MILLE SOLI UNA NOTTE - NMBOOKWORLD

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MILLE SOLI UNA NOTTE - NMBOOKWORLD
MIllE SOLI
UNA NOTTE

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LORENZO ROTELLA

MIllE SOLI
UNA NOTTE

    1ª EDIZIONE

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I fatti, i personaggi rappresentati nell’opera, i nomi e i dialoghi ivi
 contenuti sono unicamente frutto della libera espressione artistica
dell’autore. Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti,
  persone, nomi, luoghi reali, istituzioni e giornali sono puramente
  casuali e non intenzionali. Essi sono trattati secondo la necessità
                       dell’elaborazione dell’opera.

                     Titolo: Mille Soli Una Notte
                     Pubblicato in Italia nel 2021
                       © 2021 Lorenzo Rotella

                 Raccolta Poetica di Lorenzo Rotella
        Testo a cura di Carmelo Cicero e Francesca Carbotti
       Copertina a cura di Nicolò Malatino e Davide Chiello
                Illustrazioni a cura di Davide Chiello

       Tutti i diritti riservati incluso il diritto di riproduzione
                integrale o parziale in qualsiasi forma.

                          Editore: N.M. Book
                           1ª edizione 2021

                       ISBN: 978-88-946215-7-0

                                    6
“Ad Antonio,

   che mi ha insegnato
    ad ascoltare i corpi
e splendere di luce altrui“

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IN VIAGGIO VERSO ITACA
            PREFAZIONE DI FELICIA BUONOMO

Fernando Pessoa scriveva: «Il poeta è un fingitore». Acco-
gliamo questo suo costrutto semantico e proviamo a svinco-
larci dalla dicotomia stretta tra significante e significato. Non
fingitore in quanto fuggitivo dalla terra della verità, da sem-
pre sinonimo di bellezza, ci ricorda John Keats («La bellezza
è verità, la verità è bellezza»). Fingitore in quanto bisognoso
di distaccarsi dall'Io lirico, per creare una realtà universale,
nella quale ogni lettore può e deve potersi posizionare, sia che
abbia avuto esperienze affini, sia soprattutto chi ne è avulso.
E allora “Mille Soli Una Notte” fa questo tipo di operazione:
racconta in versi una personale storia e lascia libero il lettore
di posizionarsi negli anfratti che reputa più confortevoli. Il la-
voro poetico fatto da Lorenzo Rotella è quello di elevare l'e-
sperienza della perdita – comune a molti, intrisa di uno
sguardo intimo e angosciante – in una rinascita, che parla di
amore, luoghi e viaggi che a essi ci conducono, vite presenti e
passate.
   Il linguaggio – in cui ricorre a più riprese l'enjambement,
come a spezzare il ritmo di un sentire che trasborda – è niente
affatto asciutto, perché l'esigenza di dire passa in Rotella

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dall'ansia di urlare un affanno di dolore che l'ha braccato e
probabilmente sempre lo stringerà nella piccola morsa della
memoria:

                  «Disperata cerchia di tormentati
                  ricordi, se non sarete salvati
                  come bestie al buio sparirete».

   Imprimere sulla pagina significa dare nuova vita all'espe-
rienza, allontanarsi da essa, evitare lo strapiombo delle emo-
zioni:

                  «Forse morire è stendersi sul prato
                  a contemplare il primo ricordo
                  inghiottiti dal sole»

    Non è una scrittura secca, quella di Rotella, perché umida
è la matrice genetica, ciò che l'ha generata. Ricorda il viaggio
verso Itaca di cui ci parla il poeta greco Kostantino Kavafis:
«Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che
la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze […]
Soprattutto, non affrettare il viaggio; / fa che duri a lungo, per
anni».
    Così come a tratti diventa “antica” la sua voce poetica, per-
ché il pianto generato dal male ha radici profonde e imper-
scrutabili, che Rotella ricerca in ogni angolo di mondo, anche
di un passato che non conosciamo, ma tentiamo di sondare,
spinti da curiosità, necessità, amore. Rotella usa le parole, e la
semantica che ne è sottesa, come se si muovesse in un fuori-
tempo. O meglio, in un fuori dal suo tempo. Sembra collocarsi
nella posizione dell’anti-contemporaneo, ma non cede mai –

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per nostra fortuna – allo sfoggio di erudizione. Non è virtuo-
sismo sterile, la sua voce poetica; al contrario, feconda il let-
tore di immagini e riflessioni. Parla, con i suoi versi, a un de-
stinatario collettivo. Ma, al contempo, si muove nelle regioni
profonde dell’io, fatte di «mostri che infettano la sana psiche»,
«ferite che abbagliano» e «sguardi di pietra nell'oscurità».
   E allora nella terra della disperazione e della speranza, in
oncologia, ci finisce un figlio di fronte all'immagine in un pa-
dre inedito; un figlio che legge Platone, ma finisce con lo stu-
diare cartelle cliniche, sottolineandone ogni sintomo. Un fi-
glio ancora impreparato, persino al principio della fine, che si
aggrappa così alla speranza della prosecuzione, come se con-
servare il martirio possa evitarci lo sguardo sulla realtà:

                   «Resto a terra e annuso
                   il profumo degli acari.

                   Hai smesso di soffrire
                   ma io no».

    Invitiamo il lettore, nell'affrontare questa opera prima, a
soffermarsi sulla ricorrenza dei termini. Ogni autore ha un'os-
sessione, che si imprime nella scelta delle parole e dei concetti
sottesi. Nel caso di Rotella ricorre – tra le altre – la parola de-
mone (entità intermedia tra il divino e l’umano, che influisce bene-
ficamente o maleficamente sulle azioni umane, secondo la defini-
zione di Treccani), che qui assume le sembianze dell'espe-
rienza – quindi ciò che è altro da sé – e in altri casi del sé più
intimo:

                   «Sarò il corpo che
                   mai arreso lima le

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sbarre della
                   gabbia.

                   Lupo nella tundra invernale.
                   Vermi nei giorni di pioggia,
                   Capisco quant’è ostile casa mia».

   Ma non è un soltanto un diario emotivo il viaggio in cui
Rotella ci accompagna, non è un esercizio per assecondare il
nostro innato voyeurismo sui sentimenti. È, al contrario, un
lavoro che si potrebbe paragonare alla tecnica dell'innesto in
agraria: Rotella, con le parole, fa crescere sopra la pianta del
suo dolore personale una parte di un altro individuo che tenta
di sublimarlo, con l'obiettivo di formare un uomo nuovo, che
generosamente consegna nelle mani del lettore.
I testi di Rotella denotano, nonostante la “condizione”
dell’esordiente, una certa idea di stile. Si intravede nella fili-
grana dei suoi versi una certa padronanza con la parola, anche
poetica. Lavora con le immagini, la caratteristica prima e im-
prescindibile della poesia. Rotella parla a quel noi in cui ci ri-
conosciamo, senza mai rinunciare al sé che guarda, sente ed
elabora, per mezzo del linguaggio poetico. Rotella sa farci
avanzare. Ed è quello che si augura alla sua poesia.

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LA NOTTE

(o dell’infausto giorno)

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Il peccato originale

Hai visto il cielo lassù?
È un mare vinto da navi bianche
senza paura di salpare
da nuvolosi porti.
Il sole feconda la luna
sopra torrenti atmosferici
a pochi attimi dall’alba.
I marinai inorridiscono nell’indaco
volando senza guardare giù.
Scordano la terra, ribolle il sangue
e navigano.
Forse morire è stendersi sul prato
a contemplare il primo ricordo,
inghiottiti dal sole.

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Sera cerulea

Sono le volte che l’ansia condensa
l'aria scappata da certi presagi
a gettarmi gelido sulle braci,
o angosciosa onda, riva immensa.
Il mar s'oscura nel ceruleo cielo dove il
sole affoga pellegrino, m'infuoca i sensi
un freddo siero: nel corpo di Abele
io sono Caino!
Disperata cerchia di tormentati
ricordi, se non sarete salvati
come bestie al buio sparirete.
Creato nel ghiaccio da tiepido fiato
sento negli occhi l’eco del Fato
e arcani vagiti dal fiume Lete.

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Morte in cielo così in terra

“Sono Urano, re del nulla
disarmato e senza potere.
Vasto impero, sudditi!
Idee dalle mille voci
ora ascoltatemi.
Osservate dai cieli la terra distrutta
sul cui suolo niente può trionfare”.
Così un’antica coscienza nel mio cuore
annuncia le navi che precipitano
a vele spiegate.
Nel cappuccio della felpa
fisso i vermi sotto la pioggia.
I ricordi si confondono nei fulmini,
l’oblio si fa tuono immortale.

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Murasame

Sulla riva del mare
ho scritto parole d’odio
col relitto di un naufragio.

Non sono nessuno.
L’acqua le ha cancellate.

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Giorno prima, giorno dopo

Nessun limite contiene gli individui.
Qualcosa mi trattiene all’inferno
ma entro sorretto da mani e piedi
con capelli bagnati d’acqua dolce.

Il dubbio che voltò Orfeo per amore
bussò alla porta di mio padre
per capriccio.
Il mondo transita nel vento.
La rabbia di un popolo assente
domina il vuoto del giorno.
Resistono le violette al sole
e ai passi della Nera Signora
golosa di bellezza da mietere.
Lavo il viso nell’odio
per ogni fiore reciso.
Il tramonto mi sommerge
giorno prima,
giorno dopo.

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Platone in oncologia

Darmi un tono con l’Iliade
senza mai andare
oltre la prima pagina
e conoscere il greco.
Assopito dal calore
in aule d’ovatta dura
isolate dagli affanni
sedati dal biancume
dei letti d’ospedale.

Leggo Platone per un esame
ma studio cartelle cliniche
e sottolineo ogni sintomo.

Cibo per la mia mente
e piatto prelibato.
“Ci vorrebbe solo
un po’ di sale” penso
e forse per questo
comincio a piangere,
mentre la flebo scorre
più veloce del Critone.

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Tu, ancora più isolato,
già di poche parole
e ancora meno per
esprimere
l’umiliazione
dell’uomo più forte del mondo.

Al secondo Alcibiade
mi svegli: “Andiamo”.
E andiamo, ancora.

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I colori della notte

Il vento porta la melodia del campanile
e disturba il mio silenzio in piazza.
Vedo il riflesso notturno dell’oro.
La città crolla,
esiste solo il mio respiro.
Una nota di ferro vibra sul petto,
melodia con cui il labbro
recita nenie nel deserto
rosso cremisi.
In quel silenzio odo mutare
i colori della notte.
Un cieco ha vesti color porpora
e sussurra: “Stanotte vedrai”.
I tre visi di Ecate
dea dei viandanti,
il sapore delle persone e
le parole sul capo dei vinti.
La spada di Damocle
col tuo nome inciso
è pronta a finirmi.
Un gigante ricoperto di alba
ha le chiavi del giorno

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per aprire il cielo.
Nell’anima si oscura tutto
mentre siede sul trono,
divorando il mio cuore e
lasciandomi sparso su una panchina.
Sono di nuovo io,
vuoto e senza paure.

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L’annunciazione

Quando le lacrime annunciarono la morte
rivolsi la mia energia nel pugno che sfondò
la vecchia lavatrice.
Troppo bianco era quel bagno
per darmi sicurezza.
Tremai
e vidi riflesso nell’oblò
il volto logoro di un figlio pavido.
Un flusso di pensieri vile.
E adesso cosa faccio?

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La prigione

Mostrami come un lago ghiacciato
sente d'inverno l'oscuro fondale.
Protegge il buio l'urlo animale
di un lattante che mai fu amato.

Ecate, una larva di luce
si trova negli abissi profondi
ed è il sole che dal ghiaccio conduce
l’infante, attraverso i due mondi.
Dea dei viandanti, narrami il viaggio
che affrontò ghermendo quel raggio
evocato al suono di Lei.
Cantami della prigione distrutta e
delle fiamme per bruciare l'inverno.
Guidami nel verde ardente
tra la neve e controcorrente
bruciando i pensieri miei
udendo la sua flebile voce
dalla silente foce

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dove il fuoco
goccia a goccia
sul viso arde atroce.

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6 gennaio

Nell’accurata veste dei tuoi anni illumini la stanza
stretta intorno al focolare.
Ai piedi del camino
ricordo i tuoi passi prima ancora
di conoscerne la parola.
Appeso al tuo braccio premuto contro il frigorifero,
tra risate e luci calde avevo panni asciutti
ora fradici di lacrime e sudore
al tuo fianco.
Respiri potente e
il mio dolore
ti prega di smettere,
con la mano che trema afferrando
la tua ormai gelida.

Resto a terra e annuso
il profumo degli acari.
Tu hai smesso di soffrire
ma io no.

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Istrice

Nella fanfara di raggi solari
lavo gli occhi in acciaio scintillante
coperto dall’alito di fumo e gelo.
Un bidone su cui appoggio il corpo roditore
fa da lapide alla mia libido.
Lacrime su carne viva
eiaculando il mio rifiuto
alla giovane notte.
Mani su giovani seni e su volanti avevo
prima di sfiorare la tua.
Tu hai smesso di soffrire
ma io no.

Ho paura persino di respirare
di fronte al prato ghiacciato
attaccato al muro.
Il sole è un aratro che solca il viso
e asciuga la brina sugli aculei.
Divino il sangue che sgorga
stringendomi fortissimo.
Un’alba straziante mi giura eterno amore.

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29
Ford Fiesta

Una scimmia soffiò sulle tue ceneri
formando un lupo con la nube nera
e salendo in groppa l’oscuro animale
ruggì potente alla luna elettrica
del campanile padano.
Dagli occhi saette e nel cielo l’oblio
di una garanzia furto e incendio
a soli diecimila euro.
Una firma
e il tuo corpo divenne motore
ruggente come il cuore
che non smise di battere
nel letto di morte.

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Cavalletta

Risorgi cavalletta tra segnali persi
e frequenze sdentate
resistendo all’autunno su rete verde
e dimorando sul balcone nero.
Vegli forse su di me pensando che io
possa scordarti?
Voli a fine inverno nel clamore
più intenso dei freddi colori.
Stendo il volto sul vetro che ci separa.
Ti guardo
e sei natura.

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