RACCOLTA DEGLI INTERVENTI E DELLE ELABORAZIONI DEI GRUPPI DI LAVORO DEL CONVEGNO: La città delle ...

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RACCOLTA DEGLI INTERVENTI E DELLE ELABORAZIONI DEI GRUPPI DI LAVORO DEL CONVEGNO: La città delle ...
RACCOLTA DEGLI
INTERVENTI E
DELLE
ELABORAZIONI
DEI GRUPPI DI
LAVORO DEL
CONVEGNO:
La commissione
pari opportunità
comunale:
uno strumento
di buon governo
Un convegno per riflettere
confrontarsi proporre
2 febbraio
Villa Bottini Lucca

Organizzato dalle associazioni di Lucca La Città delle Donne, Centro
Donna, CIF, F.I.D.A.P.A. SOROPTIMIST Club Lucca.

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Hanno aderito all’iniziativa:
ACLI, ANPI, ARCI, AUSER, Caritas Diocesana, Associazione Luna, 50&più,
CGIL, CISL, UIL, UGL, SPI CGIL coordinamento donne, CNA, Confartigia-
nato, Confesercenti, Confcooperative, Confcommercio, Coordinamento
Imprenditoria Femminile Assindustria, Comitato Imprenditoria Femminile
CCIAA, CPO Ordine commercialisti, CPO Ordine Avvocati, Comitato se Non
Ora Quando Lucca, FdS, IDV, Lega Nord, Lucca Bene Comune, Lucca Civi-
ca, Movimento 5 stelle, PD, Conferenza delle democratiche, PDL, SEL, UDC.

                  Progetto grafico di Margherita Cagnola

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Indice

Intervento introduttivo - Annamaria Medri                        4
Relazione - Marina Piazza                                        6
“Il percorso delle Commissioni Pari Opportunità dalla
legge istitutiva ad oggi. Attuale ruolo sul territorio locale
in termini di rappresentanza delle donne e di contenuti
da perseguire”
Elaborazione gruppo 1                                           13
“Quale rappresentanza per favorire il punto di vista e la
responsabilità delle donne”
Elaborazione gruppo 2                                           14
“Temi e ambiti di azione della Commissione Pari
Opportunità.”

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Intervento introduttivo
Annamaria Medri, Presidente Associazione “La Citta delle Donne”

Buonasera, sono presidente di “La Città delle Donne” e parlo a nome delle associa-
zioni “Centro Donna”, “Centro Italiano Femminile”, “Federazione Italiana Donne Arti
Professioni e Affari” e “SOROPTIMIST Club Lucca” che hanno organizzato il Convegno,
in collaborazione col Comune che ci ospita in questa bello spazio e col patrocinio della
Consigliera di Parità e della Provincia di Lucca che ha stampato locandine e pieghevoli.
Ringraziamo tutti.
Abbiamo voluto proporvi 3 minuti di una sequenza tratta dal video realizzato grazie
alla commissione PO della Provincia di Lucca, di cui era presidente Eleonora Vanni
(oggi presente al convegno) all’interno di un progetto, L’alfabeto delle parità, che ha
coinvolto le classi di collegamento (ultimi due anni della scuola primaria e primo anno
della secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo Ungaretti di Altopascio, le
secondarie di primo grado Carducci di Lucca e Buonarroti di Ponte a Moriano e la scuola
primaria Alighieri di Lucca. Il tutto coordinato da Maria Teresa Leone e da Anna Sarfatti.
È un lavoro che parte dalla convinzione che gli stereotipi e le diseguaglianze di genere
iniziano a diffondersi e strutturarsi precocemente ed è quindi utile combatterli e comin-
ciare a superali a partire dalla scuola primaria coinvolgendo maschi e femmine in un
attività comune.
Abbiamo voluto portare un esempio per supportare e condividere ciò che di buono è
stato fatto, qui a Lucca, per proseguire un cammino che ha visto la collaborazione e la
condivisione di uno spazio predisposto, tra Commissione Provinciale, Consigliera di Pa-
rità e Centro per le PO e allargarlo a nuove situazioni come appunto una Commissione
Pari opportunità tra donne e uomini a livello comunale (finalmente). Come strumento
di elaborazione e di proposta per il buon governo della Città. Un impegno che la nuova
amministrazione si è assunto in campagna elettorale.

Diciamo subito che una Commissione PO non può essere vista come un piccolo ghetto
che si occupa di cose di donne.
Le pari opportunità fra uomo e donna non sono un fine a se stante ma devono passare
trasversalmente in tutti gli ambiti settoriali del programma di governo della comunità
e del territorio.
Per attuare questa trasversalità è necessario assumere
 • non solo il punto di vista maschile, ma anche quello delle donne che devono sentir-
   si cittadine, a pieno titolo, e quindi capire di essere in grado di incidere realmente
   sui meccanismi che intrecciano le politiche del territorio (dalla formazione al lavo-
   ro, dalle politiche per le famiglie ai servizi sulla vita quotidiana, dalla condivisione
   dei tempi di vita e di lavoro all’attenzione contro la violenza maschile);
 • come punto centrale dell’amministrare, il lavoro di cura della comunità che è quel
   lavoro che permette alla società di continuare a vivere, non solo tra le mura di
   casa, ma deve farsi carico della vita quotidiana della comunità, della vita della città
   stessa, specie in una situazione di crisi economica e politica come l’attuale, con
   una precisa attenzione rispetto ai bisogni, ai desideri e alle risorse per non perde-
   re, dimenticare nessuno;
 • il valore della diversità, del punto di vista delle donne, come volano per compren-
   dere le altre differenze presenti nella società
Non si tratta quindi di diminuire, togliere delle discriminazioni, non basta sottrarre bi-
sogna promuovere il cambiamento nella gestione della cosa pubblica, nelle relazioni

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private domestiche e in quelle pubbliche. Un cambiamento politico, culturale, di rap-
presentazione della realtà che vuole promuovere il benessere di tutti donne e uomini,
vecchi e giovani, autonomi e no.
Un contributo a questa impostazione può essere dato dalla creazione di una Commis-
sione composta da sole donne, per promuovere la soggettività e la responsabilità fem-
minile all’interno di uno spazio politico al fine di formulare progetti e soluzioni da con-
frontare in tutti gli altri luoghi e momenti della politica e dell’amministrazione cittadina.
Una Commissione composta da una rappresentanza che preveda la presenza di donne
delle associazioni, dei sindacati, delle organizzazioni datoriali, delle professioni e infine
delle forze politiche, persone presenti sul territorio che siano ponte tra le istituzioni e
le realtà sociali e lavorativa e riescano a creare reti di confronto che permettano una
crescita personale e collettiva.
Una Commissione con un finanziamento preciso per essere in grado di realizzare pro-
poste e progetti e per essere riconosciuta nel pieno delle sue funzioni.
Sono proposte, tra altre possibili, a cui noi teniamo e sottoponiamo alla discussione che
verrà introdotta dalla relazione di Marina Piazza, sociologa, scrittrice, già presidente
della commissione PO nazionale dal 2000 al 2003 che ci darà un quadro della situazione
di riferimento e delle proposte attuabili.
La discussione si aprirà nei gruppi di lavoro, uno sulla rappresentanza e il secondo sui
contenuti (i temi e gli ambiti) della commissione supportati da facilitatrici.
Il dibattito confluirà in assemblea plenaria per un confronto allargato e terminerà con
l’intervento dell’assessora Ilaria Vietina a cui chiediamo di tirare un po’ le fila della gior-
nata.
Prima di dare la parola alle autorità presenti vogliamo ringraziare tutte le associazioni,
organizzazioni che hanno aderito all’iniziativa, sono numerose, differenti tra loro[dalle
associazioni del volontariato, a quelle professionali e di categoria, alle organizzazioni
datoriali, sindacali, alle forze politiche], questo ci fa sperare di aver suscitato un qual-
che interesse e che la creazione di una Commissione PO comunale sia anche per loro
all’ordine del giorno.

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Relazione:
“Il percorso delle Commissioni Pari Opportunità dalla leg-
ge istitutiva ad oggi. Attuale ruolo sul
territorio locale in termini di rappresentanza delle donne
e di contenuti da perseguire”
Marina Piazza Sociologa, già Presidente della Commissione P.O.
Naz.le

Breve storia delle Commissioni P.O.

A partire dagli anni ’60 in diversi Paesi dell’Europa occidentale sono stati istituiti orga-
nismi pubblici per la promozione dell’uguaglianza tra i sessi come risposta alle pressioni
esercitate sia dai movimenti femministi che dalle organizzazioni internazionali e comu-
nitarie.
In Italia fu il governo socialista di inizio anni ’80 a creare nell’83 il Comitato Nazionale
per l’attuazione dei principi di parità di trattamento, di uguaglianza di opportunità tra
lavoratori e lavoratrici. In seguito furono istituiti la Consigliera regionale per la parità e
la Commissione Nazionale parità e le pari opportunità nel 1984. Seguì nel decennio tra
l’85 e il 95 la costituzione di molte Commissioni ragionali, provinciali e comunali.
Nel 1996 il primo governo di centro sinistra (sotto le pressioni della Conferenza di Pe-
chino e della stessa Commissione nazionale) istituì il Ministero delle Pari opportunità e
tra il ’97 e il ’98 il Dipartimento delle Pari Opportunità, annoverando in questo modo la
realizzazione delle pari opportunità tra i compiti istituzionali dello Stato.
Naturalmente, ma solo teoricamente, il Ministero avrebbe dovuto reggersi sul principio
del mainstreaming, cioè far attraversare tutte le politiche del governo dal principio del-
le pari opportunità. Di fatto però le realizzazioni sono state scarse sia per questioni di
natura finanziaria, ma anche politica e personale.
In effetti si è venuto a creare da subito un dissidio tra Ministero e Commissione: nel
pensiero di Anna Finocchiaro, che fu la prima ministra delle Pari Opportunità, il ministe-
ro avrebbe dovuto inglobare anche i compiti della Commissione, mentre secondo Silvia
Costa , a quel tempo presidente della Commissione, la Commissione stessa – formata
da trenta donne in rappresentanza dei partiti politici, delle parti datoriali, delle associa-
zioni di categoria e delle associazioni femminili – continuava ad avere una sua ragione
di essere come stimolo a tutte le forze politiche e al Ministero stesso.
Questo nodo teorico non venne risolto e venne ribadita la compresenza difficile tra Mi-
nistero e Commissione, resa meno difficile nelle circostanze di una identità di vedute
politiche tra Ministero e Commissione, ma che iniziò a diventare più esplicita dopo le
elezioni del 2001, con il governo Berlusconi e con la ministra Prestigiacomo.
E qui si innesta la mia storia personale, di presidente della Commissione dal 2000
al 2003. Non voglio parlare di me, ne parlo solo per mettere in risalto dei nodi che mi
sono trovata ad affrontare.
Sono stata nominata – in qualità di esperta, oggi si direbbe tecnica, come via d‘uscita a
un’impasse politica nella nomina – dal governo Amato su indicazione dell’allora ministra
delle P.O. Katia Belillo. E dopo pochi mesi, la ministra Prestigiacomo, appena nominata,
mi disse testualmente che il suo obiettivo era di chiudere la Commissione.
Tuttavia, nonostante questo viatico iniziale, la Commissione ha resistito per tre anni fino
al luglio del 2003, quando per decreto viene trasformata in organo consultivo e di pro-
posta del Dipartimento per le Pari opportunità , aprendo un percorso costellato di molte
incognite – che poi nel tempo si sono rivelate pesanti - perché il nuovo organismo, ap-
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piattito sull’esecutivo, ha avuto difficoltà a raccogliere e mettere in rete le istanze delle
forze femminili attive nella società, con quel ruolo di iniziativa e di proposta autonoma
che la Commissione ha sempre rivendicato nella sua storia ventennale.
Io credo, in tutta onestà, di poter fare un bilancio positivo del nostro lavoro, pur con
mille difficoltà.
Lati positivi: l’attivazione di gruppi di lavoro dedicati fin dall’inizio:
 • Equilibrio della rappresentanza, riforme istituzionali e pubblica amministrazione
 • Conciliazione vita/lavoro
 • Salute, ambiente ed ecologia
 • Comunicazione,innovazione, formazione
 • Attività internazionale
 • Cultura, ricerca e università
 • Tratta, donne immigrate e diritti civili
 Gruppi di lavoro ulteriori, dal 2002:
 • Riordino degli organismi di parità
 • Convenzione europea
 • Donne e sport
 • Campagna “cento piazze per la parità”
Questi gruppi di lavoro hanno avuto risultati importanti (es. la modifica dell’art.51, la
battaglia per gli statuti regionali, la campagna di comunicazione “pari è di più” con uno
spot trasmesso in TV, un importante convegno sulla conciliazione, la pubblicazione di
venti libri, ecc. ecc...) Non posso citarli tutti, tra gli altri però vorrei riportare la caparbia
azione di messa in rete delle Commissioni regionali e una costante pratica di relazione
con loro per avere indirizzi e azioni comuni.

 Lati più critici:

 • Il regolare funzionamento della Commissione, a partire dal 1 agosto del 2001,
   è stato ostacolato dagli effetti del ricorso amministrativo presentato da un’asso-
   ciazione femminile esclusa e quindi sono state sospese tutte le nomine delle As-
   sociazioni fino al maggio del 2003. E la commissione è stata privata di una parte
   importante, ha dovuto lavorare con 23 componenti invece di 30.
 • L’incertezza amministrativa, creatasi a seguito del blocco dei fondi, operato dalla
   ministra Prestigiacomo nel gennaio 2002 e riattivati solo nel gennaio 2003. Abbia-
   mo quindi continuato, strappando brandelli di finanziamento con un’azione stres-
   sante e estenuante. E nonostante questo, abbiamo lavorato moltissimo e portato
   a casa dei risultati, ma io mi sono trovata più e più volte sull’orlo di crisi di nervi.
 Ho citato, se pur velocemente questa mia esperienza perché penso che per una Com-
 missione che si sta ora organizzando come la vostra, con un modello simile alla
 Commissione nazionale, potrebbe essere essenziale tener conto di alcuni principi di
 base:
 1. una certa autonomia finanziaria certificata
 2. una messa in atto preventiva di comunicazione, informazione, relazione con le as-
    sociazioni esistenti
 3. l’attivazione di reti con altre commissioni, sia regionale che provinciali che comu-
    nali.
Tutto questo per dare, come mi avete chiesto, uno sguardo anche al passato e agli in-
segnamenti che se ne possono trarre oltre che al futuro.
Un ultimo accenno alle diverse tipologie di commissioni che sono nate in questi
anni, in particolare alle commissioni comunali.

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Mi sembra che fondamentalmente si possano evidenziare due modelli:
Le commissioni comunali consiliari, formate cioè da consiglieri (in genere più donne che
uomini, ma prevedono anche la presenza degli uomini, come peraltro è avvenuto per
i CPO interni all’amministrazione e ora ai CUG). Si potrebbe dire, molto semplificando,
che hanno il vantaggio di essere incluse nella discussione sulle politiche della città, ma
lo svantaggio di non avere una consistenza forte di genere. (esempio “diverso”:la Com-
missione P.O. del Comune di Milano)
le commissioni di rappresentanza – che voi pensate di fare – con la presenza di sog-
getti femminili rappresentanti le realtà politiche, culturali , associative e del mondo del
lavoro. Composte da sole donne e con il duplice obiettivo di potenziare e valorizzare le
soggettività femminili e di contrastare le pratiche di discriminazione.
Ma vorrei ora toccare alcuni punti d’attenzione per la discussione che mi sembrano
nevralgici:
1) Mainstreaming e empowerment
Anche nell’impostazione europea sulle politiche di genere, le misure di mainstreaming
non sono mai disgiunte dalle politiche di pari opportunità.
L’integrazione della dimensione delle pari opportunità tra donne e uomini nella pro-
grammazione e valutazione delle politiche ha trovato, all’interno delle politiche struttu-
rali dell’Unione Europea, una rilevanza sempre più evidente
Questo approccio, basato sull’orientamento definito di mainstreaming di genere è il
frutto di un lungo processo di evoluzione delle politiche di pari opportunità a livello
comunitario. Nel corso del tempo si è passati, infatti, da un approccio basato sulla rea-
lizzazione e la valutazione di azioni specifiche rivolte a target di donne, ad un orienta-
mento “trasversale” volto a prendere in considerazione il tema dell’equità di genere in
tutte le fasi e in tutti gli ambiti settoriali di un programma.
E’ evidente quindi che la dimensione delle pari opportunità non può essere concepita
come un fine a sé stante, isolato, ma deve passare trasversalmente tramite politiche
diverse come:
 •   le politiche per il lavoro e per la formazione
 •   le politiche per le famiglie
 •   le politiche per i servizi della vita quotidiana.
 •   Le politiche dei trasporti e della mobilità ecc. ecc.
L’adozione di misure in un’ottica di mainstreaming è il cuore stesso della contraddizio-
ne in cui ci troviamo perché poggia sulla necessità di una cultura generale più avanzata
di quella in cui ci troviamo ad operare. Il mainstreaming infatti non è compatibile con
l’irrilevanza dei soggetti femminili, della loro considerazione e partecipazione effettiva
nei processi decisionali come nella costruzione delle politiche.
Quindi nella costruzione del mainstreaming entra in campo anche l’altro fattore essen-
ziale: l’empowerment, il rafforzamento degli strumenti istituzionali e delle reti delle
donne, che è lo strumento indispensabile delle strategie di mainstream. Lavorando in
quest’ottica, credo si possano fare molte cose. Ad esempio lavorare di più sul con-
cetto di empowerment: che non è solo autostima, ma anche informazione e senso
della propria storia, un processo di crescita personale e collettiva, vuol dire “ sentire di
avere potere” o “sentire di essere in grado di fare”. Scoprire il proprio potere, scoprire
di averlo, sapere chi sei, a cosa hai diritto. E da qui, allora, mettere in discussione an-
che il potere in funzione oggi. Insomma un processo di crescita personale e collettiva,
che non invoca le ritualità delle pari opportunità, ma fa leva sull’interesse della società
a riconoscere il valore delle donne. Dicevo un processo di crescita necessariamente
anche collettivo: da qui la necessità di networking. E’ un punto debole: la difficoltà
per le donne di costruire network forti e mantenerli. Non credo che questa debolezza

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sia dovuta solo al fatto di una mancanza simbolica di riconoscimento tra donne (sorelle
nel privato e nemiche nel pubblico) , credo sia dovuto soprattutto al circolo vizioso della
debolezza reciproca. E su questo è necessario lavorare per costruire una forza interna
in grado anche di contrattare e di mediare.
2) La consapevolezza “politica”: contrastare l’irrilevanza
E soprattutto contrastare fortemente, ripeto, fortemente, la percezione che la società
nel suo complesso ha degli organismi di parità, percezione che si è attenuata un po’ in
questi anni, ma che continua a esercitare la sua funzione negativa di zoccolo duro. La
sensazione cioè che questi organismi non siano considerati luoghi di elaborazione e di
azione politica. Pesa ancora sugli organismi di parità e di pari opportunità una rappre-
sentazione vecchia e svilente come sulla cultura delle pari opportunità pesa il sospetto
di una cultura di parte o a parte, di una cultura della rivendicazione (di posti,) senza
merito, che cerca il vantaggio particolare senza tener conto dello scenario generale. e
non di offrire una visione meno limitata, meno arrogante della realtà.
Ci si potrebbe chiedere perché il sistema italiano delle pari opportunità (Ministero, Com-
missioni, ecc.) sia stato così debole nei confronti delle scelte politiche strategiche ge-
nerali e quindi perché ci sia ancora bisogno di una “battaglia per la persuasione” come
la chiama Maurizio Ferrera, impostata su quattro piste : la pista basata sull’argomento
dell’equità (la situazione attuale delle donne non è compatibile con il principio della
non discriminazione); la pista basata sull’argomento dell’efficienza (includere le donne
nell’economia di un Paese conviene); la pista basata sull’argomento della importanza
della diversity (valore D); la pista basata sull’argomento dei bisogni (lo status quo non
è più adeguato alle nuove necessità della società) fino a definire un serrato intreccio tra
queste piste e a proporre uno “scaffale degli strumenti per la persuasione”.
Io credo che una delle ragioni di questa debolezza vada ricercata in due passaggi man-
cati: da un lato uno scollamento tra movimenti femministi e istituzioni; dall’altro un
passaggio forse troppo rapido e tutto teorico tra la percezione delle pari opportunità
come una questione di parte o a parte, come dicevo prima, e il principio del mainstre-
aming (la necessaria trasversalità delle politiche di pari opportunità) senza essere pas-
sate attraverso una fase necessaria di empowerment, senza aver cioè introiettato fino
in fondo il valore e l’importanza delle politiche di pari opportunità.
3) Lo scenario che si apre
Ma se in questi anni, nel creare gli organismi di parità si è inteso consumare con ciò
l’obbligo a diffondere una cultura di parità, è anche altrettanto vero che alcuni processi
sono ormai irreversibili. E’ questa percezione della necessità di un salto qualitativo sulla
rilevanza della presenza delle donne che mi sembra apra uno spiraglio in uno scenario
che presenta elementi di contraddizione e persino di negatività.
Dicevo prima che i punti critici che vengono addebitati a questi organismi sono sostan-
zialmente l’irrilevanza, l’indeterminatezza degli obiettivi e delle azioni, la scarsa chia-
rezza sulla composizione.
Per contrastare queste criticità, gli strumenti potrebbero essere:
 • farli lavorare (gli istituti si difendono facendoli lavorare)
 • costruire pazientemente una cultura condivisa all’interno della Commissione, an-
   che attraverso una formazione interna
 • definire chiaramente obiettivi e mission
 • valorizzare le competenze interne ed esterne
 • perseguire tenacemente pratiche di relazione con le donne della città
 • intessere intrecci di condivisione con le donne del Consiglio comunale e della Giun-
   ta (io non sarei contraria ad una presenza anche di alcune consigliere comunali
   nella composizione della Commissione)

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• e soprattutto puntare teoricamente e concettualmente sulla forza e il valore della
   presenza delle donne nella società comunale, nella città.
Non si tratta del superamento di una differenza “in meno”, ma la presa d’atto del valore
distintivo che le donne portano alla cultura e all’azione. La questione comincia a essere
posta non più come una questione di parte o a parte, come una questione di donne, ma
come una sorta di imperativo a sviluppare una società più vicina ai bisogni e ai desideri
di donne e uomini E si comincia a riconoscere che un’organizzazione – una città, come
d’altra parte anche un’intera società - che non riconosce, non premia, non sviluppa una
parte consistente – in alcuni casi la maggior parte – del potenziale esistente è un’orga-
nizzazione destinata al fallimento.
Viviamo in una fase di sfumatura dei confini, cioè di destrutturazione del modello for-
dista e della crescente commistione dei tempi e degli spazi di lavoro e di vita (con la
diversificazione e variabilità degli orari, con la diversificazione e commistione degli spazi
di lavoro, con la diversificazione e discontinuità delle biografie lavorative.) Tutto questo
significa un enorme aumento della complessità decisionale e gestionale del tempo pro-
prio e di quello familiare e di relazione. Oggi sono soprattutto le donne a gestire questa
complessità, per sé e per altri.
Oggi, ovunque, ma soprattutto se si guarda alla gestione di una città, le donne sono
assolutamente fondamentali, soprattutto perché sono al centro del lavoro di riprodu-
zione. Non sto parlando dell’entità del lavoro domestico non pagato che - pur essendo
svalutato e invisibile – non è solo amore, dedizione, ma ha anche un portato economico
fortissimo, sto parlando di tutto il lavoro di tenuta della vita quotidiana e della vita di
una città: raccordo tra famiglia e istituzioni del welfare (quando e dove ci sono e proprio
perché sono scarsi i servizi richiede maggior lavoro di intelligenza per cercarli e rac-
cordarli alle esigenze dei membri dipendenti della famiglia: piccoli e anziani) trasporti,
mobilità ecc.
Quindi le donne sono al centro dei nodi strategici del funzionamento di una città. Proprio
con un lavoro che potremmo chiamare di cura: cura di sé, degli altri, del mondo. Quindi
è necessario ascoltarle (con una competenza di attenzione all’ascolto che Crozier ritiene
fondamentale in un’organizzazione e in una società), e soprattutto prenderle sul serio.
4) Puntare sulla valorizzazione della presenza delle donne, non solo sulla di-
scriminazione
Credo che la dimensione di genere ci obblighi a spostare l’attenzione da un intervento
volto a coprire carenze a un altro, indirizzato a promuovere e sviluppare le capacità
degli individui. Questa modalità di approccio parte dal presupposto che le capacità sog-
gettive costituiscono un patrimonio da valorizzare e da potenziare.
E come perno fondante, come grimaldello che apre a tutte le differenze sta la differenza
tra uomini e donne, la differenza di genere.
Qual è la domanda che viene dalle donne? O meglio le domande perché le donne sono
accomunate dall’appartenenza di sesso, ma anche differenziate tra loro per età e espe-
rienze di vita, classe sociale e provenienza, mentalità e valori.
Proprio perché soggetti plurali e relazionati nella società in cui vivono, le donne non
possono più essere rappresentate come categoria sociale a sé stante, portatrici di una
questione femminile che la collettività sarebbe chiamata prima o poi a risolvere.
E qui vorrei fare un inciso per sottolineare l’importanza di chiamare le politiche di ge-
nere e non di pari opportunità perché essere nell’ottica delle pari opportunità potrebbe
anche essere inteso come la garanzia dei diritti, mentre politiche di genere sottolinea la
diversity, la gestione efficace delle diversità. Spesso ci si ferma all’assumere la superfi-
cialità dell’accettazione delle diversità, tenendo fermo il pensiero uguale. Siamo ancora
in un atteggiamento di difesa rispetto all’accettazione delle diversità.
Ma l’unica soluzione possibile è riconoscere l’importanza delle differenze e sottoline-

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andone la valorizzazione. Non il superamento di una differenza “in meno”, ma la presa
d’atto del valore distintivo che il genere porta alla cultura e all’azione. La questione
comincia a essere posta non più come una questione di parte o a parte, come una que-
stione di donne, ma come una sorta di imperativo a sviluppare una società più vicina
ai bisogni e ai desideri di donne e uomini E si comincia a riconoscere che un’organiz-
zazione – come d’altra parte anche un’intera società - che non riconosce, non premia,
non sviluppa una parte consistente – in alcuni casi la maggior parte – del potenziale
professionale esistente è un’organizzazione destinata al fallimento.
E tuttavia anche un secondo inciso: politiche di genere non significa che non ci siano
ancora discriminazioni nei confronti delle donne (persino discriminazioni salariali, per-
sino all’interno delle Pubbliche amministrazioni) quindi bisogna essere consapevoli che
si pone l’accento su una relazione diseguale, quindi si pone una questione di potere che
ha al centro il conflitto. Le politiche di genere come le politiche di conciliazione generano
conflitto, non superamento delle differenze in una melassa indistinta.
Di questo noi dobbiamo prendere consapevolezza: che non si tratta di cambiare qual-
che tubatura (qualche parlamentare in più, qualche assessore in più) ma di proporre
una presenza basata su un pensiero femminile che interroga l’intero assetto sociale e
le relazioni tra donne e uomini in questa società.
Se si pone la cura come valore centrale per la società, le donne sono al centro
dei nodi strategici del funzionamento di una città. Proprio con un lavoro che potremmo
chiamare di cura: cura di sé, degli altri, del mondo.
Tema del discorso allora è come l’essenzialità della cura, il suo valore irrinunciabile si
possa trasformare in politiche, cioè possa entrare nella polis.
La cultura a cui apparteniamo è ancora segnata dall’organizzazione per ruoli, per primi
quelli che separano gli uomini dalle donne. Ancora uomini e donne, coscienti o inco-
scienti di questo, agiscono costretti in vecchi stereotipi, che dividono e che solo appa-
rentemente uniscono: da una parte il lavoro, dall’altra la cura. Ma oggi è tutto questo
che è inattuale e soprattutto inattuabile, non solo perché la presenza sempre più attiva
e competente delle donne nel governo della vita quotidiana e della cosa pubblica impo-
ne la presa d’atto, il rispetto e la valorizzazione del loro apporto e dei loro saperi, ma
soprattutto perché il mondo di oggi ha bisogno del lavoro di tutti e della cura di tutti.
Io credo che al di là della declamata impossibilità di aumentare la spesa pubblica per le
politiche sociali e famigliari (che peraltro si attesta su meno della metà della media dei
Paesi europei), sia ancora il retro-pensiero - testardo nella mente dei decisori politici -
che famiglia e figli sono affare di donne (così brave a conciliare in proprio, così fantasti-
camente acrobate e , nel caso contrario, si arrangino o rinuncino a esserci nel mercato
del lavoro) ad aver impedito che politiche di conciliazione e politiche di condivisione
abbiano avuto voice nel nostro paese e abbiano contribuito non solo a una maggiore
presenza sociale e a un maggior benessere delle donne, ma anche a un riequilibrio fra
i generi.
Ma il lavoro o, se preferite, l’attività di cura o – se preferite – di manutenzione dell’e-
sistenza, è una questione centrale nella nostra società. La cura non come rischio per la
presenza nel mercato del lavoro (rischio fatto pagare alle donne) ma come un’attività
umana irrinunciabile su cui si fonda ogni teoria etica della cittadinanza. Lavoro di donne
e di uomini.
Il modello che l’Europa ci proponeva (prima della crisi) era basato sull’assunto che
donne e uomini fossero entrambi a full time nel mercato del lavoro, con il sostegno dei
servizi. Ma i servizi non bastano a rispondere alle necessità di cura e al desiderio di
cura. Noi abbiamo sempre proposto che donne e uomini fossero entrambi anche nel
lavoro di cura. L’Italia, nella retorica discorsiva ufficiale si è adeguata a parole al mo-
dello europeo, nei fatti il lavoro di cura è sempre rimasto invisibile, non nominato, non
riconosciuto. Un mondo a parte: di donne. Un welfare familistico sottinteso e nemmeno

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tanto sottinteso, vista la parte centrale dell’azione dei nonni per la cura dei piccoli pre-
vista nei documenti ufficiali.
Una delle anomalie di questo paese è che gli uomini hanno pensato di fare a meno delle
donne, del loro pensiero, della loro presenza. E negli ultimi 15 anni questa negazione
ha assunto le sembianze di un accanimento sul corpo delle donne, di cui abbiamo espe-
rienza quotidiana. Come se, nel momento in cui le donne cercano di esserci – e ci sono
sempre di più - con la loro testa, con la loro intelligenza, tanto più si infierisse sul loro
corpo: e parliamo di violenza come di rappresentazione e di immagine. E negli ultimis-
simi anni, gli anni della crisi, riemerge in primo piano l’ importanza del “welfare familia-
re” che ci sta salvando dall’indignazione di piazza e dalla caduta immediata in un buco
nero. Adesso, con la crisi, anche nei media ridiventa visibile, è salvifico. Alle donne,
protagoniste indiscusse del welfare familiare, viene riconosciuto finalmente un valore?
O è questo un modo raffinato (e ipocrita) per “rimetterle al loro posto” riconfinandole a
casa, servendosi dei tagli “necessari” ai servizi?
Il problema di questo Paese allora non sono le donne, ma gli uomini e l’organizzazione
culturale, politica, sociale ed economica che hanno messo in piedi. Quindi il problema
non è di “dedicarsi alle donne”, ma di scardinare sistemi obsoleti, di riscrivere lo statuto
di donne e di uomini nella relazione tra loro.
Questo è quello che le donne vogliono.
Di solito si affronta il problema posto dalle donne come se in casa si dovesse ripara-
re una piccola perdita d’acqua. E se invece fossero da cambiare tutte le tubature? E’
esattamente quello che penso: bisogna rovesciare l’ottica e scardinare modi di pensare
alla città e al suo funzionamento come se fosse abitata da un unico soggetto, maschio,
adulto e autosufficiente. La città che noi conosciamo, di cui le donne sono l’architrave,
è invece un luogo in cui si incrociano biografie e generazioni, in cui si intrecciano e tal-
volta confliggono tutti gli aspetti del vivere di ciascuno di noi.
Quindi, per concludere, credo che la Commissione che voi vi accingete a formare debba
puntare su due obiettivi, su due richieste alla Giunta, al Consiglio,
 • La prima è la presenza di donne nella composizione delle liste elettorali e nelle
   posizioni decisionali a livello di giunta, di consiglio comunale, di dirigenza della
   macchina amministrativa, negli enti partecipati, non solo in nome di una generica
   rappresentanza paritaria quanto perchè è necessario che l’agenda delle priorità sia
   decisa da donne e da uomini. Perchè si affermi una visione meno limitata e meno
   arrogante della realtà.
 • La seconda è l’attenzione alla qualità della vita quotidiana di donne, uomini, bam-
   bini e anziani, nativi e migranti. La qualità della vita si esprime in indicatori non
   solo monetari, quelli del Pil per intenderci, ma anche concreti come la salute, in-
   tellettuali come l’istruzione, giuridici come i diritti. Guarda al benessere, in termini
   di formazione di capacità umane, di possibilità per ciascuno e ciascuna di dare il
   meglio di sé in un contesto sociale.
E sperando che non vi tremino le vene i polsi vi auguro buon viaggio.

Marina Piazza è scrittrice e sociologa, ha condotto studi e ricerche sulle condizioni del-
le donne, in particolare sul tema della conciliazione tra lavoro professionale e lavoro
familiare (tempi di vita - tempi di lavoro) e sulla situazione lavorativa femminile. Per
cinque anni ha partecipato come esperta per l’Italia al network della Commissione
Europea sulla conciliazione tra famiglia e lavoro.
Membro del GRIFF (gruppo di ricerca sulla famiglia e sulla condizione femminile) è sta-
ta presidente della Commissione PO nazionale, ma anche la prima presidente della
Commissione PO della regione Lombardia.

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Gruppo 1:
“Quale rappresentanza per favorire il punto di vista
e la responsabilità delle donne”

Il tema ha suscitato molto interesse tanto che il gruppo, previsto in una prima battuta
di 10 persone, è più che raddoppiato durante lo svolgimento raccogliendo contributi
delle persone che si sono aggiunte nel corso del dibattito: questo ha impedito una di-
scussione approfondita e prevede la necessità di ulteriore confronto.
Il gruppo si costituisce in maniera eterogenea rispetto alla provenienza (partiti politici,
associazioni, ordini professionali, sociale) e tale eterogeneità è considerata un valore
che si propone di mantenere nello Statuto della costituenda CPO comunale.
Si evidenziano alcuni punti come suggerimenti e proposte per percorsi di lavoro. Nell’i-
potesi discussa la CPO dovrà essere un organismo autorevole, presente nelle decisioni,
con la possibilità di interloquire, con pareri consultivi e proposte su tutti gli atti dell’Am-
ministrazione Pubblica in ordine alla loro ricaduta di genere. Dovrà riuscire a sviluppare
la partecipazione dei cittadini e delle cittadine organizzando tavoli di lavoro aperti su cui
confrontarsi sulla pari opportunità e sulla politica di genere.
Per svolgere l’attività di cui è incaricata, la CPO dovrà poter gestire un budget da un
capitolo apposito del bilancio comunale.
La CPO potrà essere costituita da donne delle istituzioni, delle associazioni e quindi rap-
presentativa delle realtà sul territorio, ma anche in parta aperta a singole cittadine su
richiesta e presentazione del curriculum.
Il gruppo di lavoro pone alcuni interrogativi al successivo dibattito.
La CPO dovrà essere
 1. Composta da sole donne o mista?
 2. Elettiva o di nomina?
 3. Quante persone la comporranno?
 4. Come sarà definita l’autonomia della CPO rispetto all’Amministrazione comunale
    nel suo complesso? Avrà una propria sede? Dove e con quale autonomia si costi-
    tuiranno i tavoli di lavoro?
 5. Quali criteri di selezione saranno individuati per l’accesso dei/delle cittadini/e
    proposti/e dalle associazioni, dai partiti politici, o per i/le singoli/e?
Le associazioni chiedono di partecipare al percorso di elaborazione dei criteri per la co-
stituzione della CPO comunale.
Rimangono giudizi contrastanti soprattutto sui due nodi da sciogliere che sono:
 a. l’alternativa tra una commissione formata da sole donne o una formata da donne
    e uomini;
 b. una commissione di sola rappresentanza o aperta anche a singoli/e cittadini/e.

      Si ringraziano Patrizia Botazzoli, facilitatrice della discussione,
                                           e Mary Baldaccini, relatrice.

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Gruppo 2:
“Temi e ambiti di azione della Commissione Pari
Opportunità.”

Il testo che segue è la sintesi del lavoro dei due gruppi che si sono costituiti su questo
tema. La coincidenza di numerosi aspetti emersi dalla discussione ha permesso di sti-
lare un unico resoconto.
Negli interventi delle partecipanti sono emersi suggerimenti e proposte per percorsi di
lavoro relativi ad alcuni temi .
1) Formazione come opportunità declinata
 a. per le componenti della CPO in modo da rendere più omogeneo il gruppo;
 b. per educatori e insegnanti per contrastare gli stereotipi di genere che ostacolano
    l’esistenza di pari opportunità per cittadine e cittadini fin dall’età più precoce;
 c. per educatori e insegnanti come educazione all’immagine legata alla figura fem-
    minile e alla rappresentazione delle donne;
 d. per alunni e studenti: proporre, in collaborazione con l’assessorato all’istruzione,
    laboratori di educazione di genere in tutte le scuole a partire dalla primissima in-
    fanzia;
 e. per lavoratori e lavoratrici: promuovere con le associazioni sindacali e datoriali
    stage formativi.

2) Comunicazione
 a. Informazione riguardo alle pari opportunità e alle politiche di genere: è utile che
    la CPO promuova campagne di informazione rivolte alla cittadinanza sui temi del-
    le pari opportunità, sul proprio lavoro e i risultati di esso; è necessario dotarsi di
    strumenti di comunicazione che diano visibilità al lavoro svolto, utilizzando il web,
    la stampa, i giornali murali e tutti i media locali;
 b. conoscenza e attuazione di tutta la normativa vigente rispetto alla tematica in
    esame, perché spesso viene applicata in modo parziale o settoriale: è quindi im-
    portante stendere una proposta di scelta di priorità;
3) Indagini e promozione di politiche
 a. presenza femminile nei ruoli dirigenziali sia nel settore pubblico che nel privato: le
    donne sono ampiamente rappresentate nella base lavorativa del settore pubblico
    e ben presenti anche nel settore privato, tuttavia, e nonostante i livelli di istruzio-
    ne formale raggiunti, si rileva una loro scarsa presenza nei ruoli apicali. La CPO
    potrebbe indagare almeno nel settore pubblico locale la situazione, gli eventuali
    ostacoli specifici sul cammino professionale delle donne, e promuovere interventi
    per rimuoverli;
 b. la CPO promuova iniziative da parte dell’ente comunale per incentivare le realtà
    lavorative che danno spazio non effimero alle giovani lavoratrici, mentre per quelle
    donne non più giovani ma non ancora anziane, espulse o uscite dall’attività lavo-
    rativa, preveda altri interventi che possano valorizzarne capacità, competenze ed
    esperienze che rischiano di rimanere sottoutilizzate;
 c. gli orari della città influenzano in modo determinante la gestione della vita e delle
    risorse di uomini e donne, gettando spesso su queste ultime il compito di conciliare
    tempi di vita e di lavoro a spese del proprio tempo. Intervenire su questi punto in
    modo da comprendere le criticità, promuovere un riequilibrio e una maggior con-
    divisione può essere un intervento importante della CPO;
 d. problematiche sanitarie nella famiglia: le situazioni legate a infermità gravi, si ri-

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verberano sistematicamente sulla vita delle donne che si trovano a gestirle. La CPO
      può individuare tipologie di servizi, da consulenza o primo contatto a interventi ad
      hoc, che possano sostenere le famiglie in tali frangenti. La CPO può promuove il
      riconoscimento da parte dell’amministrazione, del lavoro di cura con agevolazioni
      per l’accesso ai servizi comunali: può essere un forma per compensare in modo
      tangibile, anche se diverso da quello monetario, un impegno che non va solo a
      vantaggio della vita privata ma della società nel suo complesso;
 e.   Identificazione di uno spazio: manca a Lucca un luogo di riferimento adeguato
      strutturalmente e facilmente accessibile, che concentri attività di consulenza, in-
      contro, sportello di riferimento che rispondono alle esigenze espresse dalla popo-
      lazione femminile e possa ospitare anche attività auto-organizzate dalle donne.
      Avviamento e istituzionalizzazione delle banche del tempo, non più lasciate al solo
      slancio volontaristico;
 f.   occuparsi concretamente e costantemente della salute psico-fisica delle donne,
      con azioni a sostegno dei Consultori, alla Legge 194, con studi e ricerche per il mi-
      glioramento della Legge 40, con iniziative forti per una rapida approvazione di una
      legge contro la violenza e il femminicidio;
 g.   affrontare tutti i temi della diversità, di genere, etnica, socio-economica, psico-
      fisica, incontrando e mettendosi in rete con tutte le associazioni del territorio;
 h.   politiche del sociale: si raccomanda che la CPO solleciti un’attenzione trasversale
      alle pari opportunità nelle politiche sociali del Comune.
Sono emersi come punti da sviluppare e chiarire:
Come conoscere e far emergere le condizioni e le esigenze o le istanze delle donne stra-
niere, che nel convegno non sono parse rappresentate?

                                Si ringraziano Elisa Frediani e Rosa Russo,
                                              facilitatrici della discussione,
                           e Isabella Belcari e Luciana Giannotti, relatrici.

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