Si è dimesso il direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno. Cosa aspettava ? - Il Corriere del Giorno

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Si è dimesso il direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno. Cosa aspettava ? - Il Corriere del Giorno
Si è dimesso il direttore de La
Gazzetta del Mezzogiorno. Cosa
aspettava ?
ROMA – E’ trascorso quasi un anno da quando quello che era il
principale quotidiano di Puglia e Basilicata, è stato sottoposto il 24
settembre del 2018,    alla gestione giudiziaria per la sentenza di
sequestro e confisca del 70% delle quote azionarie della Edisud spa,
che fanno capo all’editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, imputato
di concorso esterno in associazione mafiosa.“Ci sembra giusto
informarVi che il Vostro giornale ha avviato una procedura societaria,
che prende il nome di ‘concordato preventivo’, che è stata chiesta al
Tribunale di Bari, che ha a sua volta ha nominato due Commissari, che
ne seguiranno gli sviluppi”. Con una lettera aperta l’ex-editore ha
annunciato ai lettori de ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’ la scelta
pressoché obbligata che permetterebbe “di riportare in equilibrio i
conti del giornale, che negli ultimi anni ha sofferto pesantemente
della crisi, che ha colpito l’editoria giornalistica”.
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La situazione dei conti fortemente deficitaria maturata ancor prima
dell’atto del sequestro, ha portato a chiudere il bilancio del 2018
con una perdita operativa di oltre 7 milioni (che contribuiscono agli
oltre 30 milioni di euro complessivi di debiti maturati).          Una
situazione che ha reso inevitabile, ai fini della continuità aziendale
imposta dalle norme di legge , da parte del Tribunale di Catania –
Sezione misure di prevenzione attraverso i Custodi-Amministratori
Giudiziari nominati,   di trovare un acquirente.

L’unico a rendersi interessato e disponibile è stato Valter Mainetti
amministratore delegato del fondo Sorgente Group Italia proprietario
della testata del quotidiano ‘Il Foglio’ e del mensile ‘Tempi’, che
era già socio di minoranza di Edisud spa. La proposta, con il supporto
della Banca Popolare di Bari, (fortemente esposta con la precedente
gestione) , prevede all’omologa del concordato, prevista fra aprile e
settembre del 2020, una importante ricapitalizzazione finanziaria con
capitali propri e l’ingresso nel capitale di un partner industriale.
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Nel frattempo l’avvio del concordato facilita una preliminare
contrazione dei costi e accelera la dismissione di alcuni cespiti.

Infatti con il parere favorevole del Tribunale di Catania, al quale
risponde la gestione commissariale, il cda di Edisud spa ha chiesto
nella seconda metà di luglio al Tribunale di Bari l’ammissione alla
procedura di concordato preventivo in continuità , che ha comportato
la nomina immediata di due commissari.

In particolare la ristrutturazione, che verrà presentata in un piano
che Edisud si è impegnata a presentare entro il prossimo ottobre,
prevede, oltre allo sviluppo del digitale e la concentrazione delle
risorse nell’informazione locale e regionale, di incorporare le sette
edizioni attuali in non più di tre, per offrire ai lettori un giornale
più completo, rispetto al territorio d’influenza. Importanti sinergie
editoriali interesseranno poi le news nazionali e internazionali,
unitamente alla pubblicità e al marketing per promuovere intorno al
brand giornalistico, forte e unico per la Puglia e Basilicata, come la
Gazzetta del Mezzogiorno, eventi e iniziative speciali per
coinvolgere, con rinnovata energia e idee, i giovani e il ricco mondo
dell’economia e della cultura delle due regioni.

“Il giornale che da tanti anni e per tante generazioni è stato vicino
al territorio – scrive Edisud nella sua lettera pubblica – è un
patrimonio nazionale che oggi non solo va conservato, ma deve essere
con urgenza rilanciato tenendo conto delle innovazioni che hanno
interessato fortemente anche il settore editoriale. E ciò vuol anche
dire una struttura produttiva più snella, unita alla ricerca di
economie di scala e sinergie con gruppi editoriali, che permettano di
concentrare le risorse giornalistiche alla copertura dell’informazione
locale, sul piano di servizio e di cultura”.

“La procedura avviata chiede il concorso e il sacrificio di tutti, dai
creditori alle maestranze, per preludere ad un solido assetto
proprietario – conclude la lettera dell’editore – . Durante questo
percorso Vi chiediamo di continuare a starci vicino, anzi ancora di
più. Il giornale sarà gradualmente innovato nel contenuto, nella
grafica e nella tecnologia. E punterà sempre più ad accompagnare lo
sviluppo e a difendere l’orgoglio di una Puglia e Basilicata, le loro
città ed aree interne, strategiche per l’economia e la cultura del
Paese”.
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Giuseppe De Tomaso

La Gazzetta del Mezzogiorno ha 130 di storia che hanno visto passare
sulle sue pagine grandi firme come Oronzo Valentini, Giuseppe
Giacovazzo, dovrà affrontare una sfida difficile. Secondo quanto
prevede il concordato si dovrà infatti riuscire, a riportare
rapidamente i suoi conti in equilibrio , peggiorati progressivamente
negli ultimi sei anni con la direzione giornalistica di Giuseppe De
Tomaso ha visto i propri ricavi da copie vendute scendere del 40%,
arrivando a vendere in un bacino di oltre 5 milioni di persone,
soltanto 17mila copie. Numeri che hanno conseguentemente comportato il
crollo della pubblicità calata del 60%.

Ed oggi finalmente Giuseppe De Tomaso si è “arreso” ed ha capito che
il suo ciclo era finito, rassegnando le proprie dimissioni. Una
decisione che avrebbe dovuto prendere da molto tempo, ma che ha deciso
soltanto ora in vista di un suo pressochè certo previsto
licenziamento. Lasciando nello sconforto i suoi devoti “orfanelli ed
orfanelle”…
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Bari, arrestato l'ex giudice
Bellomo: maltrattava studentesse e
minacciò il premier Conte

                                           ROMA – E’ finito agli
arresti domiciliari Francesco Bellomo, 49enne barese, consigliere di
Stato destituito dopo che nel 2017 scoppiò lo scandalo della sua
scuola di preparazione per il concorso in magistratura. Bellomo viene
accusato non solo dei maltrattamenti e delle estorsioni nei confronti
di quattro giovani borsiste e di estorsione aggravata ai danni di una
ricercatrice della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata “Diritto e
scienza” con sedi a Bari, Milano e Roma a cui imponeva anche il “dress
code”, fatti questi risalenti al settembre 2017, ma anche per le
calunnie e la minacce espresse nei confronti del presidente del
Consiglio, Giuseppe Conte.     La scuola    secondo la gip Antonella
Cafagna era “il teatro dei suoi adescamenti”, e l’assegnazione delle
borse di studio “il veicolo per orientare i rapporti professionali
verso derive sul piano personale”

L’arresto giunge al termine di un’indagine della Procura di Bari
condotta dalla pm Daniela Chimienti e coordinata dal procuratore
aggiunto dr. Roberto Rossi , con l’ordinanza firmata dalla dr.ssa
Antonella Cafagna, Gip del Tribunale di Bari. Sono quattro le
studentesse individuate come parti offese, per i reati di
maltrattamenti e estorsione, alcune delle quali legate a Bellomo da
relazioni sentimentali. Le indagini vennero avviate dalla Procura di
Piacenza a seguito della denuncia di una studentessa, e si allargò
subito dopo a Bari, città d’origine del Bellomo e dove è presente una
sede della scuola “Diritto e scienza”, tuttora in funzione.
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il premier Giuseppe Conte

Nell’inchiesta barese si inserisce un nuovo filone giudiziario, che
vede come parte lesa il prof. Giuseppe Conte attuale Presidente del
Consiglio, in passato vicepresidente del Consiglio della presidenza
della giustizia amministrativa, organo chiamato ad esercitare l’azione
disciplinare nei confronti di Bellomo, subito dopo che erano emersi i
primi illeciti a suo carico.

Il prof. Giuseppe Conte che all’epoca dei fatti, non era ancora
diventato    premier,    insieme alla collega Concetta Plantamura
(componente dello stesso organismo) vennero entrambi accusati da
Bellomo che sosteneva avessero commesso illeciti nella trattazione del
giudizio a suo carico e poi fece notificare loro un atto di citazione
per danni trascinandoli davanti al Tribunale civile di Bari
“incolpandoli falsamente” per aver esercitato “in modo strumentale e
illegale il potere disciplinare“, compiendo “deliberatamente e
sistematicamente una attività di oppressione” nei suoi confronti,
secondo Bellomo “mossa da un palese intento persecutorio, dipanatosi
in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali,
in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal
pregiudizio“.

Alcuni giorni successivi alla notifica della citazione e
nell’imminenza della seduta del Plenum             della giustizia
amministrativa, per la discussione finale del procedimento
disciplinare a suo carico, Bellomo aveva depositato anche una memoria
chiedendo “l’annullamento in autotutela degli atti del giudizio
disciplinare per vizio di procedura” ed il proprio “proscioglimento
immediato per evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti
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già subiti“.

Bellomo a “Porta a Porta” intervistato da Bruno Vespa

Secondo la Procura di Bari, tale azione di Bellomo fu un’implicita
minaccia, “prospettato oltre all’aggravarsi dell’entità del
risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in
caso di ulteriori danni”      finalizzata a prospettare all’intero
Consiglio il possibile esercizio di azioni civili nei confronti di
Conte e Plantamura, come si legge nell’imputazione ” per turbarne
l’attività nel procedimento disciplinare a suo carico ed impedire la
loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà
di scelta e determinando la loro estensione, benché il CPGA avesse
votato all’unanimità, ed in loro assenza, l’insussistenza di cause di
astensione e ricusazione“.

Il gip del Tribunale di Bari dr.ssa Antonella Cafagna che ha disposto
l’arresto, dell’ex giudice barese del Consiglio di Stato Francesco
Bellomo, con concessione degli arresti domiciliari, nella sua
ordinanza parla di “indole dell’indagato in seno al rapporto
interpersonale in termini di elevata attitudine alla manipolazione
psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della
personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno
asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia
nelle scelte, subordinate al suo consenso” analizzando quello che
chiama “sistema Bellomo” nel quale “l’istituzione del servizio di
borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero
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e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio
peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione
dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e
gerarchia”.

Le vittime secondo “la concezione ‘bellomiana’ dei rapporti
interpersonali” sarebbero state prima “isolate, allontanandole dalle
amicizie”, e successivamente Francesco Bellomo avrebbe tentato una
“manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento con
successivo controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come
sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in
modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé”. È proprio una
delle ragazze sue vittime a definire il rapporto con Bellomo “come se
si fosse impossessato della mia testa“.
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Una borsista della Scuola di Formazione
dell’ex giudice Francesco Bellomo, confidandosi con la sorella, le
raccontò di aver sottoscritto “un contratto di schiavitù
sessuale...Non sai che cosa mi voleva far fare, hai presente 50
sfumature di grigio? “, mentre un’altra borsista sarebbe stata
“punita” mediante la rivelazione di “dettagli intimi sulla sua vita
privata” per aver violato secondo Bellomo, gli obblighi imposti dal
contratto, finendo in una rubrica sulla rivista della Scuola “Diritto
e scienza” .

Con un’altra studentessa, oggi diventata sostituta procuratrice in una
città toscana, nel momento in cui cercò di allontanarsi dal direttore
della scuola cominciò a ricevere insulti e minacce “Ora la tua
carriera la fai da sola e dubito che ci riesca” le disse Bellomo “Non
mi faccio restituire i soldi perché sei una pezzente. Al concorso Tar
non accederai neppure, ringrazia se non ti buttano fuori dalla
magistratura” arrivando a pretendere ” Ti devi inginocchiare e
chiedermi perdono” per avere violato regole del contratto.

Molto peggio andò ad un’altra borsista minacciata di farle aprire a
suo carico un procedimento penale . “Era un’ipotesi spaventosa, perché
ero in procinto di entrare in magistratura — dichiarò a verbale — Mi
rivolsi spaventata a Gianrico Carofiglio ( ex-magistrato, poi ex
parlamentare ed scrittore di successo n.d.r.), allora mio amico e in
servizio alla Procura di Bari, e lui mi consigliò di rivolgermi a un
penalista. Poco dopo mi chiamò Bellomo furente e mi disse di essere
stato contattato da Carofiglio, che gli diceva che io gli stavo
prospettando una violenza privata“.
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Le borsiste della Scuola di Formazione dell’ex giudice Francesco
Bellomo, arrestato per maltrattamenti e estorsione, erano tenute ad
“attenersi ad un dress code suddiviso in ‘classico‘ per gli ‘eventi
burocratici’, ‘intermedio‘ per ‘corsi e convegni’ ed ‘estremo‘ per
‘eventi mondani’ e dovevano curare la propria immagine anche dal punto
di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurare
il più possibile l’armonia, l’eleganza e la superiore trasgressività’
al fine di pubblicizzare l’immagine della scuola e della società“.

Questi sono alcuni passaggi contenuti del contratto imposto alle
borsiste e riportati nell’ordinanza di arresto firmato dal Gip del
Tribunale di Bari dr.ssa Antonella Cafagna. L’abbigliamento “estremo”
prevedeva “gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e
ginocchio), sia stretta che morbida + maglioncino o maglina, oppure
vestito di analoga lunghezza“. Quello “intermedio” contemplava l’uso
di “gonna corta (da 1/3 a ½ della lunghezza tra giro vita e
ginocchio), sia stretta che morbida + camicetta, oppure vestito
morbido di analoga lunghezza, anche senza maniche”; quello “classico”
prevedeva “gonna sopra il ginocchio (da ½ a 2/3 della lunghezza tra
giro vita e ginocchio) diritta + camicetta, oppure tailleur, oppure
pantaloni aderenti + maglia scollata. Alternati“.

Il “dress code” previsto da Bellomo (che deve avere qualche problema…)
imponeva anche “gonne e vestiti di colore preferibilmente nero o,
nella stagione estiva, bianco. Nella stagione invernale calze chiare o
velate leggere, non con pizzo o disegni di fantasia; cappotto poco
sopra al ginocchio o piumino di colore rosso o nero, oppure giacca di
pelle. Stivali o scarpe non a punta, anche eleganti in vernice, tacco
8-12 cm a seconda dell’altezza, preferibilmente non a spillo. Borsa
piccola. Trucco calcato o intermedio, preferibilmente un rossetto
acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di
colore chiaro o medio (no rosso e no nero) oppure french”.

Le indicazioni sull’abbigliamento da osservare erano la minima parte
di quello che le borsiste dovevano sottostare, in quanto Bellomo
imponeva loro persino di mettere fine ai rapporti con i fidanzati e di
non sposarsi, di non uscire la sera e non frequentare amici. L’ orami
ex-consigliere Bellomo instaurò       con la maggior parte di loro
relazioni sentimentali ( anche in contemporanea), imponendo loro di
allontanarsi perfino dalle famiglie. Una ragazza ha raccontato ai
Carabinieri “Fui costretta spesso a mangiare da sola, perché mi
impediva di chiudere le telefonate e sedermi a mangiare, mi ero
allontanata da tutti. Mi diceva che ero una poco di buono, la cosa
peggiore che gli fosse capitata. Rimanevo vestita, in casa,
nell’attesa di vederlo“.

Il lato triste della vicenda è che praticamente quasi nessuna delle
sue vittime, impaurite, denunciò Bellomo. Praticamente tutte le
ragazze ascoltate dalla polizia giudiziaria hanno però confermato
l’atteggiamento di sopraffazione, che per la Gip Cafagna “si
perpetuava identico in ogni rapporto amoroso e con modalità tali da
mettere a repentaglio l’integrità fisica delle fidanzate”. “Sono
terrorizzata — diceva una corsista — non so come uscirne“

La tesi difensiva sostenuta da Bellomo, che è già imputato in un
processo simile dinnanzi al Tribunale Penale di Piacenza insieme con
Davide Nalin, ex pm di Rovigo e suo braccio destro alla scuola, era
che le sue fidanzate erano coscienti delle condizioni del contratto, e
che era stato firmato senza alcuna costrizione. Ma la Procura di Bari
la pensa diversamente ed insiste sulla circostanza non indifferente
che Bellomo quale direttore della scuola si trovasse in una condizione
di superiorità rispetto alle borsiste e quindi in grado di poter
esercitare su di loro una sudditanza psicologica. Al punto tale da far
finire una ragazza dallo psichiatra e poi in ospedale per una forte
anoressia

Il ministro di Giustizia domani a
Bari per visitare i nuovi uffici
giudiziari

                                           ROMA – Il Ministro della
Giustizia Alfonso Bonafede domani mattina sarà a Bari, per visitare
gli edifici che sono stati già in parte destinati a sedi degli uffici
giudiziari e quelli che sono stati individuati per la realizzazione
del futuro Polo di Giustizia.
Il Guardasigilli si recherà prima al palazzo ex Telecom, nel quartiere
residenziale di Poggiofranco, che su una superficie lorda di circa
15mila metri, è attualmente sede degli uffici del Tribunale e della
Procura della Repubblica di Bari , ed assisterà anche alla firma del
verbale di consegna dei piani 2° e 3°, da parte del Direttore generale
delle risorse materiali e delle tecnologie del Ministero della
Giustizia e dell’Amministratore delegato della società Nova Re SiiQ
SpA, che si è aggiudicata a settembre del 2018 la gara per la
locazione dell’immobile.

Ad oggi sono già operativi e funzionanti i piani quarto, quinto, sesto
e settimo, per gli uffici della Procura, che sono stati consegnati
quasi immediatamente, nel mese di novembre. La visita del Ministro
proseguirà con un sopralluogo nell’area di proprietà demaniale delle
ex Caserme Milano e Capozzi, individuata per la realizzazione della
nuova sede del Polo di Giustizia e, successivamente avrà un breve
incontro con i vertici degli uffici giudiziari, dell’Associazione
Nazionale Magistrati e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Bari.

Mafia. 32 arresti nei clan Diomede
e Capriati per traffico di droga a
Bari
BARI – Un operazione della Compagnia di Modugno dei Carabinieri ,
supportata dai reparti speciali “Cacciatori di Puglia”, dal Nucleo
Cinofili di Modugno ed un elicottero del 6° Elinucleo CC di Bari,
coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia ha mandato in
carcere 26 persone 6 ai domiciliari, tutti appartenenti ai clan baresi
Capriati e Diomede, dopo aver messo in salvo cinque ragazzini
minorenni che venivano utilizzati come spacciatori. I clan non avevano
alcuno scrupolo a far spacciare droga neanche sui gradini di una
scuola elementare di Modugno.
Al vertice dell’associazione a delinquere Lorenzo Siciliani, arrestato
nel giugno dello scorso anno nell'”operazione Pandora“, affiancato da
Valentino Martino, Domenico Moretti e Giuseppe Pastore, come hanno
spiegato il procuratore capo della repubblica di Bari Giuseppe Volpe
ed il procuratore aggiunto Francesco Giannella

L’inchiesta è nata a seguito di una sparatoria avvenuta lo scorso 4
dicembre 2014, in cui vennero esplosi molteplici colpi di arma da
fuoco contro la casa di un pregiudicato barese che si trovava agli
arresti domiciliari. Grazie alle dichiarazioni della vittima
designata, gli investigatori hanno trovato i primi riscontri,
avvalorati da un’attività investigativa tradizionale, effettuata
mediante pedinamenti,      supportate da evolute intercettazioni
telefoniche e ambientali, mediante anche diverse telecamere piazzate a
Modugno.
Le indagini sono partite
nel 2016 ed hanno già consentito l’arresto in flagranza di reato di 12
persone, con il sequestro complessivo di g.700 di hashish, 1 kg. di
marijuana, 100 grammi di cocaina, 2 pistole, 2 mitragliette e 79
cartucce di diverso calibro.

La cittadina confinante alla zona industriale di Bari era diventata
il baricentro di un sodalizio che contemporaneamente faceva
riferimento ai gruppi criminali baresi Capriati e Diomede dai quali
gli arrestati, acquistavano cocaina, hashish e marijuana, da rivendere
con una media di cinquanta dosi al giorno.

Un ruolo di primo piano era ricoperto nell’organizzazione da quattro
donne: Grazia Bellomo (moglie di Massimo Ricupero), Angela De Meo
(moglie di Fabio Ferrarese), Beatrice Fanelli (sposata con Valentino
Martino), Katia Franco (moglie di Massimo Cirillo) che si occupavano
non solo di spacciare la droga ma anche di custodirla e tenere i
contatti con i detenuti, come ha raccontato il pm Renato Nitti,
titolare del fascicolo d’ indagini. Gli arresti sono stati disposti
dal Gip dr. Francesco Mattiace del Tribunale di Bari, mentre nove
ragazzini di età compresa tra i due e gli undici anni sono stati tolti
ai genitori, in quanto     arrestati sia il padre che la madre, ed
affidati ad altri familiari, in alcuni nonni o zii.

Lo spaccio di stupefacenti era diventato un lavoro a tempo pieno per
le quattro famiglie, per il quale entrambi i coniugi si dedicavano
nonostante la presenza di bambini, in alcuni casi molto piccoli. Per
questo motivo è stata applicata rigorosamente la norma che prevede
l’affidamento ad altre persone e quindi i ragazzini sono finiti tutti
a casa di parenti. Dei cinque minori coinvolti nell’attività di
spaccio, invece, quattro sono diventati nel frattempo maggiorenni e
quindi sono stati destinatari delle misure cautelari mentre la
posizione di un minorenne e’ attualmente al vaglio della procura dei
minori.

La Cassazione: "Vittorio Sgarbi
diffamò Nichi Vendola" e lo
condanna al risarcirimento

la Suprema Corte di Cassazione

di Giovanna Rei

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Sgarbi e
confermato la sentenza con la quale nel marzo 2018 la Corte di Appello
di Bari aveva condannato Vittorio Sgarbi a risarcire l’ex presidente
della Regione Puglia, Nichi Vendola, per averlo diffamato,
riconoscendo i toni e i contenuti diffamatori, espressi nel corso
della trasmissione televisiva trasmessa il 18 maggio 2011 su Rai 1,
nel corso della quale la politica ‘green’ della regione pugliese era
stata associata ad episodi di illegalità.

Il giornalista Carlo Vulpio anch’egli sotto processo per diffamazione
dinanzi al Tribunale di Bari, aveva trattato il tema delle energie
rinnovabili facendo riferimento a dei presunti interessi mafiosi.
Sgarbi, ospite del programma, solo pochi giorni prima aveva parlato di
una “Puglia massacrata da una forma di criminalità istituzionale che
l’ha sfigurata con pale eoliche”, e aveva annuito durante la
trasmissione alle dichiarazioni espresse da Vulpio sul presunto ruolo
della Regione Puglia nella gestione del business dell’eolico.

Nel novembre 2015 Sgarbi era stato assolto in primo grado, “perché il
fatto non sussiste” a conclusione di un processo celebrato con il rito
abbreviato . Ma quella sentenza di assoluzione dal reato di
diffamazione aggravata venne impugnata dalla sola parte civile Nichi
Vendola, rappresentata dall’avvocato Vincenzo Muscatiello . I giudici
successivamente in Appello ed ora in Cassazione, non si sono
pronunciati sulla responsabilità penale ma esclusivamente sulla
sussistenza di un danno, che è stato riconosciuto e dovrà essere
quantificato in sede civile.

Csm. Per un consigliere "i
magistrati non vogliono andare a
Bari e Foggia anche con gli
incentivi"
ROMA – Secondo Ciccio Zaccaro, giudice del Tribunale di Bari eletto da
Area, la corrente sindacale più di sinistra della magistratura nel
consiglio del Csm, il magistrato che ha sollevato il caso al plenum
del Consiglio superiore della magistratura, ci sono delle sedi
giudiziarie “dove nessun magistrato vuole trasferirsi”, indicando “i
tribunali di Bari e Foggia“, e “sedi dalle quali tutti fuggono , la
Calabria fra tutte. Un problema serio del quale il Csm ed il ministro
si devono fare carico” chiedendo perciò ai colleghi di “ripensare
complessivamente insieme al ministro della Giustizia la materia degli
incentivi“.

Il problema non riguarda solo i tribunali di Bari, Foggia, Reggio
Calabria e Catanzaro, ma anche quelli di Messina, Caltanissetta e
Napoli Nord (Aversa). In realtà è una questione che non investe solo
il Mezzogiorno del Paese, infatti vi c’è carenza di domande di
trasferimento al Nord anche per gli uffici giudicanti del Veneto e del
distretto di Brescia.

                                 Un problema che andrà posto al
ministro di Giustizia nel tavolo tecnico sulla distribuzione dei posti
risultanti dall’aumento delle piante organiche negli uffici
giudiziari, non si può non considerare che “gli effetti benefici
dell’aumento delle piante organiche si avranno solo fra qualche anno
quando sarà completato il piano di assunzioni ed i posti in più in
pianta organica saranno realmente completati. Dunque non potranno
risolvere le gravi scoperture di organico di oggi“.
Per questo motivo, ha aggiunto      Zaccaro, occorre ripensare gli
incentivi, oggi previsti che per chi accetta le sedi disagiate:
“invece di incentivare i colleghi ad andare nei posti meno ambiti, si
deve pensare a vantaggi per chi rimane nelle sedi poco ambite o
comunque favorire la migrazione dai posti dove si sta bene a posti
dove si sta male“.

Iniziato il processo penale a Bari
contro l' Assostampa e Raffaele
Lorusso

Raffaele Lorusso

ROMA – Si è svolta ieri finalmente, dopo ben tre rinvii la prima
udienza preliminare dinnanzi al giudice dr.ssa Cafagna del Tribunale
di Bari nei confronti dell’ Assostampa, il sindacato pugliese dei
giornalisti ed il suo ex presidente Raffaele Lorusso, attuale
segretario nazionale della FNSI. A nulla è valsa la strenua e vana
difesa rappresentata in maniera anche fuorviante dall’ Avv. Francesco
Paolo Sisto del Foro di Bari, in quanto il pubblico ministero ed il
giudice per le indagini preliminari hanno accolto le costituzioni
civili della nostra società editrice e del nostro direttore Antonello
de Gennaro rappresentati ed assistiti dall’ Avv. Giuseppe Campanelli
del Foro di Roma

La difesa di Lorusso ha presentato una memoria con cui, nel consueto
stile sindacale dei rappresentanti dell’ Assostampa pugliese, hanno
cercato di mistificare i nostri diritti con produzioni documentali
peraltro estranee al processo ed infondate. Il giudice ha fissato
un’altra udienza per il prossimo 19 marzo per consentire al nostro
legale di poter analizzare (e quindi confutare) la produzione
documentale dell’ Avv. Sisto.

" Berlusconi pagò per le bugie di
Tarantini sulle escort" : inizia il
processo a Bari
BARI – Il processo comincia lunedì nell’ex sezione distaccata del
Tribunale di Bari a Modugno davanti al giudice Flora Cistulli. Secondo
i pm baresi Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio dei
Ministri ,   tramite il faccendiere-editore campano Valter Lavitola ,
la cui posizione è stata stralciata e trasmessa alla Procura di
Napoli, avrebbe fornito all’imprenditore barese Giampi Tarantini,
avvocati, un lavoro e centinaia di migliaia di euro affinchè mentisse
ai pm che indagavano sulle “escort” portate nelle residenze estive
dell’ex premier fra il 2008 e il 2009 ed assicurandogli dei forti
appoggi in Finmeccanica (ora Leonardo spa) . Nel procedimento contro
Berlusconi si è costituita parte civile in udienza preliminare la
presidenza del consiglio.
Giampi Tarantini

Uno dei passaggi del provvedimento con il quale il Gup del Tribunale
di Bari dr.ssa Rosa Anna Depalo aveva rinviato a giudizio l’ex premier
per induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria
sulla vicenda escort, sostiene che “Il più delle volte al pagamento
delle prestazioni sessuali delle escort reclutate da Gianpaolo
Tarantini provvedeva lo stesso Berlusconi. E ciò non era propriamente
indifferente per la reputazione interna e internazionale di un
presidente del consiglio” . Sarebbe stata questa la ragione per la
quale Berlusconi avrebbe pagato e finanziato Tarantini (nel frattempo
fallito con le sue società) per mentire ai pm baresi che indagavano
sulle escort.
Dal provvedimento emerge che secondo la difesa di Berlusconi, difeso
dagli avvocati Niccolò Ghedini e Francesco Paolo Sisto (entrambi
deputati di Forza Italia) , l’ex premier ” non aveva interesse” ad
indurre Gianpaolo Tarantini a mentire in quanto “Tarantini aveva reso
dichiarazioni devastanti per l’immagine pubblica di Berlusconi, oltre
che controproducenti rispetto ai suoi interessi anche economici.
Pertanto nessun ulteriore pregiudizio avrebbe potuto provocare
sull’imputato la divulgazione del fatto che egli fosse ben consapevole
di interagire con prostitute e, di conseguenza, il suo interesse a
tenere riservata la circostanza era pari a zero”.
Ma secondo il giudice “ non può non rilevarsi che oggetto del
mendacio non era tanto la qualifica soggettiva delle giovani, quanto
la circostanza che il più delle volte al pagamento delle prestazioni
provvedeva lo stesso Berlusconi“. “In quanto mero fruitore di dette
prestazioni, Berlusconi non avrebbe mai potuto essere coinvolto nel
reato di agevolazione e sfruttamento della prostituzione. Sicché la
sua conoscenza del fatto che tali prestazioni fossero prezzolate era
del tutto irrilevante ai fini dell’indagine a carico di Tarantini“
aggiunge il Gup Depalo che ha rigettato l’eccezione preliminare della
difesa sulla competenza del Tribunale per i Ministri o non del giudice
ordinario, rilevando che “la prospettazione probatoria è tale da
lasciar intravedere solamente un nesso di occasionalità temporale tra
la condotta stigmatizzata e le funzioni di presidente del Consiglio
esercitate dall’imputato all’epoca dei fatti“.
E’ stato rinviato al prossimo 17 giugno 2019 il processo nei confronti
di Silvio Berlusconi, imputato per induzione a rendere false
dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Il giudice monocratico del
Tribunale di Bari Flora Cistulli ha accolto la richiesta della difesa
di Berlusconi, con parere favorevole del pm Eugenia Pontassuglia, e
della parte civile, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed ha
rinviato il processo a dopo le elezioni Europee.
Bari. Arrestato un falso
appartenente della Guardia di
Finanza
BARI – Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari
hanno arrestato Marco Paolillo un pregiudicato 40enne di
Barletta, socio unico della Polo Edizioni Italia srl (l’amministratore
Lorenzo Dipilato è indagato)      in esecuzione di una ordinanza di
applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa
dal GIP dr.ssa Maria Teresa Romita del Tribunale di Bari, su richiesta
del pm Chiara Giordano della Procura della Repubblica, per il reato di
truffa aggravata tentata e consumata . che ha chiesto al         gip i
domiciliari per Paolillo, nella convinzione che possa continuare a
estorcere soldi a titolari di attività e studi sotto la minaccia di
subire possibili verifiche fiscali.

All’esito di approfondite indagini di polizia giudiziaria, protrattesi
per diversi mesi, delegate alla Sezione Anticorruzione del Gruppo
Tutela Spesa Pubblica, e condotte dagli uomini del Nucleo di polizia
economico- finanziaria del colonnello Pierluca Cassano, sono stati
acquisiti elementi che hanno palesato come Marco Paolillo, contattando
imprenditori e professionisti mediante utenze telefoniche intestate ad
una società di Barletta, rappresentava di essere un appartenente al
Corpo della Guardia di Finanza o, in altri casi, di essere in servizio
presso gli uffici amministrativi della Guardia Finanza, al fine di
promuovere e “sollecitare” l’acquisto di pubblicazioni di argomento
giuridico-economico intitolate “Rivista di Finanza ed Economia” e “La
verifica fiscale”, quest’ultima contenente anche “La modulistica della
Guardia di Finanza per la verifica fiscale”, al prezzo di € 100,00.

In questa maniera il pregiudicato barlettano incuteva e generava negli
interlocutori il timore del pericolo connesso al rischio di pagare
multe in occasione di controlli della Guardia di Finanza, con
l’intento di determinarli ad acquistare le riviste per procurarsi un
ingiusto guadagno. I poveri malcapitati interlocutori venivano quindi
indotti ad acquistare le riviste in questione per timore di poter di
subire delle eventuali ripercussioni negative, nell’ambito delle loro
rispettive attività.

Alcune riviste riportavano persino l’emblema della Repubblica Italiana
ed, in particolare tra gli altri, anche un “modello” di richiesta di
autorizzazione per l’esecuzione di accertamenti bancari indirizzata al
Comandante Regionale della Guardia di Finanza.

Questa vicenda è stata propizia per il generale Nicola
Altiero comandante provinciale di Bari della Guardia di Finanza, per
invitare tutti gli imprenditori e professionisti a non accogliere
richieste del genere (ed a denunciarle prontamente anche mediante il
ricorso al numero di pubblica utilità “117”), da parte di chiunque si
proponga di vendere riviste e pubblicazioni a nome della Guardia di
Finanza o di Uffici Finanziari, in particolare modo quando l’offerta
di vendita è accompagnata da promesse di immunità da imminenti
controlli fiscali ovvero da velate minacce di immediata esecuzione di
verifiche fiscali in caso di mancata adesione alla illecita proposta
commerciale.

Bari. Palazzo di giustizia,
terminato trasloco
BARI – Il palazzo di via Nazariantz dopo 18 anni non ospita più gli
uffici giudiziari del capoluogo. Il cancello di accesso all’immobile è
chiuso ed inaccessibile da ieri , primo giorno dopo il termine ultimo
previsto per lo sgombero. I cinque piani del palazzo, dichiarato
inagibile nel maggio scorso per rischio crollo, sono ormai
completamente vuoti. Si sta procedendo al trasloco dell’ultima parte
dell’archivio. Dal muro esterno di colore azzurro è stata rimossa
anche la scritta “Uffici giudiziari” ed entro la prossima settimana
saranno ri consegnate le chiavi all’Inail proprietario dell’immobile.
il Palagiustizia via Nazariantz chiuso

La Procura di Bari è ormai quasi interamente trasferita nella nuova
sede di via Dioguardi, nell’ex Torre Telecom nel quartiere
residenziale di Poggiofranco. Da metà gennaio vi traslocheranno anche
gli uffici attualmente distaccati in via Brigata Regina. Una parte del
nuovo palazzo di giustizia è ancora un cantiere, con gli operai al
lavoro per allestire le aule per le udienze e rendere così possibile
il trasferimento – previsto a partire dalla prossima primavera – anche
del Tribunale, che attualmente è ubicato a Modugno.
il nuovo Palazzo di Giustizia di Bari nello stabile ex Telecom

Il “fermo” dei processi penali a Bari stabilito con decreto del
ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, non finirà all’esame della
Corte costituzionale. Il giudice di pace di Bari ha ritenuto
“manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale
sollevata dall’avvocato Ascanio Amenduni con riferimento al decreto,
poi convertito in legge, che per tre mesi a causa della inagibilità
del Palagiustizia di via Nazariantz ha sospeso lo svolgimento dei
processi penali . Il giudice ha sentenziato “la oggettiva
impossibilità di celebrare le udienze penali derivante dalla
sopravvenuta indisponibilità dei luoghi è pacificamente connessa con i
presupposti di necessità ed urgenza del decreto legge”.
La questione era stata
sollevata in occasione della prima udienza del procedimento dinanzi al
giudice di pace, che era stato chiamato a decidere sul merito delle
richieste di risarcimento danni avanzate dall’avvocato Amenduni nei
confronti del del ministero a seguito        dei disagi subiti dagli
avvocati penalisti del Foro di Bari, conseguenti all’ inagibilità del
Palazzo giustizia, ora sgomberato per rischio crollo . Il giudice di
pace del Tribunale di Bari ha rigettato però anche l’eccezione
processuale avanzata dal Ministero di Giustizia, che opponendosi,
aveva chiesto di trasferire il procedimento dinanzi a un tribunale
amministrativo, sostenendo che la competenza fosse di competenza del
giudice ordinario perché “ oggetto dell’azione esercitata nel
presente giudizio è il risarcimento dei danni subiti in conseguenza
della mancata individuazione di una sede, occorrente alla celebrazione
delle udienze e quindi al funzionamento della giustizia”.
“Il tentativo di far arrivare alla Consulta la questione non è
riuscito   ma la strada per l’azione risarcitoria promossa rimane
aperta, e, con essa, rimane in vita la possibilità di veder
riconoscere agli avvocati penalisti la veste di parti lese
dell’incredibile arresto della giurisdizione, economicamente patito
soltanto da loro” ha commentato l’avvocato Amenduni . In realtà i
danneggiati sono i cittadini, imputati e parti lese. Il giudice ha
fissato la prossima udienza per il 21 marzo 2019. La causa continua.

Firmato il contratto per il nuovo
Palazzo di Giustizia a Bari: la
nuova sede (ex palazzo Telecom)
sarà operativa da dicembre
BARI – E’ stata finalmente trovata dal Ministero di Giustizia la
nuova sede del Tribunale e della Procura situato in viale Saverio
Dioguardi a Bari. La firma del contratto di locazione per l’immobile,
è stata apposta dopo oltre sei mesi dall’inagibilità per rischio
crollo della sede di via Nazariantz. Lo ha comunicato ufficialmente
con una nota l’ufficio stampa del ministero, al termine della ricerca
di mercato che ha portato alla scelta della sede-ex torre Telecom nel
quartiere Poggiofranco di Bari.

                                           L’immobile progettato negli
anni ’80 dal gruppo dell’ architetto Beniamino Cirillo si estende per
una superficie lorda di circa 15mila metri quadrati comprese aree
esterne, e due piani interrati di parcheggi, sarà già disponibile a
partire da lunedì prossimo per gli interi piani settimo, ottavo, nono
e decimo dove saranno collocati gli uffici della Procura mentre i
piani quarto, quinto e sesto, saranno consegnati il 1° gennaio 2019.
Le altre superfici dell’immobile saranno utilizzate dal Ministero a
partire dal 1° aprile 2019.

Il Ministero della Giustizia aveva già    provveduto nel settembre
scorso ad aggiudicare la gara per la locazione dell’immobile da
destinare a sede degli uffici del Tribunale e della Procura della
Repubblica di Bari ed avviati i normali controlli amministrativi e
tecnici. Il canone di affitto sarà pari a 850 mila euro annui oltre
IVA.

Subito dopo il trasloco dei magistrati e delle cancelleria della
Procura, i lavori più lunghi ed importanti, che dureranno per tutto il
primo semestre del 2019, saranno quello di realizzazione delle aule
per svolgere le udienze penali, che sono attualmente suddivise nelle
sedi distaccate a Bitonto, Modugno e piazza De Nicola.

“L’operazione, portata avanti nell’ambito del piano di gestione e
valorizzazione del nostro patrimonio immobiliare, rappresenta per noi
una bella opportunità di dare un proficuo contributo alla soluzione di
un problema rilevante per la città di Bari. Ci siamo messi a completa
disposizione del Ministero, anche con il fattivo contributo
dell’attuale conduttore dell’immobile, Telecom, per permettere ai
soggetti competenti di completare in tempi brevi gli ordinari e
necessari controlli, al cui positivo esito è subordinata la
finalizzazione dell’operazione, convinti di poter dare una sede solida
e moderna al Tribunale del capoluogo pugliese”. ha commentato Claudio
Carserà, Head of Real Estate e consigliere d’amministrazione della
società Nova RE SIIQ Spa.

“Nelle more della definizione del contratto di locazione – dichiara la
Nova RE SIIQ Spa, proprietaria del palazzo ex sede degli uffici di
Telecom – la società aveva già avviato i lavori di personalizzazione e
riqualificazione dell’immobile per adattarlo alle necessità del
Tribunale e della Procura della Repubblica, che permetteranno di
consegnare in tempi rapidi i primi uffici“.

Processo escort, Berlusconi
rinviato a giudizio a Bari

                                        BARI –     Il gup del
Tribunale di Bari dr.ssa Rosa Anna Depalo ha rinviato a giudizio
Silvio Berlusconi per il reato di induzione a rendere false
dichiarazioni all’autorità giudiziaria sulla vicenda escort. Il
processo inizierà il 4 febbraio 2019. Al termine dell’udienza
preliminare il giudice ha dichiarato inoltre la propria incompetenza
territoriale nei confronti di Valter Lavitola l’ex direttore de
L’Avanti , disponendo la trasmissione degli atti ai magistrati di
Napoli. Nel procedimento contro Berlusconi è costituita parte civile
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha rilevato il danno
d’immagine causato dalle condotte dell’ex premier, accusato di aver
pagato le bugie di Tarantini.

Secondo l’ ipotesi accusatoria avanzata dai pm Pasquale Drago e
Eugenia Pontassuglia, Berlusconi, all’epoca dei fatti presidente del
Consiglio in carico, avrebbe fornito un lavoro e centinaia di migliaia
di euro in denaro all’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini,
attraverso il tramite di Lavitola, affinchè mentisse ai magistrati
baresi che indagavano sulle escort pugliesi portate nelle residenze
estive dell’ex premier fra il 2008 e il 2009 e sui suoi manifestati
desideri di entrare a fare affari con     Finmeccanica (ora Leonardo
s.p.a.).

                                            “Siamo tranquilli che a
dibattimento in tempi rapidi il presidente Berlusconi sarà
completamente assolto“, ha dichiarato l’avvocato Nicolò Ghedini,
insieme con il collega barese Francesco Paolo Sisto (entrambi
parlamentari “nominati”) e difensori di Silvio Berlusconi , a margine
dell’udienza preliminare che si è conclusa con il rinvio a giudizio
dell’ex premier Silvio Berlusconi, accusato di aver pagato Tarantini
perché mentisse sulle escort. Proprio a causa degli impegni in
parlamento dei due legali, l’udienza preliminare barese di Berlusconi
probabilmente batterè ogni record: era in piedi dal 14 novembre 2014.

Nel corso degli anni è stata rinviata prima per le elezioni del
Presidente della Repubblica, poi per esaminare le intercettazioni
telefoniche e le testimonianze delle ragazze, dopodichè per i motivi
di salute dell’ex premier. Infatti la richiesta di rinvio a
giudizio era stata avanzata dalla procura di Bari giò quattro anni fa.
Negli ultimi mesi, peraltro il procedimento è stato rinviato più
volte per la situazione di emergenza che sta vivendo la giustizia
barese, costretta in una tendopoli dopo la dichiarazione di
inagibilità del Tribunale di via Nazariantz.

Resta in piedi parallelamente anche l’altro processo per il caso
escort, quello in appello relativo alle          donne accompagnate
da Gianpaolo Tarantini fra il 2008 e il 2009 nelle dimore dell’allora
presidente del Consiglio. Lo scorso 6 febbraio, dopo che l’ istanza
era stata rigettata nel processo di primo grado la III sezione
della Corte di Appello di Bari ha accolto la richiesta della difesa di
inviare gli atti alla Corte costituzionale: per la prima volta a 60
anni dall’approvazione della legge Merlin del 1958, la Consulta è
chiamata a esprimersi sulla incostituzionalità di alcune norme in essa
contenute. I giudici costituzionali dovranno decidere nello speficico
sull’attuale costituzionalità della pena per chi recluta donne che
volontariamente si prostituiscono. .

“Il rinvio a giudizio è giustificato dall’imponente materiale che
legittima, secondo il giudice, l’esperimento dibattimentale. – ha
sostenuto l’ avv. Sisto – La necessità di approfondimento del
materiale probatorio è propria del dibattimento e non del giudizio di
prognosi del gup. Comunque è stata una udienza preliminare in cui c’è
stato ampio spazio per tutti, in cui i diritti sono stati ampiamente
rispettati. Il dibattimento – ha concluso Sisto – sarà la fotografia
di una difesa che secondo noi è più che sufficiente per ottenere
l’assoluzione del presidente Berlusconi“,

Palagiustizia Bari: per il
procuratore Volpe, il decreto legge
è uno ” spot forse in malafede” !

                                           ROMA – Per il procuratore
capo della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe, il decreto legge che
sospende fino al 30 settembre i termini processuali e di prescrizione
e i processi penali senza detenuti “è soltanto uno spot“. “Vorrei
capire – aggiunge – se siamo di fronte a trascuratezza, incompetenza o
forse malafede“. “E’ la Giustizia che fallisce in pieno il suo
compito”, ha detto il procuratore partecipando alla riunione
straordinaria del Comitato direttivo dell”Anm con all”ordine del
giorno la situazione di emergenza a Bari.

Commentando i contenuti del decreto, Volpe sostiene che “per
recuperare i tre mesi di sospensione dei processi ci vorranno tre
anni. Le cancellerie saranno costrette a fare almeno 60mila notifiche
per convocare le nuove udienze e per i costi inutilmente sostenuti”,
come consulenze e intercettazioni per processi che non arriveranno a
sentenza, “bisognerebbe informare la Procura della Corte dei Conti“.
Per ogni giornata di giustizia penale sospesa, le cancellerie del
Tribunale di Bari dovranno predisporre almeno mille notifiche. È il
calcolo approssimativo fatto dagli addetti ai lavori, avvocati e
magistrati, commentando le conseguenze concrete che avrà il decreto
legge adottato ieri dal Consiglio dei Ministri per sospendere i
processi penali fino al 30 settembre e smantellare la tendopoli.

Calcolando, infatti, che ogni giorno si celebrano circa 200 processi
con mediamente cinque parti da convocare (tra imputati, avvocati,
parti offese e testimoni), le cancellerie dovranno predisporre circa
5mila notifiche a settimana per comunicare agli interessati le nuove
date di udienza. C’è poi la questione delle misure cautelari. I
processi con detenuti continueranno a celebrarsi normalmente ma “la
bozza di decreto – spiega Rossella Calia Di Pinto, giudice barese e
componente della Giunta distrettuale dell’Anm – parla solo di custodia
cautelare. Dovrebbero essere sospesi tutti i processi nei confronti di
coloro che sono sottoposti a misure non custodiali, come il divieto di
avvicinamento, per esempio gli stalker o gli imputati per
maltrattamenti e minacce, che rischiano di scadere. Una conseguenza
devastante per le parti lese di quei reati“.

“Io ascolto e dialogo con tutti, ma la polemica non mi interessa” .
Così il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede reagisce alle
polemiche sollevate dai magistrati e dagli avvocati sul decreto con il
quale è stata disposta la sospensione dei processi a Bari. In un post
su Facebook Bonafede afferma che tutte le parti in causa sono state
informate “passo dopo passo, addirittura fino al momento prima di
recarmi a Palazzo Chigi per presentare il decreto legge in Consiglio
dei Ministri.E in quelle telefonate nessuno ha sollevato alcuna
perplessità sulla sospensione dei processi“. Il decreto “era stato
richiesto dalla Commissione permanente, dove siede anche l’Anm e tutte
le parti in causa, come primo passo per affrontare l’emergenza, al
quale ne sarebbero seguiti altri. Infatti, nei prossimi giorni sarà
individuato l’immobile dove saranno trasferiti gli uffici giudiziari
di Bari”, afferma ancora Bonafede. “Forse c’è qualcuno a cui sarebbe
piaciuto vedere ancora celebrare i processi in un tendone, magari
anche in piena estate“.

Pensaci Alfonso
di Michele Laforgia

“S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche”: se non hanno
più pane, che mangino brioche. La frase, tradizionalmente attribuita a
Maria Antonietta, potrebbe essere stata pronunciata dal Ministro della
Giustizia Alfonso Bonafede, che ieri, secondo il nuovo galateo
istituzionale del governo del cambiamento, ha trionfalmente annunciato
su Facebook la sospensione di tutti i processi penali da svolgere
presso il Tribunale di Bari sino al 30 settembre.

Nelle settimane scorse magistrati, avvocati e personale amministrativo
si erano adattati a tenere le udienze persino sotto le tende, pur di
non interrompere un servizio pubblico essenziale dopo l’inagibilità
del palazzo di via Nazariantz, nella vana speranza di ottenere una
soluzione in tempi brevi. Agli affamati di pane e giustizia il
Ministro ha offerto brioche: se i processi non hanno un luogo per
essere celebrati, semplicemente non si fanno. Come non averci pensato
prima, viene da dire. Una soluzione da estendere al più presto ad
altri settori: ad esempio, se le liste d’attesa della sanità pubblica
sono troppo lunghe, aboliamole. Sospendiamo i ricoveri per qualche
mese, poi si vede. E magari anche nelle scuole: tutti in vacanza per
un anno, in attesa di tempi migliori e a costo zero.

Non solo. Il Ministro ha annunciato, giocondo, che l’abolizione
temporanea del Tribunale di Bari “consentirà di poter smantellare le
tensostrutture”, mentre si sta “siglando la convenzione che consentirà
il trasferimento degli uffici giudiziari in altro stabile” e sarebbe
“in dirittura d’arrivo l’individuazione della soluzione-ponte” da
allestire all’esito della ricerca di mercato, sempre in attesa, futura
e sempre più incerta, di un nuovo, idoneo e dignitoso palazzo di
giustizia.

Insomma, avevamo tutti implorato il neo Ministro di non interrompere
l’attività giudiziaria, di scongiurare l’ulteriore diaspora degli
uffici e delle aule e di individuare contestualmente una soluzione
definitiva, magari finanziandola. Il Ministro, mettendoci la faccia,
come ha ribadito, ha fatto l’esatto contrario, certificando con
decreto legge che il Tribunale di Bari per ora può fare a meno della
giustizia penale. Non c’è bisogno di un commissario, ha scritto,
“perché ci sono io e lo Stato è presente”.

i magistrati di Bari insieme al vicepresidente del CSM Legnini in
visita al palazzo di Giustizia di Bari

In effetti da Maria Antonietta a Luigi XIV il passo è breve, ma il
Ministro dovrebbe sapere che dopo i mesi di sospensione sarà
necessario notificare migliaia di avvisi alle parti e ai difensori per
fissare nuovamente le udienze, paralizzando a tempo indeterminato i
processi. Soprattutto, dovrebbe spiegare perché l’emergenza giustifica
la sospensione dei diritti dei cittadini, ma non procedure d’urgenza e
finanziamenti straordinari per ripristinare le regole della civile
convivenza, che della giustizia penale proprio non può fare a meno.

Uno Stato che sospende la giurisdizione ordinaria non è uno Stato.
Qualcuno lo spieghi, al Ministro della Giustizia.

Procuratore di Bari: “il Ministero
sapeva tutto da da 15 anni !”
ROMA – “E’ falso” che il Ministero ha saputo della situazione di
pericolo crollo del Palagiustizia di via Nazariantz solo lunedì
scorso, “perché ha ricevuto informazioni ed inviti continui a
rimediare ai problemi segnalati, da almeno quindici anni, se non più”.
In una nota inviata dal procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, al
personale amministrativo del Palagiustizia, c’è un esplicito atto di
accusa al Ministero della Giustizia. “Stiamo facendo il possibile per
contemperare la sicurezza di tutti noi con le esigenze indifferibili
del servizio – scrive Volpe -. Credetemi, ci stiamo sforzando al
massimo per raggiungere l’equilibrio tra queste due fondamentali ed
imprescindibili esigenze. E non è colpa nostra se siamo arrivati a
tanto“.

Nella nota Volpe, parlando di “squallida vicenda“, comunica inoltre ai
dipendenti il trasferimento nell’edifico di via Brigata Bari n.6 di
Procura e Ufficio gip dove si lavorerà “a rotazione“, annunciando per
lunedì “un provvedimento che spiegherà cosa faremo”.
Trasloco Palagiustizia Bari

Per rispondere nell’immediato all’esigenza di spostamento degli uffici
giudiziari di via Nazariantz a Bari, il Ministro della Giustizia ha
sottoscritto in data odierna il decreto che consente l’utilizzazione
dei locali della ex sezione distaccata di Modugno e la Direzione dei
beni e servizi ha chiesto al Demanio la valutazione di congruità ed il
nulla osta alla stipula del contratto di locazione per l’immobile
dell’INAIL di viale Brigata Regina.

Con un comunicato diramato nella tarda mattina odierna, il Ministero
di Giustizia ha reso noto che “l’ amministrazione segue la situazione
degli uffici della città di Bari, mai affrontata in modo completo e
complessivo come invece in questi ultimi anni si sta facendo,
adoperandosi per soluzioni di tipo definitivo.Proprio in tale ottica
ha recentemente stipulato il Protocollo d’Intesa che consentirà
finalmente di dare un’adeguata sistemazione agli uffici giudiziari
cittadini presso l’area demaniale delle ex Caserme Milano e Capozzi”.

“Con tali iniziative si intende fronteggiare la situazione di
emergenza. Il Ministero – continua la nota – che aveva già esperito un
tentativo che non aveva dato esito positivo, ha avviato, pubblicandola
sul sito, una nuova indagine di mercato per il reperimento in
locazione di uno o più immobili per la sistemazione provvisoria degli
uffici giudiziari baresi per i quali si è reso necessario predisporre
l’immediato trasferimento. Si tratta di un necessario atto di impulso
per consentire in tempi rapidi l’individuazione di una soluzione ponte
che garantisca adeguata, pur se temporanea, allocazione degli uffici
fino alla realizzazione della cittadella giudiziaria”

“Gli uffici del Ministero stanno operando in costante contatto con gli
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