Rivoluzione sia! - Le Funambole
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Rivoluzione sia! Storie ed esperienze che ho portato con me Pamela Marelli La parola rivoluzione è per me legata indissolubilmente alla parola femminismi, ai saperi, alle relazioni ed invenzioni che dall'adolescenza nutrono la mia vita e che mi hanno portata alla laurea in Storia con una tesi sul movimento femminista bresciano degli anni ‘70. Ho attraversato, dal liceo ad oggi, alcuni collettivi femministi, prima separatisti poi misti, fino all'odierna esperienza in Non una di meno, e diversi incontri nazionali come seminari, scuole estive, campi femministi, occasioni importanti che mi hanno donato affetti, strumenti e pratiche indispensabili per vivere una vita degna e intensa. Essendo innamorata della storia delle donne non posso che partire dalla prima giornata dedicata alla storia rivoluzionaria delle donne rimettendo in circolo le frasi che più mi hanno colpita. Come ha sottolineato nell'introduzione Antonella Petricone non possiamo dimenticarci da dove siamo partite, dobbiamo ricordare quelle che hanno aperto la via. Emma Schiavon ha parlato di rivoluzione come un separare la mente dalle categorie dell'oppressione ed ha condiviso con noi la forza e la sicurezza che le viene dalle storie delle altre donne quando le studia e le fa circolare, come successo narrandoci i percorsi di libertà nelle vite di Annie Vivanti, Emilia Mariani e Margherita Ancona. Fiorenza Taricone ha sottolineato che da tanto tempo facciamo molte cose per resistere contro le destre mondiali. Ha individuato le rivoluzioni come il passaggio dalla Donna alle tante donne, al corpo collettivo femminile. Tirar fuori la storia delle donne dall'invisibilità è per lei un gesto rivoluzionario, è ricostruire le loro esistenze intrecciandole alle nostre. Rimane aperto il problema della trasmissione di queste storie e della loro divulgazione nei testi scolastici e nei manuali quando questi rimangono narrazioni monosessuali. Ambra Laurenzi ci ha ricordato che se oggi possiamo parlare di donne e politica, di libertà lo dobbiamo anche alle deportate, se non ci fossero state loro, noi non saremmo qui, non avremmo avuto la possibilità di esprimerci in libertà. Nel campo di Ravensbrück le violenze erano atte a colpire ogni aspetto del femminile, dal taglio di capelli al ciclo mestruale, attacchi mirati alla diversità che incarnavano i corpi delle donne. Ambra ci ha parlato della statua del memoriale dove una donna tiene tra le braccia un'altra donna 1, un gesto di solidarietà, potremmo dire un gesto di sorellanza, una rappresentazione importante perché pochi sono i monumenti che dicono di questa relazione tra donne, della sua potenza. Gisella Modica nel raccontarci la metodologia con cui ha preparato il suo contributo sulle 1 (ultima consultazione 27/12/2019)
donne di mafia poi diventate collaboratrici di giustizia, ha sottolineato di aver fatto saltare la sua scaletta, una frase che mi sembra una buona indicazione come pratica, far saltare le scalette ed i canoni. Gisella, partendo da sé, ha narrato delle ferite che sanguinano parlandone. Citando la giornalista Giuliana Saladino ha parlato della necessità di trovare tra le scorie, il luccichio della domanda giusta, l'importanza di decolonizzare la mente dal pensiero maschile per aprire crepe nel sistema. Anche l'anno scorso abbiamo sottolineato l'importanza di conoscere la storia delle donne venute prima perché come ci raccontava Silvia Neonato anche quando facciamo cose fantastiche, veniamo dimenticate, è quindi molto importante che ogni anno alla scuola di Befree venga dedicato uno spazio alla storia delle donne, alla trasmissione della nostra storia. La sera dell'arrivo abbiamo incontrato Regiana Queiroz che ci ha raccontato il lavoro per arrivare al suo documentario “The Bag” una denuncia della condizione brasiliana odierna. La durezza del film non lascia spazio a vie di fuga o forme di resistenza. Nel dibattito la regista ha posto una domanda importante: come risvegliare la rivoluzione nel cuore delle persone? La risposta implicita è l'asprezza del film, mostrare l'orrore per scuotere. La risposta esplicita di Regiana all'insorgere del fascismo contemporaneo è la guerriglia armata. Tale affermazione ha mosso un dibattito sull'esperienza della lotta armata in Italia, un dibattito confuso che ha mescolato più piani, mentre i contributi delle storiche e la giornata dedicata alla situazione contemporanea hanno contribuito ad affrontare il tema in maniera complessa. Partendo dai miei dubbi ho condiviso alcune domande: le brigatiste erano considerate compagne che sbagliavano? Dalle biografie lette, tra loro e le femministe c'era un enorme distanza per le pratiche scelte, non si consideravano le une compagne delle altre. Anche nella rappresentazione teatrale di Donatella Allegro dedicata alla Casa internazionale delle donne abbiamo visto le immagini delle scritte corrette sui muri, da lotta armata a lotta amata, che restituiscono la complessità della questione. L'ultimo giorno della scuola, provocatoriamente ho chiesto se oggi pensiamo che in Italia la lotta armata femminista sia una pratica agibile. La sinistra bellica è finita in Italia per la repressione messa in campo dallo stato con carcere, torture, repressione. Davvero qualcuna di noi prenderebbe in mano una pistola per uccidere politici sovranisti e maschilisti? Silvia Todeschini, del Movimento delle donne kurde, ha ben raccontati l'uso delle armi come strumento di difesa collettiva che è altra cosa dalla lotta armata. Nella giornata condotta da Oria Gargano dedicata alla rivoluzione oggi si è svolto un interessante dibattito sull'urgenza di una grande rivoluzione culturale, della necessità
sentita da alcune donne di un dialogo con la sinistra, con le istituzioni e da altre donne dell'impellenza che le istanze del movimento diventino di massa. Marta Bonafoni ha condiviso la sua visione della politica che si deve occupare delle possibilità da dare alle vite, dell'importanza di essere rivoluzione incarnata per trovare energia da mettere nelle nostre pratiche. Citando le figure di Greta Thunberg e Carola Rackete sottolineava l'importanza di immettere luce nelle fratture. In un'ottica di costruzione della rete esortava ad imparare a non giudicare, perché non serve il giudizio, servono i punti di contatto per creare empatia, mettere in campo i sentimenti ed intrecciare relazioni. Maura Cossutta ha sottolineato la grande rivoluzione compiuta dal femminismo negli anni '70, oggi lei vuole una rappresentanza dei contenuti di radicalità del movimento, delle trasformazioni agite. E' il momento di pensare al ruolo politico che il femminismo deve assumere, il che non significa creare un partito delle donne, ma affrontare i temi dirimenti partendo dalle pratiche femministe. Maria Brighi ha posto l'attenzione sul fatto che la lotta al patriarcato deve muovere le lotte femministe. Se non si risolvono le cose in un'ottica femminista, le condizioni delle donne non cambiano. Il movimento fa le fratture, squarcia verso la luce. Il movimento femminista è un movimento di rottura, che parte da noi stesse, che non vuole il potere, che non richiede alle istituzioni, ma pone questioni contestando su un altro piano, con altre modalità. Oria ci pungolava sulle modalità con cui mettiamo a tema delle politiche la forza trasformativa. Federica Scrollini sottolineava che i temi femministi non sono negoziabili. E Gisella Modica si e ci interrogava su come si coniuga il corpo delle donne in piazza con la rappresentanza, con la delega. Il partecipato incontro serale con Luisa Morgantini dedicato alla storia di resistenza delle donne palestinesi, ha chiuso la giornata precedente relativa alla rivoluzione delle donne nel mondo, condotta da Sara Pollice e Federica Tomaselli, che ha visto un confronto con le pratiche internazionali femministe e le azioni delle donne. Sara ha esplicitato l'urgenza di acquisire consapevolezza, di aver cercato le altre perché da sola non ce la faceva. Acquisire insieme strumenti e consapevolezza legittima le azioni e ci rende libere, fuori dall'oppressione. Silvia Todeschini ha raccontato dell'energia delle donne, di come l'uso delle armi ha creato responsabilità collettiva nelle comunità in Rojava, del difficile percorso in cui ha imparato a sentire il kalashnikof come parte di sé, come uno strumento necessario che permette la tua difesa e quella delle tue compagne. L'autodifesa parte dalle testa, devi avere consapevolezza di chi sei, di te come donna, di te con le altre,
collettivamente. Diana Barreto, dopo il femminicidio di Alì Cueva, sua compagna di collettivo, si è domandata come far uscire il dolore, la tristezza, la paura dal corpo e trasformarla in energia rivoluzionaria. Con le altre del collettivo hanno svolto numerose azioni per far riconoscere gli omicidi passionali come femminicidi. Nelle performance hanno partorito tutte le donne uccise per farle rinascere e portarle nelle loro lotte, una pratica per superare il lutto. Hanno creato azioni come lo scretch, dove le attiviste si coprono il volto e mostrano quello del femminicida per rendere lui visibile e togliere attenzione dalla donna aggredita, troppo spesso infatti si sviluppa uno sguardo pornografico sulla vittima che rende il colpevole invisibile. Si tratta di forme di denuncia sociale, di giustizia femminista contro il terrorismo patriarcale. Diana ha sottolineato l'importanza di agire rituali simbolici forti come azioni che siano divertenti ed attrattive per le persone. Atti di giustizia verso noi stesse, per mantenere la salute mentale: salvo me stessa ed è una sanazione collettiva. E' importante fare azioni lì dove hanno forza simbolica nello spazio pubblico, per farsi del bene collettivamente. Marie Moise ha evidenziato come Angela Davis ha riscritto, invertendola, la genealogia femminista: le donne schiave che hanno lottato per la liberazione dalla schiavitù sono venute prima del femminismo. Per loro lottare significava sopravvivere ogni giorno. Da qui possiamo mutuare delle pratiche di resistenza quali la capacità delle donne di lavorare teoricamente, una teoria legata alla pratica, in cui la conoscenza che non può che essere collettiva nell'ottica della liberazione. Riconoscere il femminismo delle donne nere ed i nostri privilegi di donne bianche mettendoli in discussione in ottica intersezionale. Sara Pollice ha realizzato due video interviste a Yayo Herrera e Veronica Gago sulle tematiche della scuola. Yayo parlando di “rivoluzione del pianeta” ha sottolineato che gli esseri umani sono/siamo radicalmente ecodipendenti. I corpi sono vulnerabili, finiti e richiedono una cura che deve essere condivisa. Bisogna intendere gli esseri umani e la vita connessa alla terra in ottica ecofemminista. Veronica Gago parlando del movimento argentino Ni una menos ha osservato che proporre un'iniziativa come lo sciopero ha permesso di spostarsi dalla posizione di vittime e da una sorta di “conto necropolitco permanente” dei femminicidi che è come le istituzioni ed i media sono interessati a ridurre il fenomeno degli attuali femminismi. Occorre andare oltre questa rappresentazione per costruire una politica che tenga conto della diagnosi complessiva delle violenze. Veronica ha parlato di femminismo come luogo di diffusione di diverse lotte. La rottura dei
limiti del femminismo bianco, accademico, porta alla novità storica dei femminismi contadini, indigeni, popolari, comunitari. Il femminismo è massivo, è presenza concreta in lotte molto diverse, a cui partecipano anche compagne e donne che non di definiscono femministe. Stiamo inventando cosa vuol dire dire essere femministe nei processi di lotta, dove servono radicalismo politico e dimensione di massa. Bisogna creare una combinazione tra interpellanza alle istituzioni con richieste specifiche e movimento femminista che non ritiene lo stato e le istituzioni il suo orizzonte. Ciò sposta la separazione tra riforma e rivoluzione. Secondo Veronica occorre rivoluzionare la vita permanentemente. Nella giornata dedicata al lesbismo si è condivisa la necessità di portare alla luce la storia silenziata del movimento delle lesbiche in Italia. Anna Segre nel contributo “Ipotesi sulla resistenza al cambiamento perché la rivoluzione tarda” ha sottolineato che il cambiamento è visione, devi vederlo per disegnarlo. Serve nelle relazioni una visione alternativa all'essere servizievoli, alla dinamica di oblatività, alla sensazione di indispensabilità. La rivoluzione affonda le radici nell'ineluttabilità. Non è la possibilità di successo, di esito positivo che innesca la rivolta. Il cambiamento segna un passaggio netto tra un prima ed un dopo. Non si continua nella maniera più assoluta come prima. Ne va di sé. Si sperimenta una gioia selvaggia nel vivere catapultata in una dimensione rivoluzionaria. Paola Guazzo nell'intervento “Lesbiche in Italia: due secoli in resistenze individuali e collettive” ha evidenziato la storia di cosa succedeva alle lesbiche in Italia, una modalità per vedere gli scheletri nell'armadio della storia della democrazia, che internò parecchie donne lesbiche nei manicomi perché considerate socialmente pericolose. Paola ha narrato del rapporto difficile tra femminismo e lesbismo, dovuto al fatto che alcune femministe occultavano il lesbismo come fatto del femminismo della differenza, ad esempio attraverso la censura avvenuta sul testo di Adrienne Rich nel Sottosopra verde. Alcune femministe riproducevano atteggiamenti patriarcali verso le lesbiche. Persiste la necessità di smantellare l'eterosessualità obbligatoria. Per le lesbiche è dirimente avere un punto di riferimento, una rete, un fare insieme, un essere con. E' importante potersi posizionare come lesbica e vivere la soggettività lesbofemminista. Giulia Paparelli parlando della “Soggettività lesbica, tra politica dei diritti e rivoluzione” a partire da sé, ha osservato che se certe cose non le faceva lei nessuna le avrebbe fatte. Da transfemminista ha adottato un approccio intersezionale, unica chiave di lettura che ci permette di agire oggi leggendo i meccanismi di oppressione, per ampliare la platea delle soggettività da includere. Serve la rappresentazione di una soggettività lesbica non in
termini negativi. L'espressione di un desiderio è sconcertante. La scelta di sottrarsi ad un ruolo prestabilito mette in discussione i pilastri della società. Raccontare cosa vuol dire diventare lesbica è impoterante, dà potere. Bisogna, per Giulia, sviluppare al pieno il potenziale rivoluzionario dell'essere lesbica. Voglio dedicare spazio anche nella restituzione scritta, ai laboratori ed al teatro. Nel laboratorio di scrittura autobiografica Isabella Tozza ci ha fatto lavorare sulla potenza della nostra parola, sul significato del nostro nome nella connessione emotiva di un cerchio accogliente, morbido, non giudicante. Abbiamo sperimentato una scrittura generativa. Nel laboratorio creativo di Federica Scrollini ognuna ha fatto di sé rivoluzione, attraverso un percorso artistico. Nel laboratorio teatrale “Il corpo della Rivoluzione” Elena Fazio ci ha fatto lavorare sulla voce, sulla sua potenza. Abbiamo esperito l'intensità dello sguardo autentico dell'altra su di te, che ti vede mentre tu vedi lei. Uno scambio di intimità aldilà di appartenenze ed etichette, un andare oltre come modalità di connessione che è già rivoluzione. Lo spettacolo che ha avviato la scuola “Messico e Nuvole… Le storie di Charo. Racconti per voce e carillons" di Angela Sajeva ha mostrato le possibili narrazioni di storie di donne senza stereotipi, con riconoscimento delle forze nelle debolezze. Francesca Romana Miceli Picardi e Corinna Bologna con “Io rifiuto” hanno rappresentato la storia di due giovani ragazze rese rifiuti della società governata da una mentalità mafiosa. Toccante l'invito finale di Francesca di prestate attenzione alle bambine dietro il muro delle case. Nello spettacolo “Storie delle ragazze di ieri” dedicato alla Casa internazionale delle donne, Donatella Allegro ha divulgato in modo commovente e coinvolgente una parte peculiare della storia delle donne, mostrando l'importanza di creare genealogia a partire da sé, da Virginia Woolf alla sede attuale della casa, parlando a nome dell'idea e della pratica femminista dell'avere uno spazio tutto per sé e per le altre. Ci tengo a ringraziare le donne della staff complessivamente per il lavoro politico ed il dono della scuola che fanno alle partecipanti. Anna, Federica, Gaia e Sabrina che si prendono cura del fatto che ognuna di noi abbia un letto, del cibo adatto, momenti di ristoro indispensabili. Grazie per la cura degli spazi, l'allestimento dei vari luoghi, l'accoglienza di ogni nostra specifica esigenza, il sorriso, il sostegno. Ringrazio Antonella, Sara, Oria per il loro prendere la parola, veicolare strumenti e sollecitazioni, dialogare con le relatrici. Nel laboratorio finale di Alessandra Chiricosta abbiamo provato un concetto di forza che
viene dalla centratura del corpo, dall'ascolto di sé. Un genere di forza che combatte la violenza, che va oltre la distruzione del nemico, sperimenta conflitto uscendo dai binarismi. Una forza sferica, morbida, fluida come l'acqua che fa prendere coscienza del proprio essere combattenti, della potenza dei nostri corpi, capaci di rivoluzione nella quotidianità delle nostre vite. Ringrazio tutte, tutti, tuttu per l'intensità dello scambio e la potenza della scuola.
Puoi anche leggere