Persona: la tutela della vita nel DNA (Diritto Naturale Assoluto)

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Persona: la tutela della vita nel DNA (Diritto Naturale Assoluto)
Premio “Ada Valerio Baccari”, II edizione, anno 2009

Persona: la tutela della vita nel DNA
     (Diritto Naturale Assoluto)
        Riflessione, giuridica e non, sul tema dei Diritti Umani
      alla luce dei principi e della tradizione del Diritto Romano
Persona: la tutela della vita nel DNA (Diritto Naturale Assoluto)
Alfonso Balsamo, matr. 04491/400
               Facoltà di Giurisprudenza
                   LUMSA -Roma-

SOMMARIO
   Persona e Dignitas

   Persona e Stato. Nel concreto: il caso Cina

   Persona, Corpo Biologico e Corpo Sociale:
    il DNA e il Diritto Naturale Assoluto

   Conclusioni

Note: al termine del lavoro, nel conteggiare il numero di battute totali, ho riscontrato l'evidente superamento
del limite di 10000 battute previsto dal bando di concorso. A seguito di un labor lime, forse non troppo accurato,
si è riusciti a tenere questi scritti entro dimensioni meno esagerate, ma non ancora sotto il limite. Mi scuso
perché, più che per poca virtù sintetica, si è scritto molto per cercare di considerare il tema specifico sotto
un'ottica tendenzialmente completa.
Mi affido pertanto alla pazienza del lettore, affinché possa interpretare estensivamente il “circa 10000
battute”richiesto dal Bando.

Persona e Dignitas
Il primo concetto naturalmente utile per una riflessione sulla Persona è quello di DIGNITAS,
“dignità umana”. Essa va intesa come la vera sostanza della Persona, ciò che la distingue per natura
corporale e spirituale, una peculiarità che fa l'uomo tale, un quid immutabile e in contrapposizione
al “panta rei” rappresentato dalle mutevoli situazioni dell'esperienza umana. La crisi dei diritti
umani, che porta al loro “barbaro utilizzo”, giunge quando essi non sono fondati sulla dignitas ma
considerano questa un “diritto umano tra gli altri”. In tal modo si stacca la Persona dalla sua natura.
È una cesura che si regge su quella che può essere chiamata “ideologia dell'autonomia”,
un'ideologia retaggio dell'Illuminismo, che concepisce la libertà come fine a sé stessa e in grado di
autogiustificarsi. Questa assoluta “liberalizzazione” delle prerogative dell'individuo va ad intaccare
le basi naturali della stessa vita umana già nelle sue fondamentali tappe biologiche: il concepimento
(che è una riproduzione passiva), nascita, riproduzione (attiva stavolta) e morte. Non sorprenda
allora che i grandi temi del dibattito etico contemporaneo siano l'aborto (concepimento e nascita), la
manipolazione genetica e i matrimoni omosessuali (riproduzione) e l'eutanasia (morte). Se si
minimizza il concetto di dignitas e si cede all'autonomismo, i diritti umani si staccano dalla natura e
si prestano a pericolosi arbitri pseudo-giuridici che prendono nomi inquietanti come “diritto alla
morte” o più grottescamente “diritto ad un figlio biondo e con occhi azzurri”, si fonderebbero su
uno iato tra Persona e la sua natura umana.
In questo contesto, per analizzare la questione sotto una lente più prettamente giuridica, è utile
analizzare il concetto di dignitas per come utilizzato nella legislazione, in particolare quella tedesca,
con uno sguardo ai fondamenti del diritto europeo. Nella Legge Fondamentale tedesca, l'articolo 1
riporta: “La dignità umana è inviolabile. Tutti i poteri dello Stato sono tenuti a rispettarla”. La
dignitas è qui il fulcro di tutto l'ordinamento giuridico tedesco. Nella Costituzione Italiana invece,
la “dignità umana” compare “soltanto” nell'articolo 41, ma non per questo non è considerata come
presupposto dell'ordinamento, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sent. 293/2000:
“quello della dignità
della persona umana è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo”. Questo
radicamento su una concezione naturale ed etica insieme (perché è guida nell'agire pratico dei
cittadini, compresi i giudici) riprende un filone di pensiero che ha matrice cristiana e prima ancora
romanistica. Il diritto romano ad esempio è stato un grande difensore della dignitas, in particolare
quella della donna, considerandola legata alla sua natura procreatrice e di perno della famiglia,
prerogative essenziali per la c.d. “civitas augescens”, la crescita, lo sviluppo della civiltà romana (in
senso lato). In questo solco va spiegato l'istituto del “curator ventris” che assisteva la donna in toto
quando si trovava in stato interessante (cibum, potum, tectum, vestitum). Suscita pertanto macabra
ilarità l'utilizzo della parola dignitas nei nostri giorni, ad esempio per intitolare una associazione
svizzera legata a cliniche che praticano l'eutanasia. La sensazione è che, in Europa, ci siano
tendenze divergenti sulla concezione e l'utilizzo dell'idea di “dignitas” rispetto all'ordinamento. Le
troviamo già nei testi che saranno incorporati alla c.d. “Costituzione Europea” (come stabilito dal
Trattato di Lisbona del 2007), in particolare nella Carta dei diritti fondamentali europea (nata col
Trattato di Nizza) nella quale la “Dignità” è rubrica del Capo I ed è “equiparata” a concetti quale la
“Libertà” e la “Cittadinanza” (presenti negli altri capi). Un tentativo di “codificarla” che pare non
ne evidenzi la peculiare base fondante del diritto europeo. D'altro canto, nell'articolo 6 del Trattato
di Maastricht (altro trattato che confluisce nella Cost. Europea) è sancito: “L'Unione rispetta i diritti
fondamentali...quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto
principi generali del diritto comunitario”. Se tale impostazione vale ancora oggi, l'auspicio è che
nella Costituzione Europea siano costituzioni come quella tedesca a essere fari-guida, costituzioni
che partendo dalla dignitas, possano riuscire a sviluppare una sintesi di “ius commune” tra i vari
Stati. Sarà molto difficile, considerando anche lo scontro sul riferimento alle comuni radici
cristiane che manca nel progetto costituzionale che entrerà in vigore quest'anno.
Ecco perchè i principi romanistici dello ius naturale, come visto, possono dare una spinta in più che riesca
finalmente a definire dei fondamenti condivisi del diritto europeo.
Persona e Stato. Nel concreto: il caso Cina
A minare il concetto di Persona non è stato solo il distacco di essa dalla sua natura, rendendo la
dignitas non un fondamento, ma un diritto umano come gli altri. Trattando infatti la Persona nella
sua dimensione “pubblicistica”, nell'ultimo secolo si è riscontrata la tendenza a considerarla come
un prodotto dell'ordinamento giuridico dello Stato, facendo l'uomo da causa del diritto a suo effetto
in virtù di un riconoscimento statale; per dirla con Habermas “L'organismo diventa persona con un
atto socialmente individualizzante”. Questa concezione è paradossale: i diritti umani nascono con
l'idea di inviolabilità e indisponibilità, eppure è passata l'opinione che i diritti umani debbano essere
“riconosciuti”, opinione che potrebbe rivelarsi rischiosa: è' vero infatti che la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'uomo non li crea tali diritti, ma li riconosce; però va chiarito che, se essi
debbano derivare dal diritto naturale, non dipendono da nessun tipo di volontà, di consenso (statale
e non). Soccorre ancora la cultura romana e Cicerone nel De Legibus si chiede: “se i trenta tiranni di
Atene avessero voluto imporre le proprie leggi con l'accordo di TUTTI gli ateniesi, sarebbero state
leggi giuste? Se i diritti si fondassero sulla volontà dei popoli, sulle decisioni dei principi e sulle
sentenze dei giudici, sarebbero legali il furto, la falsificazione e il soppiantamento testamentario.”
invece, continua: “Non solamente il giusto e l'ingiusto, ma anche ciò che è onesto o meno si
discerne per natura. Pensare che questo dipenda dall'opinione di uno o di tutti, e non dalla natura, è
cosa da pazzi”. Più che riconoscere i diritti umani dunque, ne va promossa la loro conoscibilità.
I giuristi romani, con la creazione di una cultura giuridica ed esegetica, hanno favorito questo
percorso in passato e possono farlo anche al giorno d'oggi. L'esempio concreto lo abbiamo
nell'esperienza degli ultimi decenni riguardante l'ordinamento giuridico della Cina. Dagli anni'90
infatti, si registra un interesse da parte dell'autorità governativa cinese per quel che riguarda il
diritto privato romano; le ragioni sono tutte legate allo sviluppo economico senza precedenti che sta
conoscendo questo Stato. Il Governo cinese infatti, ha intuito l'importanza del diritto quale
“garante” degli scambi commerciali, in grado dunque di favorirne l'ulteriore incremento, specie in
relazione agli Stati esteri; è stato necessario dunque far affidamento su una tradizione giuridica
consolidata ed elastica. Così, all'inizio pochi giusromanisti “pionieri” delle Università italiane sono
stati invitati a tenere lezioni nel Paese orientale e, al contempo, molti “osservatori accademici”
cinesi sono giunti in Italia per imparare le fondamenta del sistema giuridico romano. Non sembra
un caso perciò che nel 2004 la Cina abbia proclamato nella sua Costituzione, il diritto
“fondamentale” alla proprietà privata. Come ricordato anche dal Prof. Diliberto, durante un
intervento presso la Lumsa: partendo dall'insegnamento e dalla recezione del diritto privato romano
in Cina, si sta dando a questa Nazione la possibilità di recepire una cultura giuridica e avvicinarsi
pertanto ad una consapevolezza giuridica che, si badi bene, non è occidentale ma romanistica, erede
di una concezione universalista sempre moderna.
Non va dimenticato che in Cina, da secoli, è radicata una cultura confuciana che fa del diritto un
fattore contrario all'armonia e all'etica sociale dell'ordine e dell'ubbidienza e che, peraltro, è uno
Stato socialista (seppur in maniera alternativa) nel quale i diritti umani sono un concetto di cui solo
da poco si comincia a parlare. È auspicabile tuttavia che, tramite il diritto privato romano, si possa
favorire lo sviluppo di una “coscienza giuridica” che vada a permearsi tra i cittadini e le autorità
cinesi, una coscienza che potrebbe aprire la strada ai diritti umani in quanto renderebbe
“conoscibile”, tramite lo ius civilis, i principi dello ius naturale in grado, come visto, di essere
l'unica chiave di lettura di quello che è il quadro della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo.
Una rinnovata conferma del noto brocardo “ubi societas, ibi ius”
Persona, Corpo Biologico e Corpo Sociale:
       il DNA e il Diritto Naturale Assoluto
Il paragrafo che segue è il più “sperimentale” di questa riflessione.
L'idea di fondo è un parallelismo tra il fondamento biologico dell'uomo (e degli esseri umani in
generale) e il fondamento giuridico di una società umana globale. Come il gioco d'acronimo vuole
suggerire a fondamento biologico di tutti gli uomini vi è il DNA e il codice genetico; d'altra parte,
fondamento comune di tutte le società (di ogni spazio e tempo) vuole essere il Diritto Naturale (con
l'aggiunta di “Assoluto” proprio perché sciolto da ogni altra variabile). Questa, più che una reductio
ad unum, vuole essere una chiave di lettura aperta ad una ricerca incentrata sulla Persona (in senso
biologico e socio-giuridico) che non renda né la scienza naturale né quella giuridica qualcosa di
separato dai loro rispettivi fondamenti immanenti e naturali. In particolare il compito dello
scienziato non è molto diverso da quello del giurista: entrambi cercano soluzioni partendo dalla
natura per eliminare o limitare le patologie rispettivamente del corpo umano e del corpo sociale.
Così entrambe le scienze si trovano davanti ad un limite che più che altro è una base di principio del
proprio lavoro: come il giurista, e con lui il Legislatore, in nome della derivazione dei diritti umani
dal diritto naturale non possono modificare quest'ultimo, così lo scienziato non può manipolare e
trasformare il DNA per piegarlo a fini di autodeterminazione che vadano contro natura (come
invece sta succedendo con la diffusione della c.d. “eugenetica”). Le scienze devono migliorare la
qualità della vita dell'uomo, non condurla o sovvertirla. In sostanza né il giurista né lo scienziato
hanno inventato il diritto naturale o il DNA; l'hanno “scoperto” e codificato in linguaggio. Per
continuare l'analogia, i diritti umani dunque, per essere naturali, potrebbero essere una sorta di
“Progetto Genoma”: come tale progetto ha trovato una chiave di lettura convenzionale per il DNA,
così i diritti umani devono fare per il diritto naturale. La Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo, a 60 anni dalla sua emanazione, tuttora non sembra poter contare su una base di
consenso condivisa in tutto il mondo giuridico e
anche politico, snaturandosi in un mare magnum di convenzioni e carte dei diritti, come ad esempio
la Carta dei Diritti Umani dei Paesi Islamici, chiaro iato e presa di posizione alternativa che parte
dalla considerazione che i diritti umani siano un marchio di fabbrica della “cultura occidentale”.
Urge pertanto tenere la scienza giuridica e quella naturale il più vicino possibile alla Persona e farlo
in direzione unitaria. La cultura romana anche in questo caso è antesignana nel definire il concetto
di “corpus”, esso, ci ricorda Orestano, è un termine che poteva essere impiegato con la stessa forza
ed evidenza per indicare sia l'entità fisica dell'uomo singolo, sia un insieme di individui (o cose).
Nei testi classici, da Alfeno Varo a Cicerone fino a Menenio Agrippa, molteplici sono stati i
riferimenti al corpo come metafora della società, una metafora “dovuta” perché rende l'idea di una
ratio naturale che sottende la vita biologica e socio-giuridica. É questa la base di un certo diritto
naturale che vuole essere il fondamento dei diritti umani perché considera la Persona non una
monade, ma una e una distinta parte di quello che è un tutto.
A concedersi una parentesi letteraria, si potrebbe dire con Hemingway, “Nessun uomo è un'isola”.
CONCLUSIONI
Nel percorso che va a concludersi si è cercato di “leggere” i diritti umani
sotto la chiave di un diritto naturale fedele alla tradizione
giusromanistica, la più universalizzante mai esistita. I diritti umani
possono essere universali solo se si torna a considerare il diritto naturale
come universale linguaggio giuridico allo stesso modo in cui il DNA è
universale linguaggio biologico. Nell'analisi svolta sono stati evidenziati
i pericoli, di radice autonomista e statalista, che minerebbero questa
corretta lettura dei diritti umani, lettura a cui va contrapposta una cultura
giuridica che si fonda sulla Persona.
Solo in questo solco può costruirsi una autentica conoscibilità dei diritti
umani a cui i giuristi sono chiamati a dare il maggior contributo.
La Persona dunque, prima ancora che avere diritti è essa stessa diritto, o
meglio né è l'essenza: prima che nelle leggi e nei codici il diritto è
iscritto in essa, sulle sue esigenze e sulla sua natura biologica e sociale.
Come potentemente sintetizzato dal Rosmini nella sua “Filosofia del
Diritto”, la Persona è “Diritto umano sussistente”, un eco in chiave
moderna di quel diritto costituito “hominum causa” che non conosce
relativismi né qualsivoglia limite di tempo e di spazio.

Dati Personali:
Alfonso Balsamo, matr. 04491/400
iscritto al 4° anno del Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza (LMG/01).
Domicilio: via di Trasone, 56 (00199) -Roma-
Cellulare: 3291150747
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