Schaulager, Laurenz Foundation, Münchenstein, Switzerland, 2000-2003 Herzog & de Meuron - Davide R. Ferrari, 804122
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Schaulager, Laurenz Foundation, Münchenstein, Switzerland, 2000-2003 Herzog & de Meuron Davide R. Ferrari, 804122
SOMMARIO Introduzione 3 PARTE I. INTRODUZIONE ALL’OPERA 1. Gli architetti 5 2. Il luogo 7 3. La Emmanuel Hoffmann Foundation 8 PARTE II. LO SCHAULAGER 1. L’architettura 10 2. L’esposizione e la raccolta delle opere 13 RACCOLTA FOTOGRAFICA 15 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 25 FONTI ILLUSTRAZIONI 27 !2
Introduzione Lo Schaulager è uno spazio unico nel mondo delle architetture per l’esposizione e la raccolta di opere d’arte. Progettato dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron tra il 1998 e il 1999, ha visto la realizzazione tra il 2000 e il 2003. Questo spazio per l’arte rappresenta in modo forte alcuni dei principi che hanno fatto dei due architetti, figure centrali nel campo dell’architettura contemporanea. In particolare viene affrontato in questo progetto il tema della materia quale elemento fondante l’estetica e la forma dell’edifico. In campo museale, questo spazio offre una nuova proposta di tipologia di edifici per l’arte, esso viene infatti concepito come magazzino in cui conservare la collezione della Fondazione, ma che sia accessibile e visitabile da studiosi o interessati. Gli ambienti dove le opere sono raccolte, non sono più bui magazzini, ma divengono veri e propri spazi espositivi dove le opere vengono collocate e mostrate in modo del tutto nuovo. !3
1. Gli architetti «Sono i materiali a rendere possibile l’apparizione delle forme»1 Nel 1978 Jacques Herzog e Pierre de Meuron, vincitori nel 2001 del premio Pritzker, fondarono a Basilea lo studio che divenne negli anni uno dei protagonisti dell’architettura contemporanea. Attualmente lo studio è composto da altri tre senior partners e vede la presenza di 450 collaboratori sparsi nei sei studi del gruppo. I due soci fondatori, che rappresentano ancora oggi l’anima dello studio, sono entrambi di Basilea e formatesi all’università di Zurigo, dove furono indirizzati verso temi filosofici-sociologici da Aldo Rossi, professore in quegli anni presso l’università elvetica. Il loro operare è improntato verso un’attenzione totale nei confronti della materia, che si serve della forma come mezzo per potersi esplicitare nel miglior modo. Giungono, dunque, ad un rifiuto dell’espressione, della comunicazione, per poter invece ricercare il senso della costruzione e della matericità in architettura. Innalzare la materia e la costruzione a momento chiave della progettazione porta lo studio ad un rifiuto dell’atto personale: ‘affrontano compiti progettuali diversi, in città diverse, di volta in volta, senza imporre il proprio gesto espressivo come se fosse un marchio registrato’2. Tale approccio, se da un lato li distanzia da certi atteggiamenti dell’architettura contemporanea, dall’altro li porta a porsi dinnanzi al progetto con una predisposizione che abbia al centro 1 R. Moneo, Inquietud teorica y estrategia, ActarD, Barcelona 2005, trad.it. Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Electa, Milano 2006, p. 296 2 ibidem !5
dell’attenzione il luogo, le funzioni della costruzione ed un continuo interrogarsi su quali siano le soluzioni migliori da attuare. Rafael Moneo sottolinea come questo atteggiamento, che li porta a voler rifiutare qualsiasi tentazione di figuratività, abbia il culmine nella parte centrale della loro carriera, dove più che altrove è fondamentale far parlare i materiali attraverso l’uso di volumi che siano il più elementari possibili. La loro è un’architettura che si pone come soluzione, come ‘espressione sintetica’ di problemi di costruzioni ed uso, che passi attraverso un attento utilizzo dei materiali, in quanto sono essi stessi a definire la struttura. Atteggiamenti che pongono i due architetti in continuità con i principi del maestro tedesco Mies van der Rohe, per quanto concerne il ruolo chiave dei materiali e della loro espressività, l’importanza della costruzione che si esplicita ad esempio nell’attenzione dei dettagli, come nei giunti e nelle connessioni tra gli elementi. La loro carriera è costellata di progetti di natura differente, sia per quanto riguarda la scala sia la destinazione d’uso, sia il luogo di intervento, ma costante è il modo di approcciarsi ai temi di progetto: rispetto per il luogo, attenzione per la scala e rigore estremo nei dettagli costruttivi. Ciò che conta è l’architettura con la sua figuratività espressa dalla materia, non la riconoscibilità di chi l’ha pensata attraverso un gesto ed uno stile ripetuti. Nel lungo elenco di opere realizzate spiccano numerosi musei e centri per l’arte, dal primo intervento della Goetz Collection nel 1992 fino ad arrivare al Perez Art Museum di Miami del 2013, passando per opere che hanno segnato la storia dell’architettura contemporanea come la Tate Modern di Londra (2000), il CaixaForum di Madrid (2008) e il Museum der Kulturen di Basilea (2010). !6
2. Il luogo Il museo Schaulager si trova nel comune di Münchenstein, di circa 11 mila abitanti sito nel distretto di Arlesheim, nelle immediate vicinanze alla città di Basilea (5 km). È in questo paese di periferia che nel 1999 Maja Oeri, l’attuale presidente della Emanuel Hoffmann Foundation, creò prima la Laurenz Foundation e poi acquistò il terreno per realizzare l’edificio la cui realizzazione venne affidata a Herzog & de Meuron. La scelta di acquistare uno spazio in questo paese è da ricondurre al carattere di questi luoghi, storicamente legati ad una natura industriale e ricchi di magazzini, in particolar modo questa porzione a sud di Basilea, chiamata Dreispitz. Si pone dunque in una situazione di confine, ai bordi della città di Basilea, ed è nelle intenzioni della committenza far divenire questo edificio un motore in grado di favorire l’espansione e uno sviluppo strategico in chiave urbanistica, andando al di là di quelli che sono i più stretti obiettivi ai quali un edificio per l’arte deve rispondere. !7
3. La Emanuel Hoffmann Foundation La Fondazione Hoffmann fu fondata nel 1933 da Maja Hoffmann-Stehlin, con lo scopo di promuovere l’arte contemporanea, rendendola accessibile al grande pubblico. Gli obiettivi sempre perseguiti dalla fondatrice, appassionata insieme al marito di arte contemporanea, sono sempre stati: la raccolta, la conservazione e la mediazione lungimirante. Il motto della Fondazione, voluto dalla fondatrice, è ‘Faith in the Future’, che ottimamente indica quale voglia essere la strada maestra entro cui la Fondazione si muove e si è mossa in circa 80 anni di vita, creando una collezione composta da quasi 650 opere di grandi artisti moderni e contemporanei, come ad esempio Salvator Dalì, Paul Klee, Max Ernst, Jeff Wall. L’interesse della fondazione non si concentra su una singola espressione d’arte, ma spazia tra dipinti, sculture, installazioni, film e video di circa 150 artisti, avendo sempre come obiettivi uno sguardo verso il futuro e il rendere disponibile al pubblico i lavori raccolti. Dal 1941 la Fondazione collabora con il Kunstmuseum e con il Museum für Gegenwartskunst, dove sono esposte diverse opere appartenenti alla collezione della Fondazione. !8
1. L’architettura Alla fine del XX secolo è nata l’intenzione da parte di Maja Oeri, presidente della Fondazione, di creare uno spazio dove le opere della collezione potessero essere raccolte ma al contempo esposte in modo chiaro e diretto al pubblico. Un vero e proprio magazzino visitabile, dove le opere potessero essere ospitate in condizioni ottimali per la loro conservazione ma che al tempo stesso potesse offrire un’esperienza di visita aperta al pubblico. Incaricato nel 1998 lo studio di Herzog & de Meuron ha tentato di rispondere nel modo più chiaro e diretto a quelli che erano stati gli input posti dalla committenza, innanzitutto andando ad enfatizzare il carattere del deposito costituendo l’edificio con un grande volume chiuso, introverso, che fa derivare la propria forma esterna da quelle che sono le geometrie degli spazi interni e dalla disposizione nel lotto che rispetta le distanze minime imposte dai regolamenti. La pianta ha una conformazione poligonale e presenta una forte caratterizzazione del lato fronte strada, che si modifica, plasmandosi, come se cercasse di accogliere in un abbraccio chi si avvicina. Il poligono va, infatti, a formare su Emil-Frey-Strasse una concavità che porta a generare una sorta di piazza e rende l’ingresso ben visibile, enfatizzato dalla presenza di un piccolo edificio, che si pone quasi a guardia, realizzato con il medesimo materiale del Magazzino e con tetto a due falde inclinate: una sorta di piccola casa che concorre a dare un respiro pubblico e urbano agli spazi, insieme alla piazza antistante l’ingresso. Il carattere urbano degli spazi viene accentuato dalla presenza di due ampi schermi a led, collocati sulle facciate d’ingresso, con lo scopo di mostrare al !10
mondo esterno immagini ed opere commissionate dalla Fondazione a visual artist. I progettisti spiegano come le richieste poste dalla committenza fossero tali da rendere questo progetto un unicum nel campo architettonico, richiedendo dunque uno sforzo ulteriore per poter al meglio pensare e realizzare quella che viene definita una vera e propria ‘tipologia architettonica’. Tale compito ha avuto inizio creando un layout della collezione che sarebbe stata ospitata e che vede la presenza di opere di dimensioni molto differenti. L’edificio, di 20000 mq, viene organizzato in 5 livelli. Le mostre temporanee vengono previste al piano seminterrato e al piano terra, entrambi con altezze di 6 metri e con piani liberi ma suddivisibili e organizzabili tramite pannelli verticali. È inoltre in questi spazi che trovano posto due opere permanenti di Gober e Fitsch. I piani superiori ospitano gli spazi di stoccaggio delle opere e sono organizzati in planimetria in modo regolare tramite l’utilizzo di pannelli divisori verticali. Ciascuna soletta dei tre piani superiori, viene interrotta in corrispondenza della hall di ingresso, così che si possa generare uno spazio a tutta altezza in grado da un lato di stupire chi accede a questo spazio ed inoltre permette una visione a colpo d’occhio della totalità degli spazi, che risultano essere caratterizzati dalla scansione netta e regolare delle solette e dalla linearità data dall’illuminazione. Oltre agli spazi espositivi e di stoccaggio delle opere sono presenti un auditorium da 144 posti, un caffè, spazi per workshop e riunioni e uffici amministrativi. Ciò che rende particolarmente interessante l’edifico da un punto di vista architettonico è l’atteggiamento scelto dai progettisti per la veste strutturale ed esterna dell’edificio. Se, infatti, gli interni, ispirandosi agli spazi museali per l’arte contemporanea, hanno un carattere di purezza dato dalla pavimentazione in parquet chiaro, una fitta illuminazione affidata a corpi lineari a neon e pannelli verticali di color bianco, oltre che elementi strutturali quali pilastri e solai in cemento a vista, gli esterni sono trattati in modo totalmente unico. !11
Alla base delle scelte materiche adottate dai progettisti vi è una duplice volontà: da un lato offrire un ambiente ottimale in termini climatici per il mantenimento delle opere, dall’altro conferire all’edificio dalle forme così spiccatamente legate alla tipologia del magazzino, un carattere materico, ruvido, terreno. Le facciate esterne, oltre che con materiale metallico, vengono dunque realizzate utilizzando il materiale estratto dal luogo stesso al momento degli scavi, costituendo una pelle a più strati che abbia ottime prestazioni legate all’inerzia e che si presenti alla vista in modo ruvido, terroso e che conferisca all’edificio un senso di stabilità e peso. Le forme nascono dalla materia, le facciate ruvide vengono inoltre attraversate, intagliate da piccole feritoie, finestre che non hanno forme regolari ma che vengono progettate in modo da proporre su una scala più grande quello che è il pattern delle pietre utilizzate, si viene dunque a generare un paesaggio dove artificio e natura si mischiano e dove le finestre non sono insignificanti disegni di una periferia urbana ma che concorrono al risultato finale di forme caratterizzanti un nuovo paesaggio. L’estetica funzionalista industriale del magazzino, viene fatta convivere dai progettisti con un sapore più naturale, grezzo della pelle dell’edificio, che si mostra così in tutta la sua pesantezza e solidità. !12
2. L’esposizione e la raccolta delle opere Ciò che rende unico questo edificio è la sua concezione alla base del progetto: creare uno spazio per lo stoccaggio e al contempo la fruizione delle opere, superando dunque lo schema tradizionale di raccolta delle opere d’arte in stanze buie, climatizzate e poco accoglienti. Di fronte a questa sfida architettonica ma anche curatoriale e compositiva, Herzog & de Meuron in un primissimo momento pensarono ad uno spazio in cui l’idea di stoccaggio fosse trasposta nel modo più diretto possibile attraverso un singolo piano verticale ed un piano orizzontale. Uno spazio che permettesse ad un solo sguardo di avere davanti a sè l’intera collezione, così come accadeva nelle Wunderkammerr. Ovvero un muro di dimensioni elevate per poter appendere tutte le opere una accanto all’altra e collocando a terra tutte quelle opere non appendibili, distribuite sul piano orizzontale senza una suddivisione di spazi data da tramezzi. Questa idea venne poi superata a seguito di approfondimenti tecnici, curatoriali oltre che di considerazioni fatte riguardo il mantenimento delle opere e il loro trasporto. I progettisti scelsero dunque di seguire una strada più legata alla concezione a magazzino degli spazi, prevedendo uno stoccaggio su più piani, con pareti divisorie, che avrebbero offerto ottime possibilità in termini di flessibilità degli spazi. Ecco dunque che le opere raccolte negli spazi riservati agli studiosi e accessibili su appuntamento vedono la presenza di pareti densamente occupate dai dipinti della collezione posti in modo affiancato, sia appese che collocate a terra, occupando così molto meno spazio rispetto a quanto accade in ambienti museali e dando vita a spazi dall’identità tutta nuova, che sembrano riprendere !13
i canoni delle collezioni delle Wunderkammer e riportarli ad una dimensiona nuova, contemporanea e spiccatamente legata all’arte ed a una sua nuova fruizione. !14
RACCOLTA FOTOGRAFICA !15
Fig. 1 Piante di progetto. !16
Fig. 2 Sezione di progetto. !17
Fig. 3 Prospetti di progetto. !18
Fig. 4 Foto Ingresso; Fig. 5 Foto fronte Nord. !19
Fig. 6 Dettaglio facciata; Fig. 7 Particolare rivestimento facciata. !20
Fig. 8 Foto Seminterrato. !21
Foto. 9 Foto hall d’ingresso. !22
Fig. 10 e 11 Mostra Paul Chang. !23
Fig. 12 e 13 Foto della collezione. !24
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA AA.VV., Herzog & de Meuron: 1978-2007, Arquitectura Viva, Madrid 2007. AROSIO, Enrico, Piccoli incontri con grandi architetti, Skira, Milano 2012. MACK, Gerhard, Herzog & de Meuron: The complete works, Volume 4, 1997-2001, Birkhäuser, Basel 2009. MONEO, Rafael, Inquietud teorica y estrategia, ActarD, Barcelona 2005, trad.it. Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Electa, Milano 2006. AA. VV., Schaulager Laurenz Foundation, in Lotus 134, 2008 AA. VV., Schaulager in Basel, in Detail 7/8, 2003 AA. VV., Schaulager-2003, in Ottagono 194, Ottobre 2006 BAGLIONE, Chiara, Schaulager per la fondazione Emanuel Hoffmann, in Casabella 717-718, Dicembre 2003-Gennaio 2004. !25
www.archimagazine.com www.architectour.net www.artribune.com www.basel.com www.campusderkuenste.ch www.divisare.com www.herzogdemeuron.com www.inexhibit.com www.museumbasel.ch www.schaulager.org !26
FONTI ILLUSTAZIONI www.inexhibit.com www.campusderkuenste.ch www.hicarquitectura.com www.artribune.com www.schaulager.org www.flickr.com www.subtilitas.tumblr.com www.theartblog.org www.moussemagazine.it !27
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