Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata Data 21 aprile 2020 CORONAVIRUS, 150.000 EURO AI MEDICI DI BASE DAGLI EX-PARLAMENTARI La somma è devoluta alle organizzazioni più rappresentative dei Medici di base (FIMMG-Federazione italiana medici di famiglia e SMI-Sindacato medici italiani) L’Associazione degli ex parlamentari della Repubblica ha raccolto tra i propri iscritti, che quasi all’unanimità hanno aderito alla sottoscrizione, la somma di 150.000 euro da devolvere ai Medici di base per l’acquisto di quelle attrezzature e di quei sistemi di protezione (mascherine, tute, visiere e altro) di cui vi è tanta necessità per la loro tutela personale nell’esercizio della loro attività professionale di prevenzione e di cura dei loro assistiti, prestata in prima linea in questa sconosciuta epidemia di coronavirus. La somma è devoluta alle organizzazioni più rappresentative dei Medici di base (FIMMG-Federazione italiana medici di famiglia e SMI-Sindacato medici italiani), che hanno lanciato una loro raccolta fondi per dotare i medici di base del necessario al fine di proteggere sé stessi e i pazienti nel contrasto all’epidemia. Il Presidente degli ex parlamentari, Antonello Falomi, con una lettera indirizzata al Presidente del FIMMG, Giacomo Caudo, e alla Segretaria generale dello SMI, Pina Onotri, ha espresso l’apprezzamento dell’Associazione per la difficile azione svolta dai medici di famiglia e ha illustrato loro le ragioni della donazione, sottolineando, in particolare, che, nella lotta al coronavirus, la mobilitazione dei territori e delle strutture di base del sistema sanitario è altrettanto decisiva quanto quella delle strutture ospedaliere. Falomi ha comunicato a FIMMG e SMI l’accreditamento sui relativi c/c bancari della somma devoluta.
Testata Data 21 aprile 2020 CORONAVIRUS, SINDACATO DEI MEDICI DI CATANIA IN CAMPO PER FORNIRE I COLLEGHI DI MASCHERINE E VISIERE Visiere e tendi-mascherine a titolo completamente gratuito saranno consegnate ai Medici di Medicina Generale e ai Medici di Continuità Assistenziale del Territorio etneo. E’ l’iniziativa Sindacato Medici Italiani – sezione di Catania -, per venire incontro alle esigenze di protezione dei medici del territorio impegnati in prima linea. E’ stata infatti intrapreso una collaborazione con Air Factories (https://airfactories.org/) per un progetto realizzato con l’unione del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Messina (Prof. Giacomo Risitano), Innesta (startup del Dipartimento), lo spinoff SmartME e la startup innovativa Neural. Il progetto nasce grazie all’interessamento del dotto Sergio Lombardo, delegato SMI Medici Assistenza Primaria di Catania. Air Factories è una piattaforma no-profit che mette in connessione le richieste nazionali delle aziende ospedaliere, con maker, designer, startup e FabLab al fine di fornire i dispositivi di protezione individuale ai medici, e non solo (valvole charlotte, valvole dave, connettori AV Y).
Testata Data 23 aprile 2020 SINDACATO MEDICI: «PAZIENTI A DOMICILIO: IMPOSSIBILE L’ACCESSO AI TAMPONI. PREOCCUPATI PER FASE2: MANCANO PRESIDI» appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le ultime Raccomandazioni regionali contenute nell’ennesima ordinanza che consigliano addirittura l’accesso senza utilizzo di mascherine dei pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti area medica della nostra Regione» scrive in una nota SMI. Lettera aperta al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti NOTA DELLA SEGRETERIA REGIONALE DEL SMI DEL LAZIO «Abbiamo deciso di inviare una lettera aperta al Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e scegliendo di pubblicarla, in quanto, ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci consentano di essere ascoltati, né dal Governatore del Lazio, né dalla Task Force regionale – Unità di crisi, istituita per l’emergenza Covid. E sì che lo abbiamo chiesto, in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche all’assessore alla salute Alessio D’Amato» così una nota del Sindacato Medici Italiani rende pubblica una lettera aperta inviata al presidente della Regione Lazio. «Rappresentiamo, nel Lazio, medici di varie specialità e portiamo alla sua attenzione l’impossibilità per i nostri pazienti di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid. Le reiterate richieste da parte dei medici di famiglia circa la necessità di prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate. Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%. È quanto emerge, infatti, da una prima indagine condotta dal nostro sindacato, nelle più grandi Asl della nostra regione: su un campione di 26.553 assisti, ben 160 segnalazioni inoltrate, di esse, solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone)». «Ad essere ottimisti – continua lo SMI – saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell’esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso
Testata Data 23 aprile 2020 CORONAVIRUS A ROMA, ULTIME NOTIZIE. DIFFIDA DELLA REGIONE AL SAN RAFFAELE OGGI 79 CONTAGI (45 A ROMA) E 5 MORTI Il sindacato scrive una lettera aperta al presidente della Regione Zingaretti: «Così si ottengono dati falsati». E si guarda alla fase 2: autocertificazioni per entrare al ristorante, mentre le librerie chiedono di poter esporre in strada GIOVEDÌ 23 APRILE 2020 Coronavirus a Roma, ultime notizie. Diffida della Regione al San Raffaele Oggi 79 contagi (45 a Roma) e 5 morti Il sindacato scrive una lettera aperta al presidente della Regione Zingaretti: «Così si ottengono dati falsati». E si guarda alla fase 2: autocertificazioni per entrare al ristorante, mentre le librerie chiedono di poter esporre in strada. Il sindacato Medici italiani del Lazio rende pubblica una lettera al presidente della Regione Nicola Zingaretti: «Portiamo alla sua attenzione l’impossibilità per i nostri pazienti di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid. Le richieste da parte dei medici di famiglia sulla necessità di prendere in carico pazienti sospetti — sintomatici o contatti — sono rimaste inascoltate. Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5.000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: nella migliore delle ipotesi ne sono state processate appena il 15%». La segnalazione segue a una vera e propria indagine, condotta dal sindacato nelle più grandi Asl del Lazio: «A essere ottimisti, saranno appena 10mila i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Nella regione sono stati fatti circa 100mila tamponi. A chi sono stati effettuati i circa 90 mila che i medici di famiglia non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che nell’esecuzione dei test non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso?». Intanto a livello politico si discute della Fase 2: si entrerà forse al ristorante con auto certificazione, mentre le librerie chiedono di poter esporre in strada. Il bollettino odierno dell’Istituto Spallanzani: i pazienti Covid 19 positivi sono in totale 115. Di questi, 20 necessitano di supporto respiratorio. 344 il totale fra dimessi, e trasferiti in altri ospedali. La Pisana alla clinica San Raffaele di Rocca di Papa: «Attuare le misure regionali dettate allo scopo di ripristinare le procedure di prevenzione, contenimento e gestione dei focolai da Sars-Cov 2 e l’attuazione di tutte le azioni che la Asl Roma 6 ha rilevato necessarie».
Testata Data 19 aprile 2020 MEDICI DI FAMIGLIA A ZINGARETTI: “A CHI AVETE FATTO I TAMPONI? NON AI PAZIENTI SEGNALATI DA NOI” Le domande dei medici di famiglia al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: “Leggiamo che nel Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90 mila tamponi che i Medici di famiglia non hanno richiesto?” I medici del Sindacato Medici Italiani hanno deciso di inviare una lettera aperta al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Denunciano l'impossibilità, come del resto ieri ha fatto un medico ai microfoni di Fanpage.it, di avere accesso ai tamponi per quanto riguarda i loro pazienti. Ogni medico di famiglia avrebbe fatto da 7 a 10 segnalazioni, ma di queste ne sono state ascoltate e processate solo il 15 per cento. Su un campione di 21 medici di famiglia sono state inoltrate ben 160 segnalazioni ai Servizi Igiene e Sanità Pubblica delle varie Asl. Solo 25 pazienti, il 15 per cento, sono stati presi in carico e sottoposti a tampone. "Leggiamo che nel Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90 mila tamponi che i Medici di famiglia non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell'esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso?", chiedono i medici. "Lo vorremmo sapere, anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto terapia domiciliare pazienti Covid", noi Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare neanche la terapia precoce con i farmaci già previsti per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a tampone". La denuncia di un medico: "Segnalati casi sospetti, nessuno è intervenuto" Fulvio Amadori, medico di base, ha denunciato ai microfoni di Fanpage.it: "Noi non veniamo mai contattati, il paziente non viene mai contattato. Ho messo sotto osservazione almeno quindici persone per sospetto Covid-19, le ho dovute mettere in isolamento. Nessuno le ha chiamate e nessun tampone è stato fatto. Eppure quando allerto l'Asl, loro dovrebbero entrare in azione per tutelare non solo i pazienti, ma anche la salute dei conviventi".
Testata Data 22 aprile 2020 L'ALLARME DEI MEDICI DI BASE: «TAMPONI IN RITARDO, COSÌ I PAZIENTI SI AGGRAVANO» «Se non si consentirà ai medici di famiglia di prescrivere farmaci adatti già nelle prime fasi della malattia da Covid 19, continueranno a essere mandati in ospedale pazienti già gravi». È l’allarme lanciato dal Sindacato Medici Italiani, che chiede alla Regione Lazio di dare più autonomia decisionale ai medici di base nella gestione dei propri assistiti, sospetti o già positivi al coronavirus, per limitare il rischio di complicanze gravi. Oggi, spiega al Caffè la dottoressa Pina Onotri, segretario generale dello SMI, il dottore non può neanche prescrivere il test del tampone quando si trova di fronte a un paziente con sintomi sospetti, ma solo richiederlo, aspettando di essere ricontattato dalla Asl. Ma questo, afferma Onotri, non avviene sempre tempestivamente, con il rischio che i farmaci ora disponibili per le cure vengano somministrati in ritardo. Dottoressa Onotri, nel Lazio che cosa è previsto che faccia un medico di famiglia se sospetta che un suo assistito abbia contratto il Covid 19? «La prima cosa che il medico deve fare è inviare una e-mail alla Asl, segnalando che si trova davanti a una persona con sintomi sospetti. In seguito, l’ufficio di profilassi della stessa Asl dovrebbe contattare il paziente e anche il medico per valutare la situazione. Successivamente, sempre la Asl dovrebbe comunicarci se la persona va messa in quarantena, dato che è il medico di famiglia a dover rilasciare il certificato al paziente, e infine dovrebbe dirci se la quarantena si è conclusa e con quale esito. Cosa che quasi mai succede». Di mezzo quindi c’è il famoso test del tampone. Come funziona la richiesta, e in che tempi solitamente viene effettuato? «Nella segnalazione che fa alla Asl, il medico di base comunica all’ufficio di profilassi che il paziente è "meritevole di tampone", tuttavia nelle ultime settimane i medici stanno chiedendo esplicitamente che venga eseguito. Bisogna dire che dei tamponi richiesti solo una percentuale esigua viene eseguita, oppure vengono fatti molto in ritardo. Personalmente, ad esempio, ho segnalato su Roma 16 pazienti: la Asl ne ha chiamato uno ben 15 giorni dopo per valutare l’esecuzione del test. È evidente che in due settimane le condizioni cliniche di queste persone hanno avuto tutto il tempo di aggravarsi, oppure di migliorare spontaneamente». Che cosa rischia una persona che ha contratto il Covid 19, se questo non viene diagnosticato e curato tempestivamente? «In una certa percentuale, non molto alta ma considerevole vista la contagiosità del virus, il paziente può rischiare di aggravarsi molto. A quel punto l’ospedalizzazione diventa necessaria. Ma se il ricovero avviene per un malato che già ha difficoltà respiratorie, perché magari a casa è stato curato in modo non adeguato o in ritardo, questo paziente avrà maggiori possibilità di dover essere ricoverato in terapia intensiva e magari intubato. Oltre alle maggiori probabilità di aggravamento del malato, un tampone fatto in ritardo non consente di
limitare gli spostamenti delle persone che vivono quotidianamente intorno ad esso, e che potrebbero a loro volta aver contratto il virus. Così, mentre il “caso sospetto” si trova in auto-isolamento in attesa del test (una decisione, questa, che dovrebbe prendere la Asl, ma di fatto è quasi sempre il medico di base a suggerire all’assistito di isolarsi), la moglie può andare in farmacia oppure a fare la spesa, entrando in contatto con altre persone». Qual è il quadro più frequente che si presenta nei malati Covid all’aggravamento delle condizioni cliniche? «La polmonite interstiziale è il quadro che finora si è palesato più di frequente. Tuttavia, le evidenze sul campo ci mostrano che quella causata dal Covid 19 è una malattia multi-organo, che a volte presenta complicanze non soltanto polmonari, ma ad esempio anche vascolari. Sono complicazioni che possono avere conseguenze gravissime e anche letali nelle persone più fragili, ma va detto che anche alcuni pazienti giovani e sani si sono aggravati, e ci sono stati dei morti. Questo aspetto andrà certamente approfondito». Ci sono farmaci efficaci per il trattamento del Covid 19 che i medici di famiglia possono prescrivere? «Dopo le nostre sollecitazioni, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha emanato una circolare il 17 marzo scorso segnalando che l’idrossiclorochina (un medicinale anti-malarico usato anche per la cura dell’artrite reumatoide), se somministrata nelle primissime fasi e con sintomatologia poco grave, può tenere sotto controllo la malattia. Ma per essere efficace va assunta entro 3-5 giorni dai primi sintomi. Il problema è che noi medici di famiglia, in base a una circolare regionale, possiamo prescrivere questo farmaco solo a pazienti che hanno già eseguito il tampone e sono risultati positivi. In pratica la Regione si è adattata alla prescrizione dell’Aifa, ma nel provvedimento ha posto alcuni paletti, come appunto quello del tampone con esito positivo, che visti i tempi reali di esecuzione del test la rendono di fatto impraticabile». Questo perché a quanto ci dice il farmaco andrebbe assunto entro 5 giorni dai sintomi. Se, come ci racconta, il tampone viene eseguito anche due settimane dopo la segnalazione del medico, sembra esserci un problema di tempi. «Purtroppo, quello che ha previsto la Regione non è detto che corrisponda alla realtà dei fatti. Noi chiediamo di poter prescrivere l’idrossiclorochina in base ai sintomi clinici e non solo dopo l’esito degli esami di laboratorio, ma sono stati molto chiari a dire che non si può somministrare per profilassi». Di che tipo di farmaco si tratta? Ha gravi effetti collaterali? Può essere acquistato in farmacia? «L’idrossiclorochina è un anti-malarico prescritto “off label” per le infezioni da Covid; in genere si prescrive per l’artrite reumatoide. Un malato di Covid accertato può richiedere il farmaco presso una farmacia ospedaliera presentando un modulo apposito, fornito dalla Regione e compilato dal medico, e gliene viene consegnata la dose necessaria. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, ne ha come molti altri farmaci. Circa 1 paziente su 400 può presentare problemi cardiaci, ma consideri che viene prescritto su ricetta bianca per la profilassi anti- malarica di chi deve andare in vacanza in alcune zone dell’Africa. Indubbiamente non è un farmaco di automedicazione, deve essere sempre il medico a valutarne attentamente la prescrizione». Come viene assistito, ad oggi, un paziente Covid a domicilio? «Stiamo ancora aspettando l’istituzione delle Uscar, le unità sanitarie speciali previste dal decreto dell’8 marzo scorso. Si tratta di medici volontari che, protetti adeguatamente, somministrano la terapia a domicilio. Sono partite in diverse province italiane, ma da noi ancora no». (Il bando regionale per l’arruolamento di medici e infermieri da inserire nelle Uscar è scaduto il 16 aprile, ndr).
«Attualmente noi medici di famiglia assistiamo i pazienti Covid telefonicamente, con videochiamate, monitoriamo i parametri vitali. Oppure decidiamo di coprirci il più possibile e andiamo a casa loro. Ovviamente con mascherine e guanti che ci siamo comprati da soli». Come vengono tutelati i medici di base dal rischio di contagio? «Lo dico chiaramente: i medici di famiglia e le guardie mediche non sono tutelati in alcun modo. Non sono nemmeno stati distribuiti loro i dispositivi di protezione individuale. Pensi che lo SMI ha comprato e distribuito ai medici italiani circa 30mila mascherine». Avete in programma incontri con la Regione per segnalare le criticità che state riscontrando? «Noi continuiamo a mandare lettere su lettere, ma la Regione non ci convoca. Vorremmo dare un contributo organizzativo, vogliamo capire anche come sarà affrontata la famosa fase 2 che, dopo lo svuotamento degli ospedali, sarà di gestione prettamente territoriale, ma come facciamo in queste condizioni? Ho paura che dovremo fare una guerra con le armi spuntate». «I medici non devono rispondere legalmente di una gestione inefficiente» «Gli errori e le inefficienze nelle cure ai pazienti affetti da coronavirus, causati dalle mancanze delle Regioni e dalle deficienze delle direzioni delle aziende sanitarie, non possono essere addossate ai medici». Il segretario generale del Sindacato Medici Italiani, Pina Onotri, chiede che i medici, dirigenti o convenzionati, non debbano rispondere civilmente, penalmente e per danno erariale per eventi avversi accaduti durante la pandemia e lo stato di emergenza da Covid 19, se non per dolo. Non esistono protocolli consolidati per la cura di una patologia nuova e di tale complessità, afferma Onotri, e sono carenti anche i dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario. Questi i motivi per cui, secondo lo SMI, i medici non devono pagare il prezzo, anche economico, dell’emergenza in corso. «Siamo convinti – conclude il segretario generale – che non si può imputare al medico la colpa per ritardi terapeutici causati dall’assenza di indagini diagnostiche disponibili, o da problematiche derivanti da un’organizzazione aziendale non in grado di rispondere all’emergenza». .
Testata Data 23 aprile 2020 Tampone solo al 15% dei pazienti a domicilio. Indagine dello Smi Lazio su 21 medici di famiglia Secondo l’analisi dello Smi di 160 segnalazioni inoltrate dai 21 medici ai SISP, solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone). “Ad essere ottimisti saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Ma leggiamo che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi, con risultati pari a 9 negativi su 1). A chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto?”, chiede il sindacato in una lettera aperta a Zingaretti. 23 APR - “A chi sono stati effettuati i circa 100.000 tamponi effettuati nel Lazio attestato che, ad essere ottimisti, saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia?”. A domandarlo, in una lettera aperta indirizzata al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, è lo Smi del Lazio, che dopo i primi risultati emersi da un’indagine su 21 medici di medicina generale della Regione, denuncia come pochissime delle richieste di tampone avanzate dai medici di famiglia finiscano poi con la effettuazione del test. “Questo ci viene difficile spiegarlo ai nostri pazienti, soprattutto a quelli che devono ricorrere poi alle cure del 118 per insufficienza respiratoria, o ai parenti dei pazienti deceduti perché segnalati e mai presi in carico”. Secondo i dati e le conseguenti stime realizzate dallo Smi, “ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%”. Infatti, “su un campione di 21 Mmg, per un totale di 26.553 assisti, ben 160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone)”. “Ad essere ottimisti - prosegue la denuncia dello Smi - saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell'esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso?”. “Lo vorremmo sapere - fa nota il sindacato - , anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto "terapia domiciliare pazienti Covid", noi Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare neanche la terapia precoce con i farmaci già previsti per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a tampone”. E in vista dell’attivazione delle Uscar, lo Smi si chiede se “a casa di questi pazienti continueranno forse ad andare a mani nude i medici di continuità assistenziale e medici di famiglia? A mani nude perché sicuramente non basterà l’unica mascherina chirurgica consegnata ai medici di guardia medica o nessuna
mascherina consegnata ai medici di famiglia più fortunati e in ASL più generose”. Lo Smi Lazio si dice, quindi, “molto preoccupato di dover affrontare una fase 2 che, in carenza di Dpi, in carenza di tamponi, in carenza di esami diagnostici e, soprattutto, nell'impossibilità di poter prescrivere terapia sul solo corredo sintomatologico clinico. Ci appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le ultime Raccomandazioni regionali contenute nell’'ennesima ordinanza regionale del Z00034 del 18.4.2020 che consigliano addirittura l’'accesso senza utilizzo di mascherine dei pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti area medica della nostra Regione” conclude la nota del SMI.
Testata Data 23 aprile 2020 CORONAVIRUS. SMI A ZINGARETTI: INDAGINE CONFERMA IMPOSSIBILITÀ ACCESSO TAMPONI Roma, 23 aprile 2020 – “Abbiamo deciso di inviare una lettera aperta al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e scegliendo di pubblicarla, in quanto, ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci consentano essere ascoltati, ne’ dal Governatore del Lazio, ne’ dalla Task Force regionale Unità di crisi, istituita per l’emergenza Covid. E si’ che lo abbiamo chiesto, in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche all’assessore alla salute Alessio D’Amato”. Cosi’ una nota del Sindacato Medici Italiani del Lazio rende pubblica una lettera aperta inviata al presidente della Regione Lazio. “Rappresentiamo, nel Lazio- si legge nella nota dello Smi- medici di varie specialita’ e portiamo alla sua attenzione l’impossibilita’ per i nostri pazienti di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid. Le reiterate richieste da parte dei medici di famiglia circa la necessità di prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate. Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%. È quanto emerge, infatti, da una prima indagine condotta dal nostro sindacato, nelle piu’ grandi Asl della nostra regione: su un campione di 21 Mmg, per un totale di 26.553 assisti, ben 160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone). Ad essere ottimisti saranno pertanto appena 10 mila i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90 mila tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell’esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso?”. E ancora, “Lo vorremmo sapere, anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto terapia domiciliare pazienti Covid”, noi Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare neanche la terapia precoce con i farmaci gia’ previsti per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a tampone”. “Questo ci viene difficile spiegarlo ai nostri pazienti, soprattutto a quelli che devono ricorrere poi alle cure del 118 per insufficienza respiratoria, o ai parenti dei pazienti deceduti perché segnalati e mai presi in carico.
Oggi leggiamo da Avviso per “disponibilita’ regionale Attivita’ Uscar ” n 0314552 del 10.4.2020 e come da Determina U360729 DEL 20.4.2020 (regolamento delle USCAR), che vengono istituite le Uscar che si occuperanno prevalentemente delle RSA , dove registriamo una situazione critica (che probabilmente non si sarebbe verificata se non fosse stata fatta la scelta di ricoverare li’ i pazienti covid positivi) ed in maniera ” residuale” dei soggetti a domicilio che non siano presi in carico da altra “forma organizzativa”. Quali sarebbero le “forme organizzative abituali? Non ci risulta che ne siano previste altre. A casa di questi pazienti continueranno forse ad andare a mani nude i medici di continuità assistenziale e medici di famiglia? A mani nude perché sicuramente non basterà l’unica mascherina chirurgica consegnata ai medici di guardia medica o nessuna mascherina consegnata ai medici di famiglia più fortunati e in ASL piu’ generose”. Quindi ancora lo Smi, “In questi mesi abbiamo imparato, sulla nostra pelle cosa significa non osservare le misure di biocontenimento e non vogliamo lasciare, nel Lazio, altre vittime sul campo e soprattutto vogliamo, per i nostri pazienti fare qualcosa di piu’ che prescrivere paracetamolo e dare consigli telefonici. Pertanto spiega il sindacato, “Chiediamo che venga recepito il dpcm del 9 marzo 2020 e che vengano istituite le USCA (questa volta senza r), che interagiscano con i Mmg per la presa in carico dei pazienti che segnaliamo e che vogliamo curare al loro domicilio”. “Siamo molto preoccupati di dover affrontare una fase 2 che, in carenza di Dpi, in carenza di tamponi, in carenza di esami diagnostici e, soprattutto, nell’impossibilità di poter prescrivere terapia sul solo corredo sintomatologico clinico. Ci appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le ultime Raccomandazioni regionali contenute nell’ ennesima ordinanza regionale del Z00034 del 18.4.2020 che consigliano addirittura l’ accesso senza utilizzo di mascherine dei pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori , come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti area medica della nostra Regione”, conclude la nota del SMI.
Testata Data 23 aprile 2020 CORONAVIRUS. ONOTRI (SMI) TORNA A CHIEDERE NORME AD HOC PER RESPONSABILITÀ MEDICI Il Sindacato Medici Italiani del Lazio ha reso pubblica una lettera aperta inviata al Presidente della Regione Nicola Zingaretti, nella quale viene denunciata l’impossibilità di accesso ai tamponi per i pazienti a domicilio. Il Sindacato ha reso noto di aver pubblicato la lettera poiché “ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci consentano di essere ascoltati, né dal Governatore del Lazio, né dalla Task Force regionale – Unità di crisi, istituita per l’emergenza Covid”, affermando inoltre di averlo chiesto “in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche all’Assessore alla Salute Alessio D’Amato“. Nella lettera del Sindacato dei Medici a Zingaretti viene denunciata l’impossibilità per i pazienti della Regione Lazio di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid-19, spiegando che le “reiterate richieste da parte dei medici di famiglia sulla necessità di prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate”. Dall’indagine condotta dal SMI risulta che “ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni”: ma di tutte queste pare ne siano state prese in carico “appena il 15%”. Dall’indagine portata avanti dal sindacato è emerso che nella maggior parte delle Asl del Lazio “su un campione di 21 Mmg per un totale di 26.553 assistiti, ben 160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone)”. La lettera continua spiegando che i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia “saranno pertanto appena 10.000” quando è stato detto che “nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi”. Il SMI si chiede dunque: “a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto?”. Il SMI del Lazio chiede risposte, anche per tutti quei pazienti “che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico” ed una terapia che il sindacato giudica “insufficiente”.
Testata Data 15 aprile 2020
Testata Data 21 aprile 2020
Testata Data 18 aprile 2020
Puoi anche leggere