Patto per il lavoro, contrattazione collettiva e PNRR (maggio 2022) - WP CSDLE "Massimo D'Antona".IT 455/2022 - Bollettino Adapt

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Patto per il lavoro, contrattazione collettiva e PNRR (maggio 2022) - WP CSDLE "Massimo D'Antona".IT 455/2022 - Bollettino Adapt
Patto per il lavoro, contrattazione collettiva
           e PNRR (maggio 2022)

                    WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 455/2022
 Tiziano Treu 2022
Emerito Università Cattolica di Milano
tiziano.treu@yahoo.it

                              WP CSDLE MASSIMO D’ANTONA.IT - ISSN 1594-817X
        Centre for the Study of European Labour Law "MASSIMO D'ANTONA" , University of Catania
                    On line journal, registered at Tribunale di Catania n. 1/2012 – 12.1.2012
                                        Via Gallo, 25 – 95124 Catania (Italy)
                                    Tel: +39 095230855 – Fax: +39 0952507020
                                                 csdle@lex.unict.it
                                   http://csdle.lex.unict.it/workingpapers.aspx
1

   Patto per il lavoro, contrattazione collettiva e PNRR
                                  (maggio 2022)

                                 Tiziano Treu
                         Università Cattolica di Milano

1. Crescita sostenibile, PNRR e ruolo delle parti sociali ................ 2
2. L’urgenza di un patto sociale ................................................ 5
3. Promuovere una “just transition” .......................................... 6
4. Gestire le transizioni produttive e occupazionali ...................... 7
5. Parità di genere e generazionale ......................................... 10
6. La crescita e la multidimensionalità delle diseguaglianze ........ 11
7. Le innovazioni necessarie nelle relazioni industriali ............... 14
8. Regole certe sulla rappresentatività delle parti sociali ............ 15
9. Garantire minimi salariali adeguati: la via contrattuale .......... 16
10. Sostegno legislativo alla contrattazione nei settori scoperti .. 19
11. Difendere i salari dall’inflazione ........................................ 20
12. Ambiti e forme nuove di partecipazione ............................. 22
13. La digitalizzazione delle imprese e del lavoro: come regolare gli
algoritmi ............................................................................. 24

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2                                       TIZIANO TREU

1. Crescita sostenibile, PNRR e ruolo delle parti sociali
     Siamo tutti (credo) consapevoli che le grandi trasformazioni
economiche e sociali del nostro tempo, accelerate dalla pandemia, ci
impongono un ripensamento delle politiche e delle categorie concettuali
ricevute dal passato.
     Il cambiamento di approccio richiesto è profondo perché le innovazioni
necessarie non sono marginali, ma riguardano le strutture portanti dei
nostri sistemi economici e sociali e le direzioni dello sviluppo umano, come
emerge dagli obiettivi indicati per l’Europa dal Next Generation Eu, che
sono incentrati sulle due transizioni ecologica e digitale.
     La sfida del cambiamento riguarda tutti. Anzitutto le istituzioni
pubbliche ai vari livelli, da quelle comunitarie a quelle locali, perché lo Stato
e le strutture pubbliche sono state investite di un ruolo primario nella
costituzione delle condizioni fondamentali per un nuovo sviluppo.
     Già questo nuovo ruolo del pubblico implica un cambio di rotta non
marginale rispetto alle tendenze affermatesi negli anni recenti che lo aveva
svalutato; e quindi richiede un ripensamento radicale delle politiche
pubbliche, dei loro contenuti e dei rapporti con gli attori privati, corpi sociali
e imprese. Ma il cambiamento investe l’intera società nelle sue varie
espressioni organizzate, i diversi attori economici e direttamente tutti noi,
persone singole, nei nostri comportamenti quotidiani.
     Le maggiori rappresentanze di interessi, sindacati e associazioni
imprenditoriali, quelle che usiamo chiamare parti sociali, sono coinvolte in
prima linea in tale sfida, per la loro responsabilità riconosciuta dalla nostra
Costituzione nella regolazione dei rapporti sociali e di lavoro e nelle relative
politiche. Se queste parti vogliono esercitare con consapevolezza la loro
responsabilità, mantenendo un ruolo effettivo nei confronti dei lavoratori e
offrendo un contributo utile al bene comune, sono chiamate a un
cambiamento altrettanto profondo delle strategie e delle pratiche ricevute
dal secolo scorso.
     L’importanza di questo contributo nella costruzione di nuove direzioni
dello sviluppo umano è riconosciuta con inusitata chiarezza dal
regolamento europeo (2021/241 art.18, 4a) riguardante la approvazione e
la implementazione dei Piani nazionali di ripresa, che prevede l’obbligo di
consultare e coinvolgere le parti sociali e la società organizzata, nella
formazione e attuazione di tali piani. Inoltre lo stesso regolamento precisa
che delle consultazioni con le parti simili e dei loro esiti occorre tenere e
dare conto pubblicamente.1

1
 Regolamento 12 febbraio 2021, n. 241 del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce
il dispositivo per la ripresa e la resilienza, nov. 2021, in https://ec.europa.eu/info/index_it.

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     Dalle rilevazioni comparate del CESE risulta, come è comune
consapevolezza anche in Italia, che nella fase cd. ascendente di
preparazione e approvazione dei vari PNRR il coinvolgimento delle parti
sociali è stato alquanto limitato e comunque insufficiente. 2
     Così non può continuare nella fase che ora si è aperta, di
implementazione dei piani. Non è possibile non solo per motivi di
opportunità sociale, ma perché questa fase, di estrema complessità,
richiede comportamenti convergenti di centinaia di istituzioni centrali e
locali, di altrettante imprese e gruppi sociali i più diversi, e non può avere
successo se non si attivano meccanismi efficaci di partecipazione e
coordinamento di tutti questi attori.
     Il nostro legislatore (art. 3 del decreto 77/2021) ha predisposto a tale
fine uno strumento istituzionale specifico, il Tavolo permanente di
partenariato economico sociale e territoriale, ove sono presenti le maggiori
organizzazioni rappresentative della società, insieme con le rappresentanze
degli enti locali, delle regioni e delle università. Con questa norma, unica
nel panorama europeo, si è voluto dare un riconoscimento istituzionale
stabile e specifico alla partecipazione delle organizzazioni sociali alla
implementazione del PNRR. Tale scelta accresce il potenziale valore di tale
partecipazione, sottraendola all’ informalità e ai rischi della casualità. 3 Il
senso fondamentale della partecipazione istituzionale prevista dal decreto
e da realizzarsi col Tavolo permanente per il partenariato è di coinvolgere
la intera comunità nazionale con i suoi attori principali nella responsabilità
comune di promuovere e sostenere le attività del Piano per favorirne il
pieno successo. Conosciamo per esperienza storica quanto sia difficile
rendere effettivi nella pratica i progetti, le riforme e gli investimenti
deliberati; abbiamo verificato in passato le debolezze del nostro sistema-
Paese anche nella implementazione di impegni e attività meno complesse
del PNRR.
     La istituzionalizzazione di un Tavolo di partenariato, per quanto
importante, non esaurisce la responsabilità delle parti sociali, né il dovere
di dare il loro contributo alle politiche necessarie alla costruzione del nuovo
modello di sviluppo quale indicato dagli ambiziosi orizzonti del PNRR.
L’impegno delle parti è più ampio di quello richiesto per l’attuazione del
Piano; anzitutto perché questo ha durata limitata, anche se è auspicabile

2
  Vedi le prese di posizione del CESE sul debole coinvolgimento delle parti sociali e della società
civile organizzata nella fase ascendente di costruzione del NGEU: Risoluzione del 24-25
febbraio 2021, “Coinvolgimento delle parti sociali organizzate nei piani nazionali per la ripresa
e la resilienza. Cosa funziona e cosa no?”, ECO/GSE, www.consilium.europa.eu.
3
  Cfr. la mia introduzione all’avvio dei lavori del Tavolo di partenariato (25 novembre 2021)
in www.italiadomani.it. Il resoconto di tali lavori con le osservazioni e la documentazione
presentata dalle parti sociali nelle diverse sessioni è reperibile sul sito www.Italiadomani.it.

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un prolungamento di un contributo europeo diretto allo sviluppo dei nostri
paesi e del modello innovativo di programmazione comune inaugurato dal
NGEU.
     Inoltre il PNRR è diretto a sostenere gli investimenti necessari alle due
grandi transizioni digitale ed ecologica, ma non sostituisce le politiche
pubbliche nazionali necessarie per le riforme né la gestione delle attività
essenziali per lo sviluppo economico e sociale del paese. 4
     Del resto i contributi di analisi e proposta apportati al Tavolo richiedono
di essere preparati dalle stesse parti e poi sostenute con la loro azione
pratica nelle sedi appropriate di contrattazione e di partecipazione, sia nei
loro rapporti reciproci sia nelle relazioni concertative con le istituzioni
pubbliche.
     Le parti sociali, sulla base di un’intesa comune, possono dare un
contributo specifico al raggiungimento degli obiettivi del Piano nonché al
raccordo fra questi e le Politiche pubbliche necessarie per
l’ammodernamento e la rinascita del paese.
     L’azione concertata fra parti e governo è essenziale per verificare
giorno per giorno il rispetto delle direzioni di marcia indicate dal piano,
integrandone le carenze e contribuendo a superare i prevedibili ostacoli.
Inoltre i complessi progetti del PNRR, per quanto ben concepiti, richiedono
di essere adeguati alle variazioni del contesto; ora più che mai a fronte
degli sconvolgenti eventi ai confini dell’Europa che prefigurano una
economia di guerra.
     Per altro verso, le singole misure necessitano di un forte
coordinamento strategico per potersi tradurre nelle politiche organiche di
trasformazione economica e sociale indicate dall’Europa. Anche questo
compito, che pure compete alle autorità responsabili del Piano, 5 può

4
  In tal senso si sono espresse diverse opinioni sia europee sia nazionali; v. documento CNEL,
Osservazioni e proposte per la riforma del patto di stabilità e crescita, del 28 ottobre 2021,
www.CNEL.it.
Una innovazione necessaria per dare seguito al nuovo corso avviato dall’NGEU è la riforma
del Patto di stabilità. Il rilievo è ormai comune: v. S. Fabbrini, Sdoppiamento. Una prospettiva
nuova per l’Europa, Laterza, 2017; ID, Scelte chiare per costruire il futuro dell’Europa,
Sole24Ore, 8 dic. 2020; ID, Next Generation EU, Il futuro dell’Europa,e Italia dopo la
pandemia, Bologna, Mulino, 2022; e gli interventi di E. Bonino, L. Jahier, ne Il mondo che
verrà, Quaderni del Cnel, 2020, p. 27 ss. e p. 103 ss.; L. Bini Smaghi, La riforma del Patto di
stabilità e crescita, Ce n’è veramente bisogno?, Policy Brief, 9/2022, Luiss; M. Bordignon,
Regole fiscali europee: una proposta di riforma, www.lavoceinfo.com; G. Colazzo (ed.), The
debate on how to improve the EMU’S economic governance framework, SEP Luiss, Policy Brief
15/2021.
5
  Per guidare l’attuazione del Piano è prevista una forte governance centrale, con una cabina
di regia composta dal Presidente del Consiglio e dai ministri competenti che esercita poteri di
indirizzo, impulso e coordinamento generale sulla implementazione degli interventi del PNRR
e che è coadiuvata nella istruttoria dei provvedimenti da una segreteria tecnica.

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ricevere un contributo dall’intelligenza e dall’esperienza sul campo delle
diverse organizzazioni della società civile.

2. L’urgenza di un patto sociale
      Se questo è vero, l’importanza del compito cui sono chiamate le parti,
come della sfida per il nostro paese, è senza precedenti. Inoltre si è
aggravata ulteriormente per un convergere di fattori critici: gli effetti
ancora incombenti dalla pandemia, la crisi energetica e la montante
inflazione, infine l’aggravarsi delle tensioni internazionali, fino allo scoppio
della guerra in Ucraina.
      Per fronteggiare tale sfida il contributo delle parti non può limitarsi alle
normali attività di contrattazione né a forme di partecipazione occasionali
e settoriali alle scelte del governo relative alla implementazione del PNRR
e alle riforme necessarie per rilanciare l’Italia.
      Occorre il coraggio di attivare una grande intesa fra le parti sociali e di
queste col governo per contribuire al raggiungimento degli obiettivi che ci
siamo assegnati, insieme all’Europa, per la rinascita del nostro paese.
Appelli per procedere in questa direzione sono stati avanzati da varie parti,
compreso il presidente Draghi, ma non hanno avuto finora seguito; e ciò
nonostante l’aggravarsi delle condizioni del contesto economico e
geopolitico ne sottolinei più che mai l’urgenza.
      Un simile patto è necessario per unire e finalizzare l’impegno di tutte
le componenti della nostra società a sostenere il nuovo modello di crescita
e di società. Oggi il compito è persino più impegnativo di quello richiesto
dai parti sociali del passato, compreso il grande accordo del 1993 firmato
fra parti sociali e governo in un altro momento di grave crisi dell’Italia.
      Allora la concertazione sociale ebbe il grande merito di contribuire alla
stabilizzazione economica del paese e al controllo dell’inflazione. Oggi
l’obiettivo è più ambizioso, perché non può limitarsi alla ricostruzione degli
assetti produttivi e sociali precedenti alla crisi e da questa colpiti, ma deve
costruire le condizioni per avviare un nuovo modello di crescita e di società,
utilizzando gli eccezionali stimoli e strumenti offerti dal NGEU e
accompagnandoli con politiche economiche e sociali coerenti.
      Se questa è la dimensione dell’obiettivo, deve essere chiaro che il
coinvolgimento delle parti e il loro impegno non si esauriscono nell’ accordo
sui contenuti del patto e nell’assunzione dei relativi impegni, e neppure
nella adozione di singole misure attuative. L’intesa deve tradursi in una
partecipazione diretta alla implementazione e alla stessa progettazione e
gestione delle principali misure necessarie al raggiungimento degli

Tale governance centrale prevede il coinvolgimento di regioni ed enti locali che hanno, specie
questi ultimi, un ruolo centrale nella messa a terra di gran parte degli interventi del Piano.

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obiettivi, in particolare sulle tematiche di più diretto impatto sul mondo del
lavoro e delle imprese.
     Al riguardo sarà necessario evitare di riempire l’agenda del patto di
impegni tanto onnicomprensivi quanto generici, una tentazione seguita in
passato e che non ha giovato alla efficacia e alla stessa credibilità di altri
Patti sociali.

3. Promuovere una “just transition”
     Una questione prioritaria che dovrebbe essere al centro dell’intesa
riguarda le modalità di realizzazione delle transizioni digitale ed ecologica,
affinché esse siano sostenibili economicamente e socialmente.6
     La just transition che l’Europa indica come indispensabile non si verifica
automaticamente per il solo attuarsi degli investimenti previsti per
sostenere le due transizioni. Occorre accompagnarli con politiche che ne
massimizzino l’impatto non solo economico ma sociale. Ciò implica precise
scelte strategiche che devono costituire una parte essenziale del patto che
competono anzitutto alle istituzioni pubbliche e allo Stato.7
     Le parti sociali, sindacato in primis, dovranno chiedere che i programmi
del piano dedichino particolare attenzione agli investimenti che realizzino
un effettivo moltiplicatore in termini di occupazione, in specie nei settori a
più alto potenziale occupazionale.
     Le possibilità di creare buona occupazione sono molteplici in diverse
linee di intervento del PNRR: nei nuovi lavori richiesti dalle produzioni

6
  Il concetto e i meccanismi di Just transition sono stati sviluppati in contesti e con obiettivi
diversi. Nell’Unione Europea sono considerati in particolare per sostenere il processo di
transizione verso l’economia verde: v. European Commission, The just transition mechanism:
making sure no one is left behind; e ID, Financing the green transaction. The European Green
Deal investment Plan and just transition mechanism, EC Europa en., 14 novembre 2021.
(https://ec.europa.eu).
L’obiettivo di rendere giuste le transizioni in atto e previste nel NGEU richiede interventi più
ampi, volti a sostenere persone e imprese per far fronte alle conseguenze negative d elle
transizioni.
7
  Fin dalle prime manifestazioni dell’emergenza il ruolo delle istituzioni e degli Stati nazionali
si è confermato importante contro tutte le profezie di declino; e gli eventi successivi ne
ribadiscono il ruolo centrale nel promuovere la ripresa. V. al riguardo le opinioni di R. Prodi,
Antiche e nuove pestilenze; L. Reichlin, La crisi un’occasione per ripensare al ruolo dello Stato;
E. Bonino, Le lezioni politiche della pandemia; G. Tamburi, Sostegno economico e settori
strategici, in Quaderni CNEL, Il mondo che verrà, 2020; F. Gallo, Il futuro non è un vicolo
cieco: lo Stato fra globalizzazione, decentramento ed economia digitale, Sellerio, Palermo,
2019, p. 29: l’a. afferma che “la scelta non dovrebbe essere fra Stato e mercato ma fra due
tipi di Stato “uno più invasivo, e per certi versi produttivistico e monopologeno” e “l’altro non
alternativo al mondo, e perciò sussidiario, regolatore, rispettoso delle autonomie territoriali,
re distributore e promotore della cittadinanza attiva”.

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dell’economia green,8 nelle diverse attività rivolte alla cura delle persone e
al welfare, che rispondono ai bisogni crescenti della popolazione, dai
bambini agli anziani come emerso durante la pandemia, nei vari campi
delle attività di rigenerazione urbana e di difesa del territorio, della
agricoltura e del turismo sostenibile, della valorizzazione dei beni culturali
e ambientali.
     In queste attività un ruolo particolare può essere giocato dalla
economia sociale, il cui sviluppo è un obiettivo indicato anche da un
apposito piano di azione europeo.9
     Ma per sostenere tali richieste e renderle credibili le parti devono
promuovere una ricerca condivisa e documentata che fornisca indicazioni
puntuali sulla fattibilità e sulle ricadute dei vari interventi, così da evitare
che la crescita economica attesa sia povera di lavoro, come è stata in
passato, e serva invece a mobilitare le risorse umane del nostro paese,
specie di giovani e di donne, ancora poco utilizzate.
     L’impegno delle parti per il lavoro dovrà considerare che le nuove
direzioni della economia verde e digitale comporteranno una grande
trasformazione nella geografia del lavoro e delle produzioni, con la
necessità di promuovere e governare massicce dislocazioni di risorse
finanziarie, organizzative e di manodopera fra settori produttivi in declino
verso settori innovativi e in crescita.

4. Gestire le transizioni produttive e occupazionali
    Questa trasformazione apre un grande ambito di impegno che va
condiviso fra le parti: quello di gestire le transizioni produttive e
occupazionali.
    Si tratta di dare finalmente attuazione a un sistema di politiche attive,
organizzate e attrezzate con le professionalità necessarie che siano in
grado di promuovere la riconversione professionale di migliaia di lavoratori
verso nuove professioni e di accompagnarne il passaggio fra imprese e fra
settori.
    La riforma degli ammortizzatori sociali di recente approvata dal
Parlamento fornisce una prima risposta.10 Ma non pochi osservatori

8
   Cfr. il contributo di S. Grandi, V. Mini, Il lavoro verde nell’era del Green Deal europeo, in
Rapporto sul mercato del lavoro, Cnel 2021, p. 349 ss., e ivi altre citazioni; Fondazione
Symbola Unioncamere, Rapporto Green Italy 2021, Un’economia a misura d’uomo per il futuro
dell’Europa, 2021. https://www.symbola.net.
9
   Si veda il piano di azione sull’economia sociale, pubblicato dalla Commissione Europea il 9
dicembre 2021, che propone una serie di iniziative comuni per il periodo 2021/2030; cfr.
analisi e commenti critici in L. Martignetti, Impresa Sociale, I, 2022.
10
   AA.VV., Misure a sostegno del reddito fra emergenza Covid e ripresa economica del rapporto
sul lavoro, in Rapporto Cnel sul mercato del lavoro, cap. 9, 2021, p. 253 ss.; M. Cecilia Guerra,
La riforma degli ammortizzatori sociali: lezioni dalla crisi pandemica, in ItalianiEuropei, 2,

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ritengono che essa debba essere perfezionata per assicurare livelli adeguati
di sostegno al reddito e di formazione a tutti i lavoratori, non solo
dipendenti ma autonomi, specie a quelli più direttamente investiti da crisi
settoriali e territoriali.
     Il funzionamento e la gestione delle politiche attive e della formazione
professionale in relazione alle transizioni occupazionali devono essere
assunti come argomenti centrali non solo delle istituzioni pubbliche
competenti ma della contrattazione collettiva e degli enti bilaterali da essa
costituiti. Perché entrambe queste funzioni sono essenziali per il futuro
della occupazione e della produttività del paese, ma non sono ancora
all’altezza dei nuovi compiti.11
     La contrattazione e gli enti bilaterali sono chiamati a svolgere, più
direttamente di quanto fatto finora, un ruolo integrativo e, ove necessario,
anche di supplenza all’ azione pubblica.
     È quanto succede in paesi vicini (cd. sistema di Ghent) e ha precedenti
storici nella nostra esperienza. L’ eccezionalità della attuale situazione
occupazionale impone di riprendere in considerazione anche questa
opzione perché essa rientra in pieno nelle funzioni di parti sociali che
vogliano essere protagonisti delle attuali transizioni.
     Al riguardo, data la delicatezza della materia, che rientra in parte nelle
competenze regionali, si potrebbe avviare qualche sperimentazione in
settori dove esperienze simili hanno già buone basi, come quella delle casse
edili, una sperimentazione che potrebbe essere riconosciuta dalle istituzioni
competenti e coordinata con l’azione dei servizi pubblici dell’impiego. 12
     L’intesa fra parti e governo potrebbe contribuire al raggiungimento di
alcuni obiettivi necessari affinché le transizioni in atto non pregiudichino

2021; M. Franzini, M. Raitano, Quando svanisce il reddito da lavoro. Ipotesi di riforma degli
ammortizzatori sociali, in “Menabò di etica ed economia”, 25 mar 2021; M. Cinelli, Da
«ammortizzatori» a «attivatori» sociali. Una riconfigurazione auspicabile per il dopo Covid?,
in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 2021 fasc. 2, pp. 243 – 252; S. Renga, Un
taccuino per la riforma degli ammortizzatori sociali, in Rivista del Diritto della Sicurezza
Sociale, 2021 fasc. 2, pp. 265 – 272; G. Mammone, in Rivista del Diritto della Sicurezza
Sociale, 2021 fasc. 2, pp. 253 – 263.
11
   Cfr. P. A. Varesi, Una nuova stagione per le politiche attive del lavoro: le prospettive tra
azioni dell’Unione Europea e riforme nazionali, DRI, 2022; P. Ichino, Appunti per un rilancio
delle politiche attive in Italia, ivi, p. 161 ss.; M. Della Seta, Il contratto di espansione tra
riforme e prassi applicativa: una rassegna ragionata, ivi, p. 206 ss.; A. Sartori, Transizioni
occupazionali e fragilità del lavoratore: il difficile compito per il diritto del lavoro post
pandemico, Ivi, 2021, p. 967 ss.
12
   Una sperimentazione simile può costituire parte di più ampi patti territoriali per lo sviluppo
e il lavoro come quello operante in Emilia Romagna; v. P. Bianchi, F. Butera, G. De Michelis,
F. Seghezzi, G. Scarano, Coesione e innovazione, Mulino, 2020.
Patti simili si stanno sperimentando in altri contesti, specie metropolitani (Milano, Napoli,
Torino) per accompagnare e gestire gli investimenti del PNRR e le loro ricadute sul territorio.

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ma rafforzino le condizioni del nostro mercato del lavoro e le occasioni di
una buona occupazione.
     In particolare può contribuire ad aumentare la partecipazione dei
lavoratori ad attività di formazione continua verso gli obiettivi stabiliti
dall’action plan dell’Unione Europea (60% di partecipazione annua) e a
rendere effettivo il diritto alla formazione già sancito da alcuni contratti
collettivi, in primis quello dei metalmeccanici.13 Può potenziare gli
strumenti di politica attiva finora sperimentati (contratto di espansione,
accordi di ricollocazione, contratti di solidarietà, staffetta generazionale);
impegnarsi ad adottare criteri unici nazionali per la certificazione dei
risultati formativi e delle competenze dei lavoratori; attuare un piano
straordinario di orientamento per giovani concordato fra scuole e servizi
all’impiego; a generalizzare forme di alternanza scuola-lavoro per tutti gli
studenti degli ultimi anni di secondaria; ad aumentare la disponibilità dei
vari tipi di apprendistato (duale, professionalizzante e di alta
qualificazione).14
     Un governo giusto delle transizioni dovrebbe comprendere politiche di
sostegno non solo ai lavoratori ma anche alle imprese. Il sostegno dovrà
realizzarsi non tanto nelle forme spesso abusate dei bonus o degli incentivi
generici, ma tramite politiche economiche finalizzate alla promozione della
ricerca e delle innovazioni produttive, al trasferimento tecnologico, specie
a favore delle piccole imprese e al generale upgrading del nostro sistema
produttivo.
     La realizzazione delle politiche attive e formative necessarie al governo
delle transizioni richiedono non solo più risorse pubbliche specificamente
destinate, ma infrastrutture sociali in grado di sostenere tali transizioni Qui
è essenziale il contributo delle parti attraverso le loro istituzioni bilaterali e
delle imprese cui si richiede un coinvolgimento finanziario e organizzativo
necessario allo svolgimento della formazione continua nelle aziende.
     La valorizzazione del lavoro e delle risorse umane sarà un test centrale
per verificare la capacità delle imprese di affrontare positivamente la sfida
delle transizioni. Gli esperti aziendali di relazioni del lavoro osservano che
le imprese dovranno occuparsi più che nel passato della formazione, delle
motivazioni e del benessere dei loro dipendenti, se vorranno rispondere

13
   Cfr. il dibattito su Speciale Adapt, 25 febb. 2021, n. 1; V. Bavaro, Il contratto nazionale dei
metalmeccanici 2016. Una prospettiva sulle relazioni industriali italiane, DLRI, 2017, I, p. 729
ss.; G. Valenti, The individual right to continuos training of workers: an analysis of best
practices in the international framework, Labour & Law Issue, 7, n.1, 2021.
14
   Cfr. P. A. Varesi, Una nuova stagione per le politiche attive del lavoro, cit., p. 75 ss. P.
Ichino, Appunti per un rilancio delle politiche attive in Italia, cit., p. 161 ss.; M. Della Seta, Il
contratto di espansione tra riforme e prassi applicativa: una rassegna ragionata, cit., p. 206
ss.; A. Sartori, Transizioni occupazionali e fragilità del lavoratore: il difficile compito per il
diritto del lavoro post pandemico, cit., p. 967 ss.

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alle aspettative delle nuove generazioni di lavoratori, che sono più istruiti
e più consapevoli dei loro genitori.

5. Parità di genere e generazionale
     Un’ attenzione specifica dovrà essere dedicata, anche all’interno del
patto, ai problemi della occupazione e in genere delle condizioni di lavoro
delle donne e dei giovani.
     Una serie di misure, in parte indicate nel PNRR, è necessaria per
rafforzare le opportunità dei giovani di accedere a una buona occupazione,
dal rafforzamento dei sistemi educativi fini dalla prima infanzia, al miglior
raccordo fra scuola e lavoro. 15
     La promozione della parità di genere ha ricevuto di recente maggiore
attenzione dai legislatori italiano ed europeo, con norme innovative in tema
di eguaglianza salariale, di contrasto alle discriminazioni, in particolare
indirette, e di obblighi alle imprese di rendere pubbliche i trattamenti e le
condizioni di lavoro dei dipendenti disaggregati per genere.16
     Ma le diseguaglianze che si sono accresciute nei confronti di queste
categorie richiedono un salto di qualità sia nelle politiche pubbliche, anche
a integrazione dei programmi contenuti nel PNRR, sia nella contrattazione
collettiva ai vari livelli. La promozione della parità di genere e generazionale
è un obiettivo trasversale del PNRR. Per questo non bastano provvedimenti
isolati, è necessario orientare tutte le politiche pubbliche e le azioni sociali
al raggiungimento di tale obiettivo.
     Una norma di particolare importanza è l’art. 47 del decreto 77/2021
che prevede come requisito necessario per partecipare a contratti di
appalto (e anche concessioni) finanziati dalle risorse del Piano, l’obbligo di
assicurare una quota almeno del30% delle assunzioni necessarie per la
esecuzione del contratto sia alla occupazione giovanile e sia a quella
giovanile.
     Si tratta di una disposizione molto innovativa, senza riscontro in altri
piani nazionali, ma alquanto complessa, per facilitare la cui applicazione
sono state emanate specifiche linee guida che danno indicazioni precise in
diverse direzioni. Pongono in capo alle imprese appaltatrici l’obbligo di dare
pubblicità con apposita relazione sulle condizioni occupazionali di giovani e
donne nella loro azienda; prevedono la possibilità di adottare norme
premiali per le imprese che s’impegnino a comportamenti virtuosi non
richiesti dalla normativa e migliorativi; ammettono la possibilità per le
stazioni appaltanti di stabilire in deroga, dandone adeguata motivazione,

15
   A. Rosina, Giovani e lavoro ai tempi del coronavirus, Rapporto Cnel 2020, p. 215 ss.; e il
volume E. Ambrosi, A. Rosina, Non è un paese per giovani, Marsilio, 2009.
16
   T. Treu, La nuova legge sulla parità di genere, Guida Lavoro, 8 febbraio 2022.

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una quota di assunzioni inferiore al limite generale del 30%,quando le
condizioni del contratto, il tipo di lavoro e altri elementi rendano l’obbligo
assunzionale del 30% impossibile o contrastante con obiettivi di
“universalità, di efficienza e di qualità del servizio”.17
     La novità e la complessità di questa normativa sono tali che affinché
essa possa operare occorrerà un impegno specifico delle parti sociali,
sindacati e imprese, a farla conoscere e a monitorarne attentamente le
applicazioni, compreso in particolare vigilare il ricorso alle deroghe specie
nei settori ove la occupazione femminile è storicamente meno presente.

6. La crescita                   e      la     multidimensionalità                   delle
diseguaglianze
     Se come si è visto le diseguaglianze colpiscono più gravemente alcuni
gruppi sociali e aree geografiche, e pur vero che esse sono cresciute in
generale e si presentano sempre più come un fenomeno
multidimensionale.
     Come risulta dalla indagine affidata dalla Commissione lavoro della
Camera dei deputati a Istat e Cnel, i diversi aspetti della diseguaglianza si
intrecciano fra loro. La loro combinazione ne aggrava l’impatto, anche
perché molte diseguaglianze si concentrano sulle stesse persone, gruppi
sociali e aree geografiche, di solito quelli più fragili e meno protetti. 18
     La crisi pandemica è senza precedenti, anche perché ha aggravato non
una ma molte dimensioni della diseguaglianza; non solo il lavoro e il reddito
delle persone, ma la loro salute e il tasso di mortalità, la partecipazione
scolastica e l’apprendimento, le relazioni sociali e le condizioni generali di
vita.
     L’indagine Istat, la prima di questa ampiezza trasversale, ha il valore
di raccogliere e organizzare una grande mole di dati per ciascuna di queste
dimensioni, così da fornire una possibilità di lettura e di analisi incrociate,
che ci permette di comprendere a fondo le complessità delle
diseguaglianze, anche al fine di trarne indicazioni di policy.
     Le indicazioni della ricerca mostrano che queste diseguaglianze
possono affrontarsi solo valutandone le determinanti e correggendo i fattori
strutturali che le hanno originate, con politiche adeguate.
     La ricerca rileva come le misure approvate dal governo negli ultimi
mesi, di dimensioni anch’esse senza precedenti, hanno avuto l’effetto

17
   T. Treu, Pari opportunità di genere e generazionali. Le linee guida, Guida Lavoro, n. 6, 11
febbraio 2022
18
   V. Audizione del Presidente Cnel T. Treu su “Nuove diseguaglianze prodotte dalla pandemia
da Covid-19 nel mondo del lavoro”, dinanzi alla Commissione Lavoro della Camera dei
Deputati, 8 febbraio 2022.

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parziale di rimediare ad alcune delle conseguenze più gravi della pandemia,
sul piano non solo economico ma sociale e personale.
     Hanno contribuito a ridurre in misura significativa l’indice di Gini, che
prima della pandemia era fra i più alti d’Europa. Ma tale indice misura solo
le diseguaglianze di reddito e di ricchezza, non tutte le altre dimensioni,
che vanno valutate per cogliere la gravità del fenomeno e che invece sono
state toccate solo in parte dagli interventi di emergenza del governo.
     Inoltre la ricerca segnala un dato di particolare importanza e che voglio
sottolineare, cioè il fatto che tali interventi di emergenza, nonostante
abbiano riguardato molte categorie di persone e di situazioni e siano stati
ispirati da obiettivi egualitari, non sono riuscite a ripristinare situazioni di
equilibrio fra i diversi gruppi e soggetti colpiti dalla pandemia, in particolare
fra donne, giovani e aree del Mezzogiorno. 19
      Se alcune diseguaglianze sono state ridotte o contenute, il quadro
complessivo che emerge mostra la persistenza di diseguaglianze nelle
diseguaglianze.
     Mi limito a qualche esempio fra i tanti che sono presenti nei testi
prodotti da Istat. La Cassa integrazione guadagni nelle sue varie forme è
stata una misura di sostegno dei redditi di ampia portata, perché ha
riguardato in varia misura circa la metà dei lavoratori dipendenti. Ma ha
protetto molto meno, spesso per niente, i lavoratori precari, a termine
breve e i dipendenti delle piccole imprese.
     Ancora meno sono stati risarciti dalle perdite, con le indennità di 600-
1000 euro, i lavoratori autonomi (solo il 10%), nonostante la recente
misura di sostegno (Iscro) approvata su proposta del CNEL. 20
Analogamente la tutela è stata minore e insufficiente per molte professioni
autonome anche qualificate, che fino a ieri sembravano in grado di
difendersi da sole, ma che si sono scoperte molto vulnerabili come
mostrano bene i dati Istat.
     Il reddito di cittadinanza si è dimostrato insufficiente a far fronte ai
rischi di povertà che sono fortemente cresciuti anche per soggetti

19
   Gli interventi di emergenza si sono susseguiti nel tempo, con una varietà e sequenza tale
che ha finora precluso analisi sistematiche. V. comunque alcuni primi commenti; M. Faioli,
Covid-19 e istituti speciali di sostegno al reddito, in O. Bonardi, U. Carabelli, M. D’Onghia, L.
Zoppoli (a cura), Covid-19 e diritti dei lavoratori, Istant Book Consulta Giuridica CGIL, Ediesse,
n.1, 2020, p. 167 ss.; A. Pileggi (a cura), Il diritto del lavoro dell’emergenza epidemiologica,
supplemento Lavoro e Previdenza Oggi, Giuridica Ed., n. 3-4, 2020; M. Brollo, Il lavoro agile
alla prova dell’emergenza epidemiologica, in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi,
(a cura di), Welfare e lavoro nella emergenza epidemiologica, ADAPT Studies, 2021, n. 89,
sez. II, p. 168 ss.; Camera dei Deputati, Gli interventi in materia di lavoro per fronteggiare
l’emergenza Covid-19, in www.cameradeideputati.it.
20
   In generale, A. Buratti, P. Feltrin, Il lavoro autonomo professionale. Le trasformazioni in
crisi e le sfide future, Rapporto Cnel 2020, p. 171 ss.

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appartenenti al cd. ceto medio.21 La povertà assoluta (familiare) è cresciuta
fino al 7,7% e quella individuale al 9,4%: si tratta di oltre 5 milioni di
persone. Il divario fra questi due dati della povertà sembra indicare un
ruolo compensativo della famiglia, ancora rilevante, ma esso stesso messo
in pericolo dalla crisi. 22
     Nonostante l’ampliamento dei requisiti di accesso stabilito nel corso
della pandemia per il Reddito di emergenza rispetto al reddito di
cittadinanza, la sua tutela copre in modo diseguale le famiglie numerose e
discrimina fortemente gli immigrati.
     L’esperienza degli ultimi mesi conferma dunque la necessità di andare
oltre le misure di emergenza, ma segnala anche la possibilità di trarre
indicazione dei limiti manifestati da queste misure.
     Una indicazione fondamentale della ricerca conferma l’urgenza di
rivedere l’impostazione complessiva del nostro welfare, per andare oltre
l’assetto ricevuto dal passato, che è di tipo lavoristico-categoriale, per
procedere nella direzione di un sistema di protezione e di promozione
sociale universalistico.23
     Sottolineo protezione e promozione, perché compito delle politiche
pubbliche non è solo di proteggere le persone dai rischi, ma anche di
promuovere le loro capacità umane con misure di welfare attivo, a
cominciare dalla formazione nel corso della vita.
     Questa è una impostazione già seguita in altri paesi e avviata anche
da noi per alcuni istituti, come da ultimo per gli ammortizzatori sociali. Essa
va estesa alla generalità degli istituti di welfare, con i dovuti aggiustamenti,
per adeguarli ai caratteri dei singoli interventi e alle condizioni dei
beneficiari.

21
   M. Raitano, Reddito di cittadinanza e reddito di emergenza. Problemi aperti, Rapporto Cnel
2020, p. 117 ss.; M. Baldini, Come cambia il reddito di cittadinanza, www.lavoceinfo.it, 12
nov. 2021; L. Corazza, La condizionalità “relazionale”: reddito di cittadinanza, mercato del
lavoro, esclusione sociale, DRI, 2022, p. 174 ss.
22
   Vedi, in generale, la Relazione del Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto
alla povertà in Italia, presieduta da Andrea Garnero, presentata il 18 gennaio 2022, in
www.lavoro.gov.it; v. il numero di Lavoro Diritti Europa, I/2022, La povertà nonostante il
lavoro, con interventi di M. Brollo, P. Lambertucci, C. Zoli, A. Bellavista, L. Calafà, C. Alessi,
O. Razzolini, R. Santucci.
23
   Il tema è analizzato da tempo anche nel dibattito internazionale: ILO, Report for the global
Commission on the future of work, 2018, www.ILO.org; B. Caruso, R. Del Punta, T. Treu,
Manifesto per un futuro del lavoro sostenibile, WP M. D’Antona, 2020, in part. cap. IX, Oltre
il welfare lavoristico; G. Toniolo, Welfare State: il futuro è nel ritorno a Beveridge,
www.lavoceinfo.it, 3.6. 2021; F. Marhold, New forms of labor: new Solidarities?, in (G. Casale,
T. Treu, eds.), Transformations of Work, Challenges for the Institutions and Social Actors,
Wolters Kluwer, 2019, p. 49 ss.; T. Treu, Transformations of Work. Challenges to national
System of labour law and Social Security, in Transformations of work, p.11 ss.

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     Va sottolineato che universalismo nel welfare non significa applicare a
tutti le medesime misure, perché non tenere conto delle diverse condizioni
oggettive e soggettive comporterebbe un altro tipo di ingiustizia. Per
questo le pratiche migliori di riforma adottate in Europa introducono forme
di “universalismo selettivo”. Si tratta di una formula sintetica la cui
applicazione richiede di ricercare un difficile equilibrio fra la esigenza di
garantire garanzie e diritti di base comuni a tutte le persone per i loro
bisogni fondamentali, e di prevedere nel contempo misure di tutela e di
sostegno diverse in grado di rispondere a condizioni personali e oggettive
differenziate.24
     La ricerca di questo equilibrio costituisce uno dei compiti principali che
ci aspetta nel futuro, se vogliamo costruire un sistema di welfare in grado
di contrastare le diseguaglianze e di promuovere una eguaglianza di
opportunità per tutte le persone.

7. Le innovazioni necessarie nelle relazioni industriali
     Le indicazioni qui presentate sui contenuti di un patto sociale all’altezza
delle sfide presenti assegnano alla contrattazione collettiva e agli strumenti
partecipativi delle relazioni industriali compiti di grande rilievo in aree
decisive per una “gestione giusta” delle transizioni future e per la crescita
economica e sociale del nostro paese: dal contributo alla implementazione
delle politiche di sviluppo sostenibile indicate dal PNRR, al coinvolgimento
nella definizione e nel sostegno delle principali misure di politica industriale
e occupazionale, alla partecipazione e gestione diretta delle politiche attive
e nella formazione professionale continua.
     Questo richiede alle parti sociali, in particolare al sindacato, di
interrogarsi sulle innovazioni da introdurre negli orientamenti della
contrattazione e sulla necessità di integrare le attività e gli istituti
contrattuali con forme di partecipazione in questi nuovi ambiti tematici. La
questione è da tempo nell’agenda delle maggiori organizzazioni sindacali,
anche nella prospettiva del patto sociale.
     Qui mi concentro su alcuni punti che mi sembrano particolarmente
rilevanti e critici: sul sistema di regole che dovrebbe governare la
contrattazione e che in Italia è ancora gravemente carente; sul ruolo della
contrattazione nella garanzia dei salari minimi e in generale delle
dinamiche salariali; sulle nuove forme di partecipazione nella fabbrica e
nella economia digitale.

24
   V. A. Perulli, T. Treu, “In tutte le sue forme e applicazioni”: per un nuovo Statuto del lavoro,
in corso di pubblicazione.

                      WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" .IT – 455/2022
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8. Regole certe sulla rappresentatività delle parti sociali
     L’efficacia della regolazione è da sempre una condizione importante
per la tenuta dei sistemi di relazioni industriali. Lo è tanto più in periodi
come l’attuale in cui gli equilibri di questi sistemi sono stati alterati dalle
trasformazioni del contesto globale economico e sociale, in senso non
favorevole alle forme di attività collettiva su cui poggiano le relazioni
industriali.
     L’Italia è rimasto l’unico grande paese con un sistema a bassa
regolazione. Per molti anni, in assenza di regole legali, le relazioni
industriali    sono     state   tenute    insieme     da    una     forma     di
autoregolamentazione, via via perfezionato nel tempo con una serie di
accordi interconfederali.
     Tale sistema di regole ha funzionato abbastanza bene fino a tempi
recenti in quanto sostenuto da un mutuo riconoscimento fra le maggiori
organizzazioni delle due parti, oltre che da un contesto di relativa stabilità
economica.
     Ma in tempi più recenti è stato messo in crisi da fattori strutturali quali
le pressioni della competizione globale, la volatilità dei mercati, la
frammentazione dei lavori. Questi fattori hanno indebolito le relazioni
industriali in tutti I paesi avanzati e hanno aggravato la debolezza
intrinseca di una regolazione solo privatistica, e quindi provvista di efficacia
vincolante solo per i soggetti che la accettano. 25
     La divisione e frammentazione attuale, non solo delle organizzazioni
sindacali ma ora ancor più di quelle imprenditoriali, hanno accentuato i
limiti di questa efficacia, come mostra il crescente numero di contratti
pirata conclusi “al ribasso” al di fuori delle confederazioni più
rappresentative.
     Questa situazione ha rafforzata la convinzione, degli esperti, e anche
di parti sociali tradizionalmente contrarie a una legislazione in materia
sindacale, che un intervento legislativo di sostegno, sia pure leggero, è
necessario per rafforzare la tenuta delle regole concordate e in definitiva
del sistema.
     Il contrasto alla contrattazione “pirata” presuppone in primis una
identificazione della consistenza rappresentativa di entrambe le
organizzazioni stipulanti, attraverso la definizione di criteri certi di misura.

25
  Riprendo qui in sintesi temi che ho sviluppato più ampiamente altrove, v. T. Treu, Regole
e procedure nelle relazioni industriali: retaggi storici e criticità da affrontare, WP C.S.D.L.E.
“Massimo D'Antona”, IT, 396/2019; T. Treu, La questione salariale. Legislazione sui minimi e
contrattazione collettiva, in WP M. D’Antona, 386/2019, e da ultimo, ID, Direttiva europea sul
salario minimo in Italia, DRI, 2, 2020.

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     Come è noto, questo primo passo necessario per rafforzare il sistema
contrattuale, è stato compiuto (solo in parte) per il versante sindacale,
dove le regole del TU del 2014 richiedono peraltro di essere completamente
operative. Viceversa non è ancora stato fatto per la definizione dei criteri
di rappresentatività delle organizzazioni datoriali, nonostante i tentativi
compiuti anche da parte mia al Cnel.
     Inoltre, una volta concordati i criteri di rappresentatività di entrambe
le parti, questi criteri devono essere rafforzati e presidiati per evitare che
vengano disattesi da organizzazioni dissidenti, in primis quelle interessate
a negoziare fuori delle regole e al ribasso. 26
     La efficacia di queste regole può imporsi per forza propria nei settori
dove le organizzazioni delle parti stipulanti sono sufficientemente
consolidiate per farle rispettare da tutti; ma non altrettanto in aree dove le
regole e le organizzazioni che le hanno stipulate sono contestate da
organizzazioni diverse che sfruttano la loro posizione specifica per
negoziare termini diversi spesso al ribasso.27
     In questi casi non vedo altro modo se non quello di attribuire a tali
regole un valore generale con una legislazione di sostegno.
     La certezza della rappresentatività delle parti non esaurisce i problemi
e le difficolta delle relazioni industriali attuali, ma è un requisito essenziale
per la stabilità del sistema contrattuale, come testimonia la esperienza di
tutti i paesi che riconoscono e praticano la contrattazione collettiva.

9. Garantire                  minimi           salariali          adeguati:             la      via
contrattuale
     Questa certezza è un presupposto anche per affrontare e risolvere sia
il problema dei contratti pirata, sia quello della garanzia dei minimi salariali.
     La direttiva europea sui minimi salariali, che è prossima alla
approvazione, ammette, come è noto, due strade per stabilire livelli
retributivi “adeguati” (questo è opportunamente il termine utilizzato).
Mentre dà atto che la maggior parte dei paesi europei ha adottato la via
legislativa, riconosce che altri ordinamenti, fra cui quello italiano, e quelli
dei paesi nordici, hanno storicamente preferito utilizzare a tale fine la
contrattazione collettiva e intendono continuare a seguire questa via.
     La direttiva prevede però che affinché la contrattazione collettiva possa
essere ritenuta adeguata all’obiettivo di garantire effettivamente salari

26
   A. Garnero, C. Lucifora, L’erosione della contrattazione collettiva in Italia e il dibattito sul
salario minimo legale, DLRI, 2, 2020.
27
   Cfr. per indicazioni più recenti l’archivio nazionale dei contratti collettivi del lavoro, edizione
aggiornata a fine 2021, in Rapporto del lavoro, Cnel, 2021, p. 379 ss.

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adeguati ai bisogni dei lavoratori deve dimostrare di esprimere la sua
efficacia nei confronti di almeno il 70% dei lavoratori delle singole categorie
     La Commissione non specifica con quali strumenti tale tasso di
copertura. dovrebbe essere garantito, limitandosi a sollecitare gli Stati a
definire un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione; mentre la
confederazione europea dei sindacati (CES) ha avanzato in fase di
consultazione la richiesta che sia necessario prevedere forme di estensione
per via amministrativa o legale dei contratti collettivi.
     La estensione erga omnes dei contratti, o almeno dei livelli retributivi
base, è in effetti la sola soluzione che garantisce la capacità del sistema
contrattuale di fornire una garanzia dei minimi salariali equivalente a quella
offerta dai minimi legali. La soglia del 70% di copertura contrattuale
indicata dalla Commissione non realizza lo stesso risultato; ma è stata
fissata, con evidente compromesso, in base alla ipotesi che una simile
diffusione permetta comunque alla contrattazione di esercitare una
influenza generale di innalzamento dei salari minimi.
     La proposta di direttiva europea così formulata apre la possibilità per
il nostro paese di affrontare il problema della garanzia dei minimi salariali
secondo una prospettiva nuova. Che il problema sia urgente è divenuto
sempre più chiaro a fronte della crescita del fenomeno dei working poors,
che hanno superato la cifra del 12%, fra le più alte di Europa.28
     Se le maggiori organizzazioni rappresentative italiane mantengono la
contrarietà alla introduzione di un salario minimo legale, dovrebbero dare
seguito all’altro percorso, quello contrattuale, indicato dalla direttiva
europea.
     Le iniziative da intraprendere sono duplici. Anzitutto dovrebbero
sollecitare il governo a intraprendere azioni atte a creare, come richiama
la Commissione, “un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione
collettiva”. Ciò significa ricercare gli strumenti per una nuova legislazione
di sostegno, innovativi rispetto a quelli dello Statuto dei lavoratori, perché
devono rimediare a debolezze degli attori collettivi diverse da quelle del
1970. Si tratta di una ricerca appena avviata, e che deve orientarsi in più
direzioni.
     Il rafforzamento e la estensione dei diritti dei lavoratori, con la
sanzione di una base comune di tutele per ogni forma di lavoro, sono
ancora una parte essenziale della legislazione di sostegno anche del
sindacato. Ma resta da riscrivere la parte sindacale della normativa, sia
precisando le regole fondamentali del sistema sia promuovendo condizioni

28
   Vedi già C. Lucifora, Working poor. Un’analisi dei lavoratori a basso reddito, dopo la crisi,
in Rapporto Cnel, 2014.; ID, Il salario minimo: contrattazione o minimo legale?, in Salari,
produttività, diseguaglianze, C. Dell’Aringa, C. Lucifora, T. Treu (a cura), Mulino, 2017, p. 401
ss.

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di contesto economiche e sociali favorevoli, non ostative quali sono spesso
oggi prevalenti, all’attività sindacale e alla piena espressione della voce di
lavoratori nell’ arena sociale e politica.
     Più specificamente, per seguire le indicazioni europee privilegiando la
via contrattuale è necessario rafforzare la contrattazione collettiva
prevedendo meccanismi legali che prendano a riferimento i minimi tabellari
(nei termini da definire in dettaglio) previsti dai contratti collettivi nazionali
firmati dalle parti rappresentative.
     Questa è una ipotesi discussa e avanzata ora dal Ministero del lavoro.
L’ ipotesi è diversa da quella di una estensione erga omnes di tutta la parte
salariale dei contratti nazionali fatta propria dalle maggiori confederazioni
rappresentative nei loro accordi più recenti (in particolare il cd. Patto della
fabbrica del 2018).
     Una condizione essenziale per procedere nella direzione indicata dalle
confederazioni è – come ho detto sopra - di acquisire criteri univoci ed
effettivi di rappresentatività di ambedue le parti negoziali. Rilevo che
questa è una condizione necessaria ma non sufficiente per dare seguito a
una estensione erga omnes della parte salariale dei contratti, perché altre
questioni delicate restano da risolvere, a cominciare dalla definizione degli
ambiti entro i quali attribuire la efficacia generale dei contratti nazionali di
categoria. 29
     La soluzione autonomistica da sempre sostenuta dalle parti e dalla
dottrina, secondo cui la perimetrazione degli ambiti negoziali è affidata ai
contraenti, è stata messa in crisi dai fattori di destrutturazione del sistema
che hanno oscurato le tradizionali divisioni delle categorie merceologiche e
dalla frammentazione degli attori negoziali, che è particolarmente
accentuata dalla parte dei datori di lavoro, come testimoniano i dati
dell’archivio del Cnel.
     Questi due fattori hanno alterato in profondità la geografia tradizionale
dei perimetri e indebolito la capacità delle parti contraenti di individuarli in
modo univoco. In conseguenza si sono moltiplicati i casi di sovrapposizione
e di contrasto fra ambiti contrattuali definiti in sede contrattuale, non solo
da parte di contraenti rivali delle organizzazioni storiche di entrambe le
parti, ma talora anche da organizzazioni aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative.
     Tale concorrenza regolativa, presente all’interno degli stessi attori
accreditati del sistema, sta indebolendo la tenuta dei confini fra categoria,
specie nei settori più investiti dalle innovazioni tecnologiche o dalla
competizione di prezzo fra diversi assetti salariali.

29
   S. Ciucciovino, Fisiologia e patologia del pluralismo contrattuale tra categoria sindacale
e perimetri settoriali, in Lav. Dir., 2020.

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APPALTI E TUTELA DEI LAVORATORI                                 19

     Al riguardo è significativo che il patto del 2018 prospetta la possibilità
delle confederazioni di “intervenire sugli ambiti di applicazione della
contrattazione collettiva di categoria, anche al fine di garantire una più
stretta correlazione fra CCNL applicato e reale attività di impresa”.
     Senonché l’impegno delle parti di “assicurare il rispetto dei perimetri
della contrattazione collettiva e dei suoi contenuti “impedendo ai soggetti
non rappresentativi di forzare arbitrariamente tali perimetri, è
“un’affermazione di tipo ottativo: esprime un desiderio, in questo caso
irreale”.30
     Paesi vicini come la Germania che, nonostante la tradizionale solidità
dei loro sistemi, hanno sperimentato sconvolgimenti delle tradizionali
categorie economiche simili ai nostri, hanno dovuto progressivamente
prendere atto della insufficienza delle soluzioni autonomistiche e quindi
della necessità di interventi eteronomi (prima arbitrali poi normativi) per
risolvere i conflitti giurisdizionali di regolazione dei confini fra contratti. 31
     Una strada simile va percorsa anche nel nostro paese se si vuole dare
effettività all’ auspicio formulato dal patto della fabbrica. Il suggerimento
delle parti di affidare al Cnel (peraltro privo di poteri al riguardo) il compito
di risolvere eventuali conflitti sui perimetri contrattuali è caduto nel vuoto,
a conferma della fragilità dell’auspicio.

10. Sostegno legislativo alla contrattazione nei settori
scoperti
     Per tornare alle indicazioni della direttiva europea richiamo l’attenzione
su un ulteriore aspetto rilevante, non sempre considerato, cioè sul fatto
che il riferimento al tasso medio di copertura dei contratti nazionali per
valutare la idoneità del sistema non è sufficiente e può essere fuorviante.
Su questo punto è pertinente il riferimento della proposta al “livello
settoriale o intersettoriale” dei contratti nazionali, perché la copertura dei
contratti nei singoli settori può essere alquanto diseguale e non arrivare
sempre alla soglia del 70%.
     Sulla diffusione e sulla copertura dei contratti nazionali non esistono in
Italia indicazioni complete, perché i nostri sistemi di rilevazione non sono
ancora a regime. Ma le informazioni già disponibili confermano la esistenza
di non poche disparità.
     Dall’archivio dei contratti presenti al Cnel si rileva che il tasso di
copertura dei contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative nei
principali settori è in effetti superiore alla soglia indicata dalla proposta di

30
  Cfr. da ultimo, F. Di Noia, Rappresentatività e contratti, in corso di pubblicazione.
31
  T. Treu, La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, WP CSDLE
M. D’Antona, IT, 386/2019, p. 10 ss.

                     WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" .IT – 455/2022
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