Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata

Pagina creata da Valerio Giordano
 
CONTINUA A LEGGERE
Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata
Rassegna Stampa del 24 aprile 2020
                             Testata                                                     Data

                                                                                21 aprile 2020

CORONAVIRUS, 150.000 EURO AI MEDICI DI BASE DAGLI EX-PARLAMENTARI

La somma è devoluta alle organizzazioni più rappresentative dei Medici di base (FIMMG-Federazione
italiana medici di famiglia e SMI-Sindacato medici italiani)
L’Associazione degli ex parlamentari della Repubblica ha raccolto tra i propri iscritti, che quasi all’unanimità
hanno aderito alla sottoscrizione, la somma di 150.000 euro da devolvere ai Medici di base per l’acquisto
di quelle attrezzature e di quei sistemi di protezione (mascherine, tute, visiere e altro) di cui vi è tanta
necessità per la loro tutela personale nell’esercizio della loro attività professionale di prevenzione e di cura
dei loro assistiti, prestata in prima linea in questa sconosciuta epidemia di coronavirus.
La somma è devoluta alle organizzazioni più rappresentative dei Medici di base (FIMMG-Federazione
italiana medici di famiglia e SMI-Sindacato medici italiani), che hanno lanciato una loro raccolta fondi per
dotare i medici di base del necessario al fine di proteggere sé stessi e i pazienti nel contrasto all’epidemia.
Il Presidente degli ex parlamentari, Antonello Falomi, con una lettera indirizzata al Presidente del FIMMG,
Giacomo Caudo, e alla Segretaria generale dello SMI, Pina Onotri, ha espresso l’apprezzamento
dell’Associazione per la difficile azione svolta dai medici di famiglia e ha illustrato loro le ragioni della
donazione, sottolineando, in particolare, che, nella lotta al coronavirus, la mobilitazione dei territori e delle
strutture di base del sistema sanitario è altrettanto decisiva quanto quella delle strutture ospedaliere.
Falomi ha comunicato a FIMMG e SMI l’accreditamento sui relativi c/c bancari della somma devoluta.
Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata
Testata                                                     Data

                                                                                21 aprile 2020

CORONAVIRUS, SINDACATO DEI MEDICI DI CATANIA IN CAMPO PER FORNIRE I COLLEGHI DI
MASCHERINE E VISIERE

Visiere e tendi-mascherine a titolo completamente gratuito saranno consegnate ai Medici di Medicina
Generale e ai Medici di Continuità Assistenziale del Territorio etneo.
E’ l’iniziativa Sindacato Medici Italiani – sezione di Catania -, per venire incontro alle esigenze di protezione
dei medici del territorio impegnati in prima linea. E’ stata infatti intrapreso una collaborazione con Air
Factories (https://airfactories.org/) per un progetto realizzato con l’unione del Dipartimento di Ingegneria
dell’Università di Messina (Prof. Giacomo Risitano), Innesta (startup del Dipartimento), lo spinoff SmartME
e la startup innovativa Neural.
Il progetto nasce grazie all’interessamento del dotto Sergio Lombardo, delegato SMI Medici Assistenza
Primaria di Catania.
Air Factories è una piattaforma no-profit che mette in connessione le richieste nazionali delle aziende
ospedaliere, con maker, designer, startup e FabLab al fine di fornire i dispositivi di protezione individuale
ai medici, e non solo (valvole charlotte, valvole dave, connettori AV Y).
Rassegna Stampa del 24 aprile 2020 Testata
Testata                                                    Data

                                                                             23 aprile 2020

SINDACATO MEDICI: «PAZIENTI A DOMICILIO: IMPOSSIBILE L’ACCESSO AI TAMPONI. PREOCCUPATI PER
FASE2: MANCANO PRESIDI»

appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le ultime Raccomandazioni
regionali contenute nell’ennesima ordinanza che consigliano addirittura l’accesso senza utilizzo di
mascherine dei pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci
fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia
confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti area medica della nostra
Regione» scrive in una nota SMI.
Lettera aperta al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti
NOTA DELLA SEGRETERIA REGIONALE DEL SMI DEL LAZIO
«Abbiamo deciso di inviare una lettera aperta al Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e
scegliendo di pubblicarla, in quanto, ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci consentano di essere
ascoltati, né dal Governatore del Lazio, né dalla Task Force regionale – Unità di crisi, istituita per
l’emergenza Covid. E sì che lo abbiamo chiesto, in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche
all’assessore alla salute Alessio D’Amato» così una nota del Sindacato Medici Italiani rende pubblica una
lettera aperta inviata al presidente della Regione Lazio. «Rappresentiamo, nel Lazio, medici di varie
specialità e portiamo alla sua attenzione l’impossibilità per i nostri pazienti di poter avere accesso ai
tamponi per la diagnosi di Covid. Le reiterate richieste da parte dei medici di famiglia circa la necessità di
prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi
sono rimaste pressoché inascoltate. Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto
mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena
il 15%. È quanto emerge, infatti, da una prima indagine condotta dal nostro sindacato, nelle più grandi Asl
della nostra regione: su un campione di 26.553 assisti, ben 160 segnalazioni inoltrate, di esse, solo il 15%
ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a
tampone)».
«Ad essere ottimisti – continua lo SMI – saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta
dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi. Questi
avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi:
a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa percentuale di
positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell’esecuzione degli stessi non siano stati
rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso
Testata                                                    Data

                                                                               23 aprile 2020

CORONAVIRUS A ROMA, ULTIME NOTIZIE. DIFFIDA DELLA REGIONE AL SAN RAFFAELE OGGI 79 CONTAGI
(45 A ROMA) E 5 MORTI

Il sindacato scrive una lettera aperta al presidente della Regione Zingaretti: «Così si ottengono dati falsati».
E si guarda alla fase 2: autocertificazioni per entrare al ristorante, mentre le librerie chiedono di poter
esporre in strada

GIOVEDÌ 23 APRILE 2020
Coronavirus a Roma, ultime notizie. Diffida della Regione al San Raffaele Oggi 79 contagi (45 a Roma) e 5
morti
Il sindacato scrive una lettera aperta al presidente della Regione Zingaretti: «Così si ottengono dati falsati».
E si guarda alla fase 2: autocertificazioni per entrare al ristorante, mentre le librerie chiedono di poter
esporre in strada.

Il sindacato Medici italiani del Lazio rende pubblica una lettera al presidente della Regione Nicola
Zingaretti: «Portiamo alla sua attenzione l’impossibilità per i nostri pazienti di poter avere accesso ai
tamponi per la diagnosi di Covid. Le richieste da parte dei medici di famiglia sulla necessità di prendere in
carico pazienti sospetti — sintomatici o contatti — sono rimaste inascoltate. Ogni medico di famiglia nel
Lazio, e ne abbiamo circa 5.000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: nella migliore delle ipotesi
ne sono state processate appena il 15%». La segnalazione segue a una vera e propria indagine, condotta
dal sindacato nelle più grandi Asl del Lazio: «A essere ottimisti, saranno appena 10mila i tamponi effettuati
su richiesta dei medici di famiglia. Nella regione sono stati fatti circa 100mila tamponi. A chi sono stati
effettuati i circa 90 mila che i medici di famiglia non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si
potrebbe spiegare con la circostanza che nell’esecuzione dei test non siano stati rispettati i criteri clinici,
epidemiologici, o del semplice buon senso?». Intanto a livello politico si discute della Fase 2: si entrerà
forse al ristorante con auto certificazione, mentre le librerie chiedono di poter esporre in strada. Il
bollettino odierno dell’Istituto Spallanzani: i pazienti Covid 19 positivi sono in totale 115. Di questi, 20
necessitano di supporto respiratorio. 344 il totale fra dimessi, e trasferiti in altri ospedali. La Pisana alla
clinica San Raffaele di Rocca di Papa: «Attuare le misure regionali dettate allo scopo di ripristinare le
procedure di prevenzione, contenimento e gestione dei focolai da Sars-Cov 2 e l’attuazione di tutte le
azioni che la Asl Roma 6 ha rilevato necessarie».
Testata                                                     Data

                                                                                19 aprile 2020

MEDICI DI FAMIGLIA A ZINGARETTI: “A CHI AVETE FATTO I TAMPONI? NON AI PAZIENTI SEGNALATI DA
NOI”

Le domande dei medici di famiglia al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: “Leggiamo che nel
Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale
di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90 mila tamponi che i
Medici di famiglia non hanno richiesto?”
I medici del Sindacato Medici Italiani hanno deciso di inviare una lettera aperta al presidente della Regione
Lazio, Nicola Zingaretti. Denunciano l'impossibilità, come del resto ieri ha fatto un medico ai microfoni di
Fanpage.it, di avere accesso ai tamponi per quanto riguarda i loro pazienti. Ogni medico di famiglia avrebbe
fatto da 7 a 10 segnalazioni, ma di queste ne sono state ascoltate e processate solo il 15 per cento. Su un
campione di 21 medici di famiglia sono state inoltrate ben 160 segnalazioni ai Servizi Igiene e Sanità
Pubblica delle varie Asl. Solo 25 pazienti, il 15 per cento, sono stati presi in carico e sottoposti a tampone.

"Leggiamo che nel Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una
bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90
mila tamponi che i Medici di famiglia non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe
spiegare con la circostanza che, forse, nell'esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici,
epidemiologici, o del semplice buon senso?", chiedono i medici. "Lo vorremmo sapere, anche per
rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio
telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente
oggetto terapia domiciliare pazienti Covid", noi Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare
neanche la terapia precoce con i farmaci già previsti per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi
fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a tampone".

La denuncia di un medico: "Segnalati casi sospetti, nessuno è intervenuto"
Fulvio Amadori, medico di base, ha denunciato ai microfoni di Fanpage.it: "Noi non veniamo mai contattati,
il paziente non viene mai contattato. Ho messo sotto osservazione almeno quindici persone per sospetto
Covid-19, le ho dovute mettere in isolamento. Nessuno le ha chiamate e nessun tampone è stato fatto.
Eppure quando allerto l'Asl, loro dovrebbero entrare in azione per tutelare non solo i pazienti, ma anche
la salute dei conviventi".
Testata                                                      Data

                                                                                      22 aprile 2020

L'ALLARME DEI MEDICI DI BASE: «TAMPONI IN RITARDO, COSÌ I PAZIENTI SI AGGRAVANO»

«Se non si consentirà ai medici di famiglia di prescrivere farmaci adatti già nelle prime fasi della malattia
da Covid 19, continueranno a essere mandati in ospedale pazienti già gravi». È l’allarme lanciato dal
Sindacato Medici Italiani, che chiede alla Regione Lazio di dare più autonomia decisionale ai medici di base
nella gestione dei propri assistiti, sospetti o già positivi al coronavirus, per limitare il rischio di complicanze
gravi. Oggi, spiega al Caffè la dottoressa Pina Onotri, segretario generale dello SMI, il dottore non può
neanche prescrivere il test del tampone quando si trova di fronte a un paziente con sintomi sospetti, ma
solo richiederlo, aspettando di essere ricontattato dalla Asl. Ma questo, afferma Onotri, non avviene
sempre tempestivamente, con il rischio che i farmaci ora disponibili per le cure vengano somministrati in
ritardo.
Dottoressa Onotri, nel Lazio che cosa è previsto che faccia un medico di famiglia se sospetta che un suo
assistito               abbia                  contratto                 il               Covid                 19?

«La prima cosa che il medico deve fare è inviare una e-mail alla Asl, segnalando che si trova davanti a una
persona con sintomi sospetti. In seguito, l’ufficio di profilassi della stessa Asl dovrebbe contattare il
paziente e anche il medico per valutare la situazione. Successivamente, sempre la Asl dovrebbe
comunicarci se la persona va messa in quarantena, dato che è il medico di famiglia a dover rilasciare il
certificato al paziente, e infine dovrebbe dirci se la quarantena si è conclusa e con quale esito. Cosa che
quasi mai succede».
Di mezzo quindi c’è il famoso test del tampone. Come funziona la richiesta, e in che tempi solitamente
viene                                                                                           effettuato?

«Nella segnalazione che fa alla Asl, il medico di base comunica all’ufficio di profilassi che il paziente è
"meritevole di tampone", tuttavia nelle ultime settimane i medici stanno chiedendo esplicitamente che
venga                                                                                             eseguito.
Bisogna dire che dei tamponi richiesti solo una percentuale esigua viene eseguita, oppure vengono fatti
molto in ritardo. Personalmente, ad esempio, ho segnalato su Roma 16 pazienti: la Asl ne ha chiamato uno
ben 15 giorni dopo per valutare l’esecuzione del test. È evidente che in due settimane le condizioni cliniche
di queste persone hanno avuto tutto il tempo di aggravarsi, oppure di migliorare spontaneamente».
Che cosa rischia una persona che ha contratto il Covid 19, se questo non viene diagnosticato e curato
tempestivamente?

«In una certa percentuale, non molto alta ma considerevole vista la contagiosità del virus, il paziente può
rischiare di aggravarsi molto. A quel punto l’ospedalizzazione diventa necessaria. Ma se il ricovero avviene
per un malato che già ha difficoltà respiratorie, perché magari a casa è stato curato in modo non adeguato
o in ritardo, questo paziente avrà maggiori possibilità di dover essere ricoverato in terapia intensiva e
magari                                                                                             intubato.
Oltre alle maggiori probabilità di aggravamento del malato, un tampone fatto in ritardo non consente di
limitare gli spostamenti delle persone che vivono quotidianamente intorno ad esso, e che potrebbero a
loro volta aver contratto il virus. Così, mentre il “caso sospetto” si trova in auto-isolamento in attesa del
test (una decisione, questa, che dovrebbe prendere la Asl, ma di fatto è quasi sempre il medico di base a
suggerire all’assistito di isolarsi), la moglie può andare in farmacia oppure a fare la spesa, entrando in
contatto con altre persone».
Qual è il quadro più frequente che si presenta nei malati Covid all’aggravamento delle condizioni
cliniche?

«La polmonite interstiziale è il quadro che finora si è palesato più di frequente. Tuttavia, le evidenze sul
campo ci mostrano che quella causata dal Covid 19 è una malattia multi-organo, che a volte presenta
complicanze non soltanto polmonari, ma ad esempio anche vascolari. Sono complicazioni che possono
avere conseguenze gravissime e anche letali nelle persone più fragili, ma va detto che anche alcuni pazienti
giovani e sani si sono aggravati, e ci sono stati dei morti. Questo aspetto andrà certamente approfondito».
Ci sono farmaci efficaci per il trattamento del Covid 19 che i medici di famiglia possono prescrivere?

«Dopo le nostre sollecitazioni, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha emanato una circolare il 17 marzo scorso
segnalando che l’idrossiclorochina (un medicinale anti-malarico usato anche per la cura dell’artrite
reumatoide), se somministrata nelle primissime fasi e con sintomatologia poco grave, può tenere sotto
controllo la malattia. Ma per essere efficace va assunta entro 3-5 giorni dai primi sintomi. Il problema è
che noi medici di famiglia, in base a una circolare regionale, possiamo prescrivere questo farmaco solo a
pazienti che hanno già eseguito il tampone e sono risultati positivi. In pratica la Regione si è adattata alla
prescrizione dell’Aifa, ma nel provvedimento ha posto alcuni paletti, come appunto quello del tampone
con esito positivo, che visti i tempi reali di esecuzione del test la rendono di fatto impraticabile».

Questo perché a quanto ci dice il farmaco andrebbe assunto entro 5 giorni dai sintomi. Se, come ci
racconta, il tampone viene eseguito anche due settimane dopo la segnalazione del medico, sembra
esserci                 un                  problema                   di                   tempi.

«Purtroppo, quello che ha previsto la Regione non è detto che corrisponda alla realtà dei fatti. Noi
chiediamo di poter prescrivere l’idrossiclorochina in base ai sintomi clinici e non solo dopo l’esito degli
esami di laboratorio, ma sono stati molto chiari a dire che non si può somministrare per profilassi».
Di che tipo di farmaco si tratta? Ha gravi effetti collaterali? Può essere acquistato in farmacia?

«L’idrossiclorochina è un anti-malarico prescritto “off label” per le infezioni da Covid; in genere si prescrive
per l’artrite reumatoide. Un malato di Covid accertato può richiedere il farmaco presso una farmacia
ospedaliera presentando un modulo apposito, fornito dalla Regione e compilato dal medico, e gliene viene
consegnata                            la                           dose                            necessaria.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, ne ha come molti altri farmaci. Circa 1 paziente su 400 può
presentare problemi cardiaci, ma consideri che viene prescritto su ricetta bianca per la profilassi anti-
malarica di chi deve andare in vacanza in alcune zone dell’Africa. Indubbiamente non è un farmaco di
automedicazione, deve essere sempre il medico a valutarne attentamente la prescrizione».
Come         viene     assistito,    ad       oggi,       un      paziente        Covid       a      domicilio?

«Stiamo ancora aspettando l’istituzione delle Uscar, le unità sanitarie speciali previste dal decreto dell’8
marzo scorso. Si tratta di medici volontari che, protetti adeguatamente, somministrano la terapia a
domicilio. Sono partite in diverse province italiane, ma da noi ancora no». (Il bando regionale per
l’arruolamento di medici e infermieri da inserire nelle Uscar è scaduto il 16 aprile, ndr).
«Attualmente noi medici di famiglia assistiamo i pazienti Covid telefonicamente, con videochiamate,
monitoriamo i parametri vitali. Oppure decidiamo di coprirci il più possibile e andiamo a casa loro.
Ovviamente con mascherine e guanti che ci siamo comprati da soli».
Come     vengono     tutelati     i    medici     di     base      dal    rischio    di   contagio?

«Lo dico chiaramente: i medici di famiglia e le guardie mediche non sono tutelati in alcun modo. Non sono
nemmeno stati distribuiti loro i dispositivi di protezione individuale. Pensi che lo SMI ha comprato e
distribuito ai medici italiani circa 30mila mascherine».
Avete in programma incontri con la Regione per segnalare le criticità che state riscontrando?

«Noi continuiamo a mandare lettere su lettere, ma la Regione non ci convoca. Vorremmo dare un
contributo organizzativo, vogliamo capire anche come sarà affrontata la famosa fase 2 che, dopo lo
svuotamento degli ospedali, sarà di gestione prettamente territoriale, ma come facciamo in queste
condizioni? Ho paura che dovremo fare una guerra con le armi spuntate».

«I    medici     non      devono      rispondere      legalmente       di    una     gestione      inefficiente»

«Gli errori e le inefficienze nelle cure ai pazienti affetti da coronavirus, causati dalle mancanze delle Regioni
e dalle deficienze delle direzioni delle aziende sanitarie, non possono essere addossate ai medici». Il
segretario generale del Sindacato Medici Italiani, Pina Onotri, chiede che i medici, dirigenti o
convenzionati, non debbano rispondere civilmente, penalmente e per danno erariale per eventi avversi
accaduti durante la pandemia e lo stato di emergenza da Covid 19, se non per dolo. Non esistono protocolli
consolidati per la cura di una patologia nuova e di tale complessità, afferma Onotri, e sono carenti anche i
dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario. Questi i motivi per cui, secondo lo SMI, i
medici non devono pagare il prezzo, anche economico, dell’emergenza in corso.
«Siamo convinti – conclude il segretario generale – che non si può imputare al medico la colpa per ritardi
terapeutici causati dall’assenza di indagini diagnostiche disponibili, o da problematiche derivanti da
un’organizzazione aziendale non in grado di rispondere all’emergenza».
.
Testata                                                     Data

                                                                              23 aprile 2020

Tampone solo al 15% dei pazienti a domicilio. Indagine dello Smi Lazio su 21 medici di famiglia

Secondo l’analisi dello Smi di 160 segnalazioni inoltrate dai 21 medici ai SISP, solo il 15% ha ottenuto un
riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone). “Ad essere
ottimisti saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Ma
leggiamo che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi, con risultati pari a 9 negativi su 1). A chi sono
stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto?”, chiede il sindacato in una lettera
aperta a Zingaretti.
23 APR - “A chi sono stati effettuati i circa 100.000 tamponi effettuati nel Lazio attestato che, ad essere
ottimisti, saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia?”. A
domandarlo, in una lettera aperta indirizzata al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, è lo Smi
del Lazio, che dopo i primi risultati emersi da un’indagine su 21 medici di medicina generale della Regione,
denuncia come pochissime delle richieste di tampone avanzate dai medici di famiglia finiscano poi con la
effettuazione del test. “Questo ci viene difficile spiegarlo ai nostri pazienti, soprattutto a quelli che devono
ricorrere poi alle cure del 118 per insufficienza respiratoria, o ai parenti dei pazienti deceduti perché
segnalati e mai presi in carico”.

Secondo i dati e le conseguenti stime realizzate dallo Smi, “ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo
circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono
state processate appena il 15%”. Infatti, “su un campione di 21 Mmg, per un totale di 26.553 assisti, ben
160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono
stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone)”.

“Ad essere ottimisti - prosegue la denuncia dello Smi - saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati
su richiesta dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi.
Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo
quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa
percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell'esecuzione degli stessi non
siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici, o del semplice buon senso?”.

“Lo vorremmo sapere - fa nota il sindacato - , anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che
sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché
come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto "terapia domiciliare pazienti Covid", noi
Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare neanche la terapia precoce con i farmaci già previsti
per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a
tampone”.

E in vista dell’attivazione delle Uscar, lo Smi si chiede se “a casa di questi pazienti continueranno forse ad
andare a mani nude i medici di continuità assistenziale e medici di famiglia? A mani nude perché
sicuramente non basterà l’unica mascherina chirurgica consegnata ai medici di guardia medica o nessuna
mascherina consegnata ai medici di famiglia più fortunati e in ASL più generose”. Lo Smi Lazio si dice,
quindi, “molto preoccupato di dover affrontare una fase 2 che, in carenza di Dpi, in carenza di tamponi, in
carenza di esami diagnostici e, soprattutto, nell'impossibilità di poter prescrivere terapia sul solo corredo
sintomatologico clinico. Ci appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le
ultime Raccomandazioni regionali contenute nell’'ennesima ordinanza regionale del Z00034 del 18.4.2020
che consigliano addirittura l’'accesso senza utilizzo di mascherine dei pazienti che accedono agli
ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità
del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a
pieno titolo tutti i professionisti area medica della nostra Regione” conclude la nota del SMI.
Testata                                                     Data

                                                                                23 aprile 2020

CORONAVIRUS. SMI A ZINGARETTI: INDAGINE CONFERMA IMPOSSIBILITÀ ACCESSO TAMPONI

Roma, 23 aprile 2020 – “Abbiamo deciso di inviare una lettera aperta al presidente della Regione Lazio,
Nicola Zingaretti, e scegliendo di pubblicarla, in quanto, ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci
consentano essere ascoltati, ne’ dal Governatore del Lazio, ne’ dalla Task Force regionale Unità di crisi,
istituita per l’emergenza Covid.
E si’ che lo abbiamo chiesto, in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche
all’assessore alla salute Alessio D’Amato”. Cosi’ una nota del Sindacato Medici Italiani del Lazio rende
pubblica una lettera aperta inviata al presidente della Regione Lazio.
“Rappresentiamo, nel Lazio- si legge nella nota dello Smi- medici di varie specialita’ e portiamo alla sua
attenzione
l’impossibilita’ per i nostri pazienti di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid.
Le reiterate richieste da parte dei medici di famiglia circa la necessità di prendere in carico pazienti sospetti
(sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate.
Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni:
di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%.
È quanto emerge, infatti, da una prima indagine condotta dal nostro sindacato, nelle piu’ grandi Asl della
nostra regione: su un campione di 21 Mmg, per un totale di 26.553 assisti, ben 160 segnalazioni inoltrate
ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni
di questi sottoposti a tampone).
Ad essere ottimisti saranno pertanto appena 10 mila i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia.
Leggiamo, infatti che nel Lazio sono stati fatti circa 100 mila tamponi.
Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10).
Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90 mila tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la
bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la
circostanza che, forse, nell’esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici,
o del semplice buon senso?”.
E ancora, “Lo vorremmo sapere, anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a
domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da
circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto terapia domiciliare pazienti Covid”, noi Mmg, in assenza
di tampone non possiamo cominciare neanche la
terapia precoce con i farmaci gia’ previsti per Covid +, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente
sospetti che non siano stati sottoposti a tampone”.
“Questo ci viene difficile spiegarlo ai nostri pazienti,
soprattutto a quelli che devono ricorrere poi alle cure del 118 per insufficienza respiratoria, o ai parenti
dei pazienti
deceduti perché segnalati e mai presi in carico.
Oggi leggiamo da Avviso per “disponibilita’ regionale Attivita’ Uscar ” n
0314552 del 10.4.2020 e come da Determina U360729 DEL 20.4.2020
(regolamento delle USCAR), che vengono istituite le Uscar che si occuperanno prevalentemente delle RSA
, dove registriamo una
situazione critica (che probabilmente non si sarebbe verificata
se non fosse stata fatta la scelta di ricoverare li’ i pazienti covid positivi) ed in maniera ” residuale” dei
soggetti a domicilio che non siano presi in carico da altra “forma organizzativa”.
Quali sarebbero le “forme organizzative abituali?
Non ci risulta che ne siano previste altre.

A casa di questi pazienti continueranno forse ad andare a mani nude i medici di continuità assistenziale e
medici di famiglia? A mani nude perché sicuramente non basterà l’unica mascherina chirurgica consegnata
ai medici di guardia medica o nessuna mascherina consegnata ai medici di famiglia più fortunati e in ASL
piu’ generose”.
Quindi ancora lo Smi, “In questi mesi abbiamo imparato, sulla nostra pelle cosa significa non osservare le
misure di biocontenimento e non vogliamo lasciare, nel Lazio, altre vittime sul campo e soprattutto
vogliamo, per i nostri pazienti fare qualcosa di piu’ che prescrivere paracetamolo e dare consigli
telefonici.

Pertanto spiega il sindacato, “Chiediamo che venga recepito il dpcm del 9 marzo 2020 e che vengano
istituite le USCA (questa volta senza r), che interagiscano con i Mmg per la presa in carico dei pazienti che
segnaliamo e che vogliamo curare al loro domicilio”.
“Siamo molto preoccupati di dover affrontare una fase 2 che, in carenza di Dpi, in carenza di tamponi, in
carenza di esami diagnostici e, soprattutto, nell’impossibilità di poter prescrivere terapia sul solo corredo
sintomatologico clinico.
Ci appare abbastanza incerta e irta di difficoltà e sicuramente ci preoccupano le ultime Raccomandazioni
regionali contenute nell’ ennesima ordinanza regionale del Z00034 del 18.4.2020 che consigliano
addirittura l’ accesso senza utilizzo di mascherine dei pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di
sintomi respiratori , come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli
asintomatici.
Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti area
medica della nostra Regione”, conclude la nota del SMI.
Testata                                                     Data

                                                                              23 aprile 2020

CORONAVIRUS. ONOTRI (SMI) TORNA A CHIEDERE NORME AD HOC PER RESPONSABILITÀ MEDICI

Il Sindacato Medici Italiani del Lazio ha reso pubblica una lettera aperta inviata al Presidente della Regione
Nicola Zingaretti, nella quale viene denunciata l’impossibilità di accesso ai tamponi per i pazienti a
domicilio. Il Sindacato ha reso noto di aver pubblicato la lettera poiché “ci duole dirlo, non abbiamo altri
strumenti che ci consentano di essere ascoltati, né dal Governatore del Lazio, né dalla Task Force regionale
– Unità di crisi, istituita per l’emergenza Covid”, affermando inoltre di averlo chiesto “in almeno una decina
di comunicazioni indirizzate anche all’Assessore alla Salute Alessio D’Amato“. Nella lettera del Sindacato
dei Medici a Zingaretti viene denunciata l’impossibilità per i pazienti della Regione Lazio di poter avere
accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid-19, spiegando che le “reiterate richieste da parte dei medici di
famiglia sulla necessità di prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione
degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate”. Dall’indagine condotta dal SMI risulta che
“ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni”:
ma di tutte queste pare ne siano state prese in carico “appena il 15%”. Dall’indagine portata avanti dal
sindacato è emerso che nella maggior parte delle Asl del Lazio “su un campione di 21 Mmg per un totale
di 26.553 assistiti, ben 160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro
(solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone)”. La lettera continua
spiegando che i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia “saranno pertanto appena 10.000”
quando è stato detto che “nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi”. Il SMI si chiede dunque: “a chi
sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto?”. Il SMI del Lazio chiede
risposte, anche per tutti quei pazienti “che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio
telefonico” ed una terapia che il sindacato giudica “insufficiente”.
Testata     Data

          15 aprile
            2020
Testata       Data

          21 aprile 2020
Testata       Data
          18 aprile 2020
Puoi anche leggere