Sacro e profano (prima parte) - Diziomondo

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Sacro e profano (prima parte) - Diziomondo
Sacro e profano (prima parte)
                            Émile Benveniste, il noto
                            linguista autore di Le
                            vocabulaire des institutions
                            indo-européennes,     Paris
                            1969, ora in trad.it -per
                            Torino, Einaudi, 1976 e
                            2001- in due tomi, parlando
                            di religione entra nella
dimensione del sacro. Tale parola che in greco antico è
(h)ieros, la troviamo in latino con sacer.

Il significato vero ed originario, anche dal punto di
vista antropico non è inteso come semplice venerazione
ma bensì ha un significato ambivalente. È ciò che ci
spaventa, ci atterrisce e nel frattempo ciò che
veneriamo proprio per timore che tale maledizione ci
colpisca.

Per Mircea Eliade, nella sua opera Il sacro e profano,
da fenomenologo e storico delle religioni, afferma che
sacer è manifestazione di divinità, che assomiglia molto
allo Pneuma o alito vitale degli antichi Greci (per
Jung, Psiché). Eliade si rifà anche al libro
fondamentale di Rudolf Otto, trad.it Il sacro; uno dei
testi basilari che il teologo protestante ha dato alla
nostra comprensione del fenomeno religioso quale
esperienza del vissuto dell’homo religiosus.

Chi   abbandona    il   sacer,   cade   nel   profano,
nell’areligioso ovvero in un individuo che abbandona la
credenza del sacro però, escludendolo, rientra esso
stesso nella sacralità. Anche il tempo nell’uomo
religioso lo vediamo nel Templum e Tempus che sono
legati però hanno una “concezione” diversa sebbene
concepiti in ambito religioso – mitico. Infatti il
tempio è tempo relegato allo spazio fisico, delimitato
dove l’homo sacer si raccoglieva per riflettere e
cercare una spiegazione religiosa e anche rassicurante
del Tempo che, in quanto illimitato, sentito ed
avvertito come ineludibile, era visto come ineluttabile
e anche che metteva terrore, un evento cui non si poteva
sfuggire. Inizio moduloIl sacro -per esser vissuto-
impone, ripetendo l’opera di M. Eliade (anche in
Trattato di storia delle religioni, apparso in francese
nel 1947), dei rituali, che sono tipici di una
religione, ovvero il cerimoniale.

Cosa si intende per rito?

La definizione più consona a tale parola complessa, la
si potrebbe definire come un complesso di atti che
vogliono una loro esecuzione pratica. Sono esecuzioni
che vengono poi codificate nella tradizione. Ora noi
dobbiamo tradurre l’atto o gli atti, che sono inseriti
nel mito (o racconto veritiero in quanto divino), in
relazione stretta con il mito stesso, con la stessa
religione come suddetto e soprattutto con il senso del
sacer.

Il rito ha dunque la funzione di incanalare ogni
esperienza religiosa affinché tale vissuto lo si possa
ripetere, essere praticabile dal soggetto e quindi non
rientra nella mistica, in quanto tale è fatta di vissuti
unici, non ripetibili a differenza dei cerimoniali
rituali.

Si accennerà brevemente in cosa consiste la mistica.
L’etimo deriva dal greco myo, ovvero tacere, chiudere
gli occhi, stare zitti (mettere un dito perpendicolare
alla bocca). È un’esperienza unica, non ripetibile a
differenza del rito.

Senza andare oltre nella spiegazione profonda della
Mistica, noi si potrebbero addurre degli esempi in arte
come santa Maria Teresa D’Ávila del Bernini colta
nell’estasi mistica (detta anche tale scultura l’orgasmo
di marmo) o le opere di san Juan de la Cruz.

Però, data la loro importanza culturale e simbolica, non
possiamo tralasciare i misteri greci. Ogni teogonia
(nascita degli dèi), è bene ripetere, è una cosmogonia
(o nascita dell’universo), cioè il bisogno di cercare,
seppur in chiave teologica, il principio del mondo.

L’Uno contrapposto al Molteplice delle apparenze del
mondo, dei fenomeni è sempre stata una aspirazione
tipica del genio greco. Il bisogno di una spiegazione
del cosmo – che significa ordinato – assilla l’uomo
greco. Si succedono teogonie per giungere ad una
aspirazione unitaria dell’ordine delle cose come farà
Esiodo, seppur nell’allegoria mitica.

Grande importanza assume il ruolo della poesia che
diviene lo specchio dei tormenti e delle ansie, nonché
delle speranze dell’uomo, del suo destino e delle sue
problematiche. Pertanto la poesia, dove non giunge la
ragione chiarificatrice, diventa compagna dell’uomo
greco ed infatti quando si allude ad Orfeo, non si fa
altro che nominare, in breve, la poesia antichissima.

La nascita della filosofia è aiutata proprio dalla
poesia nonché dalle mutate condizioni socio-economiche e
dallo sviluppo delle scienze della natura (‘phýsis‘).

Bisogna sottolineare che la religione greca, a
differenza del monoteismo ebraico, non è una religione
rivelata quindi si può capire il carattere antidogmatico
ed anti-precettistico della tolleranza religiosa. L’uomo
greco è tollerante e questo spiega in parte la nascita
dei misteri (tale parola deriva dall’etimologia greca
antica e significa: io non vedo, io taccio, sto zitto,
propriamente «mi metto un dito sopra la bocca» (radice
sanscrita √my che porta al greco √mu).

Il mistero, faremo cenno a quelli eleusini ed orfici,
nasce da più fattori:

a) l’unione di diversi dèi in una sola divinità
spirituale

b) la spiegazione dell’essenza del cosmo e delle
apparenze del mondo

c) l’insufficienza      spirituale   della   religione
politeistica

d) dalle diverse esigenze sociali ed anche come sfogo
della società greca, nonché nel ritrovare nel mito quel
“quid” che mancava ad una società priva di spiegazioni
emotive unificanti.

È il mito “fantasioso” che supplisce ai fattori
anzidetti in modo più che sensato. Sarebbe bene ripetere
che il mito è narrazione “veritiera” in quanto parla
degli dèi.

Ciò che avviene è essenzialmente poetico e sarà supplito
dalla ragione (lógos).

L’Orfismo cerca l’unità teogonica, cosmologica: da Crono
tutto deriva. Ma per l’Orfismo Crono è considerato «il
sempre giovane», che fa nascere Phanes (o Fanete oppure
anche Fanes) che come dice il nome è «colui che si
mostra», appare “splendente” in contrasto all’oscurità
ove era nato Crono.

Phanes, dai due sessi, androgino quindi, è divinità
orfica e viene considerato o il primo Dioniso o
identificato con Dioniso stesso. In effetti c’è una
leggenda che fa sì che Notte, amata dal Vento, depose un
Uovo primigenio d’argento nell’oscurità delle Tenebre
ove da lì nacque Phanes l’ermafrodito dalle ali d’oro.
(dal Mito orfico della creazione) Phanes o Amore (Eros
dal verbo eran è possedere sensualmente)) si raccorda
bene con l’Orfismo e non contraddirebbe il mito della
cosmogonia orfica su riportata.

La parola Orfismo deriva dal cantore tracio Orfeo,
personaggio mitologico figlio di Eagro e di una ninfa,
oppure per altri Autori, figlio della musa Calliope o
dello stesso Apollo. Il culto di Orfeo è legato allo
spirito apollineo e dionisiaco che sono due facce della
stessa medaglia. Dapprima si diffonde nella Tracia e poi
nella Pieria.

Una leggenda ci racconta che Orfeo si recò nell’Ade per
riprendersi l’amata sposa Euridice. Egli riuscì con il
suo canto divino ad ammansire le divinità degli Inferi.
Tali concessero Euridice ad Orfeo a patto che il cantore
non si girasse fin quando non fosse ritornato sulla
Terra. Ma Orfeo contravvenne al patto e perse Euridice
per sempre. Addolorato, girovagò nella Tracia,
esternando con la sua voce flautata, il suo immenso
dolore e Zeus, impietosito, lo fulminò.

L’altra leggenda è diversa: Orfeo si sarebbe opposto
all’introduzione dei misteri dionisiaci e cominciò ad
odiare le donne (misoginia). Pertanto fu ucciso,
lacerato dalle seguaci di Dioniso, le menadi o baccanti.
Questa seconda leggenda ha un carattere erotico ed
infatti i misteri, poi, finirono nella sfrenatezza
sessuale orgiastica tipica dello spirito dionisiaco.

Autore: Prof. Enrico Marco Cipollini

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