Scienza normale come "teologia ortodossa"

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Scienza normale come "teologia ortodossa"
Scienza normale come “teologia
                     ortodossa”*
          L’aspetto fideistico del sistema kuhniano e il rapporto col darwinismo

                                                                Isot ta Meniconi

                                         Abstract

La teoria sui paradigmi scientifici presentata da Thomas S. Kuhn si può
considerare una delle più discusse teorie di filosofia della scienza della seconda
metà del Novecento. L’elaborato proposto ha l’obiettivo di analizzare uno degli
aspetti più insoliti che il filosofo attribuisce alla sua idea di “scienza normale”,
ovvero quello che associa la dogmaticità della scienza a una realtà fondata su
dinamiche fideistiche. In ultima istanza si confronta tale prospettiva con ciò
che Kuhn propone riguardo la compatibilità fra successione paradigmatica e
teoria evoluzionistica.

                            La fiducia nel paradigma

Forse uno dei rapporti più singolari utilizzati da T.S. Kuhn per spiegare le
peculiarità della scienza normale è, sotto molti aspetti, quello che relaziona la
fiducia nel paradigma da parte degli scienziati ad una vera e propria forma di
fede. In The Structure of Scientific Revolutions (1962) il filosofo chiude il dodice-
simo capitolo introducendo il concetto di fiducia nel nuovo paradigma come
qualcosa che, prescindendo dalle spiegazioni logiche, si baserebbe su prero-
gative soggettive dei membri della comunità scientifica. Per evitare questioni
   *
       Articolo pubblicato su codices.eu il 27 maggio 2021.
al riguardo, nel Poscritto del 19691 viene ulteriormente chiarito che tali prero-
gative farebbero effettivamente perno sulle capacità tecniche degli scienziati
di saper scegliere coscienziosamente fra maggiore e minore valore scientifico
di una teoria, in quanto esperti del settore, ma resisterebbe comunque un
principio di non determinazione logica dei presupposti. Il concetto di fiducia,
infatti, viene mantenuto: gli scienziati scelgono in ogni caso in base al criterio
di maggiore potenzialità persuasiva di una fra le teorie concorrenti, ignorando
la necessità di una giustificazione logico-dimostrativa della loro delibera.

La non necessità di una simile giustificazione logica è spiegata da Kuhn in
associazione al principio di incommensurabilità:

       Per scoprire perché la questione della scelta di un paradigma non
       può mai venire risolta inequivocabilmente dalla logica e dall’espe-
       rimento da soli, dobbiamo esaminare brevemente la natura delle
       differenze che dividono i sostenitori di un paradigma tradizionale
       dai loro successori rivoluzionari. [. . . ] Vi sono ragioni intrinseche
       perché l’assimilazione di un nuovo genere di fenomeni o di una
       nuova teoria scientifica debba richiedere l’abbandono di un para-
       digma? Si noti innanzitutto che se simili ragioni esistono, esse non
       derivano dalla struttura logica della conoscenza scientifica. [. . . ]
       Una nuova teoria non deve necessariamente venire in conflitto con
       quelle che l’hanno preceduta.2

Il fondamento di tale argomentazione sta nel fatto che alla luce delle incom-
mensurabilità gestaltiche3 fra le teorie sarebbe inutile attuare delle ricerche
logiche capaci di spiegare in che modo una nuova teoria sarebbe maggiormen-
te funzionale nella spiegazione dei fenomeni rispetto alla precedente. Nella
fattispecie ciò sarebbe sostenuto dal principio secondo il quale i fenomeni
stessi sarebbero retti da relazioni in buona parte differenti e dunque non par-
tecipanti né della medesima logica, né di un linguaggio tecnico comune.

Se di fatto in un mondo paradigmatico sono presenti elementi che nell’ottica
concorrente non esistono, come sarebbe possibile fornire spiegazioni logiche
    1
      Vedi Kuhn T.S., Poscritto 1969 in Kuhn, T. S. (2009) La struttura delle rivoluzioni scientifiche,
trad. A. Carugo, Einaudi, Torino, p. 209 e sgg. Ed. orig. Kuhn, T. S. (19702 [19621 ]), The
Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago and London.
    2
      Ivi, p. 122.
    3
      Per il concetto di Gestalt a cui Kuhn fa riferimento vedi ivi, cap. 10, p. 139 e sgg.

                                                  2
utili per dimostrare il passaggio dall’uno all’altro mondo? E ancora: dovrem-
mo dunque supporre che, nello spostamento di fiducia collettivo verso un
nuovo paradigma, gli scienziati non si affidino a dimostrazioni, ma alla loro
arbitraria libertà di scegliere? Kuhn sembrerebbe ottimisticamente convinto
che gli scienziati siano, in tale affidamento, influenzati dal buonsenso derivato
dalla loro esperienza (dal loro essere, di fatto, uomini di scienza). Eppure, il
meccanismo rimarrebbe comunque fondato su un certo fattore psicologico dai
tratti non propriamente scientifici:

         Colui che abbraccia un nuovo paradigma fin dall’inizio, lo fa spesso
         a dispetto delle prove fornite dalla soluzione di problemi. Egli
         deve, cioè, aver fiducia che il nuovo paradigma riuscirà in futuro
         a risolvere i molti vasti problemi che gli stanno davanti, sapendo
         soltanto che il vecchio paradigma non è riuscito a risolverne alcuni.
         Una decisione del genere può essere presa soltanto sulla base della
         fede. [. . . ] Ciò che si verifica non è tanto una unica conversione
         di gruppo, quanto un progressivo spostamento della distribuzione
         della fiducia degli specialisti.4

Termini quali “fede”, “fiducia”, “conversione”, esprimono principi difficilmente
associabili all’ambito scientifico moderno; eppure, Kuhn sembrerebbe voler
invitare a una visione della scienza diversa o, per lo meno, maggiormente
guidata da fattori soggettivi (almeno per quanto riguarda il rapporto tra la
sensibilità emotiva del singolo scienziato e la visione paradigmatica alla quale
quest’ultimo farebbe riferimento). Alla luce dei canoni di oggettività e rigore
logico attraverso i quali ci si aspetterebbe che la scienza procedesse e si svilup-
passe, il tentativo di Kuhn di proporre questo aspetto fideistico della scienza
pare a prima vista contraddittorio. In realtà, Kuhn ne fa uso per mettere in
risalto sia lo statuto di incommensurabilità fra i paradigmi, sia l’impossibilità
di elaborare confronti logici tali da poter determinare, per ciascun paradigma,
il grado di “valore scientifico” di riferimento. Non vi è infatti alcuna certezza
né dell’assoluta fondatezza di una nuova teoria, né del fatto che questa sia
definitivamente quella vera: lo scienziato, come il fedele, può solo avere la
possibilità di riporre più o meno fiducia in essa.

   4
       Ivi. p. 190-191.

                                          3
Scienza normale come “teologia ortodossa”

A tal proposito, Lorraine Daston commenta tale visione affiancandone gli
aspetti peculiari a quella che si potrebbe definire una “teologia ortodossa",5 in
particolare quando tali principi fideistici e di visione del mondo si associano
nel paradigma consolidato a un’educazione all’insegna di “narrowness and ri-
gidity”,6 ovvero a quella limitatezza dell’orizzonte circoscritto di contenuto e
al rigore con il quale questo viene mantenuto. Così come le grandi religioni,
la scienza normale proporrebbe agli scienziati un mondo popolato da entità
e da relazioni fra entità, di obiettivi da perseguire, di metodi da applicare; si
strutturerebbe su un’educazione rigida, chiusa, volta al consolidamento del
paradigma e al rifiuto di anomalie ed incertezze; appannerebbe, nei termini
di Paul Feyerabend,7 la libertà di ricerca dello scienziato e il progresso che
potrebbe nascere da essa; tenderebbe ad uniformare la visione gestaltica inglo-
bando in se stessa i fenomeni, attraverso un esercizio di forzatura ermeneutica
dei fatti; calpesterebbe i fondamenti oggettivi e logici sui quali il concetto di
scienza moderna si sarebbe andato storicamente a costruire, lottando contro
credenze e pregiudizi; infine svaluterebbe il fatto storico, oscurando i passaggi
e le dinamiche che nel passato avrebbero permesso di giungere alla visione
presente, assolutizzando quest’ultima. Come Kuhn stesso dichiara:

       Un maggior numero di particolari storici che riguardino sia il pre-
       sente che il passato della scienza, o una maggiore attenzione pre-
       stata a questi particolari non servirebbero che a far riconoscere
       senza necessità le idiosincrasie, gli errori e la confusione umane.
       Perché dare un valore e una dignità a ciò che i migliori e più co-
       stanti sforzi della scienza hanno reso possibile allontanare? La
       svalutazione del fatto storico profondamente radicata e ciò proba-
       bilmente ha una sua funzionalità, nell’ideologia della professione
       scientifica. [. . . ] Tuttavia [. . . ] la scienza, come altre corporazioni
       professionali, ha bisogno di eroi e ne conserva i nomi. Invece che

    5
      Vedi Daston L. (2014), History of Science without Structure, in Kuhn’s ‘ Structure of Scientific
Revolutions’ at Fifty; Reflections on a Science Classic, edited by R. J. Richards, L. Daston, The
University of Chicago Press, Chicago and London, p. 124.
    6
      Ibidem; Daston sta a sua volta citando Kuhn. Vedi ivi, nota 12 p. 131.
    7
      Vedi Feyerabend, P. K. (2016), Contro il metodo; abbozzo di una teoria anarchica della
conoscenza, pref. di G. Giorello, trad. L. Sosio, Feltrinelli, Milano. Ed. orig. Feyerabend, P.
K. (1975 [1970]), Against Method: Outline of an Anarchistic Theory of Knowledge, New Left Books,
London.

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dimenticare questi eroi, gli scienziati sono riusciti con gran facilità
        a dimenticare o a travisare le loro opere.8

Il rapporto con testimonianze ed evidenze storiche è scarso e offuscato, ven-
gono preservati i nomi degli “eroi” (ovvero i cosiddetti geni, coloro a cui si
attribuiscono teorie e scoperte) solo alla luce di una gloria adattata in base
alla necessità della spiegazione del fenomeno, che deve risultare coerente. Tali
nomi possono essere mantenuti per giustificare determinate leggi, ma i cavilli
sbrogliati da coloro che le formularono e i contesti nelle quali esse furono
generate rimarrebbero per la maggior parte ignote o dai contenuti vaghi ed
approssimativi. Ad ogni modo, il riadattamento del fatto storico in funzione
del mantenimento dell’ordine paradigmatico rappresenta un ulteriore elemen-
to degno di nota: nella spiegazione di come la ricerca sia sottomessa a quello
che Kuhn definisce un vero e proprio “dogmatismo”9 scientifico, egli sotto-
linea che “il preconcetto e la resistenza sembrano essere la regola piuttosto
che l’eccezione”.10 Questo dogmatismo trarrebbe fondamento prima di tutto
dall’esperienza che gli studenti ottengono dall’insegnamento manualistico (il
quale, secondo Kuhn, farebbe forza proprio sulla struttura dei testi scientifici,
che a loro volta “fanno pochi tentativi di descrivere quei generi di problemi che
il professionista è chiamato a risolvere, o di discutere la varietà delle tecniche
che l’esperienza ha reso disponibile per la loro soluzione”11 ). In sostanza, non
ci si aspetta che lo scienziato si domandi i perché dei metodi, né tantomeno
dei processi storici che avrebbero portato ad essi, bensì che concentri il suo
lavoro di ricerca unicamente sul raffinamento dei concetti intrinseci presentati,
attraverso l’elaborazione e la risoluzione dei rompicapi già precedentemente
proposti dal paradigma. Allo studente non verrebbero dunque forniti strumen-
ti o conoscenze adeguate a giudicare lo status di una legge, la sua struttura o
i suoi fondamenti, ma solo quelli necessari al suo rafforzamento:

        L’educazione scientifica rimane un’iniziazione relativamente dog-
        matica in una tradizione precostituita di soluzioni di problemi che
        lo studente non è invitato a valutare, né è preparato per farlo.12

La funzione di tale approccio però, ammette Kuhn, è per la scienza normale
tutt’altro che sterile: attraverso tale prassi, la comunità scientifica, rafforzando
    8
      Kuhn (2009), p. 169.
    9
      Vedi Kuhn T.S. (2000), Dogma contro critica, mondi possibili nella storia della scienza a cura di
S. Gattei, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 6. Ed. orig. da controllare [scritti 1963-1993].
   10
      Ivi. p. 5.
   11
      Ivi. p. 9.
   12
      Ibidem.

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i concetti e le leggi paradigmatiche vigenti, investe il ruolo di produttrice di
anomalie sistemiche, le uniche attraverso le quali sarebbe possibile arrivare
ad una “crisi”. La concentrazione dell’interesse intorno a una forte area ano-
mala, al fine di inglobarla nel paradigma, e il fallimento di questo tentativo
permettono agli scienziati di aprirsi ad una ricerca straordinaria, spesso pre-
ludio di una rivoluzione. Inserendo tutto ciò all’interno di una visione globale
della concezione di scienza normale, tale metodo rispecchia un elemento non
indifferente nelle dinamiche che la accompagnano nel suo percorso storico
attraverso il susseguirsi dei vari paradigmi.

Per quanto riguarda i paralleli che si potrebbero fare fra scienza normale e
religione alla luce della visione “dogmatica” di Kuhn, Ian Barbour sottolinea
alcuni aspetti13 per i quali si potrebbero proporre delle analogie. Primo fra
tutti si presenta l’aspetto comunitario, fondamentale sia nella scienza, sia nel-
la religione; in secondo luogo egli mette a confronto lo status degli eventi
rivelatori [revelatory events];14 in terzo luogo il “commitment",15 il senso di iden-
tificazione personale attraverso la dedizione e l’impegno attivi nei confronti
di un credo o di un principio.

Quanto all’aspetto comunitario, Barbour invita a notare, nella scienza come
nella religione, che colui che si appresta a partecipare all’attività di ricerca o
di fede si trova in primo luogo a doversi confrontare con il gruppo:

        No one adheres to science or religion in general; the initiate joins
        a particular community and adopts its modes of thought and ac-
        tion.16

Di conseguenza, l’“iniziato” abbraccia in entrambi gli ambiti una cultura e
un’ideale attraverso il modus operandi della comunità che lo promuove, acqui-
sendo i metodi tramite l’insegnamento che gli viene impartito dai suoi stessi
membri. La differenza che Barbour trova tra le due consiste nel rapporto
   13
       Vedi Barbour I. (1980), Paradigms in Science and Religion, in Paradigms and Revolutions;
Appraisals and Applications of Thomas Kuhn’s Philosophy of Science, edited by G. Gutting, University
of Notre Dame Press, Notre Dame and London, § II, p. 237 e sgg.
    14
       Ibidem; e sgg.; per quanto riguarda il concetto di revelatory events vedi anche Barbour, I.
(1966), Issues in Science and Religion, SCM Press Ltd, London (= Barbour, I. (1966), Issues in
Science and Religion, Prentice-Hall, Inc., Englewood Cliffs, N. J.), pp. 229-236.
    15
       Ibidem e sgg.
    16
       Ibidem.

                                                 6
che esse hanno nei confronti dell’individualità,17 ovvero nel rapporto tra il
singolo e il paradigma a cui si affida: nel caso della scienza questo non è
inteso come una necessità personale e intima, non ha a che vedere con un
personal involvement 18 tale da eguagliare quello presente nei confronti di una
religione. Benché lo scienziato attui la scelta di un nuovo sistema tramite de-
libere personali – piuttosto che dimostrazioni oggettive o spiegazioni logiche
– la sua necessità nei confronti del credo è ristretta all’ambito professionale.
Nel caso della religione, il rapporto del singolo nei confronti della fede ha
un’importanza maggiore, in quanto consiste in un rapporto privato, radicato
in una sfera emotiva e spirituale profonda. Per quanto riguarda la scelta di
un paradigma, pur tenendo conto di una certa arbitrarietà, la propensione
della comunità scientifica verso l’uno o l’altro paradigma sarebbe comunque
influenzata dall’esperienza professionale dei suoi membri e dunque da una
supposta sensibilità pratica condivisa. Se non altro, quando si parla di scelta
paradigmatica si parla sempre di una scelta che ha come obiettivo la ricerca
di un sistema che riesca a proporre in futuro migliori rompicapi e relative solu-
zioni per tutti i membri, non solo per colmare “social and psychological needs”, o
alleviare ansie [anxieties] a livello personale.19 D’altra parte, le religioni hanno
ciascuna strutture diverse, qualità diverse, obiettivi diversi (Barbour propone,
ad esempio, fattori comuni ai sistemi di pensiero quali la semplicità, la com-
prensibilità, la capacità di abbracciare più ambiti. . . 20 ) e l’individuo effettua
una scelta su variabili e disposizioni personali tali che presumibilmente non
possono essere comprese dal suo prossimo con la logica o la pura razionalità,
in misura maggiore laddove quest’ultimo si trovi ad avere propensioni verso
una fede differente.

                          L’analogia col darwinismo

Ad ogni modo, sicuramente l’analogia tra religione e scienza si fa più debole
quando si vanno ad analizzare i principi finalistici dei processi storici all’inse-
gna del progresso. Come largamente sviluppato ne La struttura delle rivoluzioni
scientifiche, Kuhn rifiuta l’idea di progresso da un punto di vista universale,
riconoscendo che un miglioramento sarebbe possibile solo all’interno dei vari
paradigmi (ovvero nella misura in cui questi vengono arricchiti e perfezionati).
   17
      Ivi p. 239-240.
   18
      Ibidem.
   19
      Vedi ivi, p. 240.
   20
      Ivi, p. 240.

                                         7
L’idea che fra loro i paradigmi possano essere legati da un punto di vista cumu-
lativo è stata da Kuhn ampiamente messa in discussione. Come egli dichiara
nel capitolo tredicesimo dell’opera il processo che avviene nel susseguirsi dei
vari paradigmi potrebbe essere definito di stampo evoluzionistico. Kuhn spiega
che, così come Darwin interpreta il principio di perfezionamento delle specie
animali come un meccanismo fondato sul caso e sulla contingenza di determi-
nati fattori e necessità, alla stessa maniera i paradigmi si susseguirebbero fra
loro come visioni del mondo incommensurabili, adottate dal libero, personale
arbitrio degli scienziati e non esclusivamente dalla loro valutazione logica dei
dati.

Una critica al parallelo fatto da Kuhn viene avanzata dallo storico John C.
Greene21 riguardo la successione dei paradigmi nelle scienze naturali. Egli
rifiuta, ad esempio, il principio secondo il quale la stessa teoria evoluzionistica,
in veste di teoria rivale, avrebbe soppiantato – per caso o per necessità –una
teoria precedente in stato di crisi. Piuttosto, egli mette in evidenza come fosse
legata al secolo e ai contenuti che ereditava dal dibattito del periodo illumini-
sta.22 La difficoltà di tale successione sta per Greene nell’identificare gli statuti
paradigmatici nel corso della storia (difficoltà che si acuisce, fra l’altro, se si
tiene presente il fatto che ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche Kuhn affer-
ma che non si possa parlare di “scienza normale” o di “paradigmi” quando ci
si riferisce alle scienze del periodo antico). Probabilmente l’interesse di Kuhn
riguardava, al fine della spiegazione, più i principi intrinseci della teoria evo-
luzionistica che il suo status paradigmatico, in quanto tali principi risultavano
particolarmente utili per spiegare in termini noti il rapporto non teleologi-
co che, a suo avviso, caratterizzava la successione fra teorie paradigmatiche
incommensurabili.

   21
       Vedi Greene, J. C. (1980), The Kuhnian Paradigm and the Darwinian Revolution in Natural
History in Paradigms and Revolutions; Appraisals and Applications of Thomas Kuhn’s Philosophy of
Science, edited by G. Gutting, University of Notre Dame Press, Notre Dame and London, pp.
297-320.
    22
       Greene nota come, precedentemente alla teoria evoluzionistica darwiniana di metà Otto-
cento, a fine Settecento vi fossero ben due tendenze molto differenti fra loro che si giocavano
il primato paradigmatico. A suo avviso, per quanto riguarda metodi, teorie, ma soprattutto
il concetto stesso di scienze naturali, quelle di C. N. Linneaus e di J. L. Leclerc de Buffon
rappresentavano una duplice - e quindi confusa - possibilità di individuare il paradigma vigente
precedentemente a quello darwiniano. Vedi ivi, p. 300 e sgg.

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Conclusioni

Al fine di poter fare un’analogia completa fra scienza normale e fede, nella teo-
ria dei paradigmi mancherebbero due aspetti fondamentali che sono presenti
pur variabilmente in ogni religione: quello esistenziale e quello teleologico. Il
fine della ricerca nella scienza normale, infatti, non si può concepire secondo
Kuhn se non internamente al perfezionamento del paradigma stesso. Inoltre,
coinvolgerebbe solo l’aspetto professionale della vita dello scienziato, mentre
non risponderebbe delle necessità di quest’ultimo a livello umano ed esisten-
ziale. Sul piano generale, il sorgere dell’una o dell’altra teoria rivale ed il
consolidamento di una di queste rispecchierebbe semplicemente una maggiore
portata persuasiva di una certa teoria concorrente, ovvero la sua capacità di in-
fluire sull’opinione degli scienziati. Una volta eletta la teoria vincente, questi si
impegnerebbero collettivamente nell’attività di perfezionamento, permettendo
così al nuovo paradigma di sostituire quello precedente in misura completa.

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Riferimenti bibliografici

Barbour, I. (1966), Issues in Science and Religion, SCM Press Ltd, London =
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