Recensione a "P. De Francisci,, Bernardo Albanese

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Bernardo Albanese
Titolare nell'Univereit8 di Palermo

Recensione a "P. De Francisci,,

 Estratto da "Iustitia   ", n.   4 luglio-agosto 1953
PIETRODE FRANCISCI,    Spirito della civiltà romana, I1 edizione rive-
    duta, Roma, Edizioni delllAteneo, 1952, pp. 221, lire 1.500.
          La comparsa della seconda edizione di quest'opera del DE FRANCISCI
    dà occasione alla presente, breve recensione, la quale vuole, da un lato,
    segnalare, o solo richiamare a quanti già lo co&scessero, il pregio della
    fatica dell'insigne romanista; dall'altro, svolgere qualche sommaria con-
    siderazione di base intorno al nucleo fondamentale del libro.
          Dopo alcune riflessioni preliminari, intese a spiegare l'importanza
    del tema re scelto ai fini di una generale meditazione critica intorno
                                          u

    al drammatico travaglio dell'odierna civiltà europea (Premessa breve, pa-
,   gine 7-10) ; a definire il concetto fondamentale di « civiltà )I, che si vuol
    dall'A. connesso inscindibilmente ail'esistenza di una « organizzazione
    politica », che dia « concretezza efficiente )) al complesso unitario dei valori
    componenti (Il concetto di civiltà, pp. 11-18) ; a ribadire come il nucleo di
    ogni civiltà sia sempre da rinvenire nell'energia dello spirito e non in fattori
    materialistici (La storia e lo spirito, pp. 19-23) ; ed idìne a fissare, come
    criterio metodologico dell'indagine assunta, la necessità di attenersi all'esa-
    me dei soli valori preminenti, nell'immenso mondo di ogni civiltà, e di quella
    romana in specie (Cenno metodologico, pp. 24-26), l'A. passa ad affrontare
    direttamente il suo tema, in quello che si può ben definire il capitolo cen-
    trale dell'intero libro, la chiave di volta dell'intera sua costruzione : La
    civiltà romana e i suoi caratteri fondamentali (pp. 27-38).
          Questi caratteri egli ravvisa, con forte incisività, formalmente, in uno
    stile, di cui enuclea come elementi distintivi, via via, la chiarezza, la sem
    plicità, il senso di unità e di organicità - in una parola il senso dell'ordine
    - cui fanno riscontro, costantemente, un senso-e una volontà di forma
    notevolissimi ; e sostanzialmente, in una stabile gerarchia di valori, che
    pone al vertice, come ad ogni altra preordinata e a nessun'altra subordi-
    nata, la categoria della politicità, il valore dell'idea dello Stato.
          I tre capitoli che seguono (La civiltà romana primitiva e le sue basi,
pp. 39-84 ; L a romanizzazione dell'italia, pp. 85-107 ; L a civiltà imperiale,
pp. 108-175) illustrano - con una sintesi ammirevole ed equilibrata, nella
quale si riconosce ad ogni tratto la mano dell'espertissimo e dotto storico
del diritto - le sorti della comunità romana, dalla fondazione del villaggio
rustico originario all'espansione della potenza imperiale augustea. I1 ricco
contenuto di questa suggestiva esposizione è orientato costantemente nel
senso di mettere in luce come quei caratteri fondamentali già enunciati,
e in specie la preminenza dei valori rappresentati dallo Stato, spieghino
sotto ogni aspetto le vicende storico-politiche di Roma, e conferiscano -
giusta l'assunto preliminare - essenza di civiltà unitaria al complesso
fluire di fenomeni cui quelle vicende stesse diedero vita.
      Gli ultimi due capitoli ( R o m a n i t à e c o s m o ~ o l i t i s m o ,pp. 176-202 ; L a
crisi dell'impero e la continuità della civiltà, pp. 203-221) esaminano, con
vivissimo sforzo di brevità, l'incontro della civiltà romana - identificata
negli accennati caratteri e descritta nella evoluzione fino ad Augusto --
con il mondo ben dissimile dell'ultima filosofia greca, delle religioni orien-
tali e, soprattutto, del Cristianesimo. Si considerano egualmente, in quelle
pagine, le sorti dell'impero a contatto con i gravissimi problemi d'ordine
politico, economico e militare impostati da nuove condizioni storiche gene-
rali. I n questo incontro e in questo contatto, l'impero romano perde la sua
solidità come organizzazione politica. I valori della sua civiltà, tuttavia,
non si spengono, ma ripresi dalla nascente organizzazione (« quasi politica 1)
aveva detto l'A., p. 17) della Chiesa, sono destinati a gloriosa sopravvivenza.
      Questo, in breve, il disegno dell'organico, densissimo scritto. E con-
verrà segnalare al lettore come, nelle poche righe che abbiamo dedicate
a questa esposizione del contenuto dell'opera in questione, non si sia potuto
far cenno di alcune pagine che sono tra le più originali e degne di discus-
sione. Vogliamo dire, ad es., delle pagine dedicate al fantastico 1) nel genio
romano (p. 32) ; al senso religioso dei Romani (pp. 46-50) ; alla concezione
romana della sovranità statuale e della libertà del cittadino (pp.57-70) ; ai
primi contatti tra la concezione imperiale romana e la concezione stoica
dell'unità del genere umano (pp. 159-168). Pagine tutte, queste, che, armo-
nicamente inquadrate nella struttura generale dell'opera, cooperano a ren-
derla, nel suo insieme, un contributo a carattere rigorosamente scientifico
e originale, e ad un tempo - come sempre avviene per le vere « ricostru-
zioni storiche n, degne di questo nome - una testimonianza, anzi un'espe-
rienza, concretamente attuale.
      I dubbi che, dal punto di vista tecnico, non possono non sorgere di
fronte a qualche singolo punto del libro - inevitabili data la vastità della
materia trattata - interessano meno di quanto non interessi, invece,
qualche discussione d'ordine generale. Ond'è che non giova attardarsi sulle
perplessità che può suscitare l'accettazione che l'A. fa - in coerenza, del
resto, con le sue trattazioni precedenti di carattere pii1 tecnico -- dell'ipo-
tesi patriarcale, e in particolare dell'ipotesi « politica 1) bonfantiana sulla
natura della familia e della gens, in età originaria (pp. 53 e segg.). O al dub-
bio cui può dar luogo il veder ricondotte le cecità della politica italica di
Roma - più che all'egoismo oligarchico, che pur è ricordato, ma come in
secondo piano (cfr. pp. 95, 100) - all'attenzione prevalente che Roma
avrebbe avuto per i problemi mediterranei (pp. 85, 99). O infine ai dissensi
cui può dar luogo la severità del giudizio portato dallJA. sui moti demo-
cratici dell'ultimo periodo repubblicano (p. 96).
      Più interessano, dicevamo, al contrario, alcuni rilievi di ordine generale.
      E ci pare che soprattutto interessi la discussione intorno alla validità
dell'identificazione, che il DE FRANCISCI     compie, nel primato dello Stato,
del valore essenziale delk romanità. È: indubitabile, anche per noi - ed è
gran merito di questo libro aver posto questo punto in ancor più netto e
inconfondibile risalto - che la civiltà romana, nella storia degli ideali,
rappresenti, sotto molti aspetti, la civiltà dell'idea di Stato. E di questa il
primato della politicità è il carattere distintivo più marcato. Però, noi ci
chiediamo, è pienamente accettabile qualificare come essenziali siffatti
aspetti della civiltà romana, si-ffatto primato della politicità ?
      E , per noi, a questa domanda si deve rispondere negativamente. Noi
non pensiamo, anzitutto, in linea teorica, che si possa riconoscere come
anima efficiente di una civiltà, che si vuole acquisizione definitiva dello
spirito umano, il primato della politicità, la preordinazione dello Stato
ad ogni altro valore. Lo Stato, di cui riconosciamo, alla pari di chiunque,
il valore decisivo ai fini del miglioramento anche etico dell'individuo,
resta pur sempre, per noi, un valore strumentale, ordinato com'è, alla su-
prema categoria dell'etica, della quale categoria è l'individuo il centro e
il fine. Individuo, va da sé, inteso concretamente come persona, così che a
queste affermazioni non si venga facilisticam~ntead opporre il rimpro-
vero di un individualismo atomistico, tendenzialmente anarchico.
      Se si accetta questa premessa, è chiaro che ne risulterà la seguente
alternativa : o è vero che l'anima efficiente della intera civiltà romana è il
primato dello Stato ; e allora non sarà possibile che la civiltà romana nel
suo complesso sia una acquisizione stabile della coscienza umana, un valore
compon6nte essenziale della nostra anima moderna. 0, al contrario, non è
vero che nell'idea di Stato sia da ritrovare l'elemento essenziale della civiltà
romana; e allora resta sempre possibile che detta civiltà costituisca effetti-
vamente sostanza della nostra civiltà, anima della nostra anima moderna.
      E per noi è vera, naturalmente, la seconda alternativa. La quale, ov-
viamente, presuppone che, altrove che nel primato della politicità, si rin-
venga" il nucleo centrale. il valore della civiltà romana.
      I n attesa di delineare brevissimamente (com'è imposto dalla natura
di questo nostro scritto) quale sia la nostra convinzione al riguardo di que-
sto nucleo essenziale della romanità, ci si consenta ancora di notare, di volo,
come l'impostazione accennata dell'illustre storico lo conduca ad affer-
 mazioni'che noi non crediamo accettabili. Ad esempio, al tacciar d'utopia
pensatori come ~'HUIZINGA,     il DANIEL-ROPS    e il BERDIAEV,so1 perché non
 considerano inscindibilmente connessi civiltà e organizzazione politica,
 anzi Stato (pp. 16-17). O al considerare positivamente la subordinazione,
 che spesso appare nelle concezioni romane, delia sfera del religioso allzi
 sfera del politico (pp. 47-51). O, infine, a svalutare come antistorici e peri-
 colosi, non solo la filosofia di SENECAe di EPITTETO          (pp. 180-182)~ ma
 anche, riprendendo idee già espresse da molti tra cui il SOREL,lo stesso
 Cristianesimo (pp. 190-191).
Comunque - e veniamo a dare brevemente un cenno su quel che si
 può, secondo il modesto nostro modo di vedere, considerare il nucleo più
 essenziale e più attuale della romanità - a noi sembra che, se non si può,
 sotto molti aspetti, negare che nella civiltà romana l'idea di Stato abbia
 effettivamente una rilevanza e un risalto singolarissimi, non si possa del
 pari negare che, in quella medesima civiltà, altri caratteri si possano dire
 essenziali, almeno allo stesso titolo. Non vogliamo tanto parlare qui del-
 l'attività letteraria romana o di quella filosofico-religiosa, le quali peraltro
 avrebbero certo - ove il DE FRANCISCI      fosse partito da premesse metodo-
 logiche diverse da quelle che preordina alla sua ricostruzione - meritato
 una più ampia considerazione. Si pensi per tutti, a un LUCREZIO         o ad un
 ORAZIO,in senso diversissimo , l'uno e l'altro così caratteristicamente ro-
 mani, ma così irriducibilmente non inquadrabili in una civiltà del primato
 del politico. (Troppo facile sarebbe rilevare in questi spiriti, come in altri,
 influenze greche : chiunque entri nel mondo poetico di questi scrittori
 si avvede di quanta romanità si sostanzino elementi allogeni, per dir così,
 ed estranei). Piuttosto, preferiamo spostarci sul terreno (giustamente caro
 al DE FRANCISCI,     di cui sarebbe superfluo richiamare ai lettori la qualità
 di illustre Maestro di discipline storico-giuridiche) del diritto.
       a possibile dire che la concezione giuridica romana sia orientata sotto
 il segno della politicità prevalente ? È: esatto concepire il diritto romano
 - certo la ~ i unitaria
                   ù        e im~onentetestimonianza della civiltà romana -
come dominato da una c0,ncezione statualistica ? La risposta a queste
 domande non può essere affermativa. Né, per questo, crediamo di dover
porre il nostro problema nei termini famosi di una disputa che da anni si
trascina - e ora, anzi, tende a rifiorire sotto l'impulso di una tentata ap-
plicazione dell'interpretazione marxistica della storia anche ai fenomeni
del diritto romano - vale a dire nei termini di una impossibile opzione
tra un preteso collettivismo e un preteso individualismo dominanti nelle
concezioni giuridiche romane.
       Piuttosto, pensiamo che la concezione romana del diritto sia, senz'altro,
la più imponente testimonianza storica d'una visione antinormativa del-
l'ordinamento giuridico. Bd è noto come tendenzialmente solo il norma-
tivismo giuridico sia inscindibile dall'idea della prevalenza assoluta dello
Stato ; mentre, al contrario, ogni concezione non normativa del diritto
(da quella romana alle moderne, dopo la rivoluzione di S. ROMANO)
                                              ((

tenda a sganciare l'ordinamento giuridico da un'obbligatoria connessione
allo Stato.,
      Questo aspetto del diritto romano è stato già indagato in dottrina ;
ma è certo degno d'altri approfondimenti. Ciò soprattutto in vista di una
sempre più efficace integrazione storica della teoria generale del diritto,
troppe volte chiusa negli schemi di una dogmatica antistorica. Integra-
zioni del genere rappresentano, sia detto qui di passaggio, una delle grandi
((ragioni dello studio attuale del diritto romano )I. così affannosamente e
   u

da tanti ricercate negli ultimi due decenni specialmente. Comunque sia
di ciò, tuttavia, resta qui chiaro che non può trascurarsi, in una ricostru-
zione dello spirito della civiltà romana, questo aspetto antinormativo
dell'ordinamento giuridico romano.
E: un'indagine svolta tenendo in conto questo punto conduce seaza
dubbio alla conclusione per cui il valore essenziale del diritto romano - e
di conseguenza dell'intera civiltà romana, di cui il diritto può considerarsi
il tema fondamentale - risiede, non già nell'idea di Stato, bensì nell'idea
di un equilibrio sociale commisurato ad una fondamentale esigenza di
giustizia, assai meglio che di potenza.
      Approfondendo ancora questo punto, poi, si vedrà facilmente come
per tal via si ritorni ad un primato dell'etica : un'etica naturale, se si vuole
(non si dimentichi che la romanità più genuina si foggia in età pagana),
ma etica, comunque. Per rimanere nel campo del diritto, non si potrà ne-
gare che i. un valore etico quella aspirazione, che pervade tutto il grande
diritto romano (dal giorno dell'abbandono deile prospettive originarie e
rustiche), al bonum et aequum. Questa categoria del bonum et aequum (cui,
e non da ora, il RICCOBONO      vuol conferire giustamente il valore di categoria
essenziale della giuridicità romana) fa, si può dire, da ideale contrappeso
alle troppe violenze e sopraffazioni che segnano la storia politica interna
ed esterna di Roma. F a da contrappeso ideale anche a molte di quelle
virtù civiche - esaltate dai Romani, e dai moderni talvolta - per cui
non si può non trovare, spesso, calzante la famosa definizione agostiniana,
che le qualificava nient'altro che splendida vitia, dato che esse appaiono
spesso inscindibilmente legate alla costituzione di quelle posizioni di po-
tenza che lo stesso S. AGOSTINOconsiderava soltanto magna latrocinia.
      Appare chiaro, allora, che, se è vero che un'aspirazione etica profonda
caratterizza essenzialmente il diritto romano, e se è vero che il diritto è,
tra tutte le manifestazioni della civiltà romana, non solo la più espressiva
testimonianza del genio del popolo romano e della sua civiltà, ma anche
il retaggio unitario più importante e durevole della romanità trasfuso fin
 nella nostra attuale civiltà, dovrà considerarsi vero anche che la civiltà
 romana, meglio che civiltà del primato della politica, deve chiamarsi piut-
 tosto civiltà del primato dell'etica.
      Non sarà inutile mostrare qui, anche se con la stessa brevità finora
 manifestata, come, da questa nostra identificazione del nucleo essenzialé
 della romanità, risulti facilitata la retta impostazione di altri problemi
 relativi sia alla complessiva valutazione deila civiltà romana in sé e per sé,
  sia ai rapporti di quella civiltà con i mondi delle civiltà successive.
       Accentuato questo primato dell'etica, sarà, infatti, in primo luogo,
 assai agevole intendere - senza gli stridori e le incongruenze cui si sarebbe
 forzati partendo dal punto di vista del primato dello Stato - proprio tutti
 quei fenomeni che dicevamo essenziali anch'essi alla ricostmzione della
 civiltà romana, e che viceversa ci parevano sacrificati alquanto nella
 impostazione seguita nel libro di cui ci occupiamo.
       I n secondo luogo, per quanto riguarda i rapporti della civiltà romana
 con altre civiltà, mentre per brevità si tralasciano di considerare quelli
  (essenziali perché verificatisi nelle epoche più delicate della formazione)
 con la civiltà greca e altri di minor rilievo e più oscuri, è chiarissimo che,
 da una identificazione del nucleo essenziale della romanità qual'è quella
 che noi accettiamo, riuscirà grandemente illuminato il problema dell'in-
 contro della civiltà romana con il Cristianesimo.
Abbiamo già accennato come, per noi, sia del tutto da rigettare l'idea
che f a del Cristianesimo un fattore di disintegrazione dell'impero romano.
A questa troppo spesso ripetuta affermazione si deve contrapporre una più
sostanziale considerazione dei fatti. Non è qui la sede neppure per accen-
nare ai rapporti tra Chiesa e Impero nei primissimi secoli dell'era cristiana,
né a quelli tra Cristianesimo e diritto romano. Ma non si può disconoscere
come la civiltà cristiana ha, fin dal suo primo formarsi, accolto sostanzial-
mente l'eredità giuridica di Roma. Per noi questo vuol dire che la co-
struzione giuridica romana fu ritenuta, nelle sue linee di base, conforme ai
principii cristiani. Che, in altre parole, il primato dell'etica che traspare
dal diritto romano ha motivato il singolare fenomeno delia sopravvivenza
della civiltà romana fino ai nostri giorni. L'etica della civiltà romana si
potrebbe considerare, per usare il linguaggio di TERTULLIANO,         naturaliter
christiana. Per essa, noi, ancor oggi, sentiamo la civiltà romana come ele-
mento della nostra civiltà.
      L'identificazione proposta dal DE FRANCISCI     non è certo storicamente
falsa. Non possiamo non ripetere ancora una volta che, effettivamente, il
primato dello Stato caratterizza sotto molti aspetti la romanità. Tutta-
via. i1 problema che nell'opera recensita era posto riguardava essenzial-
 mente l'innesto della civiltà romana nel mondo della nostra coscienza mo-
 derna. E, sotto questo aspetto, di contro a quelle che potremmo chiamare
 le reminiscenze d'una romanità intesa nel senso di civiltà dell'idea di Stato,
 non si può non ritenere di gran lunga prevalente e più efficiente la con-
tinua, operante presenza, nella storia medioevale, moderna e contempo-
 ranea, della romanità intesa come civiltà della giustizia.
      Del resto - ed è questa una considerazione che qui si può soltanto
accennare - la visione del DE FRANCISCI       non è irrimediabilmente opposta
a quella che qui si è sottolineata ; così come, in astratto, non si possono con-
siderare opposte la categoria dell'etica e quella dello Stato. Basterà - a
conciliarle - tener sempre presente la necessaria subordinazione dello
Stato all'etica. E, per quel che più ci interessa ai fini di queste brevi consi-
derazioni storiche, basterà affermare che, nell'incidenza sulla coscienza mo-
derna, elemento essenziale della civiltà romana si dovrà giudicare l'il-
lustrato primato dell'etica, mentre che ali'aspetto della civiltà romana
come ipostasi storica dell'idea di Stato converrà riservare un valore qualifi-
cativo subordinato al primo.
      Resta certo, in ogni caso, che l'opera mirabile dell'insigne studioso
rappresenta un prezioso contributo all'approfondimento della crisi del no-
stro mondo attuale e una testimonianza illustre d'amore alla romanità.
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