Palermo: "Andare oltre le frontiere" - Focolari Italia

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Palermo: "Andare oltre le frontiere" - Focolari Italia
Palermo: “Andare                          oltre          le
frontiere”
Pubblicato www.unitedworldproject.org

Chiuso tutto. Porte e serrande abbassate per la pandemia…
anche a casa delle famiglie Rom.
Con la pandemia di Coronavirus si fanno i conti in diversi
modi: con la morte in solitudine di tante persone, con lo
strazio di famiglie costrette a casa, senza poter stare vicine
ai loro cari. Queste sono le situazioni forse più crudeli che
il virus sta generando. Ce ne sono poi altre, forse più
subdole, che vengono in evidenza in un secondo momento, con la
lotta quotidiana per affrontare le conseguenze economiche e
sociali, particolarmente dure per chi vive già in una
condizione di marginalità.

Carla Mazzola, insegnante e psicopedagogista, è la referente
per gli alunni Rom dell’Osservatorio sulla dispersione
scolastica dell’Ufficio Scolastico Regionale Sicilia. Abita a
Palermo, una delle città italiane che vede crescere il
malcontento sociale ogni giorno, ma dove, allo stesso tempo,
si evidenziano quelle buone pratiche inclusive, di attenzione,
che permettono al tessuto sociale di non sfilacciarsi,
soprattutto nelle periferie, dove quella marginalità è più
forte. Carla segue soprattutto alcune famiglie Rom che, al
tempo del Coronavirus, vivono una condizione drammatica.

Carla, ci spieghi dove operi tu oggi?

«È un contesto di grande difficoltà, lo devo ammettere. Le
famiglie di cui mi occupo sono arrivate soprattutto dal
Kosovo, scappate dalla guerra poco più di vent’anni fa; in
effetti non sono persone abituate al nomadismo, e una volta
arrivate a Palermo non si sono più mosse, sono stanziali».

Sono persone integrate?
«Sono persone che non possono rientrare nella loro terra, per
tanti motivi. Il Comune di Palermo ha assegnato loro una parte
del Parco della Favorita dove è stato costruito il campo Rom,
rimasto aperto dalla fine degli anni ‘90 fino al 2019. Come
insegnanti sapevamo, fin da quel tempo, che la vera
integrazione sarebbe partita dalla scuola: così ci siamo
interessati presso le famiglie per incoraggiarle a mandare a
scuola i ragazzi, in un momento in cui non c’era integrazione
con le famiglie di Palermo, anzi, c’erano pregiudizi,
divisioni, paure rispetto a questa realtà: grazie ad accordi
di “rete” fra le scuole, e a un’attenzione continua verso le
famiglie e i loro problemi, molti bambini e giovani hanno
potuto studiare e raggiungere dei risultati. Chiaramente io
non potevo pretendere di iscrivere un ragazzo a scuola
ignorando il contesto in cui viveva: quello era un campo con
la presenza di amianto e una grandissima precarietà: famiglie
che vivevano in baracche, con allacci abusivi alla corrente
elettrica: ricordo il cosiddetto “albero di Natale”: un palo
della luce al quale tutti si attaccavano con mezzi di fortuna
per prendere corrente. Questo per far capire che non c’è,
nemmeno oggi, un vero diritto allo studio senza diritto alla
salute, alla vita, al ripristino di una quotidianità nel
rispetto delle situazioni; era necessario  favorendo, al
contempo, un’integrazione scolastica anche con i bambini delle
famiglie palermitane, attraverso percorsi di conoscenza molto
forti, che hanno coinvolto negli anni i docenti volontari che
seguivano il dopo scuola nel campo, svolgendo un lavoro
eccezionale».
Con la pandemia cosa è
                                      cambiato per queste
                                      famiglie?

«Premetto che l’anno scorso il campo è stato dismesso e le
famiglie vivono ora in modo “diffuso” in varie parti della
città, senza più essere ghettizzate. Questo anche per mettere
le “persone” davanti alle etnie. Ma i genitori continuano a
vivere di espedienti, sono venditori ambulanti, molti
irregolari, anche perché non riescono a ottenere certificati
di residenza che permettano un lavoro diverso, con una dignità
stabile. Con lo scoppio del Coronavirus, con l’isolamento
forzato e la mancanza di sussidi e documenti validi, queste
persone sono diventate gli ultimi degli ultimi, invisibili al
resto della società».

Come vivono questa situazione?

«Con una grande paura e angoscia: non possono procurarsi nulla
da mangiare, perché non escono di casa non avendo documenti,
né tanto meno conti correnti: vivono alla giornata,
principalmente di espedienti, aprendo un fortissimo rischio
che su questa situazione di debolezza metta le mani la
criminalità, che a volte diventa l’unica soluzione per poter
mangiare».

Qui siete entrati in gioco voi…

«Non riuscivo a dormire la notte pensando a tutto questo e a
un certo punto è venuta l’idea: noi non possiamo uscire di
casa, è vero, ma ci sono associazioni come la Caritas che si
possono occupare di questo: se noi avessimo fatto un bonifico
Caritas con una causale mirata per le famiglie Rom, fornendo
nomi e indirizzi, spiegando le situazioni più difficili, loro
gli aiuti li avrebbero potuti portare. Abbiamo messo in moto
la macchina in accordo con “La Casa dei Diritti” del Comune di
Palermo, con la Caritas, e dal 19 Marzo gli aiuti sono
partiti, grazie alla generosità di tanti cittadini che hanno
donato per queste famiglie».

Le necessità sono diverse da famiglia a famiglia?

«È stata realizzata una mappa che indica dove sono dislocate
le famiglie, con il numero di componenti, le età, e noi
volontari da casa facciamo da “navigatori”, con il telefono,
ai volontari Caritas per spiegare loro le varie situazioni:
hanno portato generi di prima necessità uguali per tutti e poi
ognuno ha raccolto le necessità ulteriori di ogni famiglia
particolare, per farla sentire accolta, amata in modo
speciale. Mentre continuano le distribuzioni ci siamo mossi
per far registrare queste famiglie al comune e ottenere i
bonus che il governo ha promesso, sperando che tutto questo
vada a regime».

A scuola però i ragazzi non ci vanno più…

«È uno dei problemi più grandi, perché l’istruzione, la
scuola, portano integrazione e nuove possibilità, per tanti di
loro è l’unica via di salvezza, di un futuro diverso
riscattato dal male vissuto. Dobbiamo ricordarci, come ha
detto un noto calciatore di origini Rom, che puoi levare un
ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal cuore di un ragazzo.
La legalità, imparata fin da piccoli, sarà l’unica possibilità
di avere un lavoro e una casa. Per questo ci siamo attivati,
con l’aiuto dell’associazione “In Medias Res”, per provvedere
a dei tablet per questi ragazzi e così continuare a seguirli
perché possano proseguire da casa il loro percorso».
A questi aiuti concreti, quanto conta l’aggiunta di un
rapporto personale con le famiglie?

«Il rapporto è tutto. Con i ragazzi e le famiglie ci scambiamo
continuamente messaggi, per loro è importante sentirsi
pensati, sapere che c’è qualcuno che è dalla loro parte.
Certo, da quando il campo è stato dismesso sono più tranquilla
pensandoli in una casa vera, ma è nella relazione continua che
poi arriva un cambiamento».

Cos’è la fraternità per te?

«Fraternità per me è andare oltre la frontiera, fare un passo
più in là per scoprire in ogni persona la mia stessa umanità,
tirare fuori i sogni dei sofferenti, dare una possibilità di
volare a chi ne ha il desiderio. Per questo ci vuole
perseveranza, costanza nel rapporto; la relazione non può
essere uno spot ma è reciprocità: le famiglie Rom sono in
grado di dare tanto, a me lasciano una ricchezza enorme ogni
volta, in termini di fede, di capacità di relativizzare i
problemi, ma anche in termini di sorrisi e accoglienza. Per me
è questa la fraternità, anche al tempo del Coronavirus».

di Paolo Balduzzi

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