Preromanica, architettura - Definizione
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Preromanica, architettura Definizione Con il termine preromanico si definiscono le testimonianze che preludono alle caratteristiche del successivo periodo romanico. Questo rende prevalentemente interessato dal fenomeno l’XI secolo, anche se talvolta l’arco temporale è stato dilatato all’indietro, includendovi i periodi carolingio e ottoniano. È ovvio che il termine non può avere una valenza onnicomprensiva, perché i fatti architettonici che possono essere qualificati come preromanici variano a seconda delle aree culturali e delle tradizioni locali. Manca una identità unitaria che possa essere definita come preromanica, ma vi sono soluzioni che contribuiranno a caratterizzare le architetture del periodo successivo, a seconda delle esperienze e degli ambienti. Caratteristiche La cattedrale di Spira, nel progetto fatto avviare dall’imperatore Corrado II intorno al 1030, divideva le navate con pilastri a sezione quadrangolare ai quali erano addossate delle semicolonne che salivano lungo la parete fino a superare le finestre e a connettersi a una serie di arcate che le scavalcavano. In questo modo venivano fusi in un corpo solo i due elementi portanti, la colonna e il pilastro, che nella precedente architettura ottoniana erano stati utilizzati separati, con evidenti conseguenze sulla articolazione della muratura. Contemporaneamente analoghe esperienze venivano messe in opera nella regione della Loira e quando, in edifici come la navata di Saint-Remi a Reims o come quella di Saint-Germain-des-Prés a Parigi, la soluzione si associò alla presenza di capitelli figurati è evidente che si stava facendo strada una delle più significative novità del periodo romanico. Il deambulatorio
aveva già fatto una embrionale comparsa, sul finire del X secolo, nella cripta della cattedrale di Clermont-Ferrand, come evoluzione del tipo semianulare al quale erano state aggiunte quattro cappelle radiali a pianta rettangolare. La soluzione divenne dominante nell’alzato di un’altra importante costruzione dello stesso periodo, l’abbazia di Santa Maria in Campidoglio a Colonia, i cui lavori, avviati dalla badessa Ida nipote dell’imperatore Ottone II, videro la conclusione solo nel 1065. Le tre navate si innestano su un corpo trilobato, formato da tre absidi di eguali dimensioni, circondato da un deambulatorio voltato che va a collegarsi alle navatelle anch’esse coperte con volte a crociera, con una modalità di impianto che denuncia apertamente il proprio debito nei confronti dei tetraconchi paleocristiani. Negli stessi anni, con la costruzione della chiesa di Saint- Martin a Tours, consacrata nel 1014, si portò a conclusione il percorso, trasformando l’impianto polilobato in cruciforme e concludendolo con una abside circondata da un compiuto deambulatorio a cappelle radiali. Si arrivò così a definire, in termini ancora embrionali, uno dei tipi architettonici più significativi del successivo periodo romanico, quello delle cosiddette chiese di pellegrinaggio. Analoghe valutazioni si possono fare a proposito della facciata occidentale della cattedrale di Treviri, realizzata tra il 1017 e il 1047, caratterizzata da una enorme abside centrale che si appoggia a un corpo trasversale, formato da due grandi arcate, al cui interno si aprono i portali, sormontate da due gallerie, sovrapposte e affiancate esternamente da torri scalari rotonde, con una una animazione dinamica della muratura che prelude alla complessità delle soluzioni romaniche. La rottura della uniformità della parete è del resto uno dei tratti caratterizzanti questo momento storico. All’esterno è esemplare di queste intenzioni la chiesa di Sainte-Gertrude a Nivelles, consacrata nel 1046, con le grandi arcate in successione continua che, impostate su lesene, salgono da terra a inquadrare le finestre, mentre negli stessi anni l’interno del Saint-Étienne di Vignory
propone un finto matroneo, inserito tra le arcate e le finestre, embrionale accenno alla triplicazione degli ordini monumentali che sarà una dei temi dominanti non solo del periodo romanico. Un fattore di mutamento rispetto alla tradizione del Westwerk carolingio e ottoniano è rappresentato, infine, dal portico torre che ha il suo esempio più significativo nella abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire dove la articolata robustezza delle forme si accompagna a un raffinato progetto decorativo. Esiste nel contesto preromanico una questione lombarda che ha preso vigore nei primi decenni del Novecento, attribuendo alla regione una funzione guida che avrebbe coinvolto un’ampia area mediterranea, estesa fino alla Catalogna. Fondata sulla presenza di comuni fattori decorativi nella definizione della parete, come le arcatelle cieche su lesene, le nicchie scavate all’interno dell’abside, come nel San Paragorio di Noli e in certe chiese catalane, o i fornici ad alleggerire il pieno di muro al culmine esterno del circuito absidale, tale linea interpretativa non ha tenuto nel debito conto i differenti esiti nel tempo delle varie zone. Al di là di fatti come quelli rappresentati dai deambulatori presenti nella cattedrale di Ivrea e nel Santo Stefano di Verona che si allineano alle contemporanee esperienze in atto nell’area della Loira, la chiesa di Santa Maria Maggiore a Lomello, con i pilastri compositi, le arcate trasverse in disposizione alternata e le crociere a coprire le navate laterali, prefigura fatti squisitamente locali. Le sue forme da un lato suggeriscono la scansione spaziale in base alla quale verrà realizzata, in Sant’Ambrogio a Milano, la copertura del vano centrale con volte a crociera costolonata, dall’altro preludono al progetto per il duomo di Modena, messo in opera a partire dal 1099 dell’architetto Lanfranco, con i pilastri legati da grandi arcate trasverse a sesto acuto e alternati a classicheggianti colonne. Ben diverse sono le ragioni formali di fondo che si sviluppano nelle aree di pretesa influenza lombarda. Nel Roussillon, come testimoniano le chiese di Sain-Michel-de-Cuxa e di Saint-
Martin-du-Canigou, fondata nel 1001 e consacrata nel 1009, il motivo caratterizzante è rappresentato dalla copertura con volte a botte su tutte e tre le navate, una soluzione che evolve precocemente, sul piano tecnico, con l’introduzione della forma spezzata e delle arcate trasverse, connesse a pilastri necessariamente compositi, come nel San Pietro di Casseres, una motivo che nella primitiva cattedrale di Elne muterà ulteriormente, sul piano tecnico, con la creazione di volte a botte rampanti sulle navate laterali. L’architrave della chiesa di Saint-Genis-de-Fontaines, datato al 1020, con il decoro figurato segna a sua volta l’avvio di quello che sarà il portale romanico. Anche in Catalogna il tema della copertura a volta a botte appare determinante sul piano della caratterizzazione formale. Esempio conclusivo di questo percorso è il Sant Vicenç di Cardona, costruito tra il 1009 e il 1040, con volte a botte e arcate trasverse sulla navata centrale, sui bracci del transetto e sulla campata antistante il coro, e con volte a crociera nell’atrio e nelle navate laterali dove ogni singola campata è coperta dalla successione di tre piccole volte. La maggiore novità è rappresentata dalla presenza, sull’incrocio, di una cupola su trombe, una soluzione di sapore bizantino e mediterraneo che verrà ripresa in numerose chiese catalane nel corso dell’XI secolo. La costruzione della seconda abbaziale di Cluny, svoltasi nell’arco della seconda metà del X secolo, rappresentò per l’area borgognona un naturale punto di riferimento, in vista di una più complessa articolazione degli spazi. Gli aspetti innovativi erano rappresentati da un transetto emergente ma basso, da un presbiterio allungato, comunicante con due ambienti laterali e complessivamente dotato di cinque absidi. Nel corso dell’XI secolo l’edificio venne coperto a botte e una torre fu posta sull’incrocio, mentre alla facciata venne addossata la galilea, un avancorpo diviso in tre navate coperte da volte e affiancato da due torri, arrivando a comporre uno schema d’insieme che verrà precocemente ripreso in altre fondazioni dell’ordine, come i priorati svizzeri di
Romainmôtier e Payerne. Altrettanto significativa è la chiesa di Saint-Philibert a Tournus, una costruzione sostanzialmente parallela a Cluny II. Il coro è caratterizzato da un deambulatorio a tre cappelle radiali di impianto rettangolare e rappresenta il trapianto nella regione di una soluzione testimoniata in precedenza nell’area della Loira. Alla navata scandita da pilastri cilindrici fu, nel corso della seconda metà dell’XI secolo, aggiunta una sequenza di volte a botte trasverse e alla fronte occidentale fu anteposto un nartece a due piani, entrambi coperti con volte di diversa tipologia. In forme e ragioni diverse, nei due edifici erano presenti, in una dimensione sperimentale, molti degli aspetti caratterizzanti di quello che sarebbe stato il romanico borgognone e dunque la loro dimensione preromanica appare innegabile. Altrettanto si può dire, per la Normandia, a proposito della abbaziale di Bernay. A fondarla, provenendo dalla Borgogna, provvide Guglielmo da Volpiano, una delle personalità monastiche più significative degli inizi dell’XI secolo, il quale aveva già sovrinteso alla costruzione del Saint-Benigne a Digione, di cui sopravvivono oggi solo i piani inferiori della rotonda addossata al corpo longitudinale dell’edificio che era a cinque navate e coperto a volte, con tribune e un transetto sormontato da una torre. Questo spiega la presenza a Bernay di soluzioni di schietta impronta cluniacense, come il presbiterio allungato, il transetto emergente e le cinque absidi scalate. I tratti innovativi però sono forniti dalla articolazione dei sostegni e soprattutto dalla presenza di una finta tribuna che si affaccia sulla navata centrale attraverso bifore intervallate da nicchie, forse destinate a contenere statue in stucco, sulla base di un ordinamento, concluso in alto da una sequenza di finestre, che già prelude a quelle che saranno, nell’immediato, le forme caratteristiche del romanico normanno, tutte concentrate sull’idea dell’alleggerimento e dello svuotamento della parete. In definitiva da questo quadro risulta evidente che, in termini generali, non esiste una ragione architettonica che
possa essere unitariamente definita come interprete di una identità preromanica, ruolo che viene esercitato di volta in volta, su base regionale, da singoli monumenti che, in virtù delle novità progettuali di cui si fanno portatori, svolgono, nello stesso tempo, una funzione di unione e di distacco rispetto alle ipotesi messe in campo nei momenti precedenti e aprono la strada a una riflessione nuova nella quale si può riconoscere l’identità romanica. Bibliografia Barral I Altet X. (a cura), Le paysage monumental de la France autour de l’an mil, Paris, 1987; Baylé M., Ancienne abbatiale Notre-Dame de Bernay, in «Congrès archéologique», 138, 1980, pp. 119-162; Chaix V., Les églises romanes de Normandie, Paris, 2011; Conant K.J., Cluny. Les églises et la maison du chef d’ordre, Paris – Cambridge (Mass.), 1968; Conant K.J., Carolingian and Romanesque Architecture, 800 to 1200, Harmondsworth, 1966; De Bernardi Ferrero D., Ivrée. Cathédrale Sainte-Marie, in «Congrès archéologiques», 129, 1971, pp. 185-193; Decaëns J., La datation de l’abbatiale de Bernay. Quelques observations architecturales et résultats des fouilles récentes, in Proceedings of the Battle, Conference 1982, London, 1983, pp. 97-120; Durliat M., La Catalogne et le premier art roman, in «Bulletin monumental», 147, 1989, pp. 214-226; Erlande-Brandenburg A., Mérel-Brandenburg A.-B., Saint-Germain-des-Prés. An mil, Paris, 2011; Fernie E., Sant Vicenç at Cardona and Byzantine architecture revisited, in Freixs P.; Camps J. (a cura), Els “comacini” I l’arquitectura romanica a Catalunya, Girona 2010, pp. 33-40; Fernie E., Saint-Vincent de Cardona et la dimension méditerranéenne du premier art roman, in «Cahiers de civilisation médiévale», 43, 2000, pp. 243-256; Galtier Martí F., L’église ligurienne San Paragorio de Noli et ses rapports avec Santa Maria de Obarra (Aragon) et San Vincente de Cardona (Catalogne). Trois précoces témoignages de la “diaspora” lombarde, in «Les Cahiers de Saint-Michel-de-Cuxa», 19, 1988, pp. 151-168; Grodecki L., L’architecture ottonienne. Au seuil de l’art
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