SCENARIO DIABETOLOGIA - RASSEGNA STAMPA - 14 giugno 2019 - Value Relations
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Sommario TESTATA TITOLO DATA Il Giorno Occhio alla retina dei diabetici 09/06/2019 Il Tempo Diabete, continua lo spreco regionale 10/09/2019 Ricerca: speranze di prevenzione per diabete Adnkronos Salute 10/06/2019 1, farmaco lo ritarda 2 anni Dimagrire e non riprendere peso può eliminare Ansa 10/06/2019 diabete Diabete: cade mito vitamina D, non aiuta a Ansa 10/06/2019 prevenirlo Diabete, con cura di ultima generazione -12% Ansa 10/06/2019 infarti e ictus Diabete: dieta Mediterranea migliora salute Ansa 11/06/2019 cervello Diabete di tipo 1, la promessa è prevenirlo con Ansa 12/06/2019 un farmaco Ricerca: speranze di prevenzione per diabete Adnkronos Salute 13/06/2019 1, farmaco lo ritarda 2 anni Diabete 2, Dulaglutide previene eventi Doctor33.it 13/06/2019 cardiovascolari e renali Diabete di tipo 2 e rischio cardiovascolare: Meteoweb.eu 14/06/2019 confermato il profilo di sicurezza di linagliptin
ADNKRONOS SALUTE Data: 10/06/2019 RICERCA: SPERANZE DI PREVENZIONE PER DIABETE 1, FARMACO LO RITARDA 2 ANNI Team internazionale, 'risultato mai raggiunto prima' in persone ad alto rischio Milano, 10 giu. (AdnKronos Salute) - Ritardare di 2 anni o anche di più la comparsa di diabete di tipo 1 nelle persone che hanno un alto rischio di svilupparlo, somministrando loro un farmaco intelligente attivo sul sistema immunitario. E' il "risultato sorprendente" ottenuto per la prima volta in uno studio che, per il futuro, apre a una speranza concreta di prevenzione per la forma giovanile della 'malattia del sangue dolce'. Il lavoro, condotto dal team internazionale Type 1 Diabetes TrialNet e presentato a San Francisco nel corso delle American Diabetes Association Scientific Sessions, è finanziato dai National Institutes of Health statunitensi e pubblicato online su 'The New England Journal of Medicine'. Il medicinale usato si chiama teplizumab. Come noto, il diabete di tipo 1 insorge quando le cellule T del sistema immunitario vengono meno al loro compito di difesa dell'organismo e iniziano a distruggere le cellule beta del pancreas che fabbricano l'insulina. Teplizumab, un anticorpo monoclonale anti-CD3, colpisce le cellule T impedendo loro di uccidere le cellule beta-pancreatiche. In uno studio precedente sempre sostenuto dagli Nih, il medicinale si era dimostrato efficace nel rallentare la perdita di cellule beta in pazienti che avevano sviluppato di recente diabete 1 clinico. Finora però, sottolinea Kevan C. Herold della Yale University, autore principale del nuovo lavoro, "il farmaco non era mai stato testato in persone che non avevano ancora malattia clinica. Volevamo vedere se un intervento farmacologico precoce avrebbe avuto un beneficio in questi soggetti, ad alto rischio, ma asintomatici". I ricercatori hanno reclutato 76 partecipanti tra 8 e 49 anni d'età, parenti di persone con diabete 1 e che presentavano almeno 2 tipi di autoanticorpi diabete-correlati e un'alterata tolleranza al glucosio. Gli arruolati sono stati assegnati in modo casuale a 2 gruppi: uno ha ricevuto un ciclo teplizumab per 14 giorni, l'altro un placebo. Tutti i partecipanti sono stati regolarmente monitorati con un test della tolleranza al glucosio. Durante lo studio, il 72% delle persone del braccio placebo ha sviluppato diabete clinico, contro il 43% del gruppo trattato. Fra le persone che si sono ammalate, il tempo mediano di comparsa della patologia è stato di poco superiore ai 24 mesi nel braccio di controllo e di 48 mesi nel gruppo trattato. In altre parole, il farmaco ha ritardato in media di 2 anni l'insorgenza dei sintomi di diabete giovanile.
ADNKRONOS SALUTE Data: 10/06/2019 RICERCA: SPERANZE DI PREVENZIONE PER DIABETE 1, FARMACO LO RITARDA 2 ANNI (2) = (AdnKronos Salute) - "La differenza nei 2 gruppi è stata sorprendente", commenta Lisa Spain, Project Scientist del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (Niddk) degli Nih, sponsor di TrialNet. "E' la prima prova che il diabete di tipo 1 può essere ritardato con un trattamento preventivo precoce - aggiunge - Il risultato ha importanti implicazioni per le persone, in particolare i giovani, che hanno parenti con la malattia. Soggetti ad alto rischio di svilupparla a loro volta, che potrebbero beneficiare di uno screening precoce e del trattamento". Griffin P. Rodgers, direttore del Niddk, conferma: "Questo trial mostra come decenni di ricerca sulla biologia del diabete 1 abbiano potuto portare a terapie promettenti con un impatto reale sulla vita delle persone. Attendiamo con entusiasmo i prossimi risultati di questo filone di studi". Al momento, infatti, gli esperti invitano alla prudenza. "I risultati sono incoraggianti - ribadisce Spain - ma occorre fare più ricerca per superare alcuni limiti di questo studio, nonché per comprendere appieno i meccanismi di azione del farmaco, la sua efficacia a lungo termine e la sicurezza del trattamento". (segue) (Opa/AdnKronos Salute) ISSN 2499 - 3492 10-GIU-19 10:48
ADNKRONOS SALUTE Data: 10/06/2019 RICERCA: SPERANZE DI PREVENZIONE PER DIABETE 1, FARMACO LO RITARDA 2 ANNI (3) = (AdnKronos Salute) - Per ammissione degli stessi autori, il trial pubblicato sul Nejm ha qualche 'neo' come ad esempio il numero limitato di partecipanti, l'assenza di una varietà etnica fra i reclutati e il fatto che tutti fossero parenti di persone con diabete di tipo 1. Quindi molto selezionati. Resta poi da far luce su altri elementi emersi dalla ricerca. Uno è che gli effetti del teplizumab sono stati maggiori nel primo anno dopo la somministrazione, quando il 41% dei partecipanti ha sviluppato diabete clinico, principalmente nel gruppo placebo. Un secondo è che le persone che hanno risposto meglio al farmaco tendevano a presentare determinati autoanticorpi e specifiche caratteristiche immunitarie. Vanno infine analizzati i vari fattori che potrebbero aver contribuito alla capacità del medicinale di ritardare la malattia sintomatica. Per esempio l'età: è noto - ricordano gli esperti - che i bambini e gli adolescenti a rischio progrediscono verso il diabete 1 conclamato più velocemente rispetto agli adulti. Questa marcia più rapida della malattia si associa a un sistema immunitario altamente attivo, peculiarità che può spiegare l'effetto dei farmaci modulatori delle naturali difese dell'organismo come appunto il teplizumab. (Opa/AdnKronos Salute) ISSN 2499 - 3492 10-GIU-19 10:48
ANSA Data: 10/06/2019 Dimagrire e non riprendere peso può eliminare diabete Esperto, malattia iniziale è una condizione reversibile SAN FRANCISCO (dell'inviata Manuela Correra) (ANSA) - SAN FRANCISCO, 9 GIU - Perdere peso e non riguadagnarlo può potenzialmente portare ad una remissione del diabete di tipo 2 e la ragione sta nel fatto che le cellule pancreatiche produttrici di insulina non sono, nella fase iniziale della malattia, danneggiate irreversibilmente. Lo dimostra un nuovo studio su oltre 300 pazienti seguiti dal 2014 al 2017, 'DIRECT', presentato al congresso dell'Associazione americana di diabetologia (Ada), che conferma la relazione tra peso e scomparsa della malattia sostenuta da precedenti studi: oltre un terzo dei pazienti (36%) che ha partecipato alla ricerca effettuando un intenso programma di controllo del peso, infatti, ha avuto una remissione della malattia che si è mantenuta a distanza di 2 anni. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: al gruppo di controllo erano somministrati farmaci previsti dalle linee guida per la migliore gestione della malattia, come antipertensivi e antiglicemici, mentre il secondo gruppo ha attuato un programma di gestione del peso che prevedeva la sospensione di tali medicinali, una dieta per 3-5 mesi ed un mantenimento della perdita di peso sul lungo periodo. "Lo studio dimostra che le persone con diabete di tipo 2 possono avere una scelta e la malattia non rappresenta una sentenza a vita - afferma il co-autore del lavoro Roy Taylor, professore di Medicina e metabolismo alla Newcastle University in Gran Bretagna -. Se il semplice ed efficace metodo della perdita di peso e del suo mantenimento viene attuato, i soggetti con diabete 2 iniziale possono tornare ad uno stato di salute normale con una notevole riduzione del rischio di serie complicazioni a lungo termine associate al diabete, come le malattie cardiovascolari". Dunque, spiega l'esperto, "mantenendo a livelli minimi la riacquisizione del peso corporeo perso, lo studio dimostra che la remissione del diabete di tipo 2 si è mantenuta ad oggi per oltre due anni, con un graduale aumento della normale funzionalità delle cellule pancreatiche produttrici di insulina". Quindi, conclude, "il diabete di tipo 2 è una condizione reversibile e la remissione della malattia può essere ottenuta e mantenuta". (ANSA). CR/ S04 QBKN
ANSA Data: 10/06/2019 Diabete: cade mito vitamina D, non aiuta a prevenirlo Studio controtendenza, non c'è significativa riduzione rischio SAN FRANCISCO (ANSA) - SAN FRANCISCO, 9 GIU -Cade il 'mito' della vitamina D come potenziale arma per prevenire il diabete di tipo 2. Dopo vari studi giunti a conclusioni opposte, una nuova ricerca in controtendenza presentata al congresso dell'Associazione americana di diabetologia (Ada) 'smonta' il ruolo di questa vitamina: lo studio D2d, il più grande mai fatto su questo tema, dimostra infatti che dare supplementi giornalieri di vitamina D non riduce in modo significativo il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 in soggetti predisposti e che presentano un livello sufficiente di tale vitamina. Lo studio, in contemporanea con la presentazione all'Ada, è stato pubblicato sul The New England Journal of Medicine e ha destato un grande interesse al congresso. La speranza era infatti che la vitamina D potesse rappresentare una efficace e poco costosa arma di prevenzione contro il diabete: solo negli Stati Uniti sono oltre 84 milioni le persone in una condizione di pre- diabete e dunque ad altissimo rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, con una previsione di costi altissimi per il sistema. Da qui la necessità di individuare armi di prevenzione efficaci. E proprio l'insufficienza di vitamina D era stata indicata da vari studi osservazionali come un potenziale elemento chiave nello sviluppo del diabete 2, anche se mancavano finora dati da studi a lungo termine. Ora arriva però il contrordine dallo studio D2d, effettuato in 22 città Usa su un campione di 2.423 adulti ad alto rischio diabete, seguiti per un periodo di 2 anni e mezzo. Ad un gruppo è stato somministrato placebo, al secondo una dose di vitamina D giornaliera. Al termine dello studio, si è evidenziata una riduzione dell'insorgenza di diabete tra i soggetti cui era stato somministrato il supplemento giornaliero pari solo al 12%, una percentuale considerata "statisticamente non significativa" dai ricercatori. "Anche se molti studi precedenti hanno osservato che soggetti con bassi livelli di vitamina D hanno un maggior rischio di sviluppare il diabete 2 - afferma Anastassios Pittas, direttore del Diabetes and lipid center del Tufts Medical Center, primo autore dello studio - non si sapeva se l'incrementare i livelli di vitamina D nei soggetti a rischio avrebbe effettivamente ridotto il rischio di malattia. Ora, i nostri risultati indicano che la vitamina D non dà un beneficio significativo nella riduzione del rischio di diabete". Il ruolo di questa vitamina sembra, però, ancora importante rispetto all'altra forma di diabete di tipo autoimmune, il diabete 1: "I risultati iniziali di uno studio su pazienti che stiamo conducendo al Diabetes Research Institute dell'Università di Miami - afferma il direttore Camillo Ricordi - hanno dimostrato che supplementi di vitamina D, insieme ad alte dosi di omega 3, possono rallentare ed in alcuni casi fermare la progressione del diabete di tipo 1 dopo la diagnosi. Una sperimentazione più ampia, che coinvolgerà sia bambini che adulti con diabete 1, sarà ora necessaria per stabilire - conclude - se tali risultati iniziali potranno essere confermati". (ANSA). CR/ S04 QBKN
ANSA Data: 10/06/2019 Diabete, con cura di ultima generazione -12% infarti e ictus Previene complicanze cardiovascolari, studio su 9mila pazienti SAN FRANCISCO (ANSA) - SAN FRANCISCO, 10 GIU - Un farmaco, il principio attivo di nuova generazione dulaglutide, si è dimostrato in grado di ridurre in maniera significativa - ovvero del 12% -eventi cardiovascolari quali morte cardiovascolare, infarto e ictus nei pazienti con diabete di tipo 2, con e senza malattia cardiovascolare accertata. Lo dimostra lo studio REWIND presentato al congresso dell'Associazione americana di diabetologia (Ada), condotto su 9 mila pazienti provenienti da 24 paesi. Lo studio è stato pubblicato in contemporanea sulla rivista Lancet. Milioni di persone con diabete di tipo 2 sono infatti ad alto rischio di malattie cardiovascolari. Il farmaco di nuova generazione, già utilizzato anche in Italia nel trattamento generale del diabete, si è ora dimostrato in grado rispetto al placebo di ridurre in maniera significativa eventi cardiovascolari in pazienti diabetici di cui la maggior parte non presentava malattia cardiovascolare accertata. Ogni anno, in Italia si registrano 150mila infarti, ictus e scompensi cardiaci tra pazienti diabetici. Utilizzando questo farmaco, stimano gli esperti, si potrebbero evitare oltre 13mila eventi cardiovascolari l'anno in questa fascia di popolazione. (ANSA).
ANSA Data: 11/06/2019 Diabete: dieta Mediterranea migliora salute cervello Benefici per funzioni cognitive, studio su 913 pazienti SAN FRANCISCO (ANSA) - SAN FRANCISCO, 11 GIU - La dieta Mediterranea in aiuto dei pazienti con diabete di tipo 2: seguire questo modello alimentare - che prevede il consumo di frutta, verdura, legumi, pesce e cereali - ha infatti dimostrato di portare dei benefici alle funzioni cognitive e alla memoria dei malati, rispetto a soggetti con o senza diabete che seguivano altri regimi alimentari. Lo evidenzia un studio su oltre 900 pazienti presentato al congresso dell'Associazione americana di diabetologia (Ada). I ricercatori hanno seguito 913 pazienti nell'ambito del Boston Puerto Rican Health Study per due anni ed hanno appunto evidenziato come la dieta Mediterranea si riveli benefica per la salute del cervello nei pazienti con diabete di tipo 2 ed un buon controllo della glicemia. I nutrienti tipici della dieta Mediterranea, infatti, riducono i processi infiammatori e ossidativi del cervello. Tali benefici si manifestano anche nei soggetti non affetti da diabete, ma nei pazienti diabetici l'abbondanza di legumi e cereali integrali tipica della dieta Mediterranea può aiutare a mantenere sotto controllo il livello di zucchero nel sangue oltre che migliorare appunto le funzioni cognitive. Nello studio, i pazienti esaminati sono stati sottoposti a test per il controllo della memoria, delle funzioni cognitive e abilità di esecuzione. (ANSA). CR/ S04 QBKN
ANSA Data: 12/06/2019 Diabete di tipo 1, la promessa è prevenirlo con un farmaco Studio senza precedenti, anticorpo ne ritarda di 2 anni esordio ROMA (ANSA) - ROMA, 12 GIU - Un farmaco che regola le difese immunitarie - un anticorpo 'monoclonale' chiamato Teplizumab - è in grado di posticipare mediamente di due anni in persone ad elevato rischio l'esordio del diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che porta alla distruzione delle cellule produttrici di insulina, l'ormone che regola la glicemia. Lo rivela uno studio su persone con elevata predisposizione ad ammalarsi pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso annuale della American Diabetes Association a San Francisco. Lo studio è stato condotto da Kevan Herold, della Yale University, a New Haven, per conto di TrialNet, un consorzio di gruppi di ricerca in USA e presso pochi altri centri internazionali, tra cui l'Ospedale San Raffaele di Milano. Il diabete di tipo 1 è una malattia in cui il sistema immunitario del paziente in un certo senso 'va in tilt' ed attacca le cellule produttrici di insulina nel pancreas, le cosiddette cellule beta. In questo modo il paziente resta incapace di regolare autonomamente la glicemia e dipende da iniezioni multiple giornaliere di insulina, con tutto ciò che comporta in termini di qualità di vita, rischio di ipoglicemie e iperglicemie dovute alla difficoltà di eseguire correttamente la terapia, e rischio di complicanze a lungo termine, specie quando la malattia esordisce in età pediatrica. Il diabete 1 è una malattia complessa che dipende in parte da una predisposizione genetica, e si presenta con maggiore frequenza in alcune aree geografiche come per esempio la Sardegna; ma la causa della malattia resta ignota. In questo studio sono state coinvolte persone a rischio molto elevato di sviluppare il diabete di tipo 1, a causa della familiarità e della presenza nel sangue di 'autoanticorpi' specifici contro le cellule beta, autentici marcatori del rischio. In tutto sono state coinvolte 76 persone dagli 8 ai 49 anni. Per due settimane a metà del campione è stato somministrato il farmaco, che consiste in un anticorpo diretto contro le cellule immunitarie killer che attaccano il pancreas, mentre nell'altra metà è stato somministrato il placebo. Nel corso dello studio, il diabete si è sviluppato nel 72% del gruppo placebo contro il 43% del gruppo che ha assunto il farmaco. In questo gruppo, inoltre, il trattamento si è dimostrato in grado di posticipare l'esordio della malattia mediamente di due anni. "Questo è il primo studio al mondo nel quale si sia dimostrata la possibilità di modificare l'evoluzione verso il diabete di tipo 1 in soggetti ad elevato rischio, con un ritardo di due anni della progressione verso la malattia conclamata, che comporta la necessità di intraprendere la terapia con insulina" - spiega in un'intervista all'ANSA Emanuele Bosi, Direttore del Centro TrialNet italiano. "Può sembrare poca cosa, perché non si tratta della prevenzione completa della malattia - prosegue Bosi - ma due anni in meno di diabete di tipo 1 significano due anni di vita guadagnati senza insulina, che sono tanti, specie in bambini e adolescenti". "Naturalmente - conclude - l'obiettivo finale è la prevenzione permanente della malattia, che viene perseguita da molti anni attraverso collaborazioni scientifiche estese a livello internazionale, come nel caso di TrialNet. Questo studio è il primo risultato concreto di tali enormi sforzi. Naturalmente la ricerca continua".
ADNKRONOS SALUTE Data: 13/06/2019 RICERCA: BATTERI INTESTINO COMPLICI DEL DIABETE 1, POSSIBILE PREVENZIONE Studio Dri San Raffaele Milano sui topi, se confermato spegnere infiammazione è strategia-scudo Milano, 13 giu. (AdnKronos Salute) - Batteri intestinali sotto accusa nell'insorgenza del diabete di tipo 1, la forma giovanile della malattia, scatenata da un auto-attacco del sistema immunitario nei confronti delle cellule che producono insulina. Gli scienziati del Diabetes Research Institute (Dri) dell'Irccs San Raffaele di Milano - in uno studio pubblicato su 'Pnas' - descrivono per la prima volta un meccanismo attraverso il quale i nostri 'coinquilini' invisibili, in presenza di un'infiammazione dell'intestino, possono attivare le naturali difese immunitarie fino a innescare la patologia diabetica. Il lavoro è stato condotto in topi suscettibili al diabete. Ma se fosse confermato nell'uomo, "combattere l'infiammazione intestinale e ristabilire il corretto equilibrio del microbiota" potrebbe rappresentare un'efficace "strategia di prevenzione" del diabete 1 nelle persone a rischio di ammalarsi. Il sistema immunitario dei topi utilizzati nella ricerca - dettagliano dal San Raffaele - è già in grado di riconoscere le cellule beta del pancreas, fabbrica di insulina, ma non si è ancora attivato per distruggerle e la patologia non si è dunque manifestata. In questo modello, che riproduce le condizioni dei pazienti a rischio di sviluppare diabete di tipo 1, il team milanese ha dimostrato come "l'infiammazione intestinale e la conseguente perdita dell'integrità di barriera siano sufficienti per attivare il sistema immunitario e scatenare la malattia. A mediare tale attivazione è il microbiota, cioè l'insieme dei batteri che popolano l'intestino, che a causa della perdita dell'integrità di barriera entra in contatto diretto con il sistema immunitario". L'unità di ricerca diretta da Marika Falcone del Dri - spiega una nota dall'Ircccs del gruppo ospedaliero San Donato - studia da diversi anni il ruolo che l'ambiente intestinale e il microbiota giocano nelle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. Diverse ricerche, condotte negli ultimi 15 anni sia sull'uomo sia su modelli animali della patologia, mostrano come l'infiammazione intestinale preceda l'insorgere del diabete e come i linfociti T che attaccano le cellule beta-pancreatiche arrivino all'organo dopo essere passati dall'intestino, di cui portano un marker specifico. Prima d'ora, però, "nessuno era stato in grado di dimostrare un meccanismo causa-effetto tra l'infiammazione intestinale e l'attivazione del sistema immunitario". Il nuovo lavoro fornisce "uno dei primi contributi in questa direzione".
ADNKRONOS SALUTE Data: 13/06/2019 RICERCA: BATTERI INTESTINO COMPLICI DEL DIABETE 1, POSSIBILE PREVENZIONE (2) = (AdnKronos Salute) - I ricercatori del San Raffaele - si precisa nella nota - hanno studiato un modello murino in cui oltre il 90% dei linfociti T in circolo riconosce le cellule beta del pancreas, e hanno dimostrato che in questi animali è stato sufficiente attivare uno stato infiammatorio a livello intestinale per scatenare la malattia. A giocare un ruolo chiave sembra essere appunto la perdita di integrità della barriera intestinale, composta da un pavimento di cellule epiteliali molto compatte tra loro e da uno strato di muco, il cui ruolo è stato finora poco studiato. L'integrità della barriera appare invece fondamentale per controllare e mediare il contatto tra ciò che si trova all'interno dell'intestino e il sistema immunitario. "In questo contesto infiammatorio - afferma Falcone - la miccia per l'innesco della risposta autoimmune sembra proprio essere il microbiota, l'insieme dei batteri che vivono nell'intestino e che entrano in contatto diretto con il sistema immunitario quando la barriera intestinale è compromessa. Nei topi in cui abbiamo eliminato i batteri, infatti, l'infiammazione non è più stata sufficiente a scatenare la malattia". "Questo non significa che il problema sia la presenza del microbiota. E' anzi vero il contrario: avere una flora batterica intestinale sana è l'unico modo per evitare l'insorgere di stati infiammatori e garantire l'integrità della barriera intestinale", precisano gli autori della nuova ricerca. "Più studiamo il ruolo giocato dai batteri nel funzionamento del nostro organismo - commenta Falcone - più ci rendiamo conto che sono ospiti di cui avere grande cura. Non solo perché sono essenziali al nostro benessere, ma perché se trascurati possono al contrario avere effetti negativi su diverse patologie in cui entra in gioco il sistema immunitario". (Red-Opa/AdnKronos Salute)
DOCTOR33.IT Data: 13/06/2019 L'agonista del recettore del glucagon-like peptide 1 (GLP-1) dulaglutide, può aiutare a prevenire gli eventi cardiovascolari negli adulti ad alto rischio con diabete di tipo 2, in base ai risultati dello studio REWIND, presentati alle Scientific Sessions della American Diabetes Association e pubblicati su Lancet dal gruppo di lavoro guidato da Hertzel Gerstein, della McMaster University and Hamilton Health Sciences diHamilton, Canada. Circa 9.900 adulti di età pari o superiore a 50 anni, provenienti da 371 centri in 24 paesi, con emoglobina A1c pari a 9,5% o inferiore rilevata durante il periodo di assunzione di almeno due agenti ipoglicemizzanti orali, sono stati randomizzati ad aggiungere dulaglutide per via sottocutanea (1,5 mg) o placebo ogni settimana alla propria terapia. I partecipanti erano già andati incontro a un evento cardiovascolare o presentavano comunque fattori di rischio cardiovascolare. Ebbene, durante un follow-up mediano di cinque anni, l'esito primario, costituito da un composito di infarto miocardico, ictus o morte per malattia cardiovascolare o cause sconosciute, si è verificato significativamente meno spesso nel gruppo trattato con aggiunta di dulaglutide rispetto al gruppo gestito con placebo (12,0% rispetto a 13,4%). In una seconda analisi esplorativa, sempre pubblicata su Lancet, gli stessi ricercatori hanno anche rilevato che dulaglutide è stato in grado di ridurre il rischio di un esito renale composito, mostrando un chiaro effetto sulla progressione verso la macroalbuminuria. Secondo i ricercatori, dulaglutide potrebbe quindi essere considerato adatto per la gestione del diabete in questa popolazione di pazienti. «Se vogliamo ridurre le complicanze del diabete, dovremo superare l'inerzia clinica e abbracciare presto quelle terapie che modificano la malattia e preferibilmente in combinazione. Lo studio REWIND dà una forte indicazione a questo riguardo» commentano in un editoriale correlato Subodh Verma e David Mazer, della University of Toronto, e Vlado Perkovic, della University of New South Wales di Sydney, Australia. Lancet 2019. Doi: 10.1016/S0140-6736(19)31149-3 https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)31149-3/fulltext Lancet 2019. Doi: 10.1016/S0140-6736(19)31150-X https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)31150-X/fulltext Lancet 2019. Doi: 10.1016/S0140-6736(19)31267-X https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)31267-X/fulltext © RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.doctor33.it/clinica/diabete-dulaglutide-previene-eventi-cardiovascolari-e- renali/?xrtd=RCVXAVSYCVVLXTLAAXSRTT
METEOWEB.EU Data: 14/06/2019 Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly and Company (NYSE: LLY) hanno annunciato i risultati finali dello Studio CAROLINA® che dimostrano come linagliptin non abbia un rischio cardiovascolare aumentato nel confronto con glimepiride, in soggetti adulti con diabete di tipo 2 e rischio cardiovascolare.1 I risultati sono stati riferiti oggi al 79° Congresso dell’American Diabetes Association a San Francisco. Lo studio ha raggiunto l’endpoint primario, definito come non-inferiorità di linagliptin rispetto a glimepiride in termini di tempo intercorso al verificarsi del primo evento di mortalità per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non-fatale o ictus non-fatale (MACE-3), occorso nell’11,8% dei soggetti nel gruppo linagliptin (356 pazienti), contro il 12,0% nel gruppo glimepiride (362 pazienti).1 Il profilo di sicurezza complessivo dimostrato da linagliptin in CAROLINA® si è dimostrato in linea con quello riscontrato in studi precedenti e non sono emersi nuovi aspetti da segnalare riguardo alla sicurezza.1,2 Lo studio ha valutato la sicurezza di linagliptin in un arco temporale, che è il più lungo su cui sia mai stato valutato un inibitore della DPP-4 in uno studio sugli esiti cardiovascolari, con un follow-up mediano di oltre 6 anni.1 Per l’endpoint secondario, il 3P-MACE più ospedalizzazione per angina instabile (MACE-4), linagliptin ha ottenuto un risultato simile a glimepiride (13,2% con linagliptin contro 13,3% con glimepiride).1 Nello Studio CAROLINA®, una percentuale superiore di pazienti del gruppo trattato con linagliptin (16,0%) ha raggiunto l’endpoint secondario composito d’efficacia del trattamento rispetto al gruppo glimepiride (10,2%).[1]1 Rispetto a glimepiride, linagliptin ha dimostrato effetti complessivi sull’emoglobina glicata (HbA1c) simili, ma ha ridotto in modo significativo il rischio relativo di ipoglicemia del 77% (il 10,6% dei pazienti in terapia con linagliptin ha avuto un episodio ipoglicemico contro il 37,7% dei pazienti trattati con glimepiride).1 La riduzione di questo rischio è stata significativa ed omogenea per tutte le tipologie di ipoglicemia, comprese ipoglicemia grave e ipoglicemia che ha comportato ospedalizzazione. Rispetto a glimepiride, linagliptin è stato, inoltre, associato ad un modesto calo ponderale di 1,5 kg.1 “CAROLINA® è unico, in quanto è il solo studio di esito cardiovascolare di un inibitore della DPP-4, ad avere come confronto un farmaco attivo – ha dichiarato Waheed Jamal Corporate Vice President e Responsabile Area Cardiovascolare & Metabolica di Boehringer Ingelheim – Quando è necessario un ulteriore ipoglicemizzante, gli inibitori della DPP-4 e le sulfaniluree continuano ad essere le terapie che frequentemente si aggiungono a metformina. Questi risultati forniscono ulteriori dati che aiutano i medici a scegliere la terapia ipoglicemizzante più adatta al paziente”.
METEOWEB.EU Data: 14/06/2019 “L’American Diabetes Association e la European Association for the Study of Diabetes raccomandano per il diabete di tipo 2 terapie con comprovati benefici cardiovascolari nei pazienti con malattia cardiovascolare accertata – ha dichiarato Jeff Emmick, Vice President, Sviluppo di Prodotto di Lilly Diabetologia – I medici che considerano l’impiego di ulteriori terapie per controllare i valori glicemici dei loro pazienti hanno bisogno di un inibitore della DPP-4 dal consolidato profilo di sicurezza di lungo termine. Questi nuovi risultati dello Studio CAROLINA®, oltre a quelli dello studio sugli esiti cardiovascolari con controllo a placebo CARMELINA®, ampliano le evidenze e l’esperienza con linagliptin, offrendo ulteriore sicurezza agli operatori sanitari riguardo al profilo di sicurezza di lungo termine in una vasta popolazione di pazienti con diabete di tipo 2”. Lo Studio CAROLINA® CAROLINA® (CARdiovascular Outcome study of LINAgliptin versus glimepiride in patients with type 2 diabetes) è uno Studio clinico multinazionale, randomizzato, in doppio cieco, con controllo a farmaco attivo, che ha coinvolto 6.033 pazienti adulti con diabete di tipo 2, in oltre 600 Centri di 43 Paesi, che sono stati osservati per una durata mediana di oltre 6 anni.3,4 Lo Studio ha compreso adulti con diabete di tipo 2 precoce, con durata mediana della malattia pari a 6,2 anni, non in terapia o in terapia con 1-2 farmaci ipoglicemizzanti (es. metformina).4 Lo Studio è stato disegnato per valutare gli effetti di linagliptin (5mg una volta/die) a confronto con la sulfanilurea glimepiride (entrambi i farmaci in aggiunta a terapia con ipoglicemizzante e terapia cardiovascolare standard) sulla sicurezza cardiovascolare in soggetti adulti con diabete di tipo 2 e aumentato rischio cardiovascolare o malattia cardiovascolare accertata.3,4 Questa popolazione di pazienti riflette quella che i medici incontrano nella pratica clinica quotidiana.5 Lo Studio CAROLINA® è stato diretto da un Comitato direttivo accademico e dall’Alleanza di Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly and Company in Diabetologia. CAROLINA® è il solo Studio d’esito cardiovascolare su un inibitore della dipeptidil peptidasi 4 (inibitore della DPP-4) con confronto a farmaco attivo. Linagliptin Linagliptin è un inibitore della DPP-4 a dosaggio unico, in monosomministrazione giornaliera, significativamente efficace nella riduzione della glicemia in adulti con diabete di tipo 2. Può essere prescritto a soggetti con diabete di tipo 2, indipendentemente da età, durata della malattia, gruppo etnico, indice di massa corporea (BMI), funzionalità epatica e renale.2 Di tutti gli inibitori della DPP-4, linagliptin è quello con il più basso tasso di escrezione renale.6-9 Studi sugli esiti cardiovascolari Gli Studi sugli esiti cardiovascolari sono molto importanti, in quanto queste patologie sono una seria complicanza e la principale causa di mortalità nei soggetti con diabete di tipo 2. A livello mondiale, la maggior parte delle persone con diabete di tipo 2 muore a causa di un evento cardiovascolare.10 Nel 2015, Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly and Company hanno annunciato i risultati di EMPA-REG OUTCOME®, Studio cardine sugli esiti cardiovascolari con l’inibitore del co-trasportatore sodio glucosio di tipo 2 (SGLT-2) empagliflozin, che ha ridotto il rischio relativo di mortalità per cause cardiovascolari del 38% in adulti con diabete di tipo 2 e malattia cardiovascolare confermata, in aggiunta a standard terapeutico.[2][3]11-13 Sulla base di quei risultati, empagliflozin è stato il primo farmaco orale per il diabete di tipo 2 a includere l’indicazione cardiovascolare o i risultati sulla riduzione del rischio di mortalità per cause cardiovascolari nel foglio illustrativo approvato in molti Paesi.11,12
METEOWEB.EU Data: 14/06/2019 CAROLINA® è uno di due Studi sugli esiti cardiovascolari con l’inibitore della DPP-4 linagliptin.3,4 I risultati di CAROLINA® e dell’altro Studio CARMELINA® (CArdiovascular safety and Renal Microvascular outcomE with LINAgliptin in patients with type 2 diabetes at high vascular risk)14,15 formano una delle basi di dati più complete sulla sicurezza di lungo termine di un inibitore della DPP-4. CARMELINA® è uno Studio clinico multinazionale, randomizzato, in doppio cieco, con Gruppo di controllo a placebo, che ha coinvolto 6.979 adulti con diabete di tipo 2 in oltre 600 Centri di 27 Paesi, che sono stati osservati per una durata mediana di 2,2 anni.14,15 CARMELINA® ha studiato gli effetti di linagliptin sulla sicurezza cardiovascolare e renale in adulti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di cardiopatia e/o nefropatia.14,15 Lo Studio ha raggiunto l’endpoint primario[4] con linagliptin, che ha dimostrato un profilo di sicurezza cardiovascolare simile a quello del placebo, quando aggiunto a standard terapeutico.14 In CARMELINA®, per il principale endpoint secondario composito[5] linagliptin ha dimostrato un profilo di sicurezza renale simile al placebo.14 Il profilo di sicurezza complessivo dimostrato da linagliptin in CARMELINA® è stato in linea con quello riscontrato in Studi precedenti, e non sono emersi nuovi aspetti da segnalare riguardo alla sicurezza.2,14 In CARMELINA® linagliptin ha, inoltre, dimostrato una percentuale di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco simile al placebo.14 http://www.meteoweb.eu/2019/06/diabete-di-tipo-2-rischio-cardiovascolare-confermato-profilo- sicurezza-linagliptin/1273865/
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