PROLUSIONE INAUGURAZIONE - Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
PROLUSIONE INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO 2021-2022 Discorso letto dal Preside, prof. padre FRANCESCO MACERI S.I., l’11 ottobre 2021 per l’Apertura dell’Anno Accademico 2021-2022 – XCV dalla fondazione della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – Buona sera. Sono lieto della vostra presenza, graditissima, in occasione della Inaugurazione dell’Anno Accademico 2021-2022, 95.mo di attività della nostra Facoltà Teologica. Saluto cordialmente S.E. mons. Antonello MURA, Vescovo di Nuoro e di Lanusei, Gran Cancelliere della Facoltà. gli Ecc.mi Vescovi della Sardegna, il Rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo don Riccardo PINNA; i Direttori degli ISSR: prof. mons. Fabio TRUDU per l’ISSR di Cagliari; prof. don Raimondo SATTA per l’ISSR di Sassari/Tempio-Ampurias Euromediterraneo; 1
i Docenti e gli Studenti della Facoltà e degli ISSR collegati alla Facoltà. Saluto tutte le Autorità civili, militari e accademiche qui presenti. Siamo davvero onorati (e non è retorica) della vostra presenza, espressione della vostra vicinanza e stima verso questa Facoltà Teologica. Proprio il desiderio di conoscenza reciproca - indubitabilmente arricchente -, di dialogo costruttivo, di collaborazione interdisciplinare in sinergia – in maniera speciale – con le Istituzioni accademiche e gli Istituti e Associazioni Culturali, ma altresì anche con gli Enti e le Istituzioni locali, in vista del progresso della società sarda, furono alla base delle motivazioni soggiacenti al trasferimento da Cuglieri a Cagliari. Prima di procedere con questa mia Prolusione, saluto in maniera particolare gli studenti e le studentesse che hanno scelto la nostra Facoltà Teologica per crescere sia umanamente, acquisendo maturità personale e sociale, sia come persone di fede, data la specificità della nostra offerta formativa. Il cammino che vi accingete a intraprendere è impegnativo ma estremamente arricchente. Auguro a ciascuno di voi un percorso proficuo, una maggiore conoscenza e intimità con la Parola vivificante. Sono certo che tra noi nessuno ritiene l’impegno e il lavoro intellettuale dei docenti e degli studenti un ostacolo alla loro ricerca di Dio; è possibile, invece, che vi siano quelli che vedono nell’impegno accademico di insegnamento e di apprendimento un’attività a latere del rapporto profondo e affettivo che studiosi e studenti intrattengono con Dio. Quest’ultima opinione o convinzione vorrei mettere in dubbio, ponendo una domanda e dando ad essa una breve risposta, lasciando a ciascuno l’impegno – se vorrà – di completarla, integrarla o correggerla. È possibile cercare e trovare Dio nello studio, nella ricerca e nella docenza? Di più: si deve cercare e trovare Dio nella attività accademica? L’attività accademica può alimentare ed esprimere il desiderio di conoscenza e amore di Dio? 2
Si intenda bene il senso della domanda, dove essa ci orienta. Non si tratta di interrogarsi se e come gli studi accademici possano essere vantaggiosi all’azione apostolica e pastorale di presbiteri e laici, utili a prestare agli uomini e alle donne del proprio tempo aiuto umano e spirituale efficace e adeguato, bensì se siano un fine in sé stessi, se – rettamente intesi e praticati – consentano di per sé di acquisire e sviluppare un’esperienza spirituale, se possano nutrire e sostenere la comunione con Dio e i fratelli, l’amicizia con Gesù, la docilità allo Spirito Santo. In altre parole, si tratta di cercare di vedere se l’impegno dello studio possa essere vissuto come un ‘esperimento’, limitato nel tempo o duraturo, adatto a verificare e far crescere l’amore per Dio e arricchirlo sempre più in ogni genere di conoscenza e discernimento (cf. Fil 1,9). La domanda mira ad andare oltre l’apprezzamento funzionale dello studio accademico - atto che, ahimè, non è scontato! -. Se ci si ferma ad esso non ci si assicurerà mai contro il rischio di considerarlo un ostacolo da superare prima di iniziare ciò che veramente conta, né si colmerà la separazione arbitraria e diffusa tra dedizione accademica e lavoro, professionale o pastorale. L’una e l’altro, nonostante le apparenze e le soddisfazioni individuali rassicuranti, possono essere ugualmente inutili, a meno che non favoriscano e sostengano l’esperienza spirituale, la ricerca e la scoperta di Dio nella vita propria, nell’esistenza degli altri e negli avvenimenti del mondo. Lo studio, al pari dell’attività lavorativa o pastorale, può e deve essere un cammino impegnato, un esigente itinerarium mentis in Deum, fondato e vissuto sull’affettività spirituale, oltre che l’impegno intellettuale. Studiare, dunque, come pregare, e lo studioso o intellettuale come un pellegrino! Lo pensiamo tutti, noi qui presenti? Lo abbiamo già sperimentato? Ci proponiamo di realizzarlo sempre meglio? Chi si pone queste domande compie già il primo passo per vivere lo studio e la ricerca come esperienza spirituale, mostrando la volontà di oltrepassarne il significato meramente strumentale, e di riconoscere che esso è per sé luogo di scoperta, di incontro e di dialogo con Dio. Egli riconduce facilmente il termine ‘disciplina’, con cui si designa un settore della conoscenza e le norme che ne facilitano l’insegnamento e 3
l’apprendimento, alla parola ‘discepolo’, seguace di Gesù. L’attività di ricerca e studio, di conseguenza, è intesa come integrata nel cammino affascinante e impegnativo del discepolato, una parte al di dentro e non a lato dell’apprendistato alla sequela di Cristo Maestro e Verità. In quanto modo legittimo di discepolato, il lavoro intellettuale trova la sua ‘forma’ – il suo principio unificante, dinamico e conformante - nella sequela di Cristo. Una caratteristica che deriva da tale forma è il magis, il sempre più di amore per la verità, per la comprensione e la trasmissione della Parola incarnata. Il fervore e la laboriosità con cui si deve seguire Cristo stimolano anche l’impegno nello studio. Ciò significa non fermarsi alla mediocrità, non accontentarsi dei contenuti minimi irrinunciabili e dei risultati conseguiti. Un ostacolo apparentemente insormontabile al proprio progresso nello studio può essere l’accumulo di propri difetti e negligenze, e la resa dinanzi ad esso segno di indolenza e pigrizia. Esso non va coperto con un ingannevole riferimento all’umiltà. La tiepidezza che fa vomitare il Signore (cf. Ap 3,16) può presentarsi anche nelle sembianze del calduccio confortevole di un impegno accademico strettamente necessario e ripetitivo, e di uno studio pago di superare le verifiche e conseguire i gradi. Perciò il docente e lo studente non devono sottostimare sé stessi, ma valutare le proprie capacità, consapevoli che la partecipazione dell’intelligenza umana del lume divino li spinge a ogni sforzo necessario per rendersi aperti alle novità inesauribili di Dio. Questa stima per l’intelligenza umana (e non soltanto per la propria!) aiuta a non temere la verità, ma a essere fiduciosi che qualsiasi cammino compiuto con integrità conduce a un luogo di conoscenza. Così, nello svolgimento della loro attività, essi si dispongono costantemente a una metanoia specifica, a un cambiamento di pensiero e di atteggiamento. Se una certa audacia intellettuale è segno di fiducia nello Spirito e propria del discepolo animato dal magis, coloro che sono impegnati nelle attività accademiche devono riconoscere che non sono esenti dalla tentazione di pretendere di avere su Dio, sul mondo e su sé stessi uno sguardo veramente libero e chiaro. Logiche di 4
autosufficienza, competitive e, di fatto, accecanti possono esistere spesso non solo nelle istituzioni accademiche e tra le scuole, ma anche in coloro che le rappresentano, le animano e, in vario modo, ne fanno parte1. Laddove ciò si verifica, si rende necessario richiamare il giudizio severo di Colui che ci ama, Cristo: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17). Umiltà e audacia intellettuali o stanno insieme o cadono insieme. Al seguito di Gesù i discepoli non furono separati da villaggi, città e regioni, ma condotti all’incontro con dotti e ignoranti, ricchi e poveri, peccatori e giusti, adulti e fanciulli. Abbandonarono non solo oggetti (rete e barche), ma anche persone (padre), per vivere in un rapporto intimo con il Maestro, prestare attenzione vigile alle sue parole e alle sue opere, trascorrere del tempo in disparte soli con Lui (Mc 4,11; 6,31). Ciò si riflette, secondo certo aspetto, nella vita accademica dell’intellettuale e dello studioso discepolo. Questa si presenta frammista di solitudine e collaborazione con i colleghi, di raccoglimento e di solidarietà intima con i tempi, i bisogni e le capacità dei contemporanei. Le indicazioni di san Tommaso allo studente Giovanni: “Voglio che tu sia tardo a parlare… Sii amante della tua cella… Non essere per nulla curioso dei fatti altrui… Non divagare su tutto…”, ricordano che l’impegno nella ricerca e nello studio richiede una dimensione contemplativa che non può essere disattesa senza danno. D’altra parte, poiché Cristo Verità è vivo e operante in mezzo agli uomini, non è possibile un’attività intellettuale al suo seguito che estranei dall’esperienza. Di necessità essa solleciterà alla reciprocità e al coinvolgimento con le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze degli uomini. Come la preghiera, lo studio non esclude altre attività, bensì richiede che gli si dia il suo tempo, dedicandocisi interamente, escludendo interferenze e divagazioni. Soprattutto, ai nostri giorni, esige vigilanza e fermezza per non cedere all’abuso della ‘rete’ e darsi a una ‘navigazione’ che risulti 1 FRANCESCO, Discorso, Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli) - Venerdì 21 giugno 2019 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/june/documents/papa-francesco_20190621_teologia- napoli.html 5
tanto piacevole quanto dannosa a un fine intellettuale e, forse, anche morale e fisico. Perciò, contemplativi nell’azione e nel mondo, coloro che si dedicano allo studio sia stabilmente sia nel quadro di un itinerario formativo necessitano di discernimento, di stabilire le giuste priorità che assicurino loro tanto il raccoglimento quanto il coinvolgimento nella vita ecclesiale e sociale. Qualche considerazione sul primo. Scrive p. Sertillanges nel suo libro La vita intellettuale: «Nulla è così disastroso quanto la dispersione»; e, dopo aver fatto l’esempio della lente che converge la luce su un solo punto rendendola capace di bruciare e non solo di scaldare, continua: «Il vostro spirito impari a far da lente, per mezzo di un’attenzione convergente»2. In ordine a tale apprendimento possono essere di aiuto alcune indicazioni pratiche che Ignazio dà nel libretto degli Esercizi per favorire il raccoglimento nella preghiera, se intese e adattate adeguatamente al contesto differente dello studio3. Per fare della multiforme attività accademica un’esperienza spirituale è indispensabile superare la separazione tra il soggetto e l’oggetto della ricerca, dell’insegnamento o dello studio, e chiedersi come la vita personale sia connessa con esso. Fermare l’attenzione all’oggetto e non lasciarsi coinvolgere dal tema, dall’argomento o dalla questione per discernere come tocca e riguarda la propria vita è un modo per non lasciarsi trasformare dalla conoscenza, per negarsi un’esperienza umanamente e spiritualmente proficua e salutare. È necessario, perciò, appropriarsi consapevolmente e criticamente di quanto accade in sé stessi durante lo svolgimento del lavoro intellettuale, riflettere su come venga vissuto, rispettando l’intreccio 2 A. D. SERTILLANGES, La vita intellettuale, Roma 19986, p.124. 3 Dato che anche al tempo dello studio, come a quello della preghiera, non sempre si arriva con l’attenzione spontaneamente rivolta ad esso, la prima, la seconda e la sesta delle Addizioni degli Esercizi (nn. 73-74.76), possono essere di aiuto. Esse invitano a rivolgere l’attenzione a ciò che si farà mentre si compiono gesti o azioni ordinarie che non richiedono una particolare concentrazione. Un esempio concreto aiuta a capire l’utilità dello spirito di un altro numero degli Esercizi. Nel n. 20 Ignazio suggerisce la ricerca di un luogo che consenta l’allontanamento da persone consuete, da preoccupazioni e da attività non bene ordinate, così da favorire il maggior raccoglimento possibile, non avere la mente divisa in molte cose e mettere impegno in una sola. Uno studente trovava molto appagamento e consolazione nelle attività liturgiche, mentre lo studio gli risultava piuttosto faticoso e noioso, tanto che era indietro con la sua dissertazione. Alla fine di un ritiro spirituale di tre giorni, durante la condivisione ammise con franchezza di non aver molto pregato. Tuttavia era certo di aver ricevuto una grazia. Nell’abbazia egli era lontano da ogni distrazione, tutti conservavano il silenzio, non aveva nessuno con cui parlare e non c’era la connessione a internet. Di conseguenza si accorse di trovare piacere e appagamento concentrandosi sul suo lavoro scritto e capì che forse non era così inadatto allo studio come pensava. 6
indissolubile tra il livello razionale e la dimensione affettiva. Mi spiego. I ragionamenti, i pensieri e le idee sono rilevanti in ordine all’incontro con Dio, e impediscono che l’affettività si riduca a un insieme di emozioni passeggere, non comprensibili e incomunicabili; tuttavia sono i sentimenti a costituire principalmente l’ambito del discernimento per conoscere se e come camminiamo con e verso Cristo. Infatti, l’intelletto e la conoscenza sono l’ambito del generale, mentre l’affettività, le intuizioni, l’empatia, le emozioni costituiscono il ‘sentire’ proprio della singola persona, l’unicità della sua condizione esteriore e interiore. Non basta, dunque, fare attenzione ai contenuti, alle idee e ai pensieri per coglierne il significato e il valore essenziale, scoprire il loro rapporto con altri aspetti del sapere e valutare la loro implicazione nella ricerca della verità e della libertà; è altresì necessario avvertire i sentimenti e le risonanze affettive che si sperimentano nel corso dello studio, comprenderne l’origine, lo sviluppo e il fine a cui conducono. Interesse, concentrazione, assenza di preoccupazione, senso di appagamento e di gioia; oppure noia, ansietà, confusione, distrazione, gelosia… che cosa significano, come si integrano con la sequela di Cristo?4. Dai Vangeli sappiamo che ogni vocazione è una con-vocazione. Il discepolo di Gesù non viene chiamato per camminare da solo. Chi vorrà cercare Gesù Via Verità e Vita lo troverà sempre con i suoi discepoli. La sequela ha una profonda impronta comunitaria ed esclude ogni settarismo e intolleranza verso quelli di fuori (cf. Mc 9,38- 40; Lc 9,49-50). Ne segue che il cristiano dedito alla docenza o allo studio non guarda chi è colui che parla, ma accoglie e conserva nella mente tutto ciò che di buono egli dice, è attento a riconoscere i doni di Dio ovunque si manifestino. In particolare, il lavoro teologico, come qualsiasi altra vocazione cristiana, «oltre ad essere personale, è 4 Si tratta di considerare attentamente un’idea, un contenuto, una reazione affettiva spontanea, ponendosi delle domande, quali ad esempio: I corsi che tengo o frequento, le materie che insegno o apprendo dicono qualcosa al mio essere cristiano? Quali conseguenze comportano per la vita di fede? Approfondendo e imparando questo argomento, che cosa mi ha interessato di più? Perché? Sono stato impensierito da qualcosa? Le cose che ho studiato quale impatto potrebbero avere sulla mia vita, sulla comunità ecc.? Quanto ho scoperto, insegnato o studiato, quali sentimenti fa nascere in me? Le valutazioni e le opinioni che esprimo sui vari problemi nascono dalla mia appartenenza a Cristo e dai miei studi o attingono altrove? 7
anche comunitario e collegiale. Viene cioè esercitato nella e per la Chiesa tutta, e viene vissuto in solidarietà con coloro che hanno avuto la medesima chiamata. I teologi sono giustamente consapevoli e orgogliosi degli stretti vincoli di solidarietà da cui sono uniti gli uni agli altri nel servizio al corpo di Cristo e al mondo. In molti modi diversi, in quanto colleghi presso le scuole e le Facoltà teologiche, in quanto membri delle stesse società e associazioni teologiche, in quanto collaboratori nella ricerca, e in quanto scrittori e docenti, essi si sostengono, si incoraggiano e si ispirano a vicenda; fungono inoltre da guide e mentori per coloro, in particolare studenti universitari, che aspirano a diventare teologi»5. Queste parole non hanno bisogno di commenti, ma di essere accolte. Vescovi, Docenti, Studenti, facciamoci tutti, ciascuno secondo le proprie competenze e responsabilità, promotori di proposte e di iniziative idonee a costruire tra noi una comunità di persone che si alleano, si impegnano reciprocamente in una relazione trasformante, di fiducia, e di fede dinanzi alle necessità e agli imprevisti futuri. Concludo con la preghiera di sant’Agostino al termine della sua opera La Trinità. Essa arricchisce notevolmente il senso di quanto ho detto, lo chiarisce, e dispone noi tutti, con l’aiuto della grazia di Dio, a viverlo. Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore. Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi quando 5 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia oggi: prospettive, principi e criteri, 45, consultabile sul sito: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_doc_20111129_teologia-oggi_it.html. 8
entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando Tu mi abbia riformato interamente. Amen. Vi ringrazio. I DOCENTI Prima di cedere la parola al prof. Spano, desidero esprimere a nome mio e dell’intera Comunità accademica, un vivo ringraziamento al prof. don Antonio PINNA, che nell’Anno Accademico 2020-2021 ha concluso la sua attività di Docente Associato di Sacra Scrittura nella nostra Facoltà Teologica. Gli diciamo grazie per il Suo impegno, la sua serietà nell’insegnamento, la sua presenza costante – quasi quarantennale – nella nostra Istituzione accademica. Passo ora la parola al prof. SPANO che ci illustrerà le attività culturali svoltesi nell’Anno Accademico 2020-2021. RELAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2020-2021 _______________________________________________ 9
Puoi anche leggere