RELAZIONE INTRODUTTIVA DI GIANNI PERACCHI, SEGRETARIO GENERALE CGIL BERGAMO
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RELAZIONE INTRODUTTIVA DI GIANNI PERACCHI, SEGRETARIO GENERALE CGIL BERGAMO CGIL Bergamo, assemblea generale 9 luglio 2019 Forse siamo già fuori tempo massimo con le considerazioni sulle elezioni del 26 maggio scorso, o meglio, sono quelle considerazioni che rischiano di essere disallineate rispetto ai nuovi assetti politici e ai nuovi orientamenti che il Governo giallo-verde sembra voler assumere. Questo è un primo tema: da una parte la velocità e la continua volubilità delle promesse e degli annunci del Governo, propinate con la customerizzazione dei messaggi che le nuove tecniche comunicative consentono; dall’altra la velocità e la volubilità dell’opinione pubblica che muta in tempi rapidissimi e non tiene più conto soltanto dei contesti ideologici, sociali ed economici in cui si forma, ma subisce, soprattutto, l’influenza distorsiva dei messaggi di cui dicevo prima, veicolati dai media e dai social. Anche dopo l’esito elettorale l’azione del Governo e delle forze politiche che lo sostengono, nonostante un tasso di litigiosità interna quasi caricaturale, continua a negare, compatto, la criticità della situazione economica e sociale del Paese, a mascherare l’incapacità di realizzare politiche di risanamento e di sviluppo, ad inventare ad ogni piè sospinto qualsiasi argomento possibile ed immaginabile per distogliere l’attenzione dalla crisi e dalla stagnazione in cui è ripiombata la nostra economia e la nostra società. Non è casuale, d’altra parte, la lotta feroce ed intestina per occupare i gangli vitali dell’informazione nel Paese. Nonostante fossimo ad un passo dalla procedura di infrazione da parte dell’UE si è preferito continuare, in una estenuante campagna elettorale, a nascondere la polvere sotto il tappeto, alzando la voce senza titolo né peso per scaricare su altri (gli eurocrati di Strasburgo o i governi precedenti) responsabilità ed incapacità genuinamente proprie. Così come si è rimosso il fatto che la manovra correttiva di bilancio, la più consistente di sempre pari a 7,5 miliardi, sia stata possibile grazie al flop rispetto alle attese di Quota Cento e Rdc, le due bandiere di Lega e Cinque Stelle, e ai maggiori proventi entrati grazie all’introduzione, non certo voluta da questo Governo, della fatturazione elettronica. Gli indicatori economici certificano un ulteriore rallentamento dell’industria, un ridimensionamento di artigianato e commercio, la stagnazione dell’edilizia, la fuga, per Quota Cento, dalla pubblica amministrazione con un problema di sostituzione del personale grande come una casa, l’aumento record del debito pubblico. I dati occupazionali, dopo i segnali di ripresa di inizio 2018, sono fermi, anzi ad aprile erano in ribasso in termini di volumi complessivi, pur con un riequilibrio tra tempi determinati e indeterminati. I dati Istat di maggio, sbandierati grazie agli zero virgola di cui nessuno al Governo si doveva accontentare, sono stime e dovranno essere verificati su base annua. Dati positivi grazie all’impennata delle partite Iva e degli stagionali, il che induce però ad una profonda riflessione come alcune leve fiscali rischiano di produrre (Irpef al 15% per una Partita Iva fino a 65mila euro) una metamorfosi dello status di lavoratore. Ma è utile, comunque, soffermarci su una sommaria analisi del voto, pescando a piene mani nei materiali elaborati dall’istituto Cattaneo e da Ipsos ed elaborati dalla struttura regionale. La Lega è il vincitore assoluto: passa da 1,6 milioni di voti nel 2014 (6,2%) a 5,5 milioni nel 2018 (17,7%) e raggiunge nel 2019 la quota di 9,6 milioni di voti (34,3%). Cresce dappertutto, ma soprattutto al Nord ed al Centro, espandendosi comunque (oltre il 20%) al Sud e nelle Isole. Diviene un “partito nazionale pigliatutto”. Va comunque rilevato che in Lombardia, Veneto (49,9%) e Friuli Venezia Giulia supera il 40%. Il Movimento Cinque Stelle è il grande sconfitto: ottiene 4,8 milioni di voti (17,1%), un crollo rispetto ai 10,2 milioni (32,4%) dell’anno scorso, ma un calo anche sulle europee del 2014 (5,8 milioni, 21,2%). La diminuzione è territorialmente omogenea rispetto al voto politico, più accentuata al Nord rispetto al precedente voto europeo. Si accentua la meridionalizzazione di questa forza politica.
Per il PD le europee del 2019 sono elezioni in chiaroscuro: 6 milioni di voti (22,7%) sono una debacle rispetto alle europee del 2014 (11,1 milioni, 40,8%), ma un primo recupero sulle politiche dell’anno scorso (5,9 milioni, 22,7%). La crescita rispetto alle politiche avviene in tutte le regioni, eccezion fatta per Valle d’Aosta e l’Umbria, ma è più marcata al Sud e nelle Isole. Forza Italia, ottenendo 2,3 milioni di voti (8,8%) risulta sostanzialmente dimezzata sia rispetto al voto politico del 2018 (4,5 milioni, 14,2%) che sul precedente voto europeo (4,6 milioni, 16,8%). Fratelli d’Italia riporta il miglior risultato fin qui ottenuto: 1,9 milioni di voti (6,5%) rispetto a 1,4 milioni (4,4%) dell’anno scorso ed al milione di voti (3,7%) delle europee del 2014. L’elettorato, che vota in queste consultazioni in misura diversa, è anche molto volatile, soprattutto al Sud: il primo partito italiano nel 2014 è il PD, nel 2018 il Movimento Cinque Stelle, nel 2019 la Lega. C’è spazio per qualche riflessione in casa nostra, cioè in ambito sindacale? Verosimilmente si. È di grande attualità, nel campo della sinistra e del movimento sindacale, il dibattito sulle diseguaglianze che si sono acuite con la crisi e con la globalizzazione, con il conseguente senso di insicurezza e di incertezza che muove le paure di gran parte delle popolazioni occidentali, sul ripiegamento in difesa dei confini e delle sicurezze (almeno ritenute tali) del passato, sul modello iperliberista tollerato, secondo il giudizio di molti, anche dalle compagini governative di centro sinistra. Tutto vero ma dobbiamo anche fare i conti con gli ingenti investimenti sul piano comunicativo e di “costruzione” dell’opinione pubblica delle forze di destra e di centro destra che hanno surclassato in tal senso il berlusconismo di ieri. Oggi assistiamo al paradosso, confermato dai contributi scientifici che autorevoli esperti ci hanno presentato e documentato, che a fronte di una maggior numero di informazioni e di una maggiore platea di persone che vi possono accedere il livello di “ignoranza” è in aumento anziché in diminuzione. E appunto, nella tornata elettorale scorsa ed in larga misura in molti paesi europei, hanno sfondato quelle forze politiche che su tali insicurezze hanno costruito le proprie strategie ed adeguato il loro linguaggio, mosso le proprie leve, gettando benzina sul fuoco delle paure, creandone ad arte di nuove, viaggiando con i messaggi del tanto meglio tanto peggio. La Lega ha speso centinaia di milioni nelle campagne social, arrivando perfino a costruire pacchetti di messaggi personalizzati ed “orientanti” rivolti a platee di utenti Facebook tra i 12 ed i 17 anni. I porti sicuri sono quelli chiusi, il futuro si affronta con la schiena girata, indossando il grembiulino d’ordinanza, le donne e i diversi vanno rimessi un po’ in riga, neri e zingari a casa loro.
Oscurantismo, rigurgiti xenofobi innestati sulle fragilità delle persone, sull’abbassamento dei livelli di conoscenza e di competenza e divulgati a pioggia con i nuovi mezzi, a partire dai social hanno contribuito in modo determinante a creare in Italia e, per fortuna in misura minore, in Europa questo clima. A tutto questo si è aggiunta e si aggiunge una inequivocabile crisi della sinistra che non è più stata in grado di rappresentare e ad attrarre i giovani, le fasce della popolazione che esprimono i bisogni maggiori. Personalmente non credo per mancanza di radicalità - diversamente avrebbero avuto successo le posizioni più intransigenti e le formazioni maggiormente identitarie che, viceversa, si sono ulteriormente divise e frammentate - ma piuttosto per la difficoltà a proporre al Paese un progetto di crescita, di coesione sociale e di equità che abbia in sé una prospettiva positiva rivolta al futuro. E forse cominciamo a rimpiangere e a rivalutare qualcosa su cui anche noi abbiamo sparato ad alzo zero fino a ieri e che, ancora oggi, continua ad essere oggetto di dileggio e di critica aprioristica (anche se fatta a posteriori). D’altra parte la capacità di dividersi nel campo progressista è un’erbaccia difficile da estirpare. Anche noi, forse, abbiamo contribuito in parte a mettere in un angolo la sinistra. Ciò detto uno dei fronti verso i quali tenere dritta, oggi e domani, la barra, che si è dimostrato vincente a livello sovranazionale, è quello della promozione, del sostegno e del richiamo al progetto di un Europa unita, più inclusiva e più attenta alla tutela del lavoro. Non è un caso che Il tema di consolidare il progetto Europa, ripeto, da migliorare, ri-qualificare, sia stato il cuore della nostra campagna per il 25 aprile e per il 1° maggio, con le bandiere blu affisse ovunque nelle nostre sedi. Quel progetto che, fortunatamente, ha retto bene all’attacco delle forze sovraniste e populiste, sconfitte alle elezioni e minoranza nel parlamento europeo. Detto tutto questo i risultati elettorali fanno emerge, a mio avviso, un altro elemento interessante che deve farci riflettere. Innanzitutto si è notevolmente ampliato il cosiddetto “voto disgiunto”. Si può, cioè, osservare una accentuata capacità di discernimento di chi ha espresso il proprio voto in un modo sulla scheda per le europee e in tutt’altra direzione su quella per le amministrative. E questo al netto del sensibile aumento della astensione che, pur costituendo un problema serissimo, se inquadrata in un contesto internazionale, non va comunque fuori soglia. Tra l’altro una parte dei voti rientrati dall’astensione, secondo l’analisi dei flussi elettorali, finisce nel campo del centro sinistra. E, a proposito di astensione, una querelle che mi trovo spesso ad affrontare con molte amiche ed amici che ritengono, legittimamente, di avere la verità in tasca e non si sentono soddisfatti da alcuna proposta politica (a sinistra), è che chi si astiene di fatto agevola la maggioranza di quel momento. Inoltre il dato delle amministrative è decisamente più confortante. L’area civica e di centrosinistra mantiene municipi importanti, perde in pochi casi e conquista nuove piazze. Stezzano Futura conquista Stezzano ed il vicesindaco risponde al nome di Luigi Bresciani, altri importanti centri tengono come Romano di Lombardia, si perde a Dalmine per pochissimi voti. Così come positivo e per nulla scontato il voto nel comune capoluogo, dove Gori vince al primo turno con un largo schieramento ed un radicamento importante nel civismo. Ed anche in questo caso il paradigma centro – periferie, visibilissimo su scala provinciale per quanto riguarda le opzioni pitiche generali è capovolto se guardiamo la città, dentro la città.
L’elemento su cui riflettere è, infatti, lo sfondamento del centro sinistra nelle periferie e nei quartieri cittadini, luoghi e simboli assunti dalla campagna della Lega come decisivi per vincere le elezioni. In questo caso credo sia stata determinante la minore distanza tra percezione e realtà, elemento caratteristico della politica e dell’attività amministrativa, maggiormente verificabile e riscontrabile essendoci più vicina. Insomma le relazioni dirette con le persone e una buona amministrazione hanno contribuito alla costruzione di un giudizio più ponderato e consapevole ed hanno avuto la meglio su tweet ed hastag. Sono banali considerazioni queste che dovrebbero però fare riflettere e, forse, indurre a trasporre, per quanto possa essere complicato, uno schema simile a livello più generale.
Ma torniamo al nostro ruolo di rappresentanza del lavoro e sociale. A livello locale dobbiamo continuare a mantenere capacità di progetto e di proposta in modo autonomo ed a fare il meglio possibile il nostro lavoro in azienda e nel territorio con la contrattazione aziendale e territoriale, con la nostra azione negoziale collettiva e con la nostra capacità di ascoltare e di fornire giuste e mirate tutele individuali a bisogni vecchi e nuovi. Lo abbiamo sottolineato in più di una occasione: in una società atomizzata, in un contesto in cui il lavoro diventa iper-parcellizzato, in un fase in cui le trasformazioni del mondo del lavoro sono profonde e rapidissime, in una società in cui le persone anziane aumentano ed i giovani rischiano di avere poche prospettive per il loro futuro i nostri contatti, la nostra azione, la nostra prossimità possono diventare, meglio ridiventare, elementi utili, attrattivi e meglio percepiti da chi rappresentiamo. Il sindacato come soggetto di tutela e promozione del lavoro e luogo di costruzione, di ricostruzione di legami sociali. Da qui la scelta di investire sul nostro radicamento nel territorio, in aggiunta naturalmente alla azione sindacale più ortodossa. Le sedi sono luoghi importanti che consento di avere contatti diretti con le persone ed il contributo del sindacato dei pensionati a questo fine è davvero determinante. 12 APRILE 2019 – INAUGURAZIONE SEDE CGIL DALMINE Le inaugurazioni di Dalmine, Ponte San Pietro, la nuova sede dell’Etli, in ordine di tempo, le politiche di reinsediamento più in generale, rappresentano plasticamente questa scelta. Così come dobbiamo continuare nella ricerca di un giusto equilibrio tra contrattazione e servizi, tra rappresentanza degli interessi particolari e collaborazione per una migliore gestione delle tutele individuali in un’ottica di maggiore confederalità. Un’altra direttrice concreta che stiamo perseguendo, pur nel nostro perimetro d’azione limitato, per rimediare in qualche modo alla crisi politica e di rappresentanza che abbiamo dinanzi a noi è quella di fornire strumenti ed elementi di conoscenza in un caos istituzionale e legislativo difficile da dipanare. È fondamentale diffondere ed allargare la discussione sui temi che man mano si presentano, a partire dai nostri delegati, di promuovere una discussione larga, articolata e di diffondere consapevolezza per arginare le campagne denigratorie e distorsive dei populisti che si riverberano non soltanto nel campo della politica, ma minano anche la credibilità del sindacato. Elena Lattuada nell’ultima riunione dell’Assemblea Generale lombarda ha insistito molto su questo ed anch’io condivido pienamente.
Anche per questo abbiamo messo in cantiere una campagna diffusa ed articolata su diversi livelli, dai temi sanitari ad interventi nelle scuole superiori ad assemblee formative per delegati e pensionati volta a decodificare le fake news e, ci proviamo, ad instillare un po’ più di senso critico nella lettura delle informazioni, verificandone, ad esempio, le fonti. Consapevolezza, senso critico e conoscenza sono le armi più efficaci per contrastare il processo di disgregazione sociale a cui oggi assistiamo. Si fa una fatica dannata perché argomentare le nostre scelte sul salario minimo, ad esempio, con la strumentalizzazione semplice, facile anche se non vera che il sindacato è contro l’aumento degli stipendi non è per nulla facile. A maggior ragione abbiamo bisogno di stare sul pezzo con argomentazioni solide e capibili. Oggi proveremo ad approfondire tre altri pezzi “forti” su cui si basa la propaganda del Governo giallo-verde, rispetto ai quali le nostre posizioni registrano distanze siderali: questione fiscale, sicurezza, appalti. Lo faremo con i prossimi due interventi di Luciana ed Orazio. In occasione del consueto appuntamento di settembre in Malga, metteremo la lente di ingrandimento sul tema dell’autonomia differenziata ed in corso d’opera del confronto con il Governo sul salario minimo. In questo percorso continueremo ad elaborare, in una ottica di autonomia sindacale rinnovata e qualificata, analisi e proposte che riguardano innovazione e cambiamento del lavoro. In questo senso gli spunti emersi nei due seminari che abbiamo organizzato nelle scorse settimane, ricerca e progresso e comunitari e cosmopoliti, ci saranno senz’altro d’aiuto. Così come dovrebbe aiutarci il Protocollo d’intesa siglato il 24 giugno con Confindustria di Bergamo riguardante formazione 4.0.
Un protocollo di indirizzo che sarà sperimentato sul campo, in alcune realtà produttive del nostro territorio in un confronto negoziale tra RSU e direzioni aziendali. Il confronto proverà a declinare, gestire e governare insieme i processi di cambiamento, di riorganizzazione del lavoro, di riqualificazione dei profili professionali ed andrà sistematicamente monitorato, anche per ricavarne, eventualmente, esempi di buone pratiche. Naturalmente il presupposto perché questa prospettiva abbia successo è che anche in casa sindacale si riprogetti la formazione in chiave di innovazione, in chiave digitale, che consenta di affrontare il cambiamento del lavoro dopo l’esperienza ormai passata del modello fordista. Infine concludo richiamando un altro impegnativo percorso che abbiamo già iniziato e che potrebbe approdare in autunno ad un epilogo importante. Considerate anche alcune delle valutazioni fatte in premessa ed il dibattito sindacale sulle politiche di questo Governo la mobilitazione con CISL e UIL non può oggi fermarsi. 22 GIUGNO 2019 - MANIFESTAZIONE A REGGIO CALABRIA - #FUTURO AL LAVORO. RIPARTIAMO DAL SUD PER UNIRE AL PAESE
Dalla manifestazione nazionale unitaria di febbraio, per rivendicare i contenuti della nostra piattaforma, passando per le molteplici iniziative unitarie delle categorie e per ultimo con Reggio Calabria, si deve continuare. Dobbiamo mobilitarci a maggior ragione a fronte del disprezzo verso i valori elementari di solidarietà che questo Governo mette in campo quotidianamente. Ed è plausibile e condivisibile un momento di mobilitazione generale da collocarsi in autunno, salvo sorprese dell’ultima ora sulla tenuta del Governo. Dobbiamo prepararci per tempo. Dovremo, come sempre, costruire e portare il nostro convinto e qualificato contributo.
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