SEMIOTICA 2020-21 II MODULO - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia

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SEMIOTICA 2020-21
II MODULO
PROF. ILARIA TANI
Principali nuclei tematici del secondo modulo:
• La trasformazione semiotica della filosofia di Kant

• Peirce
  • Il confronto con Kant e l’elaborazione della semiotica cognitiva
  • Una prospettiva anticartesiana
  • Tipi di segno
  • Le forme dell’inferenza
  • Realismo e pragmatismo

• Cassirer
  • Il concetto di forma simbolica e il superamento della teoria kantiana della
    conoscenza
  • Il confronto con la storia del pensiero linguistico: l’importanza di Humboldt
  • Fenomenologia della forma linguistica: dall’indicare al significare
Testi secondo Modulo

Charles Sanders Peirce, Scritti scelti, a cura di G. Maddalena, Torino,
Utet, 2008 (selezione)

• Una nuova lista di categorie, 1867 (pp. 53-61)
• Questioni riguardo a certe pretese capacità umane, 1868 (pp. 62-77)
• Alcune conseguenze di quattro incapacità, 1868 (pp. 78-103)
• Pragmatismo, 1907 (pp. 411-433)

Altri testi consigliati per i non frequentanti
• G. Maddalena, Peirce, Editrice La Scuola, 2015 (pp. 1-112)
• E. Fadda, Peirce, Carocci, 2013
Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, vol. I: Il linguaggio,
Firenze, La Nuova Italia (selezione: pp. 1-173)

Altri testi consigliati per i non frequentanti:
• G. Raio, Introduzione a Cassirer, Laterza, 2002 (pp. 1-83)
• M. Lancillotti, Funzione, simbolo e struttura. Saggio su Ernst Cassirer,
  Roma, Edizioni Studium, 1974
Ernst Cassirer
                           (1874-1945)

• 1906: Abilitazione a Berlino
• 1919-33: Amburgo
• 1933-35: Oxford
• 1935-41: Göteborg
• 1941-43: Yale University
• 1943-45: Columbia University
Alcune delle opere principali
• Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit (1906-1950), trad. it.
    Storia della filosofia moderna. Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza, Torino,
    Einaudi, 1952-58.
•   Substanzbegriff und Funktionsbegriff (1910), trad. it. Sostanza e funzione, Firenze, La Nuova Italia,
    1970
•   Kants Leben und Lehre (1918), trad. it. Vita e dottrina di Kant, Firenze, La Nuova Italia, 1984.
•   Zur Einsteinschen Relativitätstheorie (1921), trad. it. La teoria della relatività di Einstein, Roma,
    Newton Compton editori, 1981.
•   Philosophie der symbolischen Formen (1923–29), trad. it. Filosofia delle forme simboliche, Firenze,
    La Nuova Italia, 1961 sgg.
•   Die Philosophie der Aufklärung (1932), trad. it La filosofia dell'Illuminismo, Firenze, La Nuova Italia,
    1936.
•   Zur Logik der Kulturwissenschaften (1942), trad. it. Sulla logica delle scienze della cultura, Firenze,
    La Nuova Italia, 1979
•   An Essay on Man (1944), trad. it Saggio sull'uomo. Introduzione a una filosofia della cultura, Milano
    1948
•   The Myth of the State (postumo,1946), trad. it. Il mito dello Stato, Milano SE, 2010.
•   Language and Myth, trad.ingl. di Susanne K. Langer (1946), trad. it. Linguaggio e mito, Milano, SE,
    2006.
•   Structuralism in modern linguistic (1945), trad. it. Lo strutturalismo nella linguistica moderna, in Id.,
    Saggio sull’uomo, 1971: 387-413.
La Filosofia delle forme simboliche
Tre volumi

1.   Il linguaggio. Fenomenologia della forma linguistica, 1923
2.   Il pensiero mitico, 1925
3.   Fenomenologia della conoscenza, 1929
Prefazione alla FFS, I: XI

«Lo scritto, di cui presento qui il primo volume, si rifà per il suo primo disegno alle
indagini raccolte nel mio libro Substanzbegriff und Funktionsbegriff (Berlin 1910).
Nello sforzo di rendere fecondi per la trattazione dei problemi pertinenti alle scienze
dello spirito i risultati di tali indagini, le quali riguardano essenzialmente la struttura
del pensiero matematico e scientifico, mi si era fatto sempre più chiaro come la
teoria generale della conoscenza non fosse sufficiente, nella sua corrente
accezione e limitazione, per una fondazione metodica di quelle scienze».

«Anziché indagare semplicemente i presupposti generali della conoscenza
scientifica del mondo, occorreva passare a stabilire e a delimitare, l’una rispetto
all’altra, le varie forme fondamentali dell’ “intelligenza” del mondo e cogliere
ciascuna di esse più nettamente possibile nel suo peculiare intento e nella sua
peculiare forma spirituale. Solo quando una tale “morfologia” dello spirito fosse
stata ben salda, almeno nell’ambito generale, si poteva sperare di trovare, anche
per le singole scienze dello spirito, una chiara prospettiva metodologica e un sicuro
principio della loro fondazione».

«Si doveva mostrare come ciascuna di queste forme adempia ad un suo compito
specifico nella costruzione dello spirito e sia sottoposta a una legge particolare».
Il compito della critica della conoscenza
La critica filosofica della conoscenza «deve seguire nel suo complesso e nel suo
complesso dominare idealmente il cammino che le scienze particolari singolarmente
percorrono. Essa deve impostare la questione se i simboli intellettuali, alla cui luce le
discipline particolari considerano e descrivono la realtà, siano da pensarsi come un
insieme di elementi giustapposti oppure si possano intendere come manifestazioni
diverse di un’unica e medesima fondamentale funzione spirituale» (FFS, I: 9)

«Lo storico, il filologo, il linguista, l’etnologo e lo studioso del mito e della storia religiosa
hanno a che fare con la creazione della cultura. Ma la filosofia deve fare ancora un passo
indietro, ed introdurre per così dire un nuovo e più profondo livello di questioni.
Muovendo da queste creazioni, deve interrogarsi circa i poteri formatori, circa la natura
delle funzioni ed energie spirituali che hanno prodotto e reso possibili tali configurazioni
dello spirito umano» (Der Begriff der Philosophie als Problem der Philosophie, 1935, trad.
it. in Cassirer, Simbolo, mito e cultura, p. 65).

«Se vogliamo penetrare nel significato dei singoli costrutti linguistici, artistici, religiosi
dobbiamo necessariamente comprendere il mondo formale del linguaggio, dell’arte, della
religione, del diritto ecc. come tali. Uno dei compiti essenziali della filosofia è di compiere
questa opera e risalire quindi dai “fatti” delle scienze dello spirito ai loro “principi”, alle
“condizioni della loro possibilità”. Nella mia Philosophie der symbolischen Formen ho
cercato di dare la fondazione di questa concezione» (Cassirer, Axel Hägerström, 1939).
Orientamento metodologico
Al discorso filosofico spetta la formulazione dei problemi, cioè delle domande
con cui ci si accosta ad uno specifico campo di ricerca, e la valutazione dei
risultati dell’indagine empirica per ricavarne il nesso generale, cioè la forma,
che tiene insieme i singoli fenomeni (FFS, I:14).

Questo orientamento all’esperienza guarda alla trasformazione del kantismo
legata al nome di Husserl, ma in una prospettiva dichiaratamente
anticartesiana.

Ne deriva una fenomenologia della forma linguistica intesa come critica della
coscienza linguistica. Qui la questione centrale della critica kantiana della
conoscenza, cioè il rapporto tra soggetto e oggetto, tra io e mondo, viene
tradotto in termini corporei e linguistici ed inquadrato in fasi successive di
sviluppo, che dalla immediatezza dell’impressione sensibile giungono fino alla
pura espressione di rapporti.
Prospettiva idealistico-critica
«Mentre la visione realistica del mondo si appaga di una qualsiasi
essenza ultima delle cose come fondamento di ogni conoscere,
l’idealismo trasforma in problema del pensiero precisamente questa
stessa essenza» (FFS, I: 4).

«L’oggetto non si può porre come un mero “in sé”, indipendentemente
dalle categorie essenziali della conoscenza scientifica, ma può
rappresentarsi soltanto in queste categorie che appunto ne
costituiscono la forma specifica» (FFS, I: 7).
Un rovesciamento kantiano
«La “rivoluzione nella maniera di pensare” che Kant compie nell’ambito della
filosofia teoretica poggia sul pensiero fondamentale secondo cui il rapporto che
prima veniva generalmente ammesso tra la conoscenza e il suo soggetto
abbisogna di un radicale rovesciamento. Anziché prendere le mosse
dall’oggetto come da qualcosa di noto e di dato, bisogna partire dalla legge
della conoscenza come da ciò che solo è veramente accessibile e che
costituisce la prima certezza: anziché determinare le qualità più generali
dell’essere nel senso della metafisica ontologica, si deve, con un’analisi
dell’intelletto, scoprire e determinare in tutte le sue molteplici ramificazioni la
forma fondamentale del giudizio, come condizione, data la quale soltanto può
porsi l’obiettività»(FFS, I: 10-11).
Concezione critica della conoscenza
«la scienza abbandona la speranza e la pretesa di cogliere e riprodurre
“direttamente” il reale».
«ogni obiettivazione che essa può realizzare in verità è mediazione e
mediazione deve rimanere» (FFS, I: 7).

«Se la definizione, la determinazione dell’oggetto del conoscere può avvenire
solo attraverso la mediazione di una peculiare struttura logico-concettuale,
bisogna accettare la conclusione che ad una diversità di questi mezzi debba
corrispondere necessariamente anche una diversa disposizione dell’oggetto,
un diverso significato di nessi “oggettivi”. Quindi neppure entro la sfera della
“natura” l’oggetto della fisica coincide semplicemente con l’oggetto della
chimica, l’oggetto della chimica con quello della biologia, perché la conoscenza
fisica, la conoscenza biologica includono in sé ciascuna un punto di vista
particolare nella impostazione del problema e conformemente a questo punto
di vista conferiscono ai fenomeni forma e significato specifici» (FFS, I: 7-8)
Estendere la rivoluzione copernicana
                        di Kant
«la rivoluzione copernicana da cui prese le mosse Kant assume un nuovo e più
vasto significato. Essa non si riferisce solamente alla funzione logica del
giudizio, ma interviene con uguale ragione e diritto in ogni indirizzo e in ogni
principio dell’attività formatrice dello spirito. La questione decisiva sta sempre
nell’alternativa se noi cerchiamo di intendere la funzione partendo dal prodotto
o il prodotto partendo dalla funzione, se facciamo in modo che quest’ultimo “si
fondi” sulla prima e viceversa. Tale questione costituisce il legame spirituale
che annoda l’uno con l’altro i diversi ordini di problemi: essa ne rappresenta
l’interna unità metodologica senza mai farli coincidere in una effettiva identità»
(FFS, I: 11-12)
Anziché ricercare con la metafisica dogmatica l’unità assoluta della sostanza, alla quale
si debba riportare ogni esistenza particolare, si ricerca ora una regola, che domini la
concreta molteplicità e diversità delle funzioni conoscitive e che senza sopprimerle e
distruggere, le raccolga in un unitario operare, in un’attività spirituale in se stessa
conclusa».

«La conoscenza resta fondamentalmente indirizzata a questo fine essenziale: far
rientrare il particolare in una forma intesa come legge e come ordine universale. Ma
accanto a questa forma di sintesi intellettuale che si presenta e opera nel sistema dei
concetti scientifici, altre specie di attività formatrice si trovano nel complesso della vita
spirituale. Anch’esse possono venir indicate come determinati modi di “obiettivazione”;
cioè come mezzi per conferire a una entità individuale un valore di universalità; ma esse
raggiungono questo scopo dell’universale validità per una via totalmente diversa da
quella del concetto logico della norma logica» (FFS, I: 9)
Primato della funzione rispetto all’oggetto
«Il principio fondamentale del pensiero critico, il principio del “primato” della funzione
rispetto all’oggetto prende in ogni campo particolare una nuova forma ed esige una
nuova fondazione indipendente. Accanto alla pura funzione conoscitiva si tratta di
intendere la funzione del pensiero espresso nel linguaggio, la funzione del pensiero
mitico-religioso e la funzione estetica in tal maniera che risulti evidente come in esse si
compia non tanto una ben determinata attività formatrice avente per oggetto il mondo
quanto piuttosto un’attività formatrice tesa verso il mondo, verso un oggettivo nesso
sensibile, e verso un’oggettiva totalità intuitiva».

La critica della ragione diviene così critica della civiltà. […] il contenuto del concetto di
civiltà non si può distaccare dalle forme fondamentali e dagli indirizzi fondamentali del
produrre spirituale: l’ “essere” qui non si può mai cogliere altrimenti che nell’ “operare”»
(FFS, I: 12-13)

«I diversi prodotti della cultura spirituale, il linguaggio, la conoscenza scientifica, il mito,
l’arte, la religione diventano così, nonostante la loro interna diversità, membri di un’unica
grande connessione problematica, diventano diversi punti di partenza per giungere ad un
unico scopo: trasformare il mondo passivo delle semplici impressioni, nelle quali lo spirito
a tutta prima appare rinchiuso, in un mondo della pura espressione spirituale» (FFS, I:
13)
Autonomia delle forme simboliche

«Nessuna di queste forme si risolve puramente e semplicemente nell’altra o si
lascia dedurre dall’altra, ma ciascuna designa un modo determinato di
concepire spiritualmente, nel quale e mediante il quale costituisce ad un tempo
un aspetto specifico del “reale”. Esse non sono quindi modi diversi in cui una
realtà esistente in sé si riveli allo spirito, ma sono invece le vie che lo spirito
segue nella sua obiettivazione, nel suo manifestarsi. Se in questo senso si
concepiscono l’arte e il linguaggio, il mito e la conoscenza, da essi sorge
immediatamente un problema comune che apre una nuova via di accesso ad
una filosofia generale delle scienze dello spirito».
Significato del termine Geist (spirito)
• Lo spirito non è una entità ideale perché le produzioni culturali sono sempre
 anche materiali.

• Non è una entità sostanziale, ma un insieme di funzioni, che costituiscono e
 formano il mondo della cultura umana.

• Solo una concezione ‘funzionale’ dello spirito può evitare la frattura tra natura
 e cultura, tra scienze esatte e scienze umane. Tutta la filosofia delle forme
 simboliche muove dalla necessità di superare la contrapposizione tra scienze
 della natura e scienze della cultura.

• La loro unità può essere recuperata partendo non dalla riproduzione di una
 realtà in sé determinata, ma dalle «direzioni dell’oggettivazione», dai media
 simbolici che staccano l’uomo dal mondo per poterlo congiungere più
 strettamente al mondo.
Contro la teoria del rispecchiamento
«A misura che questo punto di vista si svolge e si afferma nella scienza, viene
tolto in essa il terreno alla ingenua teoria del rispecchiamento. I concetti
fondamentali di ogni scienza, i mezzi con i quali essa pone i suoi problemi e
formula le loro soluzioni appaiono non più come il passivo rispecchiamento di
un dato essere, ma come simboli intellettuali liberamente creati» (FFS, I: 5-6).

«L’oggetto non si può porre come un mero “in sé”, indipendentemente dalle
categorie essenziali della conoscenza scientifica, ma può rappresentarsi
soltanto in queste categorie che appunto ne costituiscono la forma specifica»
(FFS, I: 7).
Vedi critica alla teoria della lingua come nomenclatura

• La lingua non consiste in una lista di nomi per le cose, ma in
 un’articolazione del mondo, nella costruzione di un modello
 relazionale.

• La rappresentazione della realtà non sarebbe possibile senza
 l’intervento di schemi.

• Il problema è stabilire la natura di questi schemi: sono dati a priori
 oppure sono storici e culturali?
Simbolo
Il simbolo sintetizza un aspetto sensibile-materiale e uno puramente
significativo:
  «un determinato contenuto singolo della sensibilità […] reso portatore di un
  determinato ‘significato spirituale’» (FFS, I: 31).

Come ciò accada è «il primo problema che si presenta all’analisi del linguaggio,
dell’arte, del mito» (ibid.)

Esempi di simboli:
• Una percezione empirica
• Un’azione
• Una immagine
• Un suono linguistico
• Un segno matematico
Fonti della nozione di simbolo

• Heinrich Hertz (1857-1894): sottolineò la funzione svolta nei procedimenti della
 conoscenza scientifica dalle operazioni ideali condotte sui simboli (e non sulle cose)
 (FFS, I: 19).

  «È stata in particolare la conoscenza fisico-matematica che per prima e nella maniera
  più rigorosa si è resa consapevole di questo carattere simbolico dei suoi fondamentali
  strumenti. Heinrich Hertz nelle considerazioni preliminari che servono da introduzione
  ai suoi Prinzipien der Mechanik ha espresso nel modo più significativo il nuovo ideale
  gnoseologico verso cui si volge il presente processo evolutivo nel suo complesso»
  (FFS, I: 5-6).
  I simboli sono «l’espressione di un rapporto logico estremamente complesso, una
  universale condizione intellettuale alla quale devono soddisfare i concetti fondamentali
  della conoscenza fisica. Il loro valore non risiede nel rispecchiamento di una
  determinata cosa esistente, ma nel risultato che essi forniscono come strumento della
  conoscenza» (FFS, I: 5-6)
• Hermann     von Helmoltz (1821-1894), medico e studioso della
 percezione sensibile, esperto di ottica, critico della nozione kantiana
 di forma a priori, giunge a una interpretazione fisiologica della filosofia
 critica, intesa come studio delle leggi del conoscere, organiche e
 soggettive, innate allo spirito pensante, concepito come organo che
 reagisce a stimoli esterni. Helmoltz intende i concetti fisici come un
 mondo di puri simboli e il principio di causalità come forma generale
 del pensiero fisico: il simbolo è effetto dell’influsso causale di una
 realtà esterna sui nostri organi di senso (Lancillotti 1974: 2-5).

  Diversamente da Helmoltz, Cassirer inserisce il problema causale in
  quello del significato e a questo lo subordina.
• Leibniz (1646-1716): con la sua characteristica universalis – muovendo dalla
 fondazione del calcolo infinitesimale – ha conferito in generale alla «funzione
 della simbolizzazione» un ruolo privilegiato mostrando come «la logica delle
 cose, cioè del contenuto dei concetti e delle relazioni fondamentali,
 concernenti il contenuto, sui quali poggia la costruzione di una scienza, non
 può essere separata […] dalla logica dei simboli».

Altri testi di Cassirer su Leibniz:
• Leibniz’s System in seinen wissenschaftlichen Grundlagen (1902)

• Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit
 (1907):
  «Tra le nostre idee e il contenuto che esse intendono ‘esprimere’ non occorre che sussista alcun
  rapporto di somiglianza, le idee non sono le immagini, ma i simboli della realtà; esse non imitano
  un determinato essere oggettivo in tutti i suoi singoli tratti e caratteri, bensì si limitano a
  rappresentare compiutamente in sé i rapporti che hanno luogo tra i singoli elementi di questo
  essere e a tradurli per così dire nel loro proprio linguaggio» (Erkenntnissproblem, II, tr. it. Storia
  della filosofia moderna, Einaudi, 1955: 197).

Concetti chiave evidenziati nel pensiero di Leibniz, oltre a simbolo: espressione e
rappresentazione.
Simbolo e attività simbolica
Leibniz si era occupato anche dell’analisi dei complessi rapporti tra le lingue
naturali e la characteristica universalis, conducendo un enorme lavoro di
ricerca empirica nel campo della storia delle lingue. Su questi aspetti Cassirer
non si sofferma nella introduzione.

Riconosce però in Leibniz uno ‘stile’ di pensiero importante per l’accento posto
sull’espressione linguistica in quanto allargamento e arricchimento ‘sensibile’
del razionalismo tradizionale.

Ma soprattutto riconosce a Leibniz il merito di aver aperto la strada allo
sviluppo della logica simbolica moderna elevando a piena dignità filosofica il
concetto stesso di simbolo, inteso come «autentico baricentro del mondo
intellettuale» (FFS, III: 60).
«Il simbolo non è un rivestimento meramente accidentale del pensiero
ma il suo organo necessario ed essenziale. Esso non serve solamente
allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto,
ma è lo strumento in virtù del quale si costituisce questo stesso
contenuto e in virtù del quale esso acquista la sua completa
determinatezza. L’atto della determinazione concettuale di un
contenuto procede di pari passo con l’atto del suo fissarsi in un qualche
simbolo caratteristico. Così ogni pensiero veramente rigoroso ed esatto
trova il suo punto fermo solo nella simbolica, nella semiotica sulla quale
esso poggia» (FFS, I: 20).

«Qui si esprime per così dire in modo tangibile il principio fondamentale
della conoscenza in generale, secondo il quale il generale si può intuire
soltanto nel particolare, e il particolare si può pensare soltanto avuto
riguardo al generale» (FFS, I: 20-21).
Simbolo e conoscenza
• «Il simbolo costituisce per la conoscenza, per così dire, il primo stadio e la
 prima prova dell’obiettività perché, grazie ad esso, per la prima volta viene
 offerto un punto fermo al perenne mutare del contenuto della coscienza,
 perché in esso viene determinato e messo in rilievo un elemento
 permanente».

• «Per mezzo del simbolo, legato a un contenuto, questo acquista in se stesso
 una nuova consistenza e una nuova durata. Perché al simbolo, in
 opposizione al reale mutarsi del contenuto singolo della coscienza, compete
 un determinato significato ideale che come tale permane. Esso non è, al pari
 della semplice sensazione data, un fatto assolutamente singolo e irripetibile,
 ma si presenta come rappresentante di una totalità, di un complesso di
 contenuti possibili, di fronte a ciascuno dei quali esso rappresenta quindi un
 primo “universale”. Nella funzione simbolica della coscienza, quale si attua
 nel linguaggio, nell’arte, nel mito, si elevano per la prima volta dal flusso della
 coscienza determinate forme fondamentali che permangono sempre uguali,
 in parte di natura concettuale, in parte di natura puramente intuitiva: al posto
 del contenuto fluente sottentra l’unità chiusa in sé e per sé permanente della
 forma» (FFS, I: 25)
Espressione simbolica
Il concetto di espressione è ampiamente diffuso nella filosofia d’inizio Novecento (cfr.
Dilthey, Husserl, Croce). Cassirer se ne serve in un’accezione vicina a quella di Leibniz.

«Espressione di una cosa si dice ciò in cui sussistono le strutture (habitudines) che
corrispondono alle strutture della cosa da esprimere. Ma vi sono varie specie di
espressione; ad esempio, il modello di una macchina esprime la macchina stessa, la
delineazione proiettiva di una cosa sul piano esprime un solido, il discorso esprime
pensieri e verità, le cifre esprimono i numeri, l’equazione algebrica esprime un cerchio o
un’altra figura: e ciò che è comune a tutte queste espressioni è che dalla sola
considerazione delle strutture dell’espressione possiamo pervenire alla conoscenza delle
proprietà corrispondenti della cosa da esprimere. Donde risulta che non è necessario che
l’espressione sia simile alla cosa espressa, purché si osservi una certa analogia tra le
relative strutture» (Leibniz, Che cos’è un’idea (1678), in Scritti di logica, a cura di F.
Barone, Laterza 1992: I: 109-112).

Ciò che interessa a Cassirer della filosofia di Leibniz è la centralità da lui assegnata a
segni, simboli o caratteri che consentono di compendiare le note individuali e le qualità
dell’oggetto della rappresentazione ma soprattutto di porre delle relazioni che
corrispondono alle relazioni oggettive: «ogni ragionamento umano si compie per mezzo
di certi segni o caratteri» e ciò perché anche l’astratto, anche l’atto intellettuale più puro
deve pur sempre ricorrere all’uso immaginativo di segni che rendano in forma sensibile le
relazioni ideali.
Per Leibniz (Che cos’è l’idea) ai caratteri non spetta il compito di «riprodurre le
cose nei loro dettagli concreti, perdendosi così nella loro infinita molteplicità», si
limitano a «presentarci sensibilmente tutto quanto il loro contenuto “intelligibile”
di verità” (Das Erkenntinsproblem, II, tr. it. p. 198, nota 1; 199).

La teoria dell’espressione e del simbolo consente di superare una visione
meramente riproduttiva della conoscenza: conoscere non significa ‘copiare’
dalla realtà data, ma attribuire alle cose un significato sulla base di relazioni
ideali che si esprimono per mezzo di simboli, di segni.

Le idee si riferiscono agli oggetti, ma non si limitano a riprodurli nelle loro
presunte note invariabili; per questo si può affermare che Leibniz si pone al di
là di ogni concezione dogmatica dell’oggetto, prefigurando una concezione
funzionale della conoscenza.
Tra Leibniz e Hertz si delinea lo statuto critico della conoscenza per simboli:

«La vera realtà non può essere colta e raffigurata una volta per tutte: noi non
possiamo fare altro che avvicinarci costantemente ad essa con simboli sempre
più perfetti. Ancora una volta si rivela così chiaramente l’importanza centrale di
tale concetto per tutta quanta la dottrina leibniziana. Il valore che deve avere
nel sistema la teoria dei caratteri universali si determina ormai in modo più
preciso. Non è un caso quello che ci spinge a sostituire i rapporti dei concetti
con rapporti di “segni”; i concetti stessi non sono infatti nella loro essenza altro
se non dei segni più o meno perfetti, attraverso i quali noi cerchiamo di
spingere lo sguardo nella struttura dell’universo» (Das Erkenntinsproblem, II, tr.
it. p. 218).

La conoscenza umana è una conoscenza simbolica, necessariamente legata a
immagini e segni, proprio perché umana finita, e come tale distinta
dall’intellectus archetypus.

Viene in tal modo risolto il contrasto tra sensibile e intelligibile: il sensibile
rimane il medium indispensabile per la conoscenza nella misura in cui assume
lo statuto di simbolo: i «caratteri simbolici» sono uno «strumento»
indispensabile per la realizzazione della «funzione originaria e autonoma della
ragione».
La concezione idealistica tradizionale contrappone mondo sensibile, o del
patire (dominato dalla passività della realtà sensibile) e mondo intelligibile, o
del fare (dominato dalla spontaneità della realtà spirituale).

Leibniz ha superato tale dualismo mostrando come la «pura funzione dello
spirito deve necessariamente cercare nel campo del sensibile la sua completa
attuazione e che in definitiva solamente qui può trovarla».

«Il contenuto dello spirito si dischiude solo nella sua estrinsecazione; la forma
ideale si riconosce solo dal complesso e nel complesso dei simboli sensibili di
cui essa si serve per la sua espressione. Se si riuscisse a raggiungere una
sistematica visione d’insieme delle differenti tendenze di questo genere di
espressione […] possederemmo allora una specie di grammatica della
funzione simbolica in quanto tale, con cui sarebbero abbracciate e determinate
in generale le loro particolari espressioni e i loro particolari idiomi, quali noi li
vediamo nel linguaggio, nell’arte, nel mito e nella religione» (FFS, I: 21).
Espressione e forme simboliche

La funzione espressiva costituisce il terreno comune delle diverse formazioni
simboliche.

La funzione simbolico-espressiva della coscienza (il suo riferirsi non alla res ma alla sua
rappresentazione, alle notae rerum) si estende a tutti i «prodotti della cultura spirituale»,
dove si tratta di «trasformare il mondo passivo delle semplici impressioni, nelle quali lo
spirito sembra dapprima rinchiuso, in un mondo della pura espressione spirituale» (FFS,
I: 12).

Il simbolo costituisce lo strumento attraverso il quale la coscienza può potenzialmente
contenere il tutto, legando tra loro i diversi contenuti in una forma sempre più libera dalla
immediata costrizione sensibile.

Si tratta della «medesima opera fondamentale dello spirito che consente di ‘riconoscere’
nella rappresentazione individuale un significato generale presente sin dalla sfera
inferiore della percezione» (FFS, III: 154, 63).

Leibniz è dunque sicuramente alla base della definizione di forma simbolica.
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