Ricerca di neutrini pesanti con il rivelatore CMS - INFN Roma

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Ricerca di neutrini pesanti con il rivelatore CMS - INFN Roma
Ricerca di neutrini pesanti
con il rivelatore CMS

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Candidato
Daniele Pannozzo
Matricola 1711645

Relatore                                      Correlatore
Dr. Francesco Pandolfi                        Prof. Shahram Rahatlou

Anno Accademico 2021/2022
Ricerca di neutrini pesanti con il rivelatore CMS - INFN Roma
Tesi non ancora discussa

Ricerca di neutrini pesanti con il rivelatore CMS
Tesi di Laurea Magistrale. Sapienza – Università di Roma

© 2022 Daniele Pannozzo. Tutti i diritti riservati

Questa tesi è stata composta con LATEX e la classe Sapthesis.

Email dell’autore: daniele.pannozzo.74@gmail.com
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Indice

Introduzione                                                                                                 v

1 Modello Standard e neutrini pesanti                                                                         1
  1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .             .   .   .   .   .   .   .    1
  1.2 I neutrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .             .   .   .   .   .   .   .    3
  1.3 Cenni a modelli teorici sui neutrini pesanti . . . . . . .                 .   .   .   .   .   .   .    4
  1.4 Canali di produzione e decadimento dei neutrini pesanti                    .   .   .   .   .   .   .    6
      1.4.1 Canali di produzione di neutrini pesanti . . . . .                   .   .   .   .   .   .   .    6
      1.4.2 Canali di decadimento dei neutrini pesanti . . . .                   .   .   .   .   .   .   .    7
  1.5 Ricerche sperimentali di neutrini pesanti . . . . . . . . .                .   .   .   .   .   .   .    7

2 LHC e l’esperimento CMS                                                                                     9
  2.1 Il Large Hadron Collider (LHC) . . . . . . . . . . . .             .   .   .   .   .   .   .   .   .   10
  2.2 L’esperimento Compact Muon Solenoid (CMS) . . .                    .   .   .   .   .   .   .   .   .   13
  2.3 Ricostruzione delle particelle . . . . . . . . . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   .   .   17
      2.3.1 Ricostruzione dei muoni . . . . . . . . . . . .              .   .   .   .   .   .   .   .   .   18
      2.3.2 Ricostruzione dei pioni carichi . . . . . . . . .            .   .   .   .   .   .   .   .   .   19
  2.4 Campione di dati dedicato per la fisica del mesone B               .   .   .   .   .   .   .   .   .   21

3 Studio del decadimento B æ D µ N (æ l fi)                                                                   25
  3.1 Eventi simulati e criteri di selezione . . . . . . .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   25
  3.2 Cinematica del segnale . . . . . . . . . . . . . .     .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   26
  3.3 Cinematica dei candidati ricostruiti . . . . . . .     .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   28
      3.3.1 Cinematica dei prodotti di decadimento           .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   28
      3.3.2 Cinematica dei candidati HNL . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   29

4 Selezione del miglior candidato negli eventi di            segnale                                         37
  4.1 Selezione a soglie . . . . . . . . . . . . . . . . .   . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   37
  4.2 Algoritmo BDT . . . . . . . . . . . . . . . . . .      . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   40
       4.2.1 Boosted Decision Tree . . . . . . . . . .       . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   40
       4.2.2 Selezione delle variabili di input . . . . .    . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   41
       4.2.3 Prestazioni dell’algoritmo . . . . . . . .      . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   46
       4.2.4 Confronto delle prestazioni . . . . . . .       . . . . .           .   .   .   .   .   .   .   48
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5 Dipendenza da massa e vita media                                                                             51
  5.1 Test del rapporto di likelihood . . . . . . . .      .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   51
      5.1.1 Definizione del rapporto di likelihood .       .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   52
      5.1.2 Prestazioni dell’algoritmo . . . . . . .       .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   57
  5.2 Efficienze di selezione del test . . . . . . . . .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   62

Conclusioni                                                                                                    65
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Introduzione

La teoria che fornisce la migliore descrizione dei costituenti fondamentali della natura
e delle loro interazioni è, al giorno d’oggi, il Modello Standard, sviluppato durante
la seconda metà del XX secolo e avvalorato da numerosi esperimenti di fisica ad
alte energie. Tuttavia il Modello Standard non costituisce una teoria completa e
lascia irrisolti numerosi quesiti sulla natura della materia che compone il nostro
universo; in particolare il Modello Standard fornisce una descrizione incompleta
della fisica dei neutrini: le ipotesi del Modello Standard sui neutrini sono dovute
ai risultati sperimentali ottenuti nella prima metà del XX secolo, in particolare
la mancata evidenza sperimentale di neutrini a chiralità destrorsa ha comportato
l’ipotesi dell’assenza di questi oggetti fisici nella teoria. Inoltre nel Modello Standard
si modellizzano i neutrini come particelle di Dirac prive di massa, nonostante possano
in principio essere considerate anche particelle di Majorana.
    Negli ultimi cinquanta anni sono stati scoperti fenomeni di oscillazione di sapore
dei neutrini, processi non previsti dalla teoria, che implicano che i neutrini abbiano
una massa diversa da zero. I limiti sperimentali sulle masse dei neutrini evidenziano
valori molto bassi di massa, nell’ordine degli eV, e a partire dagli anni ’80 del
XX secolo sono stati sviluppati numerosi modelli teorici che provano a fornire una
spiegazione sia alle masse non nulle dei neutrini attivi sia ai loro valori molto piccoli,
trovando una giustificazione a queste caratteristiche nell’esistenza di neutrini pesanti,
chiamati sterili, con valori di massa molto maggiori delle masse dei neutrini attivi;
in questi modelli l’alto valore di massa dei neutrini sterili viene identificato come la
causa dei bassi valori di massa dei neutrini osservati sperimentalmente. Inoltre questi
modelli teorici prevedono che i neutrini sterili siano particelle di Majorana, risolvendo
il quesito aperto sulla natura di queste particelle, e alcuni di essi ipotizzano che siano
proprio i neutrini sterili a comporre la materia oscura presente nel nostro universo,
di cui non si conoscono ancora la natura e l’origine. Per tutte queste ragioni la fisica
dei neutrini è uno dei settori di ricerca più attivi e promettenti nella fisica delle
particelle: comprendere meglio la natura e le caratteristiche dei neutrini può aprire
le porte a una nuova fisica oltre il Modello Standard permettendo di risolvere quesiti
aperti da decenni e di studiare nuovi fenomeni ancora inesplorati.
    L’argomento di questa tesi è la ricerca di neutrini pesanti N , mai osservati
sperimentalmente. La ricerca viene effettuata nel canale di produzione dei neutrini
pesanti B æ D µ N con conseguente canale di decadimento del neutrino in N æ
µ± fi û . I campioni di eventi su cui si è sviluppata l’analisi sono simulazioni Monte
Carlo del fenomeno fisico in cui viene simulata anche la ricostruzione delle particelle
come avverrebbe presso il rivelatore Compact Muon Solenoid (CMS) al Large Hadron
Collider (LHC). L’obiettivo dell’analisi è quello di sviluppare metodi che permettano
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vi                                                                         Introduzione

di classificare i neutrini pesanti negli eventi di segnale ricostruiti al fine di poter
selezionare il segnale dal fondo combinatorio; poiché le previsioni teoriche sulla massa
e sulla vita media dei neutrini pesanti coprono larghi intervalli di valori si è cercato
di sviluppare un classificatore che fosse indipendente da questi parametri.
    Questa analisi è possibile grazie al campione di dati B-Parking dedicato alla fisica
del B raccolto presso CMS nel 2018; utilizzando una particolare tecnica di trigger,
in cui si sfrutta la diminuzione di luminosità istantanea nel corso della produzione
di eventi ad LHC, è stato possibile acquisire dieci miliardi di decadimenti di mesoni
B presso CMS, il quale non è stato in origine progettato per avere sensibilità adatte
allo studio della fisica di questi mesoni.
    La tesi è così strutturata:

     • nel capitolo 1 vengono introdotti i modelli teorici che prevedono l’esistenza
       di neutrini pesanti, i loro canali di produzione e decadimento e lo stato della
       ricerca sperimentale dei neutrini pesanti;

     • nel capitolo 2 vengono descritti il collisore LHC, l’esperimento CMS, la ri-
       costruizione delle particelle e il campione di dati B-Parking che giustifica
       quest’analisi;

     • nel capitolo 3 sono descritte le caratteristiche fisiche del processo analizzato e
       le selezioni degli eventi nei campioni di eventi simulati utilizzati in questa tesi;

     • nel capitolo 4 vengono descritti i metodi e gli algoritmi sviluppati come
       classificatori e le loro prestazioni, confrontandole;

     • nel capitolo 5 viene infine discusso lo sviluppo di un classificatore analizzando le
       sue prestazioni in funzione della massa e della vita media dei neutrini pesanti.
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Capitolo 1

Modello Standard e neutrini
pesanti

1.1     Introduzione

          Figura 1.1. Particelle fondamentali descritte dal Modello Standard.

Il Modello Standard è la teoria che descrive i costituenti fondamentali della natura
e come questi interagiscono tra loro. Sviluppata e consolidatasi nel corso del XX
secolo, la teoria prevede l’esistenza delle particelle fondamentali elencate in figura
1.1, classificabili in due gruppi:
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2                                            1. Modello Standard e neutrini pesanti

    • i fermioni, con spin semintero. Fanno parte di questa categoria i quark q e i
      leptoni l, divisi in tre famiglie ordinate per massa crescente;

    • i bosoni, con spin intero. Questi costituiscono i mediatori delle interazioni
      fondamentali: i bosoni W ± e Z per l’interazione debole, il fotone “ per
      l’interazione elettromagnatica e i gluoni g per l’interazione forte. A loro si
      affianca il bosone di Higgs H, mediatore del campo di Higgs, il quale, tramite
      il meccanismo di rottura spontanea della simmetria [2], fornisce massa alle
      altre particelle del Modello.

L’esistenza di tutte le particelle del modello è confermata dai risultati sperimentali
ottenuti nel corso dell’ultimo secolo e conclusasi con la scoperta, nel 2012, del bosone
di Higgs dagli esperimenti CMS e ATLAS presso l’acceleratore LHC al CERN di
Ginevra.
    Matematicamente il Modello Standard è una teoria di Gauge basata sui gruppi
di simmetria SU (3)C ¢ SU (2)L ¢ U (1)Y [1]; in particolare:

    • SU (3)C è il gruppo associato alla cromodinamica quantistica QCD, la teoria
      che descrive le interazioni forti tra gluoni e quark;

    • SU (2)L ¢ U (1)Y è il gruppo associato alla teoria delle interazioni elettro-
      deboli EW, unificazione delle teorie sull’interazione debole e sull’interazione
      elettromagnetica.

    Nonostante venga considerata la teoria che fornisce la migliore descrizione delle
particelle fondamentali e delle loro interazioni, il Modello Standard non riesce a
fornire una risposta a diversi quesiti sulla natura della materia nel nostro universo,
ad esempio:

    • la materia oscura, rilevata da osservazioni astrofisiche: questa sembrerebbe
      essere composta da materia non ordinaria (ovvero non barionica), che non
      interagisce mediante i processi e le interazioni descritte dal Modello Standard,
      e costituisce circa il 22% [3] della materia del nostro universo;

    • la forte asimmetria tra materia e antimateria osservata nel nostro universo [4];
      il Modello Standard prevede una piccola asimmetria in favore della materia
      mentre le osservazioni sperimentali ci forniscono le evidenze di una forte
      asimmetria in favore della materia;

    • l’origine della massa dei neutrini e le loro oscillazioni di sapore [5], non previste
      nel Modello Standard e osservate sperimentalmente.

     Questi sono solo alcuni dei quesiti lasciati senza risposta dal Modello Standard e
indicano l’incompletezza della teoria e la necessità di trovare una più ampia teoria
fisica oltre il Modello Standard. In particolare andremo a soffermarci sull’ultimo
quesito qui riportato nel resto di questo capitolo.
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1.2 I neutrini                                                                           3

1.2     I neutrini

Nel Modello Standard i neutrini ‹ sono presenti solo nella componente di doppietto
(del gruppo di gauge SU (2) ¢ U (1)) fermionico che ha chiralità sinistrorsa [6],
mentre il correspettivo destrorso è un singoletto in cui è presente solo il leptone
carico l associato:

                               A         BY =≠1
                                    ‹l
                          L=                         R = (l≠ )YR =≠2                 (1.1)
                                    l≠
                                          L

dove gli indici L, R indicano la chiralità dell’elemento mentre Y è la sua ipercarica
debole. Per ogni famiglia leptonica sarà presente un doppietto e un singoletto come
indicato in 1.1. L’ipotesi del Modello Standard che esistano solo neutrini con chiralità
sinistrorsa è dovuta alla mancata evidenza sperimentale di neutrini a chiralità de-
strorsa; questa ipotesi ha conseguenze fondamentali sulle caratteristiche dei neutrini:
utilizzando infatti i componenti in 1.1 si ottiene la lagrangiana fermionica:

                                                         Ë               È
                           / L )L + ¯lR (iD
                   L = L̄(iD              / R )lR + Y ēR „† L + L̄„eR               (1.2)

di cui l’ultimo termine fornisce, una volta applicato il meccanismo di rottura di
simmetria, la massa dei fermioni; mancando la componente destrorsa del neutrino il
risultato sarà che m‹ = 0 nella teoria del Modello Standard.
    Tuttavia le osservazioni sperimentali di neutrini solari e atmosferici hanno eviden-
ziato l’esistenza di un fenomeno totalmente imprevisto dalla teoria: le oscillazioni di
sapore dei neutrini. Affinché questo fenomeno sia possibile i neutrini devono avere
una massa non nulla; le oscillazioni sono sensibili alla differenza tra il quadrato delle
masse e i risultati su questi valori, supposto che si abbiano tre autostati di massa
m1 , m2 , m3 (uno per ogni famiglia leptonica), sono [7]:

                                | m22,1 | = 0.000 074eV2                             (1.3)
                                |    m23,2 |   = 0.002 51eV  2

    Unendo questi valori ai limiti attuali sulla massa del neutrino [8] m‹e < 2.2 eV/c2
si giunge alla conclusione che almeno due neutrini devono avere una massa non nulla.
Gli studi sulle oscillazioni di sapore dei neutrini sono sensibili solo alla differenza del
quadrato delle masse e non forniscono alcun indizio sul valore delle singole masse.
Inoltre questi risultati possono essere giustificati da due ipotesi sulla struttura delle
masse dei neutrini, chiamate rispettivamente gerarchia normale e inversa (fig. 1.2):
nella gerarchia normale l’autostato di massa più leggero ‹1 corrisponde al neutrino
composto per la maggior parte dal neutrino elettronico ‹e , mentre nella gerarchia
inversa l’autostato di massa più leggero ‹3 corrisponde al neutrino composto per la
minor parte dal neutrino elettronico.
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4                                             1. Modello Standard e neutrini pesanti

    Figura 1.2. Gerarchia normale (sinistra) e inversa (destra) della massa dei neutrini.

    Un’altra caratteristica dei neutrini non confermata dagli esperimenti riguarda la
loro natura intrinseca; nel Modello Standard, come abbiamo visto in 1.1, i neutrini
sono delle particelle di Dirac: i neutrini e le loro antiparticelle, gli antineutrini,
sono due oggetti fisici distinti; in particolare i neutrini hanno un numero quantico
conservato, chiamato numero leptonico, che dipende dal loro sapore. Esiste tuttavia
un’altra ipotesi sulla loro natura: l’ipotesi di Majorana [9]. Essendo i neutrini dei
fermioni neutri Majorana ipotizzò che essi fossero uguali alle loro antiparticelle;
questa ipotesi ha conseguenze importanti sulla fisica dei neutrini intuibili dal loro
propagatore di Feynman: la conservazione del numero leptonico svanirebbe (questa
caratteristica viene simbolicamente descritta, nei diagrammi di Feynman in cui è
presente il neutrino di Majorana, da una freccia che punta in entrambe le direzioni) e
il propagatore stesso è direttamente proporzionale alla massa della particella. Questo
indica che se venisse osservato un processo con violazione del numero leptonico, come
ad esempio il doppio decadimento — senza neutrini [10], si avrebbe una conferma
dell’ipotesi di Majorana sui neutrini.

1.3      Cenni a modelli teorici sui neutrini pesanti
Nella sezione precedente abbiamo visto come la descrizione dei neutrini fornita dal
Modello Standard sia tutt’altro che soddisfacente. Nel corso degli ultimi decenni
sono stati ipotizzati diversi modelli teorici che potessero giustificare le masse non
nulle dei neutrini, le loro oscillazioni e chiarire i dubbi sulla loro natura di particelle,
se di Dirac o di Majorana.
    Un primo modello è il meccanismo See-saw [11] (See-saw in inglese significa
altalena) nel quale vengono aggiunti tre neutrini NR–=1,2,3 , descritti come singoletti
fermionici destrorsi del gruppo SU (2) ¢ U (1), alle altre particelle del Modello
Standard [12]; questi nuovi neutrini non hanno alcuna carica nel Modello Standard
e possono quindi avere un termine di massa di Majorana MR nella lagrangiana:

                                    1
                                N = NR MR NR + h.c.
                               LM                                                     (1.4)
                                  R
                                    2
Allo stesso tempo si può scrivere il termine di accoppiamento tra le componenti
sinistrorse e destrorse dei neutrini, come per tutti gli altri fermioni del Modello
Standard, ottenendo il termine di massa di Dirac nella lagrangiana:
1.3 Cenni a modelli teorici sui neutrini pesanti                                      5

                                        Ë                       È
                             N = ≠Y L„NR + NR „ L                                  (1.5)
                                               †
                            LD
Entrambi questi termini contribuiscono al termine di massa della lagrangiana dei
neutrini, chiamato termine di massa Dirac-Majorana. Se riscriviamo questo termine
dopo aver applicato il meccanismo di rottura della simmetria otteniamo:

                                +D  1
                             LM    = ÑL M‹ ÑL + h.c.                             (1.6)
                              N
                                    2
dove                            A   B              A                   B
                                ‹L                      0      Y
                                                               Ô
                                                                 2
                                                                   v
                         Ñ =      ,        M‹ =       Y                           (1.7)
                                NR                     Ô   v   MR
                                                         2
Ne consegue che i termini sinistrorsi e destrorsi del neutrino non possiedono massa
definita a causa dell’esistenza del termine di massa di Dirac; si procede quindi
diagonalizzando il termine generale applicando una rotazione ai campi ÑL– = Ṽ – t NLt
con Ṽ t– M‹– — Ṽ — s = m‹ ”ts . Dopo questa rotazione si ottiene che gli autostati di
massa sono fermioni di Majorana, il cui termine di massa risulta essere:

                                  +D     1
                               LM      = m‹ NL NL + h.c                            (1.8)
                                N
                                         2
    Questi risultati sono ottenuti senza porre alcuna ipotesi sulla grandezza delle
masse dei neutrini; nei modelli see-saw vengono considerati range di massa dei
neutrini pesanti che vanno dall’ordine dei keV fino all’ordine della scala GUT, ovvero
1012 GeV. Se si suppone che le masse dei neutrini destrorsi assumano valori alti
rispetto alla scala della teoria elettrodebole, ovvero si ipotizza che gli autovalori di
massa della matrice dei termini destrorsi siano molto maggiori degli autovalori di
massa della matrice del termine di Dirac:

                                             Y
                                     MR >> Ô v                                   (1.9)
                                              2
si può allora diagonalizzare la matrice di massa in maniera esplicita e si ottiene che
la massa dei neutrini sinistrorsi è:
                                    3       4T           3          4
                                 Y                           Y
                          ML ¥ ≠ Ô v             MR≠1        Ô Y                 (1.10)
                                  2                           2
Questa equazione ci dice che la massa dei neutrini sinistrorsi è inversamente pro-
porzionale alla massa della loro controparte destrorsa, da qui il nome see-saw del
modello: più è grande la massa dei neutrini destrorsi, più è piccola quella dei neutrini
sinistrorsi. Esistono diversi modelli See-saw: in questo presentato come esempio
vengono ipotizzati tre nuovi neutrini sinistrorsi ed è chiamato di Tipo-I; esistono
modelli di Tipo-II, in cui viene introdotto un tripletto scalare [13] e la massa dei
neutrini risulta essere m‹ ≥ M12 e modelli di Tipo-III in cui si introduce un tripletto
di SU (2) ¢ U (1) destrorso fermionico ˛ R [14], con ipercarica Y = 0, da cui risulta un
comportamento delle masse dei neutrini molto simile al Tipo-I qui sopra descritto.
    A partire dal modello See-saw sono stati costruiti altri modelli teorici che puntano
ad estendere il Modello Standard includendo i neutrini destrorsi come singoletti del
gruppo SU (2) ¢ U (1) con entrambi i termini di massa di Majorana e Dirac, per
6                                          1. Modello Standard e neutrini pesanti

esempio il modello ‹MSM, neutrino Minimal Standard Model [15] considerata la
minima estensione del Modello Standard che include i neutrini pesanti.

1.4      Canali di produzione e decadimento dei neutrini
         pesanti
I modelli teorici discussi nella sezione precedente prevedono l’esistenza di neutrini
pesanti in un ampio intervallo di valori di massa che va dall’ordine dei keV a masse
superiori ai valori indagabili con le attuali tecniche sperimentali a disposizione
(ordine 1012 GeV). La massa dei neutrini pesanti è un parametro fondamentale per
individuare i canali di produzione e decadimento più rilevanti.

1.4.1     Canali di produzione di neutrini pesanti
I neutrini pesanti possono essere prodotti da decadimenti di adroni, decadimento
del leptone · e da processi di diffusione partone-partone. Tra tutti questi canali
di produzione elenchiamo quelli relativi ai decadimenti di adroni, in particolare
dei mesoni: per mesoni carichi X ± è possibile avere il canale di decadimento puro
leptonico X ± æ l± N [16] in cui la massa del neutrino può assumere valori prossimi
a quelli della particella madre, mentre i canali di produzione che coinvolgono il
decadimento di un barione non prevedono la possibilità di decadere in una coppia
lN , limitando la cinematica del neutrino nello stato finale.
    Se la massa del neutrino si trova nell’intervallo MN < 100 MeV questo può essere
prodotto dai decadimenti leptonici o semi-leptonici di mesoni leggeri:

    • pioni carichi fi ± , con un solo canale di decadimento: fi ± æ l± N , con l = e, µ;

    • kaoni carichi K ± , con due canali di decadimento: K ± æ l± N e K ± æ
      fi 0 l± N , con l = e, µ;

    • kaoni neutri K 0 , con un solo canale di decadimento: K 0 æ fi ± lû N , con
      l = e, µ.

    Se la massa del neutrino si trova invece nell’intervallo MN Æ 1.4 GeV esso può
essere prodotto dal decadimento dei mesoni charmed D0,± ; il decadimento di mesoni
neutri è veicolato dalla corrente carica, risultante in un mesone nello stato finale:

    • mesoni charmed carichi D± , con quattro canali di decadimento principali:
      D± æ l± N , D± æ K 0 l± N , D± æ K ú0 l± N e D± æ fi 0 l± N ;

    • mesoni charmed neutri D0 , con tre canali di decadimento principali: D0 æ
      K ± lû N , D0 æ K ú± lû N e D0 æ fi ± lû N .

Nel canale di decadimento puro leptonico di mesoni D± il neutrino prodotto può
avere una massa comparabile a quella della particella madre MD ≥ 1.8 GeV.
    Se la massa del neutrino è invece MN Æ 4.5 GeV si apre la possibilità che possa
essere prodotto dal decadimento di mesoni beauty B 0,± ; come per i mesoni D, il
decadimento del B 0 implica un mesone nello stato finale con il canale di decadimento
principale che include un mesone D, mentre per i B ± resta aperta la possibilità del
1.5 Ricerche sperimentali di neutrini pesanti                                         7

decadimento puro leptonico B ± æ l± N in cui la massa del neutrino può avere valori
confrontabili con quella del mesone B, ovvero MN ≥ 5.2 GeV.
    Poiché i mesoni B e D possiedono masse dell’ordine dei GeV sono possibili
decadimenti in cui lo stato finale è composto da un grande numero di mesoni;
tuttavia questi canali di decadimento sono soppressi, rispetto al decadimento a un
mesone, dal termine dello spazio delle fasi [17] e sono di conseguenza molto meno
probabili.

1.4.2    Canali di decadimento dei neutrini pesanti
I canali di decadimento dei neutrini pesanti [18][19][20] sono veicolati o da correnti
neutre o da correnti cariche; i diagrammi in figura 1.3 contribuiscono a tutti i
possibili canali. Per il decadimento mediato dalla corrente carica le particelle nello
stato finale possono essere un coppia leptonica (l, ‹l ) o una coppia di quark del tipo
up-down (ui , di ), mentre nel decadimento mediato dalla corrente neutra f indica
qualsiasi fermione.

Figura 1.3. Canali di decadimento dei neutrini pesanti mediati dalla corrente carica
   (sinistra) e dalla corrente neutra (destra).

    Quando la massa del neutrino è inferiore alla scala della cromodinamica quan-
tistica MN < QCD la coppia di quark prodotta nel decadimento si lega in un
singolo mesone [19][21] X ottenendo il canale N æ X ± lû . Quando la massa del
neutrino eccede due volte la massa del pione, MN > 2mfi , i canali di decadimento
che prevedono più adroni nello stato finale diventano cinematicamente accessibili
ottenendo diversi canali di decadimento in cui si hanno, nello stato finale, un leptone
e due o più mesoni; il decadimento in due pioni è il più probabile tra tutti con i
contributi dei canali a n pioni che diventano sempre più rilevanti man mano che la
massa del neutrino MN aumenta di valore [18].

1.5     Ricerche sperimentali di neutrini pesanti
Negli ultimi anni diversi esperimenti di fisica delle particelle hanno inserito nei loro
programmi ricerche di neutrini pesanti. Ne riportiamo alcuni esempi:
  • NA62: si cerca il neutrino pesante nel canale di produzione K + æ µ+ N nel
    range di massa mN ≥ 100 MeV [22];
8                                              1. Modello Standard e neutrini pesanti

    • Belle: si cerca il neutrino pesante nel canale di produzione B æ XlN e
      successivo canale di decadimento N æ l± fi û , in un range di massa mN < 4 GeV
      [23];

    • LHCb: si cerca il neutrino di Majorana nel canale di produzione B ≠ æ µ≠ N
      e nel canale di decadimento N æ µû fi ± , in un range di massa mN < 5 GeV
      [24];

    • ATLAS: si cerca il neutrino di Majorana nel canale di produzione pp æ
      (W ± ) æ l± N e successivo canale di decadimento N æ l± q q̄, in un intervallo
      di massa mN > 50 GeV [25];

    • CMS: si cerca il neutrino pesante nel canale di produzione pp æ (W ± ) æ µ± N
      e nel successivo canale di decadimento N æ µ± q q̄, in un range di massa
      mN < 200 GeV [26].

    In figura 1.4 sono sintetizzati i risultati ottenuti dagli esperimenti che cercano
neutrini pesanti attualmente in corso: sull’asse orizzontale è riportata la massa del
neutrino e sull’asse verticale la costante di accoppiamento tra neutrini pesanti e
muoni. Le aree delimitate dalle linee colorate indicano le regioni indagate dagli
esperimenti elencati in figura e la regione di nostro interessa è quella indagata da
CMS, delimitata dalla linea rossa: in questa regione sono inclusi valori di massa
dell’ordine mN ≥ 1 GeV giustificando il presente lavoro di tesi.

Figura 1.4. Regioni indagate dai diversi esperimenti che cercano neutrini nel piano
   (mN , |Uµ |2 ), massa del neutrino mN e accoppiamento di neutrini pesanti con i muoni
   |Uµ |2 ; le aree delimitate dalle linee colorate indicano le regioni indagate dai vari esperi-
   menti [27].
9

Capitolo 2

LHC e l’esperimento CMS

                  Figura 2.1. Struttura degli acceleratori del CERN.

Il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle è il CERN (Conseil
Européen Pour La Recherche Nucléaire) ed è situato al confine tra Svizzera e Francia,
nella periferia di Ginevra. Fondato nel 1954, è attualmente una collaborazione tra
istituti di ricerca provenienti da tutto il mondo e lo scopo del laboratorio è la ricerca
fondamentale nel campo della fisica delle alte energie. In virtù di questo obiettivo il
CERN ha ospitato numerosi esperimenti e collaborazioni lungo tutta la sua storia,
culminando questo impegno di progressione di ricerca e tecnologia con la costruzione,
a cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, del più grande acceleratore di particelle
della Terra: LHC.
10                                                       2. LHC e l’esperimento CMS

2.1       Il Large Hadron Collider (LHC)
Il Large Hadron Collider (Grande Collisore di Adroni), spesso abbreviato in LHC,
è un collisore circolare protone-protone (pp) costituito da un anello principale di
magneti superconduttori dalla circonferenza di 27 km, situato a circa 100 metri
sotto terra. I magneti lavorano a una temperatura di 1.9 K e curvano la traiettoria
delle particelle sottoponendole a un campo magnetico pari a 8.2 T; le particelle
sono accelerate da cavità a radiofrequenza disposte periodicamente lungo l’anello e
sincronizzate col campo magnetico dei magneti superconduttori.
    L’anello principale in cui i protoni vanno poi a collidere nei vari punti di intera-
zione è solo l’ultimo di una serie di acceleratori che altro non sono che gli acceleratori
del CERN utilizzati per la ricerca di fisica delle particelle nel XX secolo; lo scopo
di questi acceleratori è quello di pre-accelerare i protoni per portarli ad energie
sufficienti a mantenerli in orbita circolare nell’acceleratore LHC (vedi figura 2.1). La
sequenza di accelerazione e iniezione dei protoni avviene come segue:

     1. i protoni vengono estratti da una bombola di idrogeno e vengono immessi, a
        pacchetti, nell’acceleratore lineare LINAC 2;

     2. LINAC 2 accelera i protoni fino a un’energia di 50 MeV;

     3. i pacchetti vengono immessi nel Proton Synchrotron Booster PSB, un accelera-
        tore composto da quattro anelli, il quale accelera i protoni fino a un’energia di
        1.4 GeV, circa 28 volte superiore a quella iniziale;

     4. i pacchetti di particelle vengono immesse nel Proton Synchrotron PS, un
        acceleratore dalla circonferenza di 628 metri, in cui vengono accelerati fino a
        25 GeV di energia e separati di 25 ns tra loro;

     5. i protoni vengono iniettati nel Super Proton Synchrotron SPS che alza l’energia
        dei pacchetti fino a 450 GeV;

     6. i pacchetti di protoni vengono infine iniettati nell’anello principale LHC, in
        due tubi diversi in cui viaggiano in direzione opposta; nei tubi le particelle
        sono nel vuoto e sottoposte ai campi magnetici generati dai super magneti,
        che li tengono in orbita, e dalle cavità a radiofrequenza, che li accelerano;

     7. una volta raggiunta la massima energia permessa da LHC (pari a circa 13 TeV
        nel centro di massa durante il Run 2) i fasci di particelle vengono fatti collidere
        in quattro diversi punti di interazione situati lungo l’anello.

  Attorno i quattro punti di interazione sono costruiti i principali esperimenti di
LHC:

     • ALICE (A Large Ion Collider Experiment) ha come scopo la ricerca delle inte-
       razioni tra nuclei pesanti e, in particolare, le caratteristiche e i comportamenti
       del plasma di gluoni e quark;

     •    LHCb (LHC beauty) ha come scopo la ricerca della fisica del quark b,
         concentrandosi particolarmente sulla violazione di CP ;
2.1 Il Large Hadron Collider (LHC)                                                     11

   • ATLAS (A Toroidal LHC ApparatuS) e CMS (Compact Muon Solenoid)
     sono esperimenti a indirizzo generico, costruiti e progettati per poter studiare
     una grande varietà di fenomeni di fisica ad alte energie. Il loro scopo originale
     era la scoperta del bosone di Higgs e delle sue proprietà unita alla ricerca di
     fenomeni di fisica oltre il Modello Standard, oltre all’aumentare la precisione
     di misure di processi previsti dalla teoria. I due esperimenti lavorano spesso in
     collaborazione e sono stati costruiti per ottenere performance complementari.

    Il programma dei lavori e attività di LHC è mostrato in figura 2.2. L’acceleratore
è entrato in operazione nel 2010 e dovrebbe continuare i suoi lavori fino al 2040
alternando durante gli anni periodi in cui la macchina è attiva e funzionante (chiamati
Run) e periodi di manutenzione e potenziamento dell’acceleratore e degli esperimenti
(chiamati Long Shutdown). Attualmente LHC si trova nel secondo periodo di Long
Shutdown e l’inizio del periodo di Run 3 è previsto per metà 2022; questo dovrebbe
durare fino al 2025 quando, entrando nel Long Shutdown 3, la macchina e gli
esperimenti subiranno degli importanti miglioramenti in termini di performance che
permetteranno di entrare nella fase HL-LHC (High Luminosity LHC ) [28] durante
la quale la luminosità istantanea di LHC aumenterà di 7.5 volte rispetto al valore
nominale di L = 1034 cm≠2 s≠1 . La luminosità istantanea L è calcolata come:

                                          nb N 2 frev
                                   L=“                R                             (2.1)
                                           4fi‘n — ú

    in cui “ è il fattore relavistico, nb è il numero di pacchetti in collisione nel punto
di interazione, N è il numero di particelle in ogni pacchetto, frev è la frequenza di
viaggio dei pacchetti nell’anello, — ú è la lunghezza focale del pacchetto di particelle,
‘n è l’emittanza trasversa normalizzata del fascio di particelle e R è un fattore che
tiene conto di correzione geometriche e riduce il valore della luminosità.

               Figura 2.2. Tabella di marcia di LHC nel corso degli anni.
12                                                     2. LHC e l’esperimento CMS

    A partire dalla luminosità istantanea, che varia nel tempo a causa della focalizza-
zione e/o parziale disintegrazione del pacchetto di particelle che segue una collisione,
si può ottenere la luminosità integrata L:

                                          ⁄
                                     L=       L(t)dt                              (2.2)

La luminosità integrata ci permette di stimare il numero di collisioni N come segue:

                                      N = ‡pp L                                   (2.3)

dove ‡pp è la sezione d’urto dell’interazione protone-protone. Da questo deriva che il
numero di eventi Ni di un particolare processo i è:

                                      Ni = ‡i L                                   (2.4)

               q
in cui ‡pp =   i ‡i .
    Come si può vedere in figura 2.3, la luminosità integrata di LHC è aumentata
di anno in anno durante i lavori dell’acceleratore, migliorando la focalizzazione dei
pacchetti in prossimità dei punti di interazione. Il valore della luminosità integrata,
da quando LHC è entrato in funzione, è L = 190 fb≠1 e ci si aspetta che questo valore
raggiunga dei picchi tra 3000 fb≠1 e 4000 fb≠1 prima della conclusione dei lavori di
                                                                       Ô
LHC prevista per il 2040. Al contrario, l’energia nel centro di massa s raggiungerà
                           Ô
il suo valore massimo di s = 14 TeV nel corso del Run 3 e verrà mantenuta
costante fino a fine lavorazione, concentrando i lavori di upgrade e miglioramento
sulla luminosità invece che sull’energia dei pacchetti.

       (a) Maggio - Novembre 2018.                       (b) 2010 - 2018.

Figura 2.3. Luminosità integrata misurata da CMS nel periodo Maggio - Novembre 2018
   (sinistra) e negli anni 2010 - 2018 (destra).
2.2 L’esperimento Compact Muon Solenoid (CMS)                                        13

2.2     L’esperimento Compact Muon Solenoid (CMS)

                            Figura 2.4. Esperimento CMS.

Il Compact Muon Solenoid [29], abbreviato in CMS, è un esperimento (fig. 2.4)
a indirizzo generale costruito attorno a uno dei quattro punti di interazione del-
l’acceleratore LHC. I suoi obiettivi principali sono la scoperta del bosone di Higgs
e lo studio dei processi in cui esso è coinvolto, la ricerca di processi fisici oltre il
Modello Standard e la misura di precisione dei fenomeni fisici predetti dalla teoria.
Il rivelatore ha una forma cilindrica di diametro pari a circa 15 metri ed è costruito
attorno un magnete solenoidale, da cui prende il nome; la lunghezza è di circa 29
metri e il peso di circa 14000 tonnellate.
    CMS è un esperimento composto da più sotto-rivelatori (vedi fig. 2.5) progettati
per identificare particelle di diversa natura e misurarne le loro proprietà fisiche come
massa, energia, impulso; per ottenere prestazioni elevate sulle misure il rivelatore è
diviso in una zona centrale, detta barrel, e due zone esterne, dette endcap. L’alta
luminosità di LHC fa sì che il flusso di radiazione in corrispondenza dei punti di
interazione sia molto elevato; per questo motivo CMS è costruito per sostenere alti
livelli di radiazione lungo gli anni mantenendo elevate performance di acquisizione
dati. CMS ha un’elevata risoluzione spaziale per ovviare al problema di pile-up
di eventi: in una collisione tra pacchetti di protoni si verificano diverse collisioni
protone-protone e particelle provenienti da diverse interazioni possono sovrapporsi
nella stessa regione del rivelatore. Un altro fattore fondamentale è l’ermeticità,
ovvero la capacità di rivelare particelle prodotte a qualsiasi angolo rispetto all’asse
centrale in cui scorrono i fasci di particelle, e questo viene ottenuto suddividendo il
rivelatore in barrel ed endcap per coprire il più possibile l’apertura angolare delle
particelle a seguito dell’interazione.
14                                                     2. LHC e l’esperimento CMS

Figura 2.5. Sezione dell’esperimento CMS con risposta dei sottorivelatori ai vari tipi di
   particelle.

    Il sistema di coordinate di CMS è un sistema cartesiano (x, y, z) (vedi fig. 2.6)
centrato nel punto nominale di interazione. L’asse z è situato in corrispondenda
della direzione di volo dei pacchetti di protoni e diretto in senso antiorario, l’asse y
è la coordinata verticale ortogonale al piano di LHC e l’asse x punta verso il centro
dell’anello LHC. Con questo sistema di coordinate si identificano due piani principali:
     • il piano (y, z), detto piano longitudinale;
     • il piano (x, y), detto piano trasversale.

                  Figura 2.6. Sistema di coordinate cartesiane in CMS.

   Poiché CMS presenta una simmetria cilindrica è anche utilizzato un sistema di
coordinate cilindriche (r, ◊, „) in cui r è la distanza radiale dall’asse z, „ è l’angolo
2.2 L’esperimento Compact Muon Solenoid (CMS)                                           15

polare attorno l’asse x e ◊ è l’angolo azimutale attorno l’asse z. Spesso all’angolo ◊
viene preferita la pseudorapidità ÷ definita come:
                                             3         4
                                                   ◊
                                    ÷ = ≠ ln tan                                     (2.5)
                                                   2

Questo perché, nel limite in cui le masse tendono a zero (rispettato nella stragrande
maggioranza dei fenomeni di interesse presso LHC), la pseudorapidità tende ad
essere uguale alla rapidità y definita come:
                                            3          4
                                      1   E ≠ pz
                                   y = ln                                            (2.6)
                                      2   E + pz

La rapidità tende a 0 quando la componente longitudinale dell’impulso p è nulla,
mentre tende a ≠Œ quando l’impulso è totalmente longitudinale; l’andamento di ÷
rispetto all’asse di volo delle particelle presso LHC è mostrato in figura 2.7. Inoltre
le differenze in rapidità, e quindi in pseudorapidità, nel limite di massa nulla sono
invarianti relativistici sotto boost di Lorentz effettuati nella direzione di volo del
fascio di particelle.

Figura 2.7. Raffigurazione dell’andamento di ÷ rispetto alla direzione di volo dei fasci di
   particelle (orizzontale).

    Partendo dal punto di interazione e andando verso l’esterno del rivelatore si
susseguono (fig. 2.5):

   • Tracciatore al Silicio: è il rivelatore più interno e più esposto a radiazione; la
     funzione del tracciatore (o tracker) è quella di ricostruire i vertici di interazione
     e decadimento e le tracce delle particelle cariche che lo attraversano, senza
     apportare pesanti modifiche alla loro cinematica. Essendo immerso in un
     campo magnetico è possibile misurare anche l’impulso delle particelle cariche
     tramite la loro curvatura. Il tracker ha un raggio di 1.2 metri, è lungo 5.8 metri
     e copre la regione di spazio con |÷| < 2.5. Esso è composto sia da pixel che da
     strips al silicio: nel barrel ci sono tre strati di pixel e dieci di strips mentre
     negli endcap due strati di pixel e dodici di strips. Il più interno è il rivelatore
     a pixel tramite il quale viene ricostruito il vertice primario dell’interazione ed
     eventuali vertici secondari e presenta un’accuratezza di 10 µm nella direzione
16                                                                            2. LHC e l’esperimento CMS

        radiale e 20 µm nella direzione trasversa. Il rivelatore a strips ha invece una
        risoluzione compresa tra 35 ≠ 52 µm lungo la direzione radiale e pari a 530 µm
        nella direzione trasversale.
     • Calorimetro elettromagnetico (ECAL): costituito da cristalli di tungstato
       di piombo (PbWO4 ) è un calorimetro omogeneo con raggio compreso tra 1.2
       e 1.8 metri; il suo scopo è quello di identificare elettroni e fotoni e misurarne
       l’energia. Anch’esso è diviso in barrel ed endcap: il barrel è composto da 61200
       cristalli, le endcap da 7324 cristalli l’una. Il tungstato di piombo presenta
       una piccola lunghezza di radiazione X0 = 0.89 cm e un piccolo raggio di
       Molière RM = 1.96 cm che permette al calorimetro di contenere lo sciame
       elettromagnetico in poco spazio, ha una risposta molto rapida (circa l’80%
       della luce viene raccolto in 25 ns) e presenta un’alta resistenza alla radiazione.
       La risoluzione energetica di ECAL è pari a:
                    3        42       A                  1   B2       3               42
                        ‡E                2.8% GeV 2                      12% GeV
                                  =          Ô                    +                        + (0.3%)2   (2.7)
                        E                      E                             E
        in cui il primo termine è contributo dovuto alle fluttuazione di fotoelettroni
        misurati, il secondo termine è il rumore elettronico e il terzo termine è una
        costante che domina ad alte energie e tiene conto della intercalibrazione del
        calorimetro e altre incertezze sistematiche.
     • Calorimetro adronico (HCAL): a differenza di ECAL, HCAL è un calori-
       metro a campionamento in cui il materiale assorbente è acciaio-ottone mentre
       il materiale atttivo è composto di scintillatori plastici. HCAL identifica e
       misura gli adroni e la loro energia. Copre una regione di spazio con |÷| < 5 ed
       è suddiviso in quattro parti: il Barrel Hadronic Calorimeter HB, posizionato
       tra ECAL e il magnete, copre la regione con |÷| < 1.3 e ha uno spessore di 5.8
       lunghezze di interazione ⁄; l’Endcap Hadronic Calorimeter HE, posizionato
       anch’esso tra ECAL e magnete ma coprendo la regione 1.3 < |÷| < 3; l’Outer
       Hadronic Calorimeter HO, posizionato oltre il magnete, ricostruisce l’energia
       delle code degli sciami adronici che non sono stati contenuti in HB (per via del
       suo basso spessore in termini di lunghezze di interazione ⁄); il Forward Hadro-
       nic Calorimeter HF, che copre la regione in cui 3 < |÷| < 5, ed è realizzato
       con materiali diversi dalle altre parti del calorimetro: il materiale assorbente è
       ferro e il materiale attivo è composto da fibre di quarzo.
        La risoluzione di HCAL nel barrel e negli endcap è pari a:
                                  3        42       A                 1   B2
                                      ‡E                90% GeV 2
                                                =          Ô                   + (4.5%)2               (2.8)
                                      E                      E
        mentre la risoluzione di HF è:
                                  3        42       A                     1   B2
                                      ‡E                172% GeV 2
                                                =          Ô                       + (9%)2             (2.9)
                                      E                      E

     • Magnete solenoidale: composto da una lega di titanio e niobio, è lungo
       12.5 metri e ha un diametro di 6 metri. Al suo interno ci sono il tracker e i
2.3 Ricostruzione delle particelle                                                   17

      calorimetri e produce un campo magnetico pari a 3.8 T nella direzione del
      fascio di particelle, operando a una temperatura di 4.65 K. Al suo esterno c’è
      un giogo di ritorno in ferro, che si alterna alle camere muoniche, per mantere
      il campo magnetico di ritorno il più uniforme possibile. Il magnete riesce a
      mantenere un campo magnetico pari a 1.8 T anche al suo esterno.

   • Camere muoniche: i rivelatori di muoni sono posti nella parte più esterna
     degli esperimenti poiché queste particelle rilasciano poca energia nella materia
     e, quindi, richiedono appositi strumenti per identificarli. CMS presenta tre
     tipi diversi di rivelatori a gas i quali, lavorando congiuntamente col tracciatore
     interno, identificano i muoni e ne misurano l’impulso. Nella zona del barrel,
     nella regione |÷| < 1.2, vi sono le camere a deriva poste nell’intervallo di
     distanza 4-7 metri dal punto di interazione; le camere a deriva sono formate
     da numerosi fili paralleli, tenuti ad alto potenziale positivo, circondati da
     un catodo: il passaggio della particella nel rivelatore ionizza il gas al suo
     interno e gli elettroni così generati migrano verso gli anodi, permettendo di
     ricostruire la traccia della particella. Nella zona dell’endcap (0.8 < |÷| < 2.4)
     sono presenti quattro camere a strisce catodiche in un intervallo di 6-11 metri
     dal punto di interazione, separate da dischi in ferro che agiscono come giogo di
     ritorno per il magnete solenoidale, che forniscono misure di r e „. Le camere a
     strisce catodiche sono un’evoluzione delle camere a deriva: il catodo in questo
     caso è una serie di strisce di rame posizionate ortogonalmente ai fili anodici,
     permettendo di ricostruire la traccia della particelle lungo le due direzioni di
     spazio perpendicolari. Infine, presenti sia nel barrel che negli endcap nella
     regione |÷| < 2.4, vi sono le Resistive Plate Chambers, camere a piani resistivi
     formati da due lastre parallele di materiale plastico ad alta resistività che
     agiscono da anodo e catodo separate da un gas; le RPC acquisiscono misure
     di posizione e tempo relative ai muoni oltre a fornire una rapida misura del
     loro impulso che, nella tecnica B-Parking (vedi sezione 2.4), permette una
     rapida decisione del trigger sull’acquisire o meno l’evento considerato; le RPC
     possiedono un’ottima risoluzione temporale (≥ 1 ns) e un’altissima efficienza
     di rivelazione (vicina al 100%).

   • Trigger: CMS può osservare gli eventi ad un tasso di eventi al secondo pari
     a 40 MHz, ma di questi solo circa 1000 al secondo possono essere acquisiti; il
     sistema di trigger di CMS è diviso in due livelli con lo scopo di abbassare la
     frequenza dei dati fino al valore massimo di acquisizione: il trigger di primo
     livello (Level 1 o L1) e il trigger di alto livello (High Level Trigger o HLT).
     L1 è un trigger totalmente hardware con una latenza fissa di 3.4 µs; in questo
     intervallo di tempo L1 decide quali eventi selezionare riducendo la frequenza
     dei dati da 40 MHz a 100 kHz. HLT è un trigger totalmente software e riduce
     la frequenza dei dati a 1 kHz permettendo la memorizzazione dei dati.

2.3     Ricostruzione delle particelle
La ricostruzione degli eventi fisici acquisiti viene effettuata applicando l’algoritmo
Particle Flow il cui scopo è quello di identificare e ricostruire le particelle generate
18                                                    2. LHC e l’esperimento CMS

negli eventi come elettroni, muoni, fotoni e adroni carichi e neutri; l’algoritmo sfrutta
l’alta granularità di CMS e le informazioni raccolte dai singoli sottorivelatori per
determinare con precisione le caratteristiche delle particelle come la loro direzione,
l’energia e la loro identità. Nel corso di questo lavoro ci siamo concentrati su eventi
il cui stato finale è formato da una coppia muone-pione: vediamo in dettaglio come
queste particelle vengono ricostruite dall’algoritmo Particle Flow.

2.3.1    Ricostruzione dei muoni
I muoni vengono rivelati in maniera indipendente dal tracciatore interno e dalle
camere muoniche esterne al magnete, ottenendo due tracce diverse [34]: le tracker
tracks, rivelate dal tracciatore, e le standalone-muon tracks rivelate dalle camere
muoniche; entrambe queste informazioni vengono utilizzate e processate per la rico-
struzione dei muoni secondo due approcci diversi: la Global Muon Reconstruction e
la Tracker Muon Reconstruction.
Le tracce Global Muon sono ottenute dalla corrispondenza di ogni traccia rivelata
nelle camere muoniche con le tracce ottenute dal tracciatore utilizzando un approccio
dall’esterno verso l’interno [35]; la corrispondenza tra le tracce viene eseguita con-
frontando i parametri spaziali (÷, „) e gli impulsi. Quando si è individuata la traccia
del tracciatore che corrisponde meglio alla traccia delle camere muoniche si realizza
un fit combinato delle due utilizzando la tecnica del filtro Kalman: un algoritmo
ricorsivo basato sul metodo dei minimi quadrati in cui ad ogni iterazione i viene
aggiunta la posizione i-esima della particella com’è stata acquisita dai rivelatori,
aggiornando il fit ad ogni singola iterazione.
Le tracce Tracker Muon sono ottenute utilizzando un approccio contrario a quello
delle Global Muon, ovvero dall’interno verso l’esterno. Queste tracce sono rico-
struite ipotizzando che tutte le tracce rivelate dal tracciatore interno siano possibili
candidati muoni [36] e andando a cercare misure compatibili con queste tracce nei
calorimetri e nelle camere muoniche. I candidati muoni sono tracce con pT > 0.5 GeV
e p > 2.5 GeV e vengono estrapolate nel rivelatore di muoni considerando il campo
magnetico a cui sono sottoposte, la perdita di energia media delle particelle e i
fenomeni di multiplo scattering nel rivelatore; poi vengono confrontate con le tracce
ricostruite nelle diverse stazioni delle camere muoniche richiedendo che ogni traccia
estrapolata sia in corrispondenza con almeno un segmento ricostruito nelle camere
muoniche. I muoni con basso pT non riescono a raggiungere le zone più esterne del
rivelatore generando, al massimo, pochi segmenti nelle stazioni più interne delle
camere muoniche. Per questo la ricostruzione tramite le tracce Tracker Muon ha
un’alta efficienza per muoni a basso pT (con pT Æ 5 GeV) non richiedendo la pre-
senza di una traccia standalone ottenuta nelle camere muoniche; al contrario, la
ricostruzione tramite le tracce Global Muon ha alta efficienza per muoni con energie
più alte che riescono a penetrare fino alle stazioni più esterne delle camere muoniche,
generando delle tracce standalone apprezzabili.
Quasi la totalità dei muoni prodotti nell’intervallo di accettanza delle camere muo-
niche (|÷| < 2.4) viene ricostruita con successo con una delle due tecniche appena
descritte; quando un muone viene ricostruito con entrambi i metodi e le sue tracce
Tracker Muon e Global Muon condividono la traccia rivelata nel tracciatore le due
tracce vengono unite e considerate come unico candidato muone.
2.3 Ricostruzione delle particelle                                                         19

    In figura 2.8 è mostrata l’efficienza di ricostruzione dei muoni prodotti dal
decadimento del bosone Z in funzione delle loro variabili cinematiche , mentre in
figura 2.9 viene mostrata l’efficienza di selezione combinata dei trigger L1 e HLT.

Figura 2.8. Efficienza di identificazione per muoni prodotti dal decadimento del bosone Z in
   funzione di pT (sinistra) e ÷ (destra); la componente dominante di incertezza sistematica
   è data dalle imperfezioni nella parametrizzazione delle distribuzioni di massa mµµ per
   segnale e fondo [37].

Figura 2.9. Efficienza combinata dei trigger L1 e HLT quando viene richiesta la presenza
   di un singolo muone con pT > 24 GeV in funzione del pT (sinistra) e ÷ (destra) del
   muone stesso; nella figura di destra viene alzata la soglia sull’impulso trasverso a pT > 26
   GeV. Nei riquadri in basso è mostrato il rapporto tra dati e simulazioni Monte Carlo.
   L’efficienza mostra un calo nei dati del 2017 dovuta all’implementazione di un nuovo
   algoritmo di ricostruzione dei muoni per il trigger HLT; questo calo non è presente nei
   dati dell’anno successivo (2018) grazie ai miglioramenti applicati sull’algoritmo sia per
   HLT che per L1 [38].

2.3.2    Ricostruzione dei pioni carichi
I pioni carichi sono ricostruiti utilizzando le tracce acquisite dal tracciatore interno
e i depositi di energia rilasciati nei calorimetri.
Le tracce di particelle cariche rivelate nel tracciatore vengono ricostruite utilizzando
lo stesso filtro Kalman discusso per la ricostruzione delle tracce dei muoni [36]; in
20                                                      2. LHC e l’esperimento CMS

particolare vengono poste due condizioni affinché una traccia venga ricostruita: che
essa abbia colpito almeno due celle consecutive del tracciatore e che il totale delle
celle colpite sia almeno otto, con al massimo una cella non colpita lungo la traiettoria.
L’efficienza di ricostruzione delle tracce di pioni carichi con pT > 1 GeV è pari al
70-80% [37], a differenza dei muoni la cui efficienza di ricostruzione raggiunge il 99%.
Questa differenza è dovuta principalmente alla possibilità che i pioni intercorrano in
interazioni nucleari con il materiale del tracciatore e la probabilità di interazione
nucleare per gli adroni è circa del 10-30%. Per adroni con pT > 10 GeV l’efficienza
di ricostruzione è ancora più bassa: queste particelle ad alto impulso trasverso si
trovano di solito in jet di particelle molto collimati e la sensibilità del tracciatore non
permette di distinguere quando più particelle colpiscono le stesse celle. Nel caso in
cui la traccia di un adrone carico non venga ricostruita esso verrà riconosciuto solo
dal deposito energetico nei calorimetri e quindi identificato come un adrone neutro,
con un’efficienza di ricostruzione ridotta a causa della minore risoluzione energetica
associata alla particella e dell’errata ricostruzione della sua direzione di volo, curva
all’interno del tracciatore per via del campo magnetico ma ricostruita come una linea
retta se viene associato ad una particella neutra. Poiché circa due terzi dell’energia
di un jet è dovuta ad adroni carichi, percentuali di inefficienza di ricostruzione delle
tracce pari al 20% possono dimezzare la risoluzione energetica e angolare del jet.
L’inefficienza di ricostruzione delle tracce può essere ridotta abbassando la soglia sul
pT delle tracce ricostruite e accettando tracce che abbiano colpito almeno cinque
celle nel tracker; il costo di questi accorgimenti è l’innalzamento del tasso di tracce
mal ricostruite fino al 80%.
     I depositi energetici nei calorimetri vengono raggruppati prima in cluster: si
individuano le celle del calorimetro con più alta energia e si valuta l’energia rivelata
dalle celle vicine, costruendo poi il cluster aggiungendo le celle aventi un’energia
depositata oltre una soglia imposta che condividono almeno un vertice con le
celle iniziali. Gli adroni generano solitamente degli sciami sia nel calorimetro
elettromagnetico (ECAL) che in quello adronico (HCAL); a causa delle differenze
tra le diverse componenti dei calorimetri, elencate in 2.2, ognuna di queste ha una
diversa calibrazione energetica.
     Le tracce ricostruite nel tracciatore e i depositi energetici nei calorimetri vengono
poi messi in corrispondenza tramite un’algoritmo di link: la traccia viene estrapolata
a partire dall’ultima cella colpita nel tracciatore fino ai due strati di presciame,
al calorimetro elettromagnetico ECAL fino alla profondità tipica di uno sciame
generato da un elettrone e al calorimetro adronico HCAL fino a una profondità pari
a una lunghezza d’interazione; se l’estrapolazione della traccia si trova nella regione
angolare (÷, „) dei depositi energetici in ECAL e in HCAL del barrel, o nella regione
di spazio nel piano (x, y) per gli endcap di ECAL, la traccia nel tracciatore viene
associata a questi depositi. Nel caso più tracce siano associate allo stesso deposito
in ECAL o in HCAL viene scelta la traccia la cui posizione estrapolata è più vicina,
nel piano (÷, „), ai cluster considerati.
     In figura 2.10 sono mostrate l’efficienza di ricostruzione e il tasso di mal rico-
struzione per tre diverse classi di tracce cariche in funzione del loro pT ; per valori
di pT nell’intervallo ≥ 1 GeV Æ pT Æ≥ 10 GeV si hanno ottimi valori per entrambi
i parametri. Per valori di pT ≥ 100 GeV l’efficienza si abbassa drasticamente e il
tasso di mal ricostruzione raggiunge valori prossimi al 10%: questo è dovuto, come
2.4 Campione di dati dedicato per la fisica del mesone B                                    21

abbiamo già accennato, alle interazioni nucleari tra adroni e tracker interno e al
pile-up di tracce che si raggruppano in jet collimati che comportano difficoltà nella
ricostruzione delle singole particelle.

Figura 2.10. Efficienza (sinistra) e tasso di mal ricostruzione (destra) per tracce cariche
   ottenute da una singola iterazione (quadrati neri), tracce ottenute con la prompt iteraction
   (triangoli verdi), basate su dati con almeno un pixel colpito nel tracker interno, e per
   tutte le tracce cariche (cerchi rossi), in funzione del pT . Vengono considerate solo le
   tracce con |÷| < 2.5 [37].

2.4     Campione di dati dedicato per la fisica del mesone
        B
Nel 2018 è stato approvato ed effettuato il B-Parking, un metodo innovativo di
acquisizione dati che ha permesso all’esperimento CMS di ricostruire dieci miliardi
(1010 ) di decadimenti di mesoni B [30]. Questa particolare tecnica è stata pensata
per permettere a CMS di studiare e analizzare la fisica del mesone B, un’area di
ricerca che ha riscosso grande interesse a seguire delle misure effettuate da vari
esperimenti (quali Belle [31], BaBar [32], LHCb [33]) che indicano l’evidenza di
violazioni dell’universalità leptonica in fenomeni fisici dei mesoni B. Inizialmente
CMS non è stato pensato per studiare la fisica dei mesoni B: questi fenomeni fisici
presentano particelle con energie molto basse, di pochi GeV, mentre CMS è stato
progettato per lavorare ad energie molto più alte; per questo motivo l’acquisizione
dati effettuata con B-Parking è ritenuta un fiore all’occhiello di CMS, indicativo
anche della capacità dell’esperimento di adattarsi a nuove ricerche e nuove analisi
inizialmente non pensate.
    I due livelli di trigger discussi nel paragrafo precedente permettono di acquisire
decadimenti di mesoni B con muoni nello stato finale. L’alto numero di eventi
prodotti e l’alta probabilità di scambiare adroni con elettroni a livello di acquisizione
obbliga ad applicare soglie sull’impulso trasverso molto alte (pT > 10 GeV) nel caso
di trigger per elettroni, risultando quindi altamente inefficiente per gli elettroni a
basso impulso prodotti dal decadimento di mesoni B. Nel B-Parking viene però
sfruttato il decadimento della luminosità istantanea, e quindi anche del pile-up di
eventi, provocata in LHC successivamente alle collisioni tra pacchetti di protoni.
L’abbassarsi della luminosità implica una riduzione degli eventi selezionati dai trigger
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