sebbene a livelli
ridotti rispetto al picco dell'infanzia fino a circa 5 anni. Gran parte di questo aumento è
probabilmente dovuto ai processi di neurogenesi e sinaptogenesi. I rapidi aumenti, seguiti
da una diminuzione graduale dello spessore corticale e dell'area superficiale nella materia
grigia e della densità delle sinapsi, rappresentano una grande percentuale dell'alto costo
energetico dello sviluppo del cervello. Anche gli aumenti della sostanza bianca nella
corteccia somatosensoriale, motoria e visiva nel primo anno, seguiti da una
mielinizzazione più graduale nelle cortecce frontali e temporali, contribuiscono alla
richiesta di energia del cervello in via di sviluppo. L’epoca in cui il corpo inizia a depositare
energia in eccesso nei depositi di grasso sembra coincidere approssimativamente con
l'età della diminuzione della domanda di energia cerebrale. Lo studio evidenzia
esplicitamente i collegamenti tra l'energia consumata a livello cerebrale e l'aumento di
peso e dimostra con forte evidenza che l’utilizzo di energia da parte del cervello limita
l’aumento di peso. L’età del picco di consumo energetico del cervello è anche l'età del più
lento aumento di peso. La% RMR (resting metabolic rate) richiesta per lo sviluppo del
cervello viene ridotta nella tarda infanzia e nell'adolescenza, consentendo di dedicare al
corpo una percentuale maggiore del budget energetico totale del corpo, determinando un
ritmo più rapido di crescita del corpo e una maggiore deposizione di grasso. Questa
scoperta ha confermato l'ipotesi di vecchia data, avanzata dagli antropologi, secondo cui il
ritmo insolitamente lento della crescita del corpo durante l'infanzia umana si è evoluto in
parte per aiutare a liberare energia per sostenere gli alti costi energetici del cervello.
L'obesità è una condizione complessa in cui sono chiaramente implicati fattori come
l'alimentazione e l'attività fisica. Tuttavia, diverse osservazioni portano a proporre che la
variazione delle richieste energetiche del cervello in via di sviluppo probabilmente
rappresenta un'importante influenza aggiuntiva sui modelli individuali di aumento di peso e
cambiamenti nel BMI durante l'infanzia, che potrebbero quindi avere impatti a lungo
termine sul rischio di sovrappeso e obesità.

Rassegna Febbraio 2021 pag. 5
Ragionando sulle possibili cause si potrebbe ipotizzare • che i bambini con un ritardo nella
capacità di gratificazione e uno scarso controllo degli impulsi hanno maggiori probabilità di
consumare cibi ricchi di grassi • la deposizione di grasso corporeo in eccesso, indotta dalla
dieta o meno, può provocare un'infiammazione di basso grado e alterare la produzione di
ormoni che hanno impatti reciproci sulla struttura e funzione neuronale, riducendo
ulteriormente il controllo sull’appetito • un bersaglio dell'infiammazione centrale è
l'ipotalamo, che svolge un ruolo chiave nella regolazione degli ormoni, nel comportamento
alimentare e nelle funzioni esecutive, come tale, il danno ipotalamico può portare a un
ulteriore aumento di peso. Tuttavia, molti studi hanno riportato relazioni inverse tra il BMI,
sviluppo cerebrale e funzioni esecutive che non sono dipendenti dall'obesità e dalle sue
sequele metaboliche. Sembra ora dimostrato che le relazioni inverse tra il cervello e il BMI
hanno almeno una parziale base genetica, con geni che hanno effetti pleiotropici, agendo
sia sulle dimensioni delle strutture cerebrali che sul peso corporeo o la deposizione di
grasso. È stato infatti dimostrato che i geni associati al BMI sono ampiamente espressi nel
SNC. Utilizzando dati di microarray di espressione genica disponibili, è stato osservato un
arricchimento nelle aree cerebrali associate alla regolazione dell'appetito, ipotalamo e
ipofisi, ma anche nelle aree cerebrali associate all'apprendimento e alla memoria,
nell'ippocampo e nelle strutture limbiche. Inoltre, nel lobo mediofrontale, caudato anteriore,
astrociti e substantia nigra sono stati identificati set di geni relativi alla funzione sinaptica e
alla espressione dei neurotrasmettitori, il glutammato in primo luogo, ma anche le
monoamine e il GABA. Questi geni sono associati al BMI e sono coinvolti nei processi
neuronali, nella funzione ipotalamica, nello sviluppo neuronale e nell'omeostasi
energetica. Si ipotizza che ci siano anche effetti diretti di questi polimorfismi sul rischio di
obesità che operano attraverso processi neuronali energeticamente costosi, che a loro
volta modulano il l’utilizzo di energia del corpo. La ricerca genetica mostra non solo che
molti geni correlati all'obesità influenzano le funzioni neuronali energeticamente costose,
ma che sono anche espressi principalmente nel sistema nervoso centrale, mentre gli studi
di neuroimaging stanno documentando correlazioni genetiche negative tra la dimensione o
il volume delle strutture cerebrali e il BMI. Le funzioni a cui contribuiscono questi geni
includono processi molecolari e cellulari che probabilmente contribuiscono alla plasticità e
apprendimento neuronale. Nella misura in cui i geni hanno effetti sul BMI in parte
modulando l'energia spesa nel cervello, tutti i fattori ambientali che hanno un impatto su
questi stessi sistemi e percorsi potrebbero avere effetti simili sulla composizione corporea.
Alla luce di questa interpretazione, interventi educativi o di altro tipo che aumentano la
domanda del cervello di substrato metabolico per alimentare una maggiore attività neurale
in risposta alla programmazione educativa, potrebbero ridurre il rischio di obesità. Sembra
probabile che ci sia anche un effetto energetico diretto di una maggiore attività metabolica
cerebrale sulla composizione corporea. Le attività programmatiche, come un ambiente
linguistico arricchito e le opportunità di apprendimento attraverso il gioco e l'esplorazione,
sono progettate per stimolare le capacità cognitive che dipendono dallo sviluppo di circuiti
neurali sempre più complessi ed elaborati, con consumo energetico maggiore a livello del
cervello con ripercussioni positive sul BMI e sull’AR. Si ipotizza che la richiesta energetica
cerebrale abbia un potenziale maggiore di influenzare il BMI a circa 3-4 anni di età, che
sono gli anni di picco del metabolismo cerebrale che precedono anche il rimbalzo
dell'adiposità. Tali risultati suggeriscono il potenziale per gli interventi che aumentano l'uso
dell'energia cerebrale infantile per avere non solo un impatto a breve termine ma anche
potenzialmente a lungo termine sul rischio di obesità.

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ARTICOLI CORRELATI

1)
Dev Sci 2020 Jan; 23(1):e12860.

The development of executive function in early childhood is inversely related to
change in body mass index: Evidence for an energetic tradeoff?

Clancy Blair, Christopher W Kuzawa, Michael T Willoughby

ABSTRACT
A well-established literature demonstrates executive function (EF) deficits in obese
children and adults relative to healthy weight comparisons. EF deficits in obesity are
associated with overeating and impulsive consumption of high calorie foods leading to
excess weight gain and to problems with metabolic regulation and low-grade inflammation
that detrimentally affect the structure and function of prefrontal cortex. Here, we test a
complementary explanation for the relation between EF and body mass index (BMI)
grounded in the energy demand of the developing brain. Recent work shows that the brain
accounts for a lifetime peak of 66% of resting metabolic rate in childhood and that
developmental changes in brain energetics and normative changes in body weight gain
are closely inversely related. This finding suggests a trade-off in early childhood between
energy used to support brain development versus energy used to support physical growth
and fat deposition. To test this theorized energetic trade-off, we analyzed data from a large
longitudinal sample (N = 1,292) and found that change in EF from age 3 to 5 years, as a
proxy for brain development in energetically costly prefrontal cortex, is inversely related to
change in BMI from age 2 to 5 years. Greater linear decline in BMI predicted greater linear
increase in EF. We interpret this finding as tentative support for a brain-body energetic
trade-off in early childhood with implications for lifetime obesity risk.

2)
Neurosci Biobehav Rev 2019 Dec; 107:59-68.

The association of the executive functions with overweight and obesity indicators in
children and adolescents: A literature review.

Paula Mamrot, Tomasz Hanć

ABSTRACT
The prevalence of obesity in children and adolescents has become an increasing health
problem all over the world. Prior studies suggest there is a relationship between excess
body mass in adults and executive functions (EF). The paper analyzes recent studies on
the association of obesity indicators and EF performance in children and adolescents. We
analyzed four types of studies: comparison studies with obese and healthy children,
crosssectional studies describing dependencies between EF and BMI, follow up studies
applying EF as a predictor of overweight/obesity and studies describing the effect of
weight reduction on improving EF. We interpreted the results based on the categorization
of EF into three main processes: inhibitory control, working memory, cognitive flexibility,
and higher-level EF such as reasoning, problem-solving and planning. The strongest
evidence supports the relationship between poor inhibitory control and higher BMI,
overweight or obesity. However, the mechanism of the association is still unclear. A better

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understanding of the EF-obesity link may be relevant for the prevention of obesity or help
in EF deficits improvement.

3)
Cochrane Database Syst Rev 2018 Mar 2;3(3):CD009728.

Physical activity, diet and other behavioural interventions for improving cognition
and school achievement in children and adolescents with obesity or overweight.

Anne Martin, Josephine N Booth, Yvonne Laird, John Sproule, John J Reilly, David H
Saunders.

ABSTRACT

Background: The global prevalence of childhood and adolescent obesity is high. Lifestyle
changes towards a healthy diet, increased physical activity and reduced sedentary
activities are recommended to prevent and treat obesity. Evidence suggests that changing
these health behaviours can benefit cognitive function and school achievement in children
and adolescents in general. There are various theoretical mechanisms that suggest that
children and adolescents with excessive body fat may benefit particularly from these
interventions.
Objectives: To assess whether lifestyle interventions (in the areas of diet, physical
activity, sedentary behaviour and behavioural therapy) improve school achievement,
cognitive function (e.g. executive functions) and/or future success in children and
adolescents with obesity or overweight, compared with standard care, waiting-list control,
no treatment, or an attention placebo control group.
Search methods: In February 2017, we searched CENTRAL, MEDLINE and 15 other
databases. We also searched two trials registries, reference lists, and handsearched one
journal from inception. We also contacted researchers in the field to obtain unpublished
data.
Selection criteria: We included randomised and quasi-randomised controlled trials
(RCTs) of behavioural interventions for weight management in children and adolescents
with obesity or overweight. We excluded studies in children and adolescents with medical
conditions known to affect weight status, school achievement and cognitive function. We
also excluded self- and parent-reported outcomes.
Data collection and analysis: Four review authors independently selected studies for
inclusion. Two review authors extracted data, assessed quality and risks of bias, and
evaluated the quality of the evidence using the GRADE approach. We contacted study
authors to obtain additional information. We used standard methodological procedures
expected by Cochrane. Where the same outcome was assessed across different
intervention types, we reported standardised effect sizes for findings from single-study and
multiple-study analyses to allow comparison of intervention effects across intervention
types. To ease interpretation of the effect size, we also reported the mean difference of
effect sizes for single-study outcomes.
Main results: We included 18 studies (59 records) of 2384 children and adolescents with
obesity or overweight. Eight studies delivered physical activity interventions, seven studies
combined physical activity programmes with healthy lifestyle education, and three studies
delivered dietary interventions. We included five RCTs and 13 cluster-RCTs. The studies
took place in 10 different countries. Two were carried out in children attending preschool,

Rassegna Febbraio 2021 pag. 8
11 were conducted in primary/elementary school-aged children, four studies were aimed at
adolescents attending secondary/high school and one study included primary/elementary
and secondary/high school-aged children. The number of studies included for each
outcome was low, with up to only three studies per outcome. The quality of evidence
ranged from high to very low and 17 studies had a high risk of bias for at least one item.
None of the studies reported data on additional educational support needs and adverse
events. Compared to standard practice, analyses of physical activity-only interventions
suggested high-quality evidence for improved mean cognitive executive function scores.
The mean difference (MD) was 5.00 scale points higher in an after-school exercise group
compared to standard practice (95% confidence interval (CI) 0.68 to 9.32; scale mean 100,
standard deviation 15; 116 children, 1 study). There was no statistically significant
beneficial effect in favour of the intervention for mathematics, reading, or inhibition control.
The standardised mean difference (SMD) for mathematics was 0.49 (95% CI -0.04 to 1.01;
2 studies, 255 children, moderate-quality evidence) and for reading was 0.10 (95% CI -
0.30 to 0.49; 2 studies, 308 children, moderate-quality evidence). The MD for inhibition
control was -1.55 scale points (95% CI -5.85 to 2.75; scale range 0 to 100; SMD -0.15,
95% CI -0.58 to 0.28; 1 study, 84 children, very low-quality evidence). No data were
available for average achievement across subjects taught at school.There was no
evidence of a beneficial effect of physical activity interventions combined with healthy
lifestyle education on average achievement across subjects taught at school, mathematics
achievement, reading achievement or inhibition control. The MD for average achievement
across subjects taught at school was 6.37 points lower in the intervention group compared
to standard practice (95% CI -36.83 to 24.09; scale mean 500, scale SD 70; SMD -0.18,
95% CI -0.93 to 0.58; 1 study, 31 children, low-quality evidence). The effect estimate for
mathematics achievement was SMD 0.02 (95% CI -0.19 to 0.22; 3 studies, 384 children,
very low-quality evidence), for reading achievement SMD 0.00 (95% CI -0.24 to 0.24; 2
studies, 284 children, low-quality evidence), and for inhibition control SMD -0.67 (95% CI -
1.50 to 0.16; 2 studies, 110 children, very low-quality evidence). No data were available for
the effect of combined physical activity and healthy lifestyle education on cognitive
executive functions. There was a moderate difference in the average achievement across
subjects taught at school favouring interventions targeting the improvement of the school
food environment compared to standard practice in adolescents with obesity (SMD 0.46,
95% CI 0.25 to 0.66; 2 studies, 382 adolescents, low-quality evidence), but not with
overweight. Replacing packed school lunch with a nutrient-rich diet in addition to nutrition
education did not improve mathematics (MD -2.18, 95% CI -5.83 to 1.47; scale range 0 to
69; SMD -0.26, 95% CI -0.72 to 0.20; 1 study, 76 children, low-quality evidence) and
reading achievement (MD 1.17, 95% CI -4.40 to 6.73; scale range 0 to 108; SMD 0.13,
95% CI -0.35 to 0.61; 1 study, 67 children, low-quality evidence).
Authors' conclusions: Despite the large number of childhood and adolescent obesity
treatment trials, we were only able to partially assess the impact of obesity treatment
interventions on school achievement and cognitive abilities. School and community-based
physical activity interventions as part of an obesity prevention or treatment programme can
benefit executive functions of children with obesity or overweight specifically. Similarly,
school-based dietary interventions may benefit general school achievement in children
with obesity. These findings might assist health and education practitioners to make
decisions related to promoting physical activity and healthy eating in schools. Future
obesity treatment and prevention studies in clinical, school and community settings should
consider assessing academic and cognitive as well as physical outcomes.

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4)
Obesity (Silver Spring) 2018 Jun;26(6):1088-1095.

Impact of Early-Life Weight Status on Cognitive Abilities in Children.

Nan Li , Kimberly Yolton, Bruce P Lanphear , Aimin Chen , Heidi J Kalkwarf , Joseph M
Braun

ABSTRACT

Objective: Whether obesity is associated with childhood cognition is unknown. Given the
sensitivity of the developing brain to environmental factors, this study examined whether
early-life weight status was associated with children's cognition. Methods: Using data from
mother-child pairs enrolled in the Health Outcomes and Measures of the Environment
(HOME) Study (2003-2006), children's early-life weight status was assessed using weight-
for-length/height standard deviation (SD) scores. A battery of neuropsychological tests
was administered to assess cognition, executive function, and visual-spatial abilities at
ages 5 and 8 years. Using linear mixed models, associations between early-life weight
status and cognition were estimated. Results: Among 233 children, 167 were lean (≤1 SD)
and 48 were nonlean (>1 SD). After covariate adjustment, the results suggest that full-
scale intelligence quotient scores decreased with a 1-unit increase in weight-for-height SD
score (β = -1.4, 95% CI: -3.0 to 0.1). For individual component scores, with a 1-unit
increase in weight-for-height SD score, perceptual reasoning (β = -1.7, 95% CI: -3.3 to 0.0)
and working memory (β: -2.4, CI: -4.4 to -0.4) scores decreased. Weight status was
generally not associated with other cognition measures. Conclusions: Within this cohort of
typically developing children, early-life weight status was inversely associated with
children's perceptual reasoning and working memory scores and possibly with full-scale
intelligent quotient scores.

Rassegna Febbraio 2021 pag. 10
ARTICOLO 2
Cell Host Microbe. 2019 Feb 13;25(2):324-335.e4. doi: 10.1016/j.chom.2019.01.011.
PMID: 30763539.

Composition and Variation of the Human Milk Microbiota Are Influenced
by Maternal and Early-Life Factors.
Moossavi S, Sepehri S, Robertson B, Bode L, Goruk S, Field CJ, Lix LM, de Souza RJ,
Becker AB, Mandhane PJ, Turvey SE, Subbarao P, Moraes TJ, Lefebvre DL, Sears MR,
Khafipour E, Azad MB.

ABSTRACT
Breastmilk contains a complex community of bacteria that may help seed the infant gut
microbiota. The composition and determinants of milk microbiota are poorly understood.
Among 393 mother-infant dyads from the CHILD cohort, we found that milk microbiota at
3–4 months postpartum was dominated by inversely correlated Proteobacteria and
Firmicutes, and exhibited discrete compositional patterns. Milk microbiota composition and
diversity were associated with maternal factors (BMI, parity, and mode of delivery),
breastfeeding practices, and other milk components in a sex-specific manner. Causal
modeling identified mode of breastfeeding as a key determinant of milk microbiota
composition. Specifically, providing pumped breastmilk was consistently associated with
multiple microbiota parameters including enrichment of potential pathogens and depletion
of bifidobacteria. Further, these data support the retrograde inoculation hypothesis,
whereby the infant oral cavity impacts the milk microbiota. Collectively, these results
identify features and determinants of human milk microbiota composition, with potential
implications for infant health and development.

ABSTRACT TRADOTTO
La composizione e la variazione del microbiota del latte umano sono influenzate da
fattori materni e fattori delle prime età della vita.
Il latte materno contiene una comunità complessa di batteri che possono aiutare a
popolare il microbiota intestinale del neonato. La composizione e i determinanti del
microbiota del latte sono poco compresi. Tra le 393 diadi mamma-bambino della coorte
CHILD, abbiamo trovato che il microbiota del latte a 3-4 mesi dopo il parto era dominato
da Proteobacteria e Firmicutes inversamente correlati e mostrava delle caratteristiche di
composizione uniche. La composizione e la diversità del microbiota del latte erano
associate a fattori materni (BMI, parità e modalità di parto), alla pratica di allattamento e ad
altre componenti del latte in modo specifico per il sesso. Un modello casuale ha
identificato la modalità di allattamento al seno come una chiave determinante della
composizione del microbiota del latte. In particolare, offrire latte materno tirato era
associato in modo consistente con più parametri del microbiota che includevano

Rassegna Febbraio 2021 pag. 11
arricchimento di potenziali patogeni e perdita di bifidobatteri. Questi dati supportano inoltre
l’ipotesi di una inoculazione retrograda, per cui la cavità orale del neonato incide sul
microbiota del latte. Nell’insieme questi risultati identificano caratteristiche e determinanti
della composizione del microbiota del latte materno, con implicazioni potenziali per la
salute e lo sviluppo dei neonati.

COMMENTO
Il latte materno, un tempo considerato sterile, contiene una complessa comunità di batteri
che aiuta a stabilire il microbiota intestinale infantile. Se questo processo viene interrotto, il
bambino può sviluppare un microbiota disbiotico, causando predisposizione a malattie
croniche come allergia, asma e obesità. Recenti studi sul microbiota del latte umano
suggeriscono che è influenzato dalla modalità di parto e dall’età gestazionale, ma anche
da patologie locali del seno, dall’utilizzo di antibiotici e dalla salute materna.
Sono state proposte due vie principali per spiegare l'origine del microbiota del latte. Una è
la traslocazione entero-mammaria del microbiota intestinale materno, sostenuta dal fatto
che il colostro raccolto anche prima della prima alimentazione infantile contenga già una
comunità microbica; l’altra via è quella dell'inoculazione retrograda da parte del microbiota
orale del bambino, supportata dalla somiglianza del microbiota orale infantile con il
microbiota del latte materno.
Presento questo articolo perché mi hanno molto incuriosito le conclusioni circa la modalità
di allattamento e la comunità microbica del latte materno.
Lo studio ha analizzato un campione numeroso, 393 diadi mamma-bambino ed ha
utilizzato il sequenziamento del gene dell'acido ribonucleico ribosomiale 16S (rRNA) per
profilare il microbiota del latte.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che la modalità di allattamento al seno (bambino
attaccato al seno versus latte materno tirato e successivamente somministrato con
biberon) si associa ad una diversa composizione del microbiota del latte: l'allattamento
diretto al seno facilita l'acquisizione di microbiota orale, mentre l'allattamento indiretto al
seno è stato associato ad una minore ricchezza batterica del latte e ad un arricchimento
da parte di batteri ambientali, potenziali patogeni opportunisti (associati al tiralatte). Inoltre,
l'allattamento al seno indiretto è stato associato a una minore ricchezza e diversità del
microbiota del latte rispetto all'allattamento al seno diretto.
I ricercatori sospettano che il pompaggio possa impedire il trasferimento di batteri orali dal
neonato al microbiota del latte materno, introducendo così altri batteri dal tiralatte. I risultati
mostrano che i batteri del latte possono avere origine nella cavità orale del neonato, a
sostegno dell’ipotesi che la cavità orale del bambino sia l'origine dei batteri del latte
materno e non derivino nell'intestino della madre.
Un’altra ipotesi, che spiega la superiorità del latte materno al seno, è il seno stesso, che
non è solo una ghiandola che secerne latte, ma è anche un organo rivestito di cute che
ospita microbiota cutaneo della madre che viene quindi assorbito dal bambino che
succhia, tocca e gioca con il seno. Inoltre il seno è anche un organo antistress e noi
sappiamo quanto lo stress influenzi il microbiota e quanto il bambino sia sensibile al
contatto materno.
Lo studio suggerirebbe una possibile spiegazione alla recente osservazione che i lattanti
alimentati con latte tirato sono a maggior rischio di asma in età pediatrica rispetto a quelli
alimentati esclusivamente al seno.
Gli autori concludono che sono necessarie ulteriori ricerche per esplorare l'impatto
dell'allattamento indiretto al seno sul microbiota del latte e il suo conseguente effetto sul
microbiota intestinale infantile, sullo sviluppo immunitario e sui relativi esiti per la salute.

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Nonostante i riscontri riportati nello studio presentato, il latte materno rimane
indiscutibilmente l’alimento ideale per la crescita e il benessere del bambino.

ARTICOLI CORRELATI

1)
J Nutr. 2019 Jun 1;149(6):902-914.doi: 10.1093/jn/nxy299.
Strong Multivariate Relations Exist Among Milk, Oral, and Fecal Microbiomes in
Mother-Infant Dyads During the First Six Months Postpartum.
Janet E Williams, Janae M Carrothers, Kimberly A Lackey, Nicola F Beatty, Sarah L
Brooker, Haley K Peterson, Katelyn M Steinkamp, Mara A York, Bahman Shafii, William J
Price, Mark A McGuire, Michelle K McGuire

ABSTRACT

Background: Neonatal gastrointestinal (GI) bacterial community structure may be related
to bacterial communities of the mother, including those of her milk. However, very little is
known about the diversity in and relationships among complex bacterial communities in
mother-infant dyads.

Objective: Our primary objective was to assess whether microbiomes of milk are
associated with those of oral and fecal samples of healthy lactating women and their
infants.

Methods: Samples were collected 9 times from day 2 to 6 mo postpartum from 21 healthy
lactating women and their infants. Milk was collected via complete breast expression, oral
samples via swabs, and fecal samples from tissue (mothers) and diapers (infants).
Microbiomes were characterized using high-throughput sequencing of the 16S ribosomal
RNA (rRNA) gene. Alpha and beta diversity indices were used to compare microbiomes
across time and sample types. Membership and composition of microbiomes were
analyzed using nonmetric multidimensional scaling and canonical correlation analysis
(CCA). The contribution of various bacterial communities of the mother-infant dyad to both
milk and infant fecal bacterial communities were estimated using SourceTracker2.

Results: Bacterial community structures were relatively unique to each sample type. The
most abundant genus in milk and maternal and infant oral samples was Streptococcus
(47.1% ± 2.3%, 53.9% ± 1.3%, and 69.1% ± 1.8%, respectively), whereas Bacteroides
were predominant in maternal and infant fecal microbiomes (22.9% ± 1.3% and 21.4% ±
2.4%, respectively). The milk microbiome was more similar to the infant oral microbiome
than the infant fecal microbiome. However, CCA suggested strong associations between
the complex microbial communities of milk and those of all other sample types collected.

Rassegna Febbraio 2021 pag. 13
Conclusions: These findings suggest complex microbial interactions between
breastfeeding mothers and their infants and support the hypothesis that variation in the
milk microbiome may influence the infant GI microbiome.

2)

Front Immunol. 2018 Feb 28;9:361. doi: 10.3389/fimmu.2018.00361.

Mother's Milk: A Purposeful Contribution to the Development of the Infant
Microbiota and Immunity.

Le Doare K, Holder B, Bassett A, Pannaraj PS

ABSTRACT

Breast milk is the perfect nutrition for infants, a result of millions of years of evolution. In
addition to providing a source of nutrition, breast milk contains a diverse array of
microbiota and myriad biologically active components that are thought to guide the infant's
developing mucosal immune system. It is believed that bacteria from the mother's intestine
may translocate to breast milk and dynamically transfer to the infant. Such interplay
between mother and her infant is a key to establishing a healthy infant intestinal
microbiome. These intestinal bacteria protect against many respiratory and diarrheal
illnesses, but are subject to environmental stresses such as antibiotic use. Orchestrating
the development of the microbiota are the human milk oligosaccharides (HMOs), the
synthesis of which are partially determined by the maternal genotype. HMOs are thought
to play a role in preventing pathogenic bacterial adhesion though multiple mechanisms,
while also providing nutrition for the microbiome. Extracellular vesicles (EVs), including
exosomes, carry a diverse cargo, including mRNA, miRNA, and cytosolic and membrane-
bound proteins, and are readily detectable in human breast milk. Strongly implicated in
cell-cell signaling, EVs could therefore may play a further role in the development of the
infant microbiome. This review considers the emerging role of breast milk microbiota,
bioactive HMOs, and EVs in the establishment of the neonatal microbiome and the
consequent potential for modulation of neonatal immune system development.

3)

JAMA Pediatr. 2017 Jul 1;171(7):647-654. doi: 10.1001/jamapediatrics.2017.0378.

Association Between Breast Milk Bacterial Communities and Establishment and
Development of the Infant Gut Microbiome.

Pannaraj PS, Li F, Cerini C, Bender JM, Yang S, Rollie A, Adisetiyo H, Zabih S, Lincez PJ,
Bittinger K, Bailey A, Bushman FD, Sleasman JW, Aldrovandi GM

ABSTRACT

Importance: Establishment of the infant microbiome has lifelong implications on health
and immunity. Gut microbiota of breastfed compared with nonbreastfed individuals differ

Rassegna Febbraio 2021 pag. 14
during infancy as well as into adulthood. Breast milk contains a diverse population of
bacteria, but little is known about the vertical transfer of bacteria from mother to infant by
breastfeeding.

Objective: To determine the association between the maternal breast milk and areolar
skin and infant gut bacterial communities.

Design, setting, and participants: In a prospective, longitudinal study, bacterial
composition was identified with sequencing of the 16S ribosomal RNA gene in breast milk,
areolar skin, and infant stool samples of 107 healthy mother-infant pairs. The study was
conducted in Los Angeles, California, and St Petersburg, Florida, between January 1,
2010, and February 28, 2015.

Exposures: Amount and duration of daily breastfeeding and timing of solid food
introduction.

Main outcomes and measures: Bacterial composition in maternal breast milk, areolar
skin, and infant stool by sequencing of the 16S ribosomal RNA gene.

Results: In the 107 healthy mother and infant pairs (median age at the time of specimen
collection, 40 days; range, 1-331 days), 52 (43.0%) of the infants were male. Bacterial
communities were distinct in milk, areolar skin, and stool, differing in both composition and
diversity. The infant gut microbial communities were more closely related to an infant's
mother's milk and skin compared with a random mother (mean difference in Bray-Curtis
distances, 0.012 and 0.014, respectively; P < .001 for both). Source tracking analysis was
used to estimate the contribution of the breast milk and areolar skin microbiomes to the
infant gut microbiome. During the first 30 days of life, infants who breastfed to obtain 75%
or more of their daily milk intake received a mean (SD) of 27.7% (15.2%) of the bacteria
from breast milk and 10.3% (6.0%) from areolar skin. Bacterial diversity (Faith
phylogenetic diversity, P = .003) and composition changes were associated with the
proportion of daily breast milk intake in a dose-dependent manner, even after the
introduction of solid foods.

Conclusions and relevance: The results of this study indicate that bacteria in mother's
breast milk seed the infant gut, underscoring the importance of breastfeeding in the
development of the infant gut microbiome.

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ARTICOLO 3
Nutrients. 2019 Dec 5;11(12). pii: E2966. doi: 10.3390/nu11122966.

Epigenetics: Linking Early Postnatal Nutrition to Obesity Programming?

Marousez L, Lesage J, Eberlé D.

ABSTRACT
Despite constant research and public policy efforts, the obesity epidemic continues to be a
major public health threat, and new approaches are urgently needed. It has been shown
that nutrient imbalance in early life, from conception to infancy, influences later obesity
risk, suggesting that obesity could result from "developmental programming". In this
review, we evaluate the possibility that early postnatal nutrition programs obesity risk via
epigenetic mechanisms, especially DNA methylation, focusing on four main topics: (1) the
dynamics of epigenetic processes in key metabolic organs during the early postnatal
period; (2) the epigenetic effects of alterations in early postnatal nutrition in animal models
or breastfeeding in humans; (3) current limitations and remaining outstanding questions in
the field of epigenetic programming; (4) candidate pathways by which early postnatal
nutrition could epigenetically program adult body weight set point. A particular focus will be
given to the potential roles of breast milk fatty acids, neonatal metabolic and hormonal
milieu, and gut microbiota. Understanding the mechanisms by which early postnatal
nutrition can promote lifelong metabolic modifications is essential to design adequate
recommendations and interventions to "deprogram" the obesity epidemic.

ABSTRACT TRADOTTO

Epigenetica: collegare la nutrizione post-natale precoce alla programmazione
dell'obesità?

Marousez L, Lesage J, Eberlé D.

Nonostante la costante ricerca e gli sforzi di politica pubblica, l'epidemia di obesità
continua a rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica e sono urgentemente
necessari nuovi approcci. È stato dimostrato che uno squilibrio nutrizionale nelle prime età
della vita, dal concepimento all'infanzia, influenza il successivo rischio di obesità,
suggerendo che l'obesità potrebbe derivare dalla "programmazione dello sviluppo". In
questa recensione, valutiamo la possibilità che la precoce nutrizione postnatale programmi
il rischio di obesità attraverso meccanismi epigenetici, in particolare la metilazione del
DNA, incentrandosi su quattro argomenti principali: (1) la dinamica dei processi epigenetici
negli organi metabolici chiave durante il primo periodo postnatale; (2) gli effetti epigenetici
delle alterazioni dell'alimentazione postnatale precoce nei modelli animali o
dell'allattamento al seno nell'uomo; (3) limitazioni attuali e domande rimaste in sospeso nel
campo della programmazione epigenetica; (4) percorsi candidati attraverso i quali la
nutrizione post-natale precoce potrebbe programmare epigeneticamente il set point del
peso corporeo degli adulti. Particolare attenzione verrà data al potenziale ruolo degli acidi
grassi del latte materno, dell'ambiente metabolico e ormonale neonatale e del microbiota

Rassegna Febbraio 2021 pag. 16
intestinale. Comprendere i meccanismi attraverso i quali la nutrizione postnatale precoce
può promuovere modifiche metaboliche per tutta la vita è essenziale per progettare
raccomandazioni e interventi adeguati per "deprogrammare" l'epidemia di obesità.

COMMENTO

La review descrive il ruolo della nutrizione post natale precoce rispetto al rischio di obesità.
Nei mammiferi, il primo periodo postnatale è considerato una continuazione critica della
fase fetale che consente la piena maturazione dell'organismo: gli organi chiave e gli assi
ormonali che regolano il metabolismo e l'omeostasi energetica (ipotalamo, tessuto
adiposo, fegato e intestino) subiscono uno sviluppo strutturale e funzionale dopo la
nascita. Nell'uomo in particolare, la corteccia prefrontale, coinvolta in processi decisionali
come il controllo dell'appetito e il desiderio di cibo, mostra un periodo particolarmente
prolungato di maturazione postnatale. L’articolo elenca gli studi fatti sull’uomo e su modelli
animali che includono la riduzione della dimensione della cucciolata, l'alimentazione
artificiale a base di carboidrati alti (HC), la promozione incrociata su madri obese,
l'alimentazione materna ad alto contenuto di grassi (HF) durante l'allattamento o
l'integrazione orale neonatale, a dimostrazione delle modificazioni epigenetiche negli
organi metabolici chiave. Viene inoltre discusso il potenziale ruolo degli acidi grassi del
latte materno, del metabolismo neonatale, dell'ambiente ormonale (glucosio / insulina) e
del microbiota intestinale. Comprendere i meccanismi attraverso i quali la nutrizione
postnatale precoce, indipendentemente dall’ambiente uterino, possa promuovere
modifiche metaboliche che persistono per tutta la vita è essenziale per progettare
raccomandazioni e interventi adeguati a combattere l’epidemia di obesità.

ARTICOLI CORRELATI

1)
Nutrients. 2019 Jun 22;11(6). pii: E1408. doi: 10.3390/nu11061408.

The Influence of the Duration of Breastfeeding on the Infant's Metabolic Epigenome.

Pauwels S, Symons L, Vanautgaerden EL, Ghosh M, Duca RC, Bekaert B, Freson K,
Huybrechts I, Langie SAS, Koppen G, Devlieger R, Godderis L.

ABSTRACT
Nutrition in the postnatal period is associated with metabolic programming. One of the
presumed underlying mechanisms involves epigenetic modifications (e.g., DNA
methylation). Breastfeeding has an unknown impact on DNA methylation at a young age.
Within the Maternal Nutrition and Offspring's Epigenome (MANOE) study, we assessed
the effect of breastfeeding duration on infant growth and buccal methylation in
obesityrelated genes (n = 101). A significant difference was found between infant growth
and buccal RXRA and LEP methylation at 12 months of breastfeeding. For RXRA CpG2
methylation, a positive association was found with duration of breastfeeding (slope =
0.217; 95% confidence interval (CI) 1.03, 0.330; p < 0.001). For RXRA CpG3 and CpG,
mean methylation levels were significantly lower when children were breastfed for 4-6
months compared to non-breastfed children (only CpG3), and those breastfed for 7-9
months, 10-12 months, or 1-3 months. On the other hand, higher LEP CpG3 methylation
was observed when mothers breastfed 7-9 months (6.1%) as compared to breastfeeding
for 1-3 months (4.3%; p = 0.007) and 10-12 months (4.6%; p = 0.04). In addition, we
observed that infant weight was significantly lower when children were breastfed for 10-12

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months. Breastfeeding duration was associated with epigenetic variations in RXRA and
LEP at 12 months and with infant biometry/growth. Our results support the hypothesis that
breastfeeding could induce epigenetic changes in infants.

2)
Clin Epigenetics. 2015 Jul 11;7:66. doi: 10.1186/s13148-015-0101-5. eCollection 2015.

Recent developments on the role of epigenetics in obesity and metabolic disease.

van Dijk SJ, Tellam RL, Morrison JL, Muhlhausler BS, Molloy PL.

ABSTRACT
The increased prevalence of obesity and related comorbidities is a major public health
problem. While genetic factors undoubtedly play a role in determining individual
susceptibility to weight gain and obesity, the identified genetic variants only explain part of
the variation. This has led to growing interest in understanding the potential role of
epigenetics as a mediator of gene-environment interactions underlying the development of
obesity and its associated comorbidities. Initial evidence in support of a role of epigenetics
in obesity and type 2 diabetes mellitus (T2DM) was mainly provided by animal studies,
which reported epigenetic changes in key metabolically important tissues following high-fat
feeding and epigenetic differences between lean and obese animals and by human
studies which showed epigenetic changes in obesity and T2DM candidate genes in
obese/diabetic individuals. More recently, advances in epigenetic methodologies and the
reduced cost of epigenome-wide association studies (EWAS) have led to a rapid
expansion of studies in human populations. These studies have also reported epigenetic
differences between obese/T2DM adults and healthy controls and epigenetic changes in
association with nutritional, weight loss, and exercise interventions. There is also
increasing evidence from both human and animal studies that the relationship between
perinatal nutritional exposures and later risk of obesity and T2DM may be mediated by
epigenetic changes in the offspring. The aim of this review is to summarize the most
recent developments in this rapidly moving field, with a particular focus on human EWAS
and studies investigating the impact of nutritional and lifestyle factors (both preand
postnatal) on the epigenome and their relationship to metabolic health outcomes. The
difficulties in distinguishing consequence from causality in these studies and the critical
role of animal models for testing causal relationships and providing insight into underlying
mechanisms are also addressed. In summary, the area of epigenetics and metabolic
health has seen rapid developments in a short space of time. While the outcomes to date
are promising, studies are ongoing, and the next decade promises to be a time of
productive research into the complex interactions between the genome, epigenome, and
environment as they relate to metabolic disease.

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