Rifiuto del vaccino: licenziamento del dipendente? - Filodiritto

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                              Direttore responsabile: Antonio Zama

       Rifiuto del vaccino: licenziamento del dipendente?
                                                  21 Gennaio 2021
                                                   Riccardo Baro

Desidero condividere una riflessione sulle sconcertanti affermazioni che con sempre maggiore
frequenza pongono in contrapposizione le misure sanitarie da alcuni ritenute di necessaria adozione
con il rispetto dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, proponendo la prevalenza delle prime a
discapito dei secondi.
Si veda ad esempio la presa di posizione del famoso virologo Burioni che su Twitter, in risposta alle
obiezioni di altri utenti circa l’incostituzionalità di condizionare fondamentali diritti come quello di voto o
di cura alla vaccinazione, ha scritto tranchant “Il coronavirus, della Costituzione scritta bene, se ne frega
altamente”.
Mi preoccupa, poi, che alla voce dei vari medici, giornalisti, attori e cantanti del main stream
compattamente riuniti sotto la monolitica convinzione dell’imposizione vaccinale a qualsiasi costo, con
una certa sorpresa si stiano rapidamente aggiungendo anche quelle di vari e insigni giuristi.
Il Prof. Pietro Ichino ad esempio, eminente giuslavorista autore di numerose pubblicazioni su diverse delle
quali mi sono personalmente ritrovato a studiare ai tempi dell’Università, a fine dicembre (per la precisione
il 29, ovvero il giorno successivo al sopra riportato tweet di Burioni), in una nota intervista ha affermato
senza mezzi termini il diritto/dovere del datore di lavoro di licenziare il dipendente che rifiuti la
vaccinazione anti-Covid.
Il concetto è stato poi ripreso e sviluppato pochi giorni dopo dallo stesso Professore in un approfondito
scritto pubblicato nel suo blog personale. Data la lunghezza dello scritto, mi limito qui a riferirmi alle parti
che mi hanno particolarmente colpito e, confesso, inquietato.
Anzitutto il Professore fonda la propria tesi della licenziabilità del lavoratore obiettore vaccinale (o,
quantomeno, della sua sospensione per inidoneità) su una presunta situazione epidemiologica che non
tiene conto dell’ampio dibattito in corso nel mondo scientifico tanto in relazione alla malattia che alle
vaccinazioni che dovrebbero debellarla. Una narrazione, a dire il vero, aderente a quanto costantemente
veicolato dai media main stream, a sentire i quali il Covid colpirebbe in egual modo e misura tutta la
popolazione e non vi sarebbero alternative ai lockdown governativi se non, appunto, la vaccinazione.
E invece, come risulta da più fonti estranee al main stream, tutti i punti di tale semplicistica versione
risultano contestati da una parte rilevante della comunità medico-scientifica.
Per quanto riguarda l’epidemia in sé considerata il Dott. Gulisano su la Nuova Bussola Quotidiana ci ha
ricordato che i proponenti la Dichiarazione di Great Barrington hanno contestato le politiche di
lockdown indicando in alternativa una strategia di Protezione Focalizzata (Focused Protection)
basata sul presupposto che dal punto di vista epidemiologico la maggior parte delle persone, e quindi dei
lavoratori, rientrano nella categoria a basso rischio e quindi potrebbero “vivere normalmente la loro vita e
costruire l’immunità al virus attraverso l’infezione naturale, proteggendo al meglio coloro che sono a più
alto rischio”.
Sul versante vaccinazione, invece, in questa fase non si possono dare per scontate (come ho l’impressione
riferisca il Prof. Ichino) né l’efficacia né la sicurezza dei prodotti vaccinali appena resi disponibili, dato che
la stessa immissione in commercio ha ricevuto un’autorizzazione condizionata all’effettuazione di ulteriori
studi con scadenza programmata tra 2 anni. Ciò senza contare che in diversi stanno esprimendo dubbi di
efficacia, come ad esempio Peter Doshi del BMJ o la Fondazione GIMBE (da sempre favorevole alle
politiche di lockdown rigoroso) che tramite il proprio Presidente parla di “incognite legate all’efficacia del
vaccino soprattutto in termini di riduzione dei quadri severi di malattia e di trasmissione del virus”.
Premessi questi distinguo, sul piano prettamente giuridico il ragionamento del Prof. Ichino, ricondotto a
estrema sintesi e con le approssimazioni del caso, è il seguente: seppur l’articolo 32 della Costituzione
riconosce alla sola Legge la prerogativa di imporre trattamenti sanitari quale sarebbe la
vaccinazione obbligatoria, il datore di lavoro in quanto a capo dell’impresa è comunque tenuto
all’obbligo di garanzia stabilito dall’articolo 2087 del Codice Civile. Quest’ultima è una norma, come si
suol dire, a contenuto aperto e non precostituito, in quanto sancisce in generale il dovere del datore di
lavoro di adottare tutte le misure che, secondo l’esperienza e la tecnica, si rivelano di volta in volta
necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.
Data la situazione in essere, prosegue il Professore, il vaccino rappresenta l’unico strumento in grado, in
base alla scienza, di garantire il più possibile dall’infezione Covid sui luoghi di lavoro, per cui i datori di
lavoro sarebbero tenuti, in base a questo ragionamento, a richiedere la vaccinazione ai propri subordinati e
altresì a estromettere dal contesto lavorativo (tramite licenziamento o sospensione per inidoneità)
coloro tra questi che si rifiutassero senza un comprovato impedimento personale di natura medico-
sanitaria. Ai lavoratori, scrive inoltre Ichino, sarebbe preclusa l’obiezione alla vaccinazione basata sulla
preoccupazione per possibili effetti indesiderati, così come non è loro concesso di sindacare
sull’adottabilità o meno di tutti gli altri dispositivi di sicurezza.
Senonché in aggiunta a quanto sopra detto circa la contingente
   inesistenza di un consenso scientifico sull’efficacia degli attuali
   vaccini a scongiurare infezione e trasmissione del virus, mi viene
   immediatamente da obiettare che non appare ragionevole
   equiparare la somministrazione di un preparato medico
   potenzialmente foriero di rischi, per quanto ritenuti remoti, con
   ogni altro dispositivo di protezione, dato che scarpe
   antinfortunistiche e maschere per saldatura non sono intrusive
   rispetto alla dimensione biologica del corpo del lavoratore.
Risalendo, poi, al piano di principio, mi pare che il ragionamento sia scorretto perché capovolge il giusto
rapporto dei termini in questione: non è che l’articolo 2087 Codice Civile imponga e legittimi il datore
di lavoro ad adottare tout court tutti i ritrovati della scienza e della tecnica (ammessa e non concessa
la loro utilità e necessità), ma solo quelli compatibili con i limiti imposti proprio dalla Costituzione,
che è norma di rango superiore. Per cui se l’articolo 32 della Carta pone la riserva di Legge per i
trattamenti sanitari obbligatori (peraltro comunque con l’invalicabile limite del rispetto della persona
umana), non appare ammissibile cercare di “eludere” l’ostacolo per altra via.
D’altra parte mi sembrano diversi in questo periodo a proporre ragionamenti analoghi a quelli del
Professore, da un lato riconoscendo che l’articolo 32 impedisce di obbligare alla vaccinazione ma nel
contempo proponendo di vietare agli obiettori vaccinali l’accesso a luoghi pubblici, mezzi di
trasporto o altre attività essenziali come, appunto, quella lavorativa. Senonché anche queste seconde
sono espressione di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati, per cui risulta contraddittorio oltre che
paradossale riconoscere la possibilità di esercitare un diritto costituzionale a patto di sacrificare
completamente gli altri.
Tuttavia è forse sulla base di questa logica che il Prof. Ichino conclude la sua riflessione con la
considerazione che di tutto il discorso più mi ha impressionato e che merita di essere riportata
letteralmente: “…questo modo di interpretare e applicare l’articolo 32 Cost. in riferimento all’obbligo di
vaccinazione contro il Covid-19 mi sembra il solo che possa logicamente conciliarsi con il modo in cui la
stessa norma costituzionale è stata pacificamente interpretata e applicata nell’arco di tutto l’ultimo anno e
fino a oggi. In funzione del contrasto alla pandemia, nel corso del 2020, abbiamo sopportato a più riprese
senza colpo ferire una sorta di “trattamento sanitario obbligatorio” che ha comportato una limitazione dei
nostri diritti costituzionali di libera circolazione, di associazione, di manifestazione del pensiero, e altri
ancora, in una misura senza precedenti nella storia del Paese; tutto ciò non per legge, ma per disposizione
di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Abbiamo accettato questo vero e proprio
cataclisma giuridico-costituzionale perché ci siamo resi conto che era un modo ragionevole, in quanto
proporzionato all’enormità della minaccia a cui la collettività era esposta, per far fronte a quella
minaccia. Così stando le cose, come si può ragionevolmente considerare illegittimo (addirittura contrario
alla Costituzione) il comportamento di un datore di lavoro che, nell’esercizio di un potere/dovere
attribuitogli dal contratto, recepisce le indicazioni provenienti dalla comunità scientifica circa l’utilità
della vaccinazione come misura di protezione individuale e collettiva nell’azienda, richiedendo ai propri
dipendenti di sottoporvisi?”.
Sono parole che mi lasciano particolarmente perplesso.
Anzitutto anche in questo caso devo dissentire dalla narrazione del Professore, dato che in questi mesi sono
varie e autorevoli le voci di medici e giuristi che si sono levate contro la legittimità costituzionale delle
norme adottate, DPCM compresi (ricordo gli interventi dell’AMPAS, del Comitato Rodotà e della Camera
Penale di Trieste, solo per citarne alcuni), ovviamente nel quasi più totale silenzio dei soliti media main
stream. Per cui non credo proprio esistano tutto questo consenso e accettazione sulla costituzionalità
delle politiche di gestione del Covid.
Ma ciò che ancor più mi sconcerta è che mi pare come il Professore sostenga dal punto di vista giuridico
la legittimità di una sorta di interpretazione abrogatrice del dettato costituzionale, a fronte di una
pur grave situazione emergenziale (a mio avviso tutta ancora da comprendere nelle sue proporzioni e
cause effettive).
Una simile presa di posizione, tuttavia, credo contrasti
   apertamente con le ragioni storiche e giuridiche che hanno
   portato all’affermazione nelle democrazie liberali proprio delle
   Costituzioni così dette rigide (come la nostra), le quali per
   assicurare l’effettiva garanzia dei diritti inviolabili in esse
   sancite a fronte di contingenti momenti di crisi (è
   nell’emergenza, infatti, che sempre si è cercato di comprimere i
   diritti fondamentali) hanno posto quale limite invalicabile quello
   di particolari procedure di revisione costituzionale (nel nostro
   caso l’articolo 138 Cost., il quale non è comunque utilizzabile
   per cambiare l’irriformabile Prima parte della Carta che
   contempla, appunto, i diritti fondamentali).
Concludo con una riflessione personale di carattere generale. In questi mesi di Covid-19 si è rafforzata in
me la sensazione che tra le tante problematiche connesse ci stia anche iniziando a sfuggire il senso
della nostra storia e dei fondamenti etico-giuridici che da essa derivano. Per ripartire veramente è
necessario recuperarne a pieno il senso e non, invece, seguire l’apparentemente più facile deriva di
considerare una Costituzione di tipo personalistico com’è quella italiana uno scomodo ostacolo al bene
nostro e della collettività.

TAG: vaccino Covid, licenziamento, dipendenti, Covid-19

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