Orientamenti culturali ed educativi attraverso il lockdown - Servizio Infanzia

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Servizio Infanzia

         Orientamenti culturali ed educativi
               attraverso il lockdown
Ai bambini
con il desiderio che incontrino nel loro percorso di crescita
adulti capaci di stimarli
Teka Edizioni                FONTI
corso Martiri                Materiali prodotti
della Liberazione, 28        dai gruppi di lavoro
23900 Lecco LC               degli operatori
tekaedizioni.it
                             Documentazione dei percorsi
info@tekaedizioni.it
                             di formazione e supervisione
fb: tekaofmind
ig: tekaofmind               Contributi dello staff
                             del Servizio Infanzia:
Progetto grafico
                             Marina Panzeri
tekacomunica.it
                             Giusy Manciucca
info@tekacomunica.it
                             Maria Brambilla
Illustrazioni                Katia Zucchi
MartaBi
martabrunetti.bi@gmail.com   REDAZIONE
                             Emanuela Pizzardi
                             formatrice

                             NB
Stampa                       L’uso del termine bambino
Grafiche Riga srl            al maschile è da intendersi
Annone Brianza LC            riferito a entrambi i generi
Finito di stampare           e risponde solo a esigenze
gennaio 2021                 di semplicità del testo.
Indice
Ringraziamenti5              i immaginazione             32
Il Servizio Infanzia    7    l lavoro                    32
L’alfabeto              9    m materiali                 34
del Servizio Infanzia         n normalità                 35
attraverso il lockdown
                              o outdoor                   35
A	Ambiente             11
   Ambientamento              p proposte                  37

B Bambini e Bambine     15   q quartiere                 39

C Condivisione          19   r regia                     42

d desiderio             26   s strumenti                 42

e educazione            27   t tecnologie                47

f famiglie              28   u ufficialità               48

g gruppo                29   v valutazione               49

h humor                 31   Z... la parola             50
                                   che non c’è ancora...
Sentiti ringraziamenti ai formatori che nel corso degli anni hanno accompagnato la ricerca
sugli orientamenti culturali e educativi dei servizi e hanno aiutato gli operatori a tradurli nelle
prassi quotidiane.

Rosario Montirosso: supervisione come strumento di crescita professionale; la relazione con il
bambino e la famiglia.
Andrea Prandin: complessità e bellezza dell’incontro con la famiglia nei servizi per la prima
infanzia.
Daniele Novara: gestione educativa dei conflitti.
Alessandra Giovannetti: gestione educativa dei conflitti; costruzione della fiaba a specchio.
Marinella Azzola: estetica e ricchezza degli ambienti; la funzione di coordinamento.
Giovanna Bestetti: il bambino da zero a tre anni e gli studi di Brazelton.
Marco Brunod: analisi dell’esperienza e sviluppo organizzativo dei servizi educativi.
Manuela Tomisich: relazione con la famiglia; relazione del bambino con il cibo.
Arianna Sedioli: Francois Delalande e il nido sonoro.
Giulio Rusconi: i riconoscimenti nel lavoro con i genitori e con i bambini; pubblicazione
“Al centro le famiglie”.
Luigina Mortari: la cura nell’educazione.
Luigi Campagner: l’educatore nella relazione con il bambino e la famiglia; pubblicazioni:
“Fiabe per pensare” - “È una questione di soddisfazione”.
Laura Formenti: incontrare la famiglia; il metodo dell’auto narrazione nel lavoro con la famiglia.
Maria Smidili: risorse per la famiglia e la famiglia come risorsa.
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Serafina Secchi: psicomotricità negli asili nido; i bambini con disabilità nei servizi per la prima
infanzia.
Maurizio Fusina: attività laboratoriali sulla narrazione, il suono, il colore.
Cristina Rigamonti: orientamenti culturali, metodologici e prassi di lavoro di un servizio per i
bambini e le famiglie.
Emanuela Pizzardi: pubblicazioni “Il tempo e i tempi del nido” - “Dire, fare, giocare ... in uno
spazio aperto per le famiglie” (2009).
Maria Salvadori: progettazione degli spazi e delle aperture al Centro per le famiglie.
Grazia Gacci e Claudia Marabini: pubblicazione “Di nido in nido” (1998).
Marina Panzeri: il progetto educativo e organizzativo dei servizi per la prima infanzia.
Il Servizio Infanzia
                                                                             2

  Il Servizio Infanzia del Comune di Lecco comprende tre unità d’offerta che rispondono a diffe-
renti esigenze di cura ed educative delle famiglie.
   Agli Asili nido “L’Arca di Noè” e “Arcobaleno” i genitori possono affidare i propri bambini, a
partire dai tre mesi fino al compimento del terzo anno d’età, da lunedì a venerdì, scegliendo tra
diversi moduli orari che comprendono il pasto.
   Il Centro prima infanzia “Floridò” accoglie bambini dai dieci mesi compiuti ai tre anni d’età,
al mattino, senza il pasto.
   Il Centro per le famiglie “Dire, fare, giocare...”, rivolto ai bambini da zero a sei anni ac-
compagnati da un adulto (genitori, nonni, baby sitter), è aperto due pomeriggi alla settimana.
Le famiglie possono scegliere liberamente quando frequentarlo. Il Centro propone opportunità
di gioco ai bambini, libero e guidato, mentre gli adulti conversano tra di loro e con le educatrici,
o partecipano ai giochi. “Dire, fare, giocare...” offre anche il proprio spazio ad altri servizi del
comune di Lecco per la realizzazione di progetti e, tramite convenzione, ad altre realtà territoriali
che si occupano di famiglie.

	Il Servizio Infanzia del Comune di Lecco è gestito dal 2019 con l’Impresa sociale consorzio “Girasole”, costitu-
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  ita su iniziativa dei comuni dell’Ambito distrettuale di Lecco per dare continuità e sviluppare in forma istitu-
  zionalizzata l’esperienza di partnership con enti del terzo settore nella gestione di servizi socio-assistenziali
  e socio-educativi.
L’Alfabeto
del Servizio Infanzia
Orientamenti culturali ed educativi attraverso il lockdown

  Nel linguaggio comune le espressioni “conoscere l’alfabeto”, “conoscere l’A B C”, stanno a indi-
care ciò che è fondamentale sapere e saper fare per svolgere bene un’attività, qualsiasi attività.
  Se pensiamo alla prima infanzia, questa espressione assume un significato particolare perché
niente e nessuno è portatore di novità quanto un neonato. Questo vale sia per la famiglia dove
nasce un bambino (non solo il primo bambino) sia per chi svolge la professione educativa.
  Il bambino infatti, anche il più desiderato e atteso, rompe gli equilibri familiari e costringe gli
adulti a re/imparare a comprendersi. Mentre in un tempo non lontano c’era un sapere sufficien-
temente condiviso riguardo alla cura e all’educazione, oggi non è più così; coesistono idee e mo-
delli profondamente diversi. Non si tratta di rimpiangere il passato, ma di provare a individuare
un nuovo “Alfabeto”, coerente con il contesto in cui le famiglie con bambini piccoli vivono.
   E i bambini? I bambini nei primi tre anni vivono il periodo più importante della vita, quello in cui
i cambiamenti fisici, le conquiste, sono visibili quotidianamente. È la fase della vita a maggiore
intensità emozionale, determinante per la formazione della personalità, anche se non ne rimane
una traccia (nitida) nella memoria. Proprio per questo, pensando ai bambini, la parola ’”Alfabeto”
assume il significato più letterale. È infatti nella concreta relazione con le persone, familiari e
non, e con l’ambiente, che i bambini imparano ad attribuire significato alle parole e cominciano a
costruire la mappa interiore che utilizzeranno per orientarsi nella vita e nel mondo.
   I servizi del Comune di Lecco hanno una lunga e consolidata esperienza; tuttavia, il loro alfa-
beto cambia nel tempo, poiché si mettono ogni giorno in ascolto delle famiglie e di ciò che av-
viene nel contesto in cui sono inseriti i servizi, o nel mondo, come oggi accade con la pandemia.
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   Questo è emerso in modo inaspettato e dirompente durante il lungo periodo di chiusura deter-
minato dal Covid-19. L’esperienza vissuta - per tutti traumatica - ha reso consapevoli gli operato-
ri della necessità di rivisitare gli orientamenti culturali e educativi alla luce delle nuove domande
che l’emergenza ha posto, riscrivendone, come qui documentato, l’Alfabeto con i fili che li hanno
tenuti legati ai bambini e alle famiglie durante il lockdown.

        Le prime tre lettere - A B C - sono scritte in maiuscolo perché rappresentano i “fon-
     damentali” del progetto educativo e organizzativo del Servizio Infanzia. La lettera “e”,
     minuscola, è evidenziata perché l’educazione, da diversi punti di vista, è trasversale
     a tutte le altre parole. La Z, maiuscola, non chiude l’alfabeto ma lascia lo spazio per
     nuove parole poiché la ricerca è continua.
       La diversa lunghezza dei testi non è un indicatore dell’importanza delle parole -
     che è equivalente - quanto delle loro differenti caratteristiche: ci sono parole che per
     essere comprese richiedono la descrizione della loro traduzione organizzativa; altre
     che si riferiscono a significati e criteri di lavoro trasversali; altre ancora che devono
     ancora essere esplorate.
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  Ambiente - Ambientamento
  Sono quattro le caratteristiche principali degli ambienti del Servizio Infanzia: dinamicità, cura,
bellezza, apertura.
    L’ambiente è dinamico, in costante evoluzione: gli spazi e le persone che lo abitano s’influen-
zano reciprocamente. Quando nei servizi entrano un nuovo bambino e la sua famiglia lo modifi-
cano diventandone parte attiva. E quando le norme anti Covid-19 hanno imposto dei cambiamen-
ti, gli spazi sono stati trasformati senza snaturarne le caratteristiche educative.
  È curato. Il significato di cura, parola chiave del progetto educativo, per essere compreso non
può essere spiegato in teoria, deve essere sperimentato nella relazione, anche se traspare e in
parte può essere “visto e toccato” nella cura che si dedica agli spazi.
    È bello esteticamente. La bellezza è un bisogno profondo di tutti, anche dei bambini piccoli,
quindi negli ambienti dei servizi si cerca di trasmettere il senso della bellezza, anche per favorire
il sentirsi appartenenti.
   Durante il lockdown da subito gli operatori si sono impegnati con i mezzi a disposizione a
ricreare un nuovo “ambiente senza pareti”, curato e bello, con l’aiuto dei genitori (vedi “Lontani
ma vicini”); in quell’esperienza si è visto come le relazioni siano l’anima dell’ambiente e possano,
in alcuni casi, andare oltre alla mancanza di uno spazio fisico.
   Infine, ma non da ultimo, l’ambiente dei servizi è aperto, interagisce con l’esterno. Il Servizio
Infanzia negli ultimi anni ha avviato una collaborazione continuativa con le realtà del quartiere e
un fertile scambio tra generazioni che è parte integrante del progetto educativo.

  Gli spazi interni ed esterni
  Uno dei punti di forza del Servizio Infanzia è rappresentato dalle caratteristiche strutturali
degli edifici dove hanno sede i servizi, dotati di locali ampi, luminosi, distribuiti su più livelli, con
uno spazio esterno attrezzato.
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   Nella situazione precedente alla chiusura, l’organizzazione degli spazi dava la possibilità ai
gruppi di bambini di avere una propria stanza di riferimento e di svolgere una serie di attività
in spazi dedicati (es. al sonno, ai laboratori espressivi, al gioco ...) muovendosi tutti all’interno e
all’esterno dell’edificio.
  Dovendo limitare gli spostamenti e isolare i gruppi, nella riprogettazione e riorganizzazione
dell’ambiente dei servizi gli spazi sono stati trasformati senza impoverire l’offerta ai bambini di
opportunità e di stimoli per la crescita.
   La stanza di riferimento a uso esclusivo di ogni gruppo continua a essere lo spazio nel quale, a
partire dall’ambientamento, il bambino vive i momenti emotivamente più intensi, che riconosce
come luogo intimo, dove ritrova cose note, dove si sperimenta in modo autonomo nella vicinanza
o nella lontananza dall’adulto. L’ambiente della stanza è pensato partendo dall’osservazione,
condiviso perché ogni educatrice si senta parte attiva del progetto e possa portare il proprio
contributo. È ordinato per permettere la tranquillità di chi lo abita; bello perché ci si senta bene;
funzionale all’educatrice quando osserva, quando si dedica al singolo o al gruppo, o quando
“lascia fare” giocando un ruolo di regia.
   La stanza comunica sicurezza ai bambini attraverso la sua organizzazione e i materiali pro-
posti; li invita alla sperimentazione e alla concentrazione. Lo spazio è suddiviso in angoli ben
definiti e identificabili, che rappresentano punti fermi necessari all’esperienza del bambino: l’an-
golo del morbido e della tana dove rifugiarsi; l’angolo della lettura dove guardare e ascoltare i
libri con i compagni o da soli; l’angolo del gioco simbolico, una specie di “miniatura del mondo”,
dove il bambino si sente un “gigante” e può sperimentare il futuro e inventare il presente; l’angolo
delle costruzioni per scoprire l’altezza, il tridimensionale, la seriazione attraverso materiali vari e
rinnovabili. Ci sono poi angoli che si modificano nel corso del tempo in relazione ai nuovi bisogni
del gruppo.
   Anche per l’educatrice la stanza di riferimento è “casa”, un luogo che sente proprio, che facilita
le relazioni con e tra i bambini, che racconta la storia originale del gruppo.
   Nell’attuale organizzazione degli spazi, dovendo limitare gli spostamenti dei gruppi, accanto
alla stanza di riferimento, è stato predisposto uno spazio polivalente, dove i bambini hanno la
possibilità di svolgere le attività di laboratorio o di fare il riposino.
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   Inoltre, anche per esplicita indicazione dei regolamenti sanitari, si è intensificato l’utilizzo de-
gli spazi esterni (vedi alla lettera “o” - outdoor), che, delimitati e utilizzati a turno, sono diventati
una vera e propria estensione degli spazi interni.
   Alla cura degli spazi collaborano gli operatori ausiliari, presenti durante la giornata nei nidi
e nel centro prima infanzia, dove sono figure familiari per i bambini e per i genitori. Contribui-
scono a rendere l’ambiente simile a quello domestico e aiutano a predisporre le condizioni per
la realizzazione delle attività previste dal progetto educativo. La loro presenza si è rivelata oggi
ancora più importante perché le disposizioni anti Covid-19 richiedono la frequente sanificazione
e igienizzazione dei materiali e degli oggetti utilizzati nello svolgimento delle attività e nelle
routine quotidiane.

  Le relazioni
   L’ambiente dei servizi prende vita quando, negli spazi pensati per accoglierli, i bambini e le
loro famiglie entrano in relazione con gli operatori e tra di loro.
   In un tempo in cui la famiglia si è molto “ristretta” nel numero di componenti e le occasioni
di vita sociale si sono ridotte, al pari degli spazi, le relazioni tra le persone, in tutte le possibili
varianti (adulti – bambini, bambini – bambini, adulti – adulti) rappresentano senza dubbio un
tratto distintivo e un punto di forza dei servizi per la prima infanzia.
  I bambini che frequentano il Servizio Infanzia hanno quotidianamente la possibilità di vivere in
un contesto significativo e stimolante. Tale è l’ambiente relazionale dei servizi non solo perché gli
spazi sono gradevoli e interessanti, ma perchè genera un senso di appartenenza in chi lo frequenta.
  Durante il lockdown, come si racconta in “Lontani ma vicini”, l’alleanza con la famiglia e il
senso di appartenenza ai servizi si sono rinforzati.

  L’Ambientamento
   L’ambientamento nei nidi e nel centro prima infanzia rappresenta il passaggio graduale del
bambino dall’ambiente familiare, conosciuto, all’ambiente del servizio, sconosciuto, più ampio
e complesso.
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   La modalità con la quale è oggi proposto l’ambientamento è stata introdotta una decina di anni
fa per consentire al bambino e alla sua famiglia di conoscere il servizio e di prepararsi al distacco
immergendosi fin dal primo giorno interamente nell’esperienza e vivendo la quotidianità con
il gruppo. Anche in periodo di Covid-19, utilizzando tutte le precauzioni, è stata salvaguardata
questa modalità.
   Nell’ambientamento i genitori e i bambini non sono considerati nuovi elementi da “inserire”
in un sistema già compiuto, dove l’educatrice ha un ruolo prevalente, ma tutti hanno una parte
attiva di equivalente valore pur nella diversità dei ruoli.
   La coppia genitore – bambino nella prima settimana conosce le persone, gli spazi, le routine,
le proposte. Una delle acquisizioni del periodo di chiusura riguarda l’utilizzo del giardino durante
l’ambientamento. Mentre in precedenza si poneva l’accento sull’intimità degli spazi interni, ora si
valorizza anche lo spazio esterno del giardino (vedi lettera “o” – outdoor), che allarga la visuale
sul servizio al contatto con la natura e all’incontro con altre persone.
   Il genitore guida l’educatrice nel mondo del proprio bambino e l’educatrice accompagna la
coppia nella conoscenza del nuovo ambiente. Nel far questo individua le condizioni più favorevoli
affinché la nuova coppia sperimenti la normalità: le routine, i giochi, le emozioni più o meno
piacevoli. In questo modo il bambino, abitando insieme al genitore per qualche giorno questa
nuova casa, impara ad affidarsi alle persone che ci vivono; mentre il genitore, più che attraverso
le spiegazioni, viene a conoscenza degli orientamenti culturali del servizio nella concretezza di
ciò che accade.
  Per l’educatrice di riferimento il periodo dell’ambientamento è ad alta intensità emozionale
per le comprensibili aspettative che i genitori hanno nei suoi confronti. L’educatrice, consapevole
della sua grande responsabilità nei confronti delle famiglie, sa che è fondamentale stabilire
un rapporto di fiducia. Per questo entra in punta di piedi, con discrezione e sensibilità nel loro
mondo, aiutata dalle colleghe del gruppo di lavoro.
   La conoscenza della coppia genitore – bambino comincia dall’ascolto della loro storia, delle
caratteristiche del bambino e dei desideri, delle aspettative del genitore. L’educatrice fa in modo
che il genitore si senta il titolare dell’esperienza che il proprio bambino sta vivendo. I primi giorni
di ambientamento sono fondamentali per prendere insieme una direzione; l’itinerario che per-
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correranno il bambino e la famiglia verrà costruito giorno per giorno. Per questo, dalla seconda
settimana i genitori con l’educatrice concordano i tempi di permanenza e di frequenza più adatti.
   L’ambientamento è un’esperienza sociale: in questa fase sono compresenti nuove coppie di
bambini – genitori, oltre ai bambini già frequentanti. Compito non facile dell’educatrice è quello
di tutelare il benessere del gruppo cercando di dare a tutti attenzione e spazio. L’educatrice non
può fare conto su soluzioni preconfezionate, ma deve saper leggere la situazione in tempo reale e
fare proposte assumendosi dei rischi; ciò che accade è imprevedibile, a volte emergono difficoltà,
altre volte le cose vanno lisce.
   Al Centro per le famiglie l’attenzione delle educatrici nei confronti dell’adulto e del bambino è
soprattutto quella di fare sentire la nuova coppia a proprio agio con il gruppo già frequentante.
Il segnale che l’ambientamento è riuscito viene dai bambini quando, soprattutto quelli che fre-
quentano il Centro con maggiore regolarità, si affidano naturalmente alle educatrici. A quel punto
gli adulti che li accompagnano possono dedicare la loro attenzione ad altro o ad altri, intrecciare
relazioni e collaborare alle attività.

  Bambini e Bambine
   Il Servizio Infanzia ha stima dei bambini. L’espressione “avere stima del bambino”, inconsueta
in riferimento ai più piccoli, da molti anni rappresenta il motto dei servizi, il criterio sottostante
alle scelte educative. Avere stima del bambino vuol dire portare alla luce quello che c’è in lui,
valorizzare le sue potenzialità, mettersi all’ascolto delle sue emozioni, senza cercare di “sedarle”.
   Con i più piccoli verrebbe più naturale usare verbi affettivi come amare; il verbo stimare ag-
giunge qualcosa d’importante al volere bene: dare ai bambini il giusto spazio per crescere. Que-
sto è indispensabile non solo per chi svolge il lavoro educativo, ma anche per i familiari. Potere
fare questo insieme, genitori e operatori, è il valore inestimabile dei servizi per la prima infanzia.
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  Alla base dell’alleanza educativa tra i servizi e le famiglie c’è dunque l’idea che il bambino
abbia soprattutto bisogno di essere visto, non esaudito; che volergli bene non significa (solo)
proteggerlo, ma fidarsi di lui, dargli la possibilità di sperimentare, di diventare quello che è, non
quello che vorremmo che fosse.
  L’individualità di ogni bambino e di ogni bambina nei servizi è al centro dell’attenzione e trova
spazio per esprimersi grazie a un contesto relazionale di gruppo attento a evitare gli stereotipi,
che dà a tutti le stesse opportunità per esprimere le proprie peculiarità.

     Il bambino è competente
    La stima nei confronti dei bambini si fonda sul riconoscimento della loro competenza.
Il concetto di bambino competente, affermatosi da tempo nel dibattito teorico, è trasversale alle
prassi dei servizi. Il bambino ha un’innata attitudine a risolvere problemi e a raggiungere obiettivi.
Nel periodo di chiusura dei servizi si è avuta la piena (e anche un po’ sorprendente considerata
l’eccezionalità della situazione) conferma di questa capacità dei bambini (vedi “Lontani ma vici-
ni” cap. “Tessere una nuova tela”).
   In riferimento al bambino piccolo il termine competenza va dunque interpretato come poten-
zialità reale che può essere portata alla luce, attivata grazie alle interazioni con altri bambini e
con altri adulti. Queste risorse sono presenti nei bambini se sono messi in condizione di scegliere,
se si dà loro l’opportunità di appropriarsi e di interiorizzare le esperienze rispettando i loro tempi.

     È COMPETENTE NELLE RELAZIONI SOCIALI
   Nei servizi il bambino fa parte di un piccolo gruppo, eterogeneo per età, con il quale condivide
l’esperienza della crescita.
  Stare con gli altri è una delle competenze del bambino, che, anche se piccolo, ha le risorse
necessarie per vivere positivamente le relazioni, ed è in grado di affrontare nuove situazioni, di
avere un ruolo attivo, di “collaborare” con gli adulti.
  Per i bambini imparare a relazionarsi con gli altri è più semplice nei servizi che a casa, perché
qui devono costantemente misurarsi con il gruppo e la scansione dei tempi definisce in modo
chiaro ciò che possono o non possono fare.
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   Tra le competenze relazionali, la capacità di affrontare il conflitto è fondamentale. I servizi non
sono un piccolo mondo ideale. Stare con gli altri è un piacere e una fatica: ci sono conflitti, litigi,
frustrazioni che bisogna imparare ad affrontare.
   E i bambini sono piccoli esseri umani della stessa sostanza dell’adulto. L’aggressività fa parte
della natura umana, è un modo per conoscersi e mettersi alla prova. I bambini che nei servi-
zi hanno esperienze di socializzazione precoce, acquisiscono una buona base per imparare da
adulti a gestire i conflitti.
   I bambini non hanno ancora la capacità di portare il conflitto sul piano verbale, così il conflitto
diventa fisico: mordono, tirano i capelli, strappano di mano i giochi agli altri.
   Il conflitto è anche con l’adulto, a causa della regola, del limite, e, più in generale, per la fatica
di stare in un gruppo e l’impossibilità di vedere esauditi subito i propri desideri. L’educatrice in
queste situazioni dà un sostegno emotivo, si astiene dall’intervenire a difesa o dal dare ragione
a una delle parti, fa notare che esistono diversi punti di vista, lasciando il tempo ai bambini di
trovare una soluzione perché sa che sono in grado di farlo.

   È COMPETENTE NEL DIVENTARE AUTONOMO
  I bambini possono diventare autonomi e imparare ad affrontare serenamente le esperienze
della vita solo se si dà loro fiducia. Cercare di trattenerli troppo vicini a noi per proteggerli o avere
un atteggiamento troppo tutelante è un segnale di disistima nella loro possibilità di farcela.
   La quotidianità dei servizi è caratterizzata dal susseguirsi di momenti di gioco e di routine, che
facilitano il bambino nella sperimentazione e conoscenza di sé, dell’altro e della realtà che lo
circonda. I momenti di routine e i rituali, proposti sempre negli stessi spazi e con la medesima
sequenza temporale, trasmettono sicurezza e stabilità al bambino, che così può sentirsi pensato
e protagonista.
   Al nido e al centro prima infanzia, “l’Isola di felicità” è la parte della giornata che il bambino
vive con la figura di riferimento nel piccolo gruppo. Si struttura attraverso l’esperienza del pasto
(o spuntino), del cambio, del sonno e dell’isola di intimità, durante la quale l’educatrice propone
ai bambini oggetti e giochi che possono incontrare solo lì, unici, segreti e speciali, in modo tale
che diventino evocativi per i bambini e per la storia del gruppo.
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   Fin dai primi giorni di lockdown le educatrici hanno attinto all’esperienza dell’ “Isola di felicità”
sia evocandola ai bambini per mantenere i legami con loro sia per passare ai genitori l’importan-
za della scansione del tempo a casa.
   Il pasto e lo spuntino fanno parte delle routine. Il rapporto con il cibo e l’alimentazione ha
un’alta valenza educativa. Per questo nei nidi il pasto con i coetanei e la figura di riferimento è
un momento molto curato nella strutturazione e organizzazione dello spazio: tutti i bambini sono
seduti ai tavolini allo stesso livello con l’educatrice, anche i più piccoli. Ciò permette scambi tra
i bambini e con l’educatrice, dà la possibilità di scoprire la piacevolezza nella relazione col cibo
e sviluppa l’autonomia.
    Gli stessi criteri sono utilizzati per favorire le autonomie primarie. Il cambio è un momento di
cura tutelato, intimo, l’ultimo affrontato con i genitori nell’ambientamento perché riguarda la de-
licata relazione dell’educatrice con il corpo del bambino. Anche qui il gruppo svolge una funzione
importante perché il bambino apprende dagli altri per imitazione come diventare autonomo. Il mo-
mento in cui togliere il pannolino è deciso insieme alla famiglia rispettando i suoi tempi. Dovendo
oggi indossare durante il cambio dispositivi di protezione che coprono le mani, il volto e tutto il
corpo, le educatrici hanno trovato nell’ironia la possibilità di far vivere ai bambini positivamente
l’intimità di questo momento (vedi lettera “h” - humor).

     È COMPETENTE NELL’ESPLORARE E NEL FARE
   La giornata dei servizi è caratterizzata dal susseguirsi di momenti di gioco, oltre che dalle
routine. Giocando il bambino sperimenta e ha l’opportunità di conoscersi, di conoscere l’altro e
la realtà che lo circonda.
  Le educatrici incoraggiano i bambini, senza anticiparli, a provare curiosità e a esplorare l’am-
biente dove sono presenti spazi e materiali che possono utilizzare, creare e trasformare. Il bam-
bino piccolo “sente” la realtà che lo circonda con tutti e cinque i sensi e utilizza più canali per co-
municare con gli altri bambini e con gli adulti (vedi alle lettere “m” – materiali e “p” – proposte).
  Dopo il lockdown, l’aumento delle proposte all’aria aperta ha ampliato le possibilità di esplo-
razione e sperimentazione offerte ai bambini (vedi lettera “o” - outdoor).
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    Condivisione
   Le caratteristiche dell’ambiente, l’approccio alla cura e all’educazione dei bambini sono l’esito
del lavoro quotidiano di condivisione con le famiglie e tra gli operatori. Nell’Alfabeto del Servizio
Infanzia, il termine Condivisione ha un significato molto preciso e concreto. Condividere è più
che lavorare insieme, partecipare a riunioni, confrontarsi, fare colloqui, scambiarsi conoscenze e
informazioni. Condividere è, in senso fedelmente etimologico, il metodo 2 , la strada maestra nella
costruzione dell’alleanza educativa con le famiglie e tra gli operatori.
  Ma la strada della condivisione è stretta. L’autentica condivisione implica la reciprocità; richie-
de la disponibilità ad accogliere il punto di vista dell’altro anche quando mette in discussione le
nostre certezze, a mediare, a tenere al centro l’obiettivo comune.
   Il linguaggio utilizzato nei servizi è un chiaro rilevatore della capacità effettiva, e non solo
nominale, degli operatori di condividere; per questo nella formazione si è dedicato e si dedica
molta attenzione allo stile comunicativo tra colleghi e con le famiglie. Ad esempio, un “indicatore
di condivisione” rilevabile nel linguaggio degli operatori è l’attenzione a sostituire l’espressione
“i miei bambini” con “i bambini del gruppo, i bambini che fanno l’Isola con...”. Questo non è un
dettaglio formale, ma è l’esito del continuo lavoro di confronto.
  Inoltre, nei servizi per i più piccoli, che ancora non parlano o hanno a disposizione poche
parole per esprimersi, gli operatori devono avere cura del linguaggio verbale e non verbale sia
nel comunicare sia nell’ascoltare, sforzarsi di comprendere quello che sta dietro una parola o un
gesto. Anche durante la chiusura la comunicazione è stata oggetto di grande attenzione: ogni
parola e immagine è stata scelta con cura e sono state utilizzate diverse modalità comunicative
per mantenere aperta la relazione con le famiglie.

	La parola metodo deriva dal greco μέϑοδος, metà (dopo), odòs (cammino), l’andare dietro per ricercare,
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  investigare, quindi anche la “strada che porta oltre”.
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Ma forse l’indicatore più significativo dell’autentica condivisione è la sorpresa, ovvero l’esperien-
za che facciamo quando permettiamo all’altro di mostrarci il lato della realtà che dalla nostra
posizione non siamo in grado di vedere. In questo i bambini sono naturalmente maestri, a patto
che ci sforziamo di conoscerli per quello che sono, curiosi di scoprire la novità che portano,
consapevoli del fatto che sono un mistero.
  C’è infine un ambito di condivisione che nel tempo ha assunto sempre più importanza, quella
della collaborazione con le realtà del territorio, a cominciare da quelle del quartiere.

     Condivisione con le famiglie
   La condivisione con le famiglie è sicuramente uno degli assi portanti del Servizio Infanzia, che
le accoglie all’insegna della disponibilità e della cura.
  Condividere non vuol dire fare le stesse cose, ma guardare nella stessa direzione, lasciando a
ognuno la possibilità di scegliere il proprio itinerario. La direzione in cui guardare insieme è quella
che porta alla felicità dei bambini. I bambini felici non sono quelli che le hanno tutte vinte, ma
quelli che sono educati da adulti che hanno fiducia in loro, bambini che, sperimentando la fatica di
accettare i limiti, scoprono le proprie competenze e imparano a costruire buone relazioni con gli altri.
   La sfida per gli operatori dei servizi e per le famiglie è molto ambiziosa: condividere esperien-
ze di crescita. Alla fine del percorso, il bambino avrà un suo “zainetto” di esperienze da portare
sempre con sé. Avrà imparato a fare da solo molte cose, avrà imparato a stare con gli altri, a
condividere spazi e relazioni, a far propri ambienti e regole diverse. A volte i genitori raccontano
che hanno deciso di iscrivere il bambino per fargli un regalo, donargli un’opportunità di crescita
in più. Ma se gli adulti sono davvero disponibili a condividere l’esperienza che i bambini vivono
nei servizi, hanno loro stessi l’opportunità di ri/scoprire la felicità e la fatica di crescere.
  Condividere con la famiglia significa ascoltarla e accoglierla com’è (vedi lettera “f” – famiglie).
La sua storia, le emozioni e i sentimenti di piccoli e grandi trovano spazio non solo nei momenti
programmati, ma anche nei gesti semplici di quotidiana attenzione.
  L’operatore è mosso da una sana curiosità, sostantivo che ha la stessa radice della parola cura.
Curiosità è una delle parole chiave del Servizio Infanzia: è un invito ad aprirsi alle diversità, a
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cercare di cogliere i bisogni di ogni famiglia facendo in modo che possa integrarsi in modo attivo
nel servizio frequentato. Per condividere è necessario parlarsi, curare la conoscenza reciproca, lo
scambio quotidiano. Una relazione nella quale il genitore e l’operatore si sentano a proprio agio
nel chiedere o proporre è possibile a condizione che ci sia un riconoscimento reciproco, nella
diversità dei ruoli e delle competenze.
  Per questo gli operatori non si limitano a informare i genitori su come funzionano i servizi, ma
esplicitano il perché delle scelte educative e organizzative, spiegano i principi e le motivazioni
che guidano l’azione educativa, lasciando alle famiglie la libertà di avvalersi del loro sapere
secondo i propri interessi e desideri.
   Condividere comporta essere corresponsabili, fare un patto educativo, com’è avvenuto nella
riapertura (vedi “Lontani ma vicini” cap. “Tessere una nuova tela”), per vivere positivamente l’e-
sperienza di comunità. L’ambiente del servizio e quello della casa hanno regole diverse. La ne-
cessità di adattarsi nella quotidianità a regole differenti non va vista come un problema ma come
un’occasione. All’interno della relazione tra genitori e operatori la distinzione dei ruoli non signifi-
ca lontananza, ma rappresenta piuttosto una linea di partenza per costruire ponti per incontrarsi.
  Vedere che genitori e operatori si parlano, collaborano, si confrontano con piacere, è uno sti-
molo positivo per la crescita del bambino, perché questo lo fa sentire protetto, circondato da
adulti che hanno fiducia reciproca. Solo con l’esempio si può trasmettere al bambino un’imma-
gine positiva e piacevole della vita adulta, incentivandolo così a diventare “grande” perché non
solo “piccolo” è bello.
   Il dialogo tra adulti consiste in una continua ricerca di equilibrio tra i bisogni del bambino,
della famiglia e le esigenze organizzative del servizio. Insieme s’individuano le possibili rispo-
ste. Questo avviene sia nell’incontro quotidiano sia in ambiti di condivisione dedicati utilizzando
strumenti specifici.

   IL PRIMO INCONTRO CON IL NIDO E IL CENTRO PRIMA INFANZIA
   Le famiglie interessate possono venire in qualsiasi momento a conoscere i servizi. Fin dal
primo incontro il servizio cerca di stabilire con la famiglia una relazione caratterizzata dalla
trasparenza, dalla fiducia e dalla curiosità reciproca.
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   Nel colloquio con la coordinatrice i genitori ricevono le prime informazioni. Oggi la possibilità
di visitare gli ambienti è molto limitata, quindi la presentazione degli spazi è virtuale, affidata al
racconto delle immagini.
   Una volta che i bambini sono iscritti nella lista d’attesa, le educatrici cominciano ad allacciare
i rapporti con le famiglie, facendo visite a casa ai bambini o con contatti telefonici.

     LA COMUNICAZIONE E LA CONDIVISIONE QUOTIDIANA
   Negli scambi quotidiani con le famiglie si cerca di parlare non del o sul bambino ma con il
bambino, coinvolgendolo nel racconto. Portare a casa un segno di ciò che il bambino ha vissuto
nella giornata (un sacchettino con la terra dell’orto, una scatolina con qualche piccolo tesoro, …)
aiuta a “tenere il filo” che lega il servizio e la casa.
   Alcuni strumenti aiutano i familiari in questi passaggi: le bacheche, i diari di bordo, le foto
delle attività, le tracce del materiale usato nel gioco. Tutto offre uno spunto perché il bambino
possa raccontare ai genitori le sue nuove esperienze. In questo modo la quotidianità che si vive
al servizio è non solo visibile, ma anche fruibile a distanza da parte della famiglia.
  Nei nidi e nel centro prima infanzia il tempo in cui all’arrivo il familiare e il bambino si
salutano e il tempo in cui si ritrovano rappresentano due momenti intensi. Nel ritrovarsi dopo
alcune ore i fili si riallacciano e l’educatrice “passa” al familiare ciò che è accaduto durante la
giornata perché l’esperienza non s’interrompa sulla soglia del servizio ma possa continuare,
pur in modi diversi, anche a casa. Nell’organizzazione Covid-19 è possibile sostare solo sulla
soglia della stanza per breve tempo, quindi il racconto della quotidianità, lo scambio di infor-
mazioni, l’ascolto dei bisogni, le comunicazioni sulle conquiste e sulle ansie della giornata
non possono più avvenire in presenza.
   Nonostante le limitazioni, però, resta valido il patto di fiducia con le famiglie secondo il
quale si dicono le cose come stanno e si chiede quello che interessa senza avere timore. La
trasparenza nella relazione è mantenuta e si sono trovate nuove modalità per far “entrare” i
genitori nei servizi.
  È stato creato, infatti, un “diario di bordo” su whatsapp, dove si condividono parole e immagini
della giornata al nido, che si è rivelato molto efficace dal punto di vista comunicativo (vedi lettera
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“s” – strumenti, diario di bordo), e non solo ha evitato che si perdesse il momento del “passaggio
di consegne”, ma anzi ha intensificato gli scambi e ha reso i genitori ancora più partecipi della
vita dei servizi.
   Anche i bambini hanno “rivisitato” il momento del saluto e i rituali che ad esso erano connessi
inventando una loro nuova ritualità.

   I COLLOQUI
   Il colloquio è un momento privilegiato di confronto e scambio tra educatrice di riferimento e geni-
tori, dove è possibile ricomporre i punti di vista del servizio e della famiglia per avere una conoscen-
za più ampia del bambino e per comprendere meglio ciò che ciascun bambino sta vivendo.
   Il colloquio è un atto di “curiosità reciproca”, nel senso della cura, un’occasione per “nutrire” la
relazione con la famiglia, a cominciare dalle domande: “Come va?”, “Come stai?”.
  Le differenze che emergono dai racconti delle educatrici e dei genitori non rappresentano un
campanello di allarme, ma, al contrario, indicano la capacità del bambino di ambientarsi in con-
testi diversi. Il bambino, infatti, spesso mostra competenze diverse quando si trova nel servizio e
quando si trova a casa. Sono ricorrenti, ad esempio, le frasi: “Ah, ma qui lo fa? Davvero è capace?”.
  Nel colloquio è sempre presente, anche se non fisicamente, il gruppo di lavoro. L’educatrice
prepara il colloquio con le colleghe per predisporsi all’ascolto dei genitori con più elementi di
conoscenza sulla situazione, portando il pensiero del gruppo educativo.
   Quando il colloquio viene richiesto dal genitore perché è in difficoltà, l’ascolto è in primo luogo
finalizzato a comprendere la domanda: da che cosa è generata? nasce da elementi oggettivi
o da percezioni? Lo scopo non è mai stabilire quale sia la “verità”, ma raccogliere elementi e
informazioni per comprendere la situazione. La cosa più importante è porsi e porre domande non
giudicanti, che non rinchiudano l’altro in una definizione (es. quella mamma è ansiosa...) ma che
veicolino autentico interesse, sana curiosità.

   LA RIUNIONE CON I GENITORI
  La riunione con i genitori è un ambito di condivisione in cui tutti sono invitati a essere pro-
tagonisti e chi lo desidera può condividere una parte della propria esperienza di genitore. Sono
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momenti in cui il tempo condiviso è intenso e aiuta a sentirsi parte di un gruppo. I genitori
partecipanti attraversano la stessa fase della vita, quindi si possono riconoscere e rispecchiare
nell’esperienza dell’altro, condividere spunti e idee, scoprire le proprie risorse e potenzialità, co-
struire relazioni di “buon vicinato”, sostenersi reciprocamente. Lo stile comunicativo è quello dei
colloqui: si privilegiano le domande alle definizioni, i suggerimenti alle prescrizioni.
   Grazie all’esperienza del lockdown si è messa a punto una modalità di incontro con le famiglie
che è un mix di remoto e concretezza. L’utilizzo della tecnologia ha rappresentato un incentivo alla
partecipazione dei genitori perché ha “aumentato” le opportunità di conoscenza, confronto, e ha raf-
forzato il senso di appartenenza a un gruppo che sta attraversando le stesse esperienze e al servizio.

     Condivisione tra gli operatori
   La condivisione tra operatori è costitutiva del lavoro educativo nei servizi e richiede un costan-
te impegno organizzativo, tempo e metodo. Progettare, verificare, trovare soluzioni ai problemi,
ideare nuove proposte è un lavoro collettivo, efficace solo se continuativo.
  Quando un’educatrice lavora con uno o più bambini, non è mai del tutto sola perché agisce e
pensa in relazione con le colleghe. Ogni educatrice, infatti, indipendentemente dal ruolo che ha
nel gruppo di lavoro, è un punto di riferimento per la lettura di ciò che accade e per la definizione
delle ipotesi e delle modalità di intervento.
   Per questo il Servizio Infanzia considera il tempo dedicato alla condivisione tra gli operatori
non solo un costo ma un investimento indispensabile per offrire ai bambini e alle famiglie servizi
di qualità. E per questo Il lavoro educativo nei servizi è sempre stato sostenuto dall’Amministra-
zione con percorsi formativi e di supervisione.
   La formazione utile a qualificare la professionalità degli operatori è quella che consente loro
di convertire le conoscenze e gli approfondimenti in metodo di lavoro, ovvero nella capacità di
comprendere e di intervenire in risposta alle domande sempre più complesse di bambini, adulti
e territorio. (vedi “Lontani ma vicini” cap. “Da un capo all’altro del filo”)
  La supervisione permette alle educatrici di soffermarsi a riflettere in particolare sulle difficoltà
che vivono nella quotidianità del servizio. Ha una valenza altamente formativa perché consente
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di riflettere sulle proprie caratteristiche personali, e contemporaneamente di potenziare le abilità
interpersonali e di ampliare/aggiornare il proprio bagaglio culturale.
   Anche nell’organizzazione Covid-19, la scelta di costituire gruppi “bolla” di quattordici bambini,
anziché gruppi separati di sette bambini, risponde alla volontà di consentire alle educatrici di
non lavorare isolate. In questo modo, infatti, la compresenza nella “bolla” di due educatrici di
riferimento, affiancate nel pomeriggio da una terza educatrice, consente di dedicare attenzione a
ogni singolo bambino e nello stesso tempo di avere uno sguardo collettivo sul gruppo. I bambini,
dal canto loro, grazie alla relazione privilegiata con l’educatrice di riferimento che li rassicura,
hanno la possibilità di vivere esperienze e proposte diversificate (giochi, laboratori, incontri...) in
un contesto relazionale stimolante per la presenza dei compagni e di più adulti.
   Il gruppo di lavoro del Centro per le famiglie è formato da educatrici presenti in coppia durante
le aperture. Il fatto che le educatrici provengano da servizi diversi è un modo per promuovere la
collaborazione tra gli operatori per “contaminazione diretta” e nello stesso tempo per far conoscere
alle famiglie i servizi comunali per la prima infanzia tramite le persone che vi lavorano.

    Collaborazioni con i servizi e le realtà del territorio
   Negli ultimi anni è avvenuto un significativo cambiamento nelle collaborazioni tra il Servizio
Infanzia e le realtà del territorio: da una visione frammentata, secondo la quale a una domanda
corrisponde una risposta specializzata, si è via via passati a una visione reticolare, dove i bisogni
delle famiglie con bambini piccoli e dei cittadini sono interconnessi, e le risorse per soddisfarli,
presenti nella rete delle relazioni, possono essere attivate e messe in circolo.
   Questo salto qualitativo è stato favorito dall’adesione dei servizi comunali per la prima infanzia
ai “Patti di comunità”3 dei quartieri di San Giovanni e di Pescarenico, sottoscritti da realtà istitu-
zionali e del privato sociale.

	Con deliberazione N. 223 del 24 novembre 2016, la Giunta Comunale del Comune di Lecco ha approvato “I patti
3

  di comunità”, strumento per definire le collaborazioni tra il Comune di Lecco, realtà istituzionali, del privato
  sociale e privati cittadini attraverso interventi sociali nei quartieri della città. I soggetti sottoscrittori s’impe-
  gnano a realizzare concrete azioni a sostegno di persone e famiglie in difficoltà per la mancanza di lavoro,
  per problemi economici e abitativi, o, più in generale, in situazione di disagio e/o di vulnerabilità sociale.
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   Accanto al patto di comunità, naturalmente continuano le collaborazioni del Servizio Infanzia
con I Servizi dell’Area Politiche Sociali, con i servizi specialistici e l’ATS, con le scuole secondarie
di secondo grado e università. Inoltre, il Servizio Infanzia del comune di Lecco coordina il Tavolo
dei servizi per la prima infanzia dell’Ambito distrettuale di Lecco.

     desiderio
   La nascita di un bambino in una famiglia è forse il momento della vita più carico di desideri.
Ma il desiderio non è prerogativa dei familiari; anche gli operatori dei servizi per la prima infanzia
sono mossi dal desiderio quando accolgono il bambino e i suoi genitori con la curiosità che si
riserva a persone nuove da conoscere.
  La professione educativa non è pura tecnica: il buon educatore non può portare alla luce ciò
che non è ancora se non è mosso dall’energia vitale del desiderio.
  Nel Servizio Infanzia dunque i desideri dei genitori e degli operatori s’intrecciano. Così il bam-
bino impara letteralmente e metaforicamente a camminare sostenuto da ciò che questo incontro
genera ogni giorno: scoperte, conquiste, fatiche. E questa - tra le tante buone ragioni a favore
della scelta di un servizio per la prima infanzia - non è una motivazione di poco conto.
   L’affetto per i bambini, la volontà di essere una risorsa per le famiglie, la disponibilità a met-
tersi in discussione e la disposizione ad aprirsi al nuovo sono dimensioni del desiderio costitutive
della cultura del Servizio Infanzia, che, durante il lockdown, in una situazione eccezionale, hanno
attivato la capacità di resilienza del gruppo di lavoro.
   Nella determinazione a mantenere i legami con i bambini e con le famiglie gli operatori hanno
trovato la motivazione per non fermarsi davanti alle difficoltà, per trovare nuove soluzioni, per
restare fedeli alla propria l’identità professionale.
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  educazione
  Nell’Alfabeto del Servizio Infanzia la lettera “e” è scritta in evidenza per indicare che è presente,
da diversi punti di vista, in tutte le parole che hanno come iniziali le altre lettere.
   L’educazione nell’età della prima infanzia è indissolubilmente connessa alla cura. Un buon
lavoro di cura è precondizione per un buon lavoro educativo. Compito dell’educatrice è quindi
quello di ricercare un bilanciamento tra il codice della cura e il codice delle regole e dell’autono-
mia, tenendo conto delle tappe evolutive e delle peculiarità individuali di ogni bambino.
  Nell’interazione educativa con i bambini piccoli la dimensione corporea, venuta meno nel
periodo di chiusura dei servizi, è essenziale. In particolare, la presenza fisica e gli sguardi
sono fondamentali. Il contatto fisico calma i bambini, li fa sentire protetti e rassicurati, li inco-
raggia all’azione. Il bambino impara a conoscere se stesso e il mondo circostante nell’azione,
entrando in contatto con la realtà tramite il corpo. Il contatto fisico che coinvolge i cinque
sensi e il movimento sono indispensabili per formare la capacità simbolica, di astrazione, per
imparare a pensare.
   Un altro aspetto distintivo dell’educazione è la sua natura sociale. Nel servizio per la prima
infanzia l’appartenenza a un gruppo rappresenta una formidabile risorsa per l’apprendimento e
per la conquista dell’autonomia da parte del bambino piccolo (vedi lettera “B” – Bambino).
  Educare è un’esperienza sociale anche per gli adulti: la sola famiglia non basta. Oggi si parla
sempre più spesso della necessità di “comunità educanti”, ma non sono molte per le famiglie con
bambini piccoli le concrete opportunità di far parte di una comunità educante. Il Servizio Infanzia
desidera esserlo, prestando attenzione, in ogni sua azione e progetto, a favorire le relazioni e le
connessioni tra le persone.
   Anche se non è la stessa cosa guardarsi negli occhi direttamente e attraverso uno schermo,
nel periodo di chiusura i servizi hanno cercato di mantenere viva la presenza della comunità
educante e di “trasferire”, per quanto possibile, ai genitori nelle case le attenzioni educative
offrendo strumenti e chiavi di lettura.
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   L’evento della pandemia è di tale portata che il suo impatto in ambito educativo non può esse-
re ignorato o sottovalutato. Questo accresce la responsabilità educativa del Servizio Infanzia nel
dar voce ai bambini affinché le famiglie, travolte da questo evento, non perdano di vista i sogni
dei bambini, insieme ai loro bisogni e alle loro fatiche.

     famiglie
   Destinatario dei servizi non è solo il bambino ma il nucleo familiare al quale appartiene, formato
dai genitori e dagli altri familiari che si occupano di lui. Il Servizio Infanzia accoglie ogni famiglia con
le sue particolarità, la sua storia, che per un tratto si augura possa essere scritta insieme.
   Oggi è d’obbligo parlare di famiglie al plurale: nell’arco di pochi anni la fisionomia della fami-
glia è molto cambiata per quanto riguarda la composizione del nucleo familiare (ci sono famiglie
mononucleari, allargate, ricomposte...). Anche la tipologia di famiglie che frequentano i servizi
per la prima infanzia del comune di Lecco è varia, ma tutte hanno in comune l’esperienza di
diventare genitori.
  I servizi si mettono dunque al fianco dei genitori e chiedono loro innanzitutto che cosa deside-
rano per il proprio bambino. Diventano così una sorta di primo “specchio” nel quale le famiglie si
possono osservare mentre iniziano a trasmettere il proprio patrimonio di identità, idee e valori ai
bambini, nella diversità dei ruoli e degli intrecci, a volte complessi, di relazioni.
   L’alleanza che il Servizio Infanzia costruisce quotidianamente con le famiglie è improntata,
come avviene con i bambini, alla stima. Stimare i genitori significa dare loro spazio, riconoscere
le loro competenze, valorizzare le loro risorse, partendo sempre dalla positività, senza negare i
problemi. Il racconto “Lontani ma vicini” offre più esempi di come i servizi tengano conto in con-
creto delle diverse caratteristiche delle famiglie, facendo proposte fruibili secondo gli interessi,
attente alle differenze culturali e di visione della cura del bambino.
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   Per il riconoscimento delle competenze e dei ruoli di ognuno è essenziale la fiducia reciproca.
Per questo gli operatori sono attenti a non far sentire giudicate le famiglie, a non dare soluzioni
“dall’alto” del proprio ruolo professionale, ma cercano di mantenere lo sguardo all’altezza degli
occhi dei genitori; sanno infatti che se ciò che propongono non entra nel campo visivo dei geni-
tori, non è efficace. Ciò non significa astenersi dall’offrire la propria lettura della situazione o dal
dare indicazioni educative, ma vuol dire tenere conto di quanto l’altro sia pronto ad accogliere,
perché non è importante avere ragione ma tenere aperta la relazione.
   I criteri e gli ambiti di condivisione con le famiglie descritti alla lettera “C” cercano di tradurre
nella quotidianità l’idea che i genitori - e in senso più allargato i familiari - possono essere prota-
gonisti della crescita e dell’educazione dei propri bambini anche in tempi complessi come quelli
attuali nei quali, come il Covid-19 insegna, stanno avvenendo cambiamenti del tutto inediti.

  gruppo
  Lavorare in gruppo e come gruppo sono competenze professionali considerate indispensabili dal
Servizio Infanzia. Questo metodo di lavoro non solo aiuta a superare la concezione individualistica
dell’educazione centrata sulle caratteristiche di ogni singola educatrice, ma offre la possibilità di
conoscere in modo più approfondito i bisogni dei bambini e delle famiglie e di definire un progetto
educativo rispondente alle loro esigenze e caratteristiche.
   Quanto più gli operatori sono capaci di condividere e confrontarsi tra di loro (vedi lettera “C” – Con-
divisione), tanto più è possibile tenere conto dell’unicità di ogni singolo bambino e nucleo familiare e
nello stesso tempo valorizzare la soggettività e le competenze di ogni educatrice.
   Il confronto all’interno del gruppo di lavoro è finalizzato alla comprensione dei problemi più che
alla ricerca immediata di spiegazioni o di soluzioni. Nel contesto tutelato del lavoro di gruppo c’è
spazio per il racconto dei vissuti degli operatori, delle loro emozioni e motivazioni affinché possano
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essere elaborate. L’osservazione “immacolata” non esiste: ciascuno di noi usa nel leggere la realtà
dei filtri che derivano dalla storia personale, e il confronto contribuisce a chiarificare le posizioni e a
trasformarle in risorsa approdando ad una lettura a più voci della realtà.
   Il lavoro delle educatrici è orientato da un pensiero fortemente ancorato al ”fare educativo”, ovvero
a tutto quanto le educatrici osservano, vivono e sperimentano nella quotidianità.
  Dal contributo di ognuna, condiviso con le colleghe, nascono idee, riflessioni, richieste d’appro-
fondimento che gradualmente conducono alla definizione di nuovi orientamenti culturali e organiz-
zativi.
    L’impegno costante a restare focalizzati sull’obiettivo comune nel scegliere le priorità, a custodire
il tempo, a coltivare la riflessione, ad approfondire è molto più che un insieme di processi organizza-
tivi, è un modo per prendersi cura l’uno dell’altro. La vicinanza ai bambini insegna quanto sia vitale
per crescere ricevere cura.
   Il metodo del lavoro di gruppo viene utilizzato in ambiti che hanno differenti finalità e cadenze. Più
precisamente: incontri in plenaria di tutti operatori, dove si trattano temi trasversali ai quattro servizi;
incontri di sede, dove si affrontano aspetti educativi e organizzativi, o argomenti che riguardano la
collaborazione con gli altri servizi del territorio; incontri di piccolo gruppo, dove le educatrici si con-
frontano su quanto fatto e osservato nella quotidianità, progettano all’organizzazione delle attività;
gruppi di lavoro trasversali, composti da educatrici di ogni servizio e spesso un membro dello staff
di Servizio, che si formano quando è necessario realizzare progetti concreti (ad esempio, Fiaba a
specchio in “Lontani ma vicini”); incontri presso le sedi su aspetti operativi che, in una situazione che
limita la compresenza, rappresentano anche spazi di aggiornamento degli operatori.
   Durante la chiusura per il lockdown, questi ambiti di lavoro sono rimasti attivi. La necessità di
lavorare a distanza in gruppi formati da educatrici di servizi diversi ha intensificato e arricchito gli
scambi tra gli operatori, e ha dato la possibilità di trovare una sintonia più profonda sugli orienta-
menti culturali comuni.
   Con la riapertura dei servizi, il lavoro di gruppo ha assunto ancora più importanza. Ora si svolge sia
in presenza sia in remoto in tempi più compressi rispetto al periodo di lockdown. L’attenzione è foca-
lizzata in particolare sulla necessità di non perdere la capacità di coesione organizzativa e educativa
dei servizi, evitando il rischio che il Servizio Infanzia si trasformi in un “contenitore” di micronidi.
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