PERCHÉ STIAMO CON LA RUSSIA - di Moreno Pasquinelli

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PERCHÉ STIAMO CON LA RUSSIA - di Moreno Pasquinelli
PERCHÉ STIAMO CON LA RUSSIA
di Moreno Pasquinelli

                                                        (otto
tesi e un addendum sulla questione militare)

«Sì, molti paesi sono abituati da tempo a vivere con la
schiena china e ad accettare servilmente tutte le decisioni
del sovrano [gli U.S.A. Ndr] guardandolo docilmente negli
occhi. Questo è il modo in cui vivono molti paesi. Purtroppo
anche in Europa. La Russia invece non si ritroverà mai in una
condizione così miserabile e umiliante e la lotta che stiamo
conducendo è una lotta per la nostra sovranità, per il futuro
del nostro Paese e dei nostri figli. Lotteremo per essere e
rimanere Russia.

E’ chiaro che ciò che sta accadendo interrompe il dominio
globale geopolitico e finanziario dei paesi occidentali.
Inoltre, mette in discussione il modello economico che è stato
imposto ai paesi in via di sviluppo e al mondo intero negli
ultimi decenni».
[Vladimir Putin, dal discorso del 16 marzo 2022]

«Washington dovrebbe sfruttare questa finestra di tempo per
infliggere a Mosca dei costi altissimi. L’Ucraina è il cuore
di questa strategia. Gli Stati Uniti devono utilizzarla per
sfibrare, prosciugare e impoverire la Russia, organizzando
approvvigionamenti militari continuativi alle forze locali
aiutandole a costruire una ridotta nell’Ovest del Paese. (…)
Dovremmo avviare un programma di armamento a lungo termine per
gli ucraini, come facemmo negli anni Ottanta con i mujāhidīn
contro l’URSS. (…) Devono inoltre assicurare rinforzi alla
prima linea della NATO, senza dimenticare di mantenere le
proprie capacità migliori per contrastare un’eventuale mossa
cinese su Taiwan».

[A. Wess Mitchell, ex assistente segretario di Stato per agli
Affari europei ed eurasiatici (2017-19]

                          *   *   *

[1] RUSSIA E OCCIDENTE

L’attacco sferrato dalla Russia il 24 febbraio è la risultante
di un serie di azioni e retroazioni che hanno segnato l’ultimo
trentennio. Chiuso l’umiliante periodo di servilismo
eltsiniano la nomenclatura russa, ferma nel rivendicare il
diritto di difendere un proprio spazio di autodifesa
strategica (vedi i conflitti nel Caucaso), ha agito per
mantenere relazioni di buon vicinato e cooperazione con gli
USA e quindi, nella prospettiva del cosiddetto
“multipolarismo”, di essere ammessa nel club delle grandi
potenze mondiali. Per tutta risposta gli USA, nel cocciuto
tentativo di difendere la propria supremazia mondiale, hanno
preso il Cremlino a pesci in faccia: sostenendo le opposizioni
fantoccio interne per rovesciare la leadership putiniana;
portando avanti una devastante espansione della NATO;
fomentando e sostenendo la rivolta reazionaria di EuroMaidan
con l’obbiettivo di inglobare l’Ucraina nella NATO; riuscendo
infine a trasformare il paese nel più insidioso avamposto
militare anti-russo. Il successo del regime change a Kiev fu
un vero punto di svolta. Rappresentò per il Cremlino, una vera
e propria tragedia esistenziale, a causa della quale la
leadership putiniana attuò una doppia virata: sul piano della
politica estera ponendo fine ad ogni politica di appeasement e
di concessioni al blocco imperialistico occidentale; sul piano
interno ad una svolta politica radicalmente sovranista, quindi
l’eliminazione o la neutralizzazione delle quinte colonne
occidentali (politiche ed economiche).

[2] IL PARTICOLARE È SUBORDINATO AL GENERALE

L’esercito ucraino, con i suoi reparti filo-nazisti e neo-
banderisti è, a tutti gli effetti, una longa manus del
Pentagono e della NATO. Gli ucraini combattono una guerra per
procura. Essi inneggiano alla sovranità e alla indipendenza
del loro Paese ma sanno bene che ove vincessero ed entrassero
nella NATO e nella UE, sarebbero una colonia economica e un
protettorato dell’Occidente, e chiunque sia al governo non
potrebbe essere che un Quisling. L’Ucraina è prima di tutto il
luogo di uno scontro tra il blocco USA-NATO-UE da una parte e
Russia dall’altro: la posta in palio è di portata storico-
mondiale: il successo o il fallimento della globalizzazione a
trazione americana, o meglio la sconfitta di entrambe le
frazioni dominanti del blocco imperialistico: quella
americanista bipartisan che fa capo al blocco militare
industriale e al Pentagono, e quella “internazionalista” che
fa capo all’élite cybercapitalista e transumanista (non sfugga
la standing ovation tributata a Zelensky in quel di Davos) ;
il successo o il fallimento del tentativo russo di gettare
solide fondamenta di un sistema mondiale multipolare
rispettoso delle sovranità nazionali, quindi di una struttura
di sicurezza globale che non minacci la Russia. In questo
senso abbiamo definito La Russia come katéchon. Se non sono
esclusi cessate il fuoco momentanei, questa fase della terza
guerra mondiale per tappe potrà concludersi solo in due modi:
o con il crollo del regime di Zelensky, e quindi la vittoria
militare della Russia, o con il crollo, apertamente avocato da
americani e inglesi, di Putin — che aprirebbe la strada alla
colonizzazione e allo smembramento della Russia. Il
particolare va sempre subordinato al generale, il secondario
al primario: è nell’interesse della pace, dei popoli oppressi,
delle forze democratiche e delle nazioni deprivate della loro
sovranità politica, sostenere la vittoria della Russia e
auspicarsi la sconfitta del blocco imperialistico USA-NATO-UE.
Di più, la sconfitta di questo blocco sarebbe anche
nell’interesse del popolo ucraino: solo spazzando via Zelensky
e la sua banda di fanatici revanchisti si aprirebbe la strada
alla ricostruzione di un’Ucraina neutrale, federale, sovrana
e   indipendente; rispettosa dei diritti delle minoranze;
sorella non succube della Russia.

[3] IL VERO AGGRESSORE

Tra gli argomenti che il blocco imperialistico USA-NATO-UE
utilizza per giustificare, oltre alle durissime sanzioni, lo
scontro bellico aperto con la Russia, c’è quello che
quest’ultima sarebbe un paese aggressore. A parte che il
discorso, in bocca agli Stati Uniti ed ai suoi complici suona
come minimo grottesco — fiumi di sangue sono costati ai popoli
le innumerevoli aggressioni compiute dai colonialisti e gli
imperialisti occidentali, gli USA sono solo gli         ultimi
arrivati —; il fatto che una nazione aggredisca per prima è un
criterio deviante e risibile. La natura reale di un conflitto
non è mai dipesa da chi sferra il primo attacco. Il diritto
all’autodifesa di una nazione contempla l’attacco preventivo
contro un paese o un blocco ostili ove sia evidente che questi
ultimi si stiano armando e preparando per scatenare
l’offensiva nel momento per essi più propizio. L’esercito
polacco avrebbe avuto pieno diritto, ammesso che fosse stato
nelle condizioni di farlo, ad “aggredire” per primo la
Germania, anticipando così l’invasione nazista del 1 settembre
1939. Stesso dicasi per Olanda e Belgio, invasi dalle truppe
naziste nel maggio 1940. Vale nella dottrina militare la
distinzione tra “aggressore strategico”, quello che con le sue
mosse determina la guerra e la rende inevitabile, e
“aggressore tattico”, che attacca per primo per togliere al
nemico il vantaggio della sorpresa. Un recente caso da manuale
di primo colpo difensivo fu l’offensiva di Egitto e Siria
(“aggressori tattici”) contro Israele (“aggressore
strategico”) nella Guerra del Kippur dell’ottobre del 1973.

[4] LA FOGLIA DI FICO DEL WILSONISMO

Il secondo argomento ideologico dell’aggressore strategico è
un vecchio arnese propagandistico e        del wilsonismo,
fondamento dell’ideocrazia americanista. Si tratta del mix
secondo cui gli USA starebbero difendendo non solo il
principio di autodeterminazione ma la democrazia ucraina, nel
nostro caso contro la tirannide autocratica dell’orso russo.
Ogni volta che l’impero americano ha fatto guerra a qualche
“stato canaglia”, sempre la Casa Bianca si è presentata sotto
le mentite spoglie di paladina della libertà. A questa
fanfaluca, rilanciata da pennivendoli in malafede, credono
oramai solo gli allocchi. Con EuroMaidan la democrazia
ucraina, è stata fatta a pezzi. Non solo è stata promossa una
sistematica, violenta e revanchista campagna di de-
russificazione ai danni delle minoranze di lingua russa;
decine di migliaia di funzionari statali di ogni livello sono
stati licenziati come spie e filorusse; tutte le Tv e gli
organi di stampa critici dell’isteria nazionalista sono stati
chiusi; sono state redatte liste di proscrizione e
persecuzione di giornalisti, artisti accusati di essere
“traditori della patria”; sono stati infine messi fuori legge,
proprio da Zelensky tutti i movimenti di opposizione (almeno
dieci). Tutto questo sorvolando sulle enormi diseguaglianze
sociali, la corruzione endemica e lo strapotere delle mafie
oligarchie le quali, a differenza della Russia, hanno sempre
deciso chi dovesse andare al potere. Giungono infine nelle
ultime settimane notizie agghiaccianti di arresti e torture di
massa nei diversi angoli del paese, vittima chiunque si
rifiuti di arruolarsi per combattere la Russia o si opponga al
governo. Doppiopesismo d’ordinanza: i media occidentali si
guardano bene dal dire come stanno le cose in Ucraina, per
soffermarsi invece sulla vecchietta pacifista russa portata
via a San Pietroburgo da una manifestazione non autorizzata.

[5] DAVIDE CONTRO GOLIA?

Il terzo argomento utilizzato dalla santa alleanza
imperialista per abbindolare ed intruppare le pubbliche
opinioni (dopo averle stordite e addomesticate col terrorismo
pandemico) è la metafora vittimistica della lotta tra Davide e
Golia. In verità Pentagono e NATO, subito dopo EuroMaidan,
utilizzando come punte di diamante le milizie filo-naziste e
neo-banderite, hanno ricostruito l’esercito ucraino,
addestrandolo e armandolo di tutto punto, incorporando la sua
catena di comando in quella strategica della NATO. Hanno
costruito basi in diverse parti del paese e messo in piedi a
Lublino un quartier generale multinazionale lituano-polacco-
ucraino. Un sostegno, quello occidentale all’Ucraina, che
negli anni è andato crescendo per dimensioni e qualità. Allo
scoppio delle ostilità, secondo le stesse fonti NATO, quello
ucraino era il terzo esercito dell’Europa continentale dopo
quelli Russo e Francese — 190mila uomini, 50mila della Guardia
nazionale, imprecisato numero di miliziani ultranazionalisti,
900mila riservisti (arruolati subito dopo l’attacco russo,
tutti quelli compresi tra i 18 ed i 60 anni). Altro che Davide
l’esercito ucraino! Gli ucraini sarebbero già stati battuti se
non avessero goduto del decisivo ausilio della NATO, fatto di
assistenza satellitare e spionistica, dato l’ingente flusso di
modernissimi e micidiali armamenti che l’Occidente sta
inviando, compresi non solo istruttori NATO, ma centinaia,
forse migliaia di contractor e mercenari ben addestrati e ben
pagati dai filantropi occidentali (paga modesta: 2mila dollari
al giorno). E’ inquietante notizia di questi giorni che Biden
avrebbe promesso all’Ucraina, vista la lenta avanzata russa
grazie anche alla propria artiglieria, i micidiali razzi a
lungo raggio (Mlrs e M142 Himars, superiori per potenza di
fuoco, gittata e mobilità a quelli sin qui utilizzati dalle
stesse forze armate russe).

[6] IMPERIALISMO VERO E IMPERIALISMO FALSO

Vi è infine un quarto argomento utilizzato dall’aggressore
strategico, questa volta raccolto come anatema da neofascisti
e da gran parte delle sinistre occidentali (anche “estreme”),
quello secondo cui la Russia sarebbe un paese “imperialista”.
Imperialismo non è uno stigma morale, né una definizione
letteraria; è una categoria economico-politica. Se tutti gli
imperialismi sono oppressori, non tutti gli oppressori sono
imperialisti. L’imperialismo moderno, poiché è di questo che
si parla, non va confuso con ogni paese che ne invade un
altro, con ogni nazione che opprime un altro popolo, con ogni
stato che segua una politica espansionistica. E’ imperialista
quel paese capitalistico il quale, grazie al suo alto sviluppo
economico, produttivo e tecnico, esercita un’oppressione verso
altri popoli e paesi a capitalismo debole anzitutto esportando
capitale (anzitutto finanziario) e grazie al quale può
estrarre super-profitti; così depredando e saccheggiando
quegli stessi paesi, inchiodandoli alla arretratezza economica
e alla sudditanza strategica — paesi che pur essendo
formalmente indipendenti sono in verità colonie sotto mentite
spoglie. Di qui la politica di sottomissione e infeudamento
portata avanti grazie a locali borghesie compradore e forze
collaborazioniste. Quando accade che queste forze
collaborazioniste vengono rovesciate e le politiche di rapina
economica vengono messe a rischio, ecco che gli imperialisti
ricorrono all’aggressione militare per riportare lo status quo
ante. Se quindi l’imperialismo è sempre e per sua natura una
politica di suprema e subdola ingiustizia, possiamo avere
stati e nazioni che per svincolarsi da relazioni di servaggio
debbono ricorrere a politiche di potenza ed espansione
regionale, spesso dovendo combattere contro altre nazioni che
agiscono come bracci armati di questo o quel paese
imperialistico. Venendo alla Russia esso è anzitutto un paese
produttore di materie prime e la sua quota di investimento di
capitali all’estero nel flusso mondiale è irrisoria. Se non
fosse per la sua potenza militare e tecnologica, sul piano
della performatività capitalistico-imperialistica, la Russia
rassomiglia più ad un paese depredato che ad uno che depreda.
Per quanto viziato da boria economicistica e imperialistica ha
un fondamento di verità l’argomento utilizzato dall’Occidente
secondo cui “il Pil della Russia non è superiore a quello del
Texas” .

[7] LA QUESTIONE NAZIONALE UCRAINA

Malgrado la questione dei confini entro cui l’Ucraina debba
esercitare la propria autodeterminazione sia storicamente
controversa, non c’è dubbio che esiste una questione nazionale
ucraina. E’ in base a questa considerazione che ci spieghiamo
la decisione strategica bolscevica nel fondare l’URSS come
federazione di repubbliche, riconoscendo all’Ucraina, per la
prima volta, dignità di nazione. Putin, com’è noto, ha
apertamente condannato quella decisione storica. Lenin, che
dell’URSS fu il vero architetto, per tutta risposta, avrebbe a
sua volta bollato la condanna putiniana come espressione di
“nazionalismo grande-russo”. Come che sia è evidente che dopo
Maidan, a maggior ragione nel fuoco del conflitto che si
protrae dal 2014, questa nazione ha preso definitivamente
forma. Diversi sono i criteri (culturali, linguistici,
economici) per stabilire cosa sia una nazione, ma primo fra
tutti il criterio è politico: deve esistere una larga
maggioranza che tale si considera, e che con la lotta esige di
costituire uno stato sovrano, eventualmente liberandosi
dall’oppressione esterna. Putin sa bene che una nazione
ucraina sopravviverà, anche ove la Russia riuscisse ad
infliggere l’auspicata batosta militare al blocco USA-NATO-UE-
Ucraina.

[8] CHI STA VINCENDO DAVVERO?
Gli strateghi del Pentagono e della NATO, dopo settimane di
esaltazione della “eroica resistenza ucraina”, dopo aver
sciorinato di catastrofici impantanamenti e perdite russe ora,
dopo la cocente sconfitta di Mariupol e la lenta ma devastante
avanzata russa nel Donbass e nel sud dell’Ucraina, sembrano
essere stati presi dal panico. Se i russi avanzeranno ancora e
terranno le loro posizioni la possibilità di uno sfaldamento
del blocco occidentale diventa realistica. Una ferita politica
che Washington non può tollerare, per questo il rischio che
gli americani decidano per una aggressiva escalation diventa
probabile. Questo rischio lo si può fermare solo indebolendo
ulteriormente le capacità difensive dell’Ucraina e facendo
crescere nei paesi occidentali l’opposizione, per ora solo
latente, alla guerra contro la Russia. Un’opposizione che è
destinata a crescere viste le pesanti conseguenze economiche,
soprattutto in alcuni paesi europei (in primis l’Italia),
delle sanzioni decise al blocco imperialistico a guida USA,
sanzioni che invece non stanno affatto piegando la Russia. Qui
tocchiamo un punto decisivo: l’élite politica russa si era
evidentemente preparata, non solo ad un conflitto lungo, non
solo a rispondere allo shock , ma ad approfittarne per
rimodellare la propria economia (all’uopo debellando il cancro
rappresentato dagli oligarchi capitalisti) in vista del
definitivo sganciamento con l’Occidente. E’ infatti vero che
la Russia guadagna vendendo gas e materie prime all’Occidente,
ma quello che mette in una tasca fuoriesce dall’altra a causa
di uno scambio ineguale che avvantaggia l’Occidente e della
endemica fuga di capitali operata proprio dal settore
capitalistico privato. Visto come vanno le cose alla valuta e
alle esportazioni russe, è Mosca che per il momento sta
vincendo la stessa partita economica. Sul piano squisitamente
geopolitico la difficoltà del blocco imperialistico sono
ancora più evidenti. “La Russia è isolata”, gridano in
Occidente. Nessuna fesseria è stata più ridicola. Dei più di
190 stati membri dell’ONU, più di 140 con una popolazione di
oltre sei miliardi, non ha partecipato alle sanzioni contro la
Russia e, tra questi anche    paesi tradizionalmente alleati
degli americani. E’ il segnale più evidente che l’egemonismo
economico, politico e militare degli Stati Uniti è al
tramonto, nonché del tentativo russo di porsi come artefice e
protagonista di un nuovo ed equilibrato ordine mondiale
multipolare. Se ne debbono fare una ragione, non solo gli
occidentali, ma pure la Cina, che deve aver compreso il
messaggio: la Russia non è disposta a subire con nessuno alcun
rapporto di vassallaggio.

Addendum

GUERRA DI LOGORAMENTO O BLITZKRIEG?

La potenza di fuoco delle menzogne di guerra da parte degli
imperialisti non è stata inferiore a quella delle loro
artiglierie e delle loro truppe ascare. Allo scopo di
attaccare e indebolire il Cremlino, la propaganda
imperialistica ha strombazzato ai quattro venti il “fallimento
del blitzkrieg russo”, per dunque accreditare la “umiliante
ritirata russa”. Era un copione già scritto dal Pentagono.
Prendete il New York Times del 14 marzo, che spesso da la
linea a tutta l’armata mediatica occidentale: «Da nordovest e
dall’est decine di migliaia di truppe russe, stanno premendo
sulla capitale ucraina, sostenute da colonne di carri armati,
veicoli corazzati e  artiglieria. (…) La conquista della
capitale ucraina è il principale obbiettivo dei militari
russi; catturarla, affermano gli analisti occidentali,
richiederebbe un conflitto furioso e sanguinoso che potrebbe
essere la più grande battaglia urbana del mondo in ottanta
anni».

La verità, contrariamente al teorema degli occidentali, è che
i comandi russi si sono ben guardati da tentare di prendere
Kiev e si stanno ben guardando dal farlo con Kharkiv.Gli
attacchi su Kiev e Kharkiv si sono dimostrati dei diversivi
tattici per impedire agli ucraini di concentrare tutte le loro
forze a sudest, la dove l’esercito russo ha effettivamente
concentrato il suo massimo sforzo strategico. La verità è che
la Russia non ha mai voluto combattere in Ucraina alcuna
guerra lampo, ovvero la forma più potente e ardita di guerra
di movimento. A mezza bocca gli stessi analisti
occidentali,dopo tanti schiamazzi, stanno ora prendendo atto
che l’esercito russo sta facendo una classica guerra di
attrito e logoramento o di posizione, sulla stessa falsa riga
di quella combattuta in Cecenia o in Siria (lampo fu invece la
“guerra dei cinque giorni” in Georgia nell’agosto 2008). In
cosa consiste la cosiddetta guerra lampo? In sintesi:
schierare sul terreno forze decisamente preponderanti rispetto
a quelle nemiche, sia in quanto a mezzi che uomini; agire
quindi di sorpresa per colpire il nemico con un attacco
frontale nei suoi punti deboli sfondando in profondità le
linee difensive per accerchiarne il centro e annientarlo.
Niente di tutto questo hanno evidentemente fatto le Forze
armate russe. Gli stessi analisti parlando delle forze
operative effettivamente impiegate da Mosca hanno parlato al
massimo di 200mila soldati (coi riservisti la Russia potrebbe
mobilitare 2milioni di uomini). Non occorre essere dei geni in
dottrina militare per capire che non si conduce una guerra
lampo di sfondamento in profondità con un paese enorme come

l’Ucraina (più di 600mila Km2, il doppio dell’Italia, e 2mila
Km di frontiera) utilizzando un decimo dei propri uomini.
Quando nel 1939 i tedeschi invasero la Polonia misero in campo
1.500.000 uomini. All’inizio dell’Operazione Barbarossa i
nazisti schierarono 3.500.000 soldati, in quella per Mosca
1.900.000. nella sola battaglia di Stalingrado, nel corso di
oltre cinque mesi di battaglia, tedeschi e alleati,
utilizzarono 1.500.000 uomini. Per venire a guerre lampo più
recenti americani e alleati, contro l’Iraq, nel 1991,
schierarono quasi un milione di soldati.

Nb

Non che i russi non sappiano cosa sia la cosiddetta guerra
lampo. Fu anzi uno dei generali più leggendari dell’esercito
zarista, Aleksej Alekseevič Brusilov* (nel 1920 diventato
membro del comando supremo dell’Armata Rossa e comandante
supremo nella Russia meridionale) ad aver compiuto la più
memorabile fulminea campagna offensiva di sfondamento profondo
della prima guerra mondiale. Nell’estate del 1916, guarda caso
proprio in Galizia (oggi Ucraina Occidentale), contando sulle
sue sole forze, dopo due anni di guerra di trincea contro
austro-ungarici e tedeschi, ottenne una strepitosa vittoria
sferrando una fulminea offensiva e avanzando per circa 100
chilometri e infliggendo ai nemici circa un milione di perdite
di cui 400mila prigionieri.

Il fallimento della controffensiva sovietica contro l’esercito
polacco di Piľsudski — condotta dall’Armata Rossa nell’agosto
del 1920 con la modalità di una guerra di sfondamento in
profondità: Lenin favorevole e Trotsky contrario — adducendo a
motivo le inevitabili difficoltà logistiche nonché il
pericolo, dati gli enormi spazi, rappresentato dalla distanza
tra avanguardie e retroguardie —, condusse i militari
sovietici (Svechin anzitutto, Vladimir K. Triandafillov come
pure Tuchačevskij, che dell’attacco fino a Varsavia fu
artefice) a concludere che la guerra moderna aveva cambiato
tatticamente e strategicamente il modo di combattere. Nel suo
libro La campagna della Vistola, Tuchačevskij scrisse: «…
l’impossibilità, data dall’ampiezza dei fronti odierni, di
annichilire un esercito nemico con un unico attacco, rende
necessario usare una serie di operazioni graduali… [le quali],
collegate da un perseguimento continuo del fine, possono
soppiantare la battaglia di annientamento, la migliore forma
di scontro negli eserciti del passato».

Venne quindi introdotto nella dottrina militare sovietica un
livello operativo intermedio, denominato “operazionale” (vi
ricorda qualcosa la “Operazione Militare Speciale”?), definito
da Svechin come «… una serie di operazioni divise nel tempo da
pause più o meno lunghe, comprendenti differenti settori del
teatro di guerra e differenziate nettamente come conseguenza
di differenti fini intermedi». Questa dottrina o concezione
della guerra è quella fatta poi propria dall’Armata Rossa e, a
noi pare, quella a cui si sta attenendo lo stato maggiore
russo in Ucraina.
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