Legislazione e Giurisprudenza Comunitaria

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                    Legislazione e Giurisprudenza Comunitaria

             Caso “Apple”: il Tribunale dell’Unione europea
             annulla la condanna dell’Irlanda
             per violazione della disciplina sugli aiuti di Stato

                 Con sentenza del 15 luglio 2020 (1) il Tribunale Ue ha annullato la
             condanna inflitta dalla Commissione europea all’Irlanda per aver concesso
             vantaggi fiscali selettivi, considerati aiuti di Stato illegittimi, ad Apple Sales
             International e ad Apple Operations Europe, mediante due accordi di ruling
             stipulati nel 1991 e nel 2007.

                  All’origine della vicenda contenziosa vi sono gli accordi fiscali sottoscritti
             dalle Autorità irlandesi nel 1991 e nel 2007 con Apple Sales International
             (ASI) ed Apple Operations Europe (AOE), due branche dell’impresa mul-
             tinazionale californiana costituite in Irlanda.
                  La Commissione europea (2) aveva accusato il Paese del trifoglio di
             aver violato l’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
             europea (TFUE) per aver concesso trattamenti preferenziali ad Apple, qua-
             lificabili come aiuti di Stato, permettendo al gruppo di pagare un’aliquota
             effettiva sugli utili societari che è progressivamente diminuita dall’uno per
             cento nel 2003 allo 0,005 per cento nel 2014.

             a cura di Giuseppe Arbore, Generale di Brigata della Guardia di Finanza, Capo del III Reparto
             “Operazioni” del Comando Generale e di Paolo Consiglio, Colonnello della Guardia di Finanza,
             titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria, Capo Servizio Imposte Dirette e IVA dell’Ufficio
             Tutela Entrate del Comando Generale.
                   (1) Irlanda e a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16.
                   (2) European Commission, State aid SA. 38373 (2014/c) (ex 2014/nn) (ex 2014/cp) –
             Ireland – Alleged aid to Apple.
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                   Da qui, in virtù dell’art. 16 del Regolamento Ue 2015/1589 del 13 luglio
              2015, la condanna dell’Irlanda a recuperare gli aiuti concessi per un importo
              complessivo di 14,3 miliardi (tredici miliardi di imposte arretrate e 1,3
              miliardi di interessi); decisione, questa, che era stata impugnata sia da Apple
              che dalle autorità irlandesi, contrari a un rimborso che avrebbe compromesso
              i rapporti instaurati con l’azienda di Cupertino (3).
                   Per meglio contestualizzare la vicenda, è utile ricordare che, per il ri-
              conoscimento dello status di soggetto residente in Irlanda, rileva il luogo
              di costituzione della società (“incorporation”) oppure la localizzazione del-
              l’attività di gestione e controllo dell’impresa (“central management and
              control”). In generale, quindi, una società è considerata fiscalmente residente
              in Irlanda se è ivi incorporata o se il centro di gestione e controllo dell’impresa
              è ivi localizzato.
                   Tale regola veniva derogata, all’epoca dei fatti, dalla c.d. “trading
              exemption”, una disposizione che attribuiva prevalenza al criterio del “central
              management and control” rispetto a quello della “incorporation”, per le
              cc.dd. “relevant companies”, ossia le imprese la cui proprietà è riconducibile
              a soggetti residenti nell’Unione europea o in un Paese con cui l’Irlanda ha
              siglato un trattato contro le doppie imposizioni e che svolgono, direttamente
              o indirettamente, attività d’impresa o garantiscono un certo livello di “presenza
              fisica” sul territorio dello Stato irlandese. In sostanza, se la “relevant com-
              pany” non aveva il “central management and control” in Irlanda non era
              considerata ivi residente sul piano fiscale, anche se quivi incorporata.
                   È stata proprio l’applicazione della “trading exemption” a permettere
              a numerosi gruppi statunitensi di costituire, in Irlanda, società off-shore, al
              fine di canalizzare i profitti generati sui mercati internazionali in Paesi a
              bassa tassazione. Infatti, la mancata integrazione del “central management
              and control” in Irlanda non imponeva di individuare, in positivo, la giuri-

                   (3) Per approfondimenti sulle strategie fiscali del gruppo Apple si veda M. BREHM CHRI-
              STENSEN  – E. CLANCY, Exposed: Apple’s golden delicious tax deals. Is Ireland helping Apple
              pay less than 1% tax in the EU?, European United Left, European Parliamentary Group, 21
              giugno 2018.

              Rivista della Guardia di Finanza – n. 5 del 2020
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             sdizione dove questo era localizzabile. Posto che negli Stati Uniti, ai fini
             dell’attribuzione dello status di residente fiscale, rileva esclusivamente il
             luogo di costituzione dell’impresa (c.d. “entity’s place of formation”),
             società come Apple Sales International (ASI) ed Apple Operations Europe
             (AOE) erano fiscalmente “apolidi”, giacché non residenti né in Irlanda né
             negli Stati Uniti né in nessun altro Stato o giurisdizione (4).
                  Tali società detenevano – in forza di un accordo di ripartizione dei costi
             di ricerca e sviluppo – i diritti d’uso per la vendita e la fabbricazione dei
             prodotti Apple al di fuori del Nord e del Sud America (5), in cambio di con-
             tributi annuali (dedotti in Irlanda dalla base imponibile) corrisposti alla con-
             sociata statunitense che svolgeva le attività di R&S.
                  Gli accordi conclusi con l’Amministrazione finanziaria irlandese pre-
             vedevano che gli utili che ASI e AOE realizzavano in tutto il mondo venissero
             ripartiti (6) tra le branch irlandesi e la casa-madre. Tuttavia, la stabile or-
             ganizzazione insediata in Irlanda era priva di asset di valore e svolgeva fun-
             zioni meramente routinarie, mentre la titolarità del diritto d’uso della proprietà
             intellettuale (e, cioè, del marchio Apple) apparteneva giuridicamente alla
             “sede centrale” della società. Conseguentemente, i profitti attribuiti alle
             branch irlandesi erano assoggettati a tassazione solo in minima parte, in
             quanto commisurati ai costi da essa sostenuti più un piccolo margine, mentre
             il rimanente extra-profitto era assegnato alla “sede centrale”, che si assumeva

                  (4) A seguito dei rilevanti abusi perpetrati da taluni gruppi multinazionali, l’Irlanda è stata
             costretta a modificare la legislazione domestica a decorrere dal 1° gennaio 2015. In base al
             Finance Act 2014, le società costituite in Irlanda si considerano ora ivi residenti a meno che,
             in applicazione di un trattato contro le doppie imposizioni, esse risultino residenti nella giuri-
             sdizione dell’altro Stato contraente.
                  (5) In particolare, ASI era, contrattualmente, l’unica responsabile delle vendite per l’Europa,
             il Medio Oriente, l’Asia e l’India e fatturava tutte le cessioni dei prodotti che, materialmente,
             erano effettuate dai negozi Apple situati nelle predette zone geografiche.
                  (6) Con il metodo c.d. TNMM (Transactional Net Margin Method) che le Guidelines
             OCSE sui prezzi di trasferimento (prima del restyling effettuato a seguito delle Actions 8-10
             del BEPS) ritenevano appropriato per la ripartizione dei profitti derivanti da attività svolte in
             modo integrato da due entità del gruppo (o da più parti della stessa impresa).

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              prendesse tutte le decisioni strategiche attinenti alla proprietà intellettuale
              fuori dall’Irlanda.
                   Secondo la Commissione, tale meccanismo era “artificioso” (e, dunque,
              selettivo) perché permetteva di “segregare” ai fini fiscali – all’interno della
              società regolarmente costituita e attiva in Irlanda – una stabile organizzazione
              soggetta ad un’imposizione minima in Irlanda e una sede centrale (formalmente
              titolare dei diritti di proprietà intellettuale) che, in quanto fiscalmente “apolide”,
              non veniva assoggettata ad alcuna imposizione sugli enormi extra-profitti
              realizzati nel mondo (ad eccezione del continente americano) (7).
                   In sostanza, nelle more della individuazione di nuovi criteri di collega-
              mento territoriale più coerenti con i modelli di business dell’economia
              digitale (8), la Commissione contestava il metodo unilaterale utilizzato per
              la ripartizione interna degli utili tra la stabile organizzazione e la “sede cen-
              trale” di ASI e AOE ritenendolo non corrispondente all’effettiva realtà eco-
              nomica di tali società. Infatti, ad avviso della Commissione, la “sede centrale”
              non aveva “la capacità operativa di gestire l’attività di distribuzione, né pe-
              raltro nessun’altra attività sostanziale” in quanto “non aveva né dipendenti,
              né Uffici propri e le sue attività consistevano esclusivamente in sporadiche
              riunioni del consiglio di amministrazione” (9).
                   Nel rassegnare le proprie conclusioni la Commissione aveva comunque
              previsto la possibilità di ridurre l’importo complessivo della contestazione,
              laddove altri Paesi, diversi dall’Irlanda, avessero rivendicato il diritto ad
              una quota dei predetti extra-profitti. In particolare, la Commissione aveva
              precisato che “l’ammontare delle imposte non versate che le Autorità irlandesi

                    (7) Cfr. I. VACCA – T. GASPARRI, La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”, in
              Note e Studi ASSONIME n. 14 del 2020.
                    (8) Attualmente oggetto di discussione nell’ambito dei lavori sul PILLAR 1 presso
              l’Inclusive Framework on BEPS.
                    (9) Rilevava, in particolare, la Commissione che “le uniche attività che possono essere
              collegate alle “sedi centrali” sono poche decisioni dei membri del consiglio d’amministrazione
              (molti dei quali lavoravano contemporaneamente a tempo pieno come dirigenti di Apple Inc.),
              riguardanti la distribuzione dei dividendi, questioni amministrative e la gestione di tesoreria”.

              Rivista della Guardia di Finanza – n. 5 del 2020
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             devono recuperare verrebbe ridotto se altri Paesi dovessero imporre a Apple
             di versare maggiori imposte sugli utili registrati da Apple Sales International
             e Apple Operations Europe. Ciò potrebbe verificarsi se ritenessero, sulla
             scorta delle informazioni emerse dall’indagine della Commissione, che i
             rischi commerciali, le vendite e altre attività di Apple avrebbero dovuto
             essere registrati nelle rispettive giurisdizioni” (10).
                  Il Tribunale Ue ha annullato la decisione della Commissione sul pre-
             supposto che quest’ultima non sarebbe riuscita a dimostrare che la massa
             dei profitti che l’accordo di ruling aveva considerato non tassabili in Irlanda
             fosse da considerare prodotta sul territorio nazionale irlandese. Nella pro-
             spettiva del Giudice europeo, infatti, l’Irlanda si sarebbe limitata – in modo
             del tutto legittimo – ad applicare le proprie imposte sui (pochi) profitti che,
             in base ai criteri OCSE di comune applicazione, erano da considerare di
             propria pertinenza mentre la Commissione sarebbe erroneamente giunta
             alle proprie conclusioni utilizzando un approccio “di esclusione” su basi
             presuntive. Un approccio, cioè, fondato sul presupposto che le sedi centrali
             di ASI e AOE fossero presumibilmente prive di una struttura idonea a gestire
             le licenze di proprietà intellettuale del gruppo Apple e che i profitti riferibili
             a tali licenze dovessero essere assegnati alle branch irlandesi.
                  In sostanza, secondo il Tribunale Ue, la Commissione avrebbe dovuto
             fornire la prova “diretta” che le succursali irlandesi di ASI e AOE control-
             lavano effettivamente le licenze IP del gruppo Apple e avevano realmente
             svolto le funzioni di gestione e assunto i relativi rischi e che, di conseguenza,
             tutti i profitti realizzati da ASI e AOE avrebbero dovuto essere riferiti alle
             attività di tali succursali. In assenza di tale prova, ad avviso del Giudice
             europeo, non può essere affermato “a monte” che, con i ruling fiscali con-

                   (10) Come osservato da I. VACCA – T. GASPARRI, Note e Studi ASSONIME n. 14 del 2020,
             op.cit., “è, forse, questa ammissione che aveva reso la posizione della Commissione più debole
             in materia specifica di prova dell’esistenza di un aiuto di Stato. Se la stessa Commissione ha
             ritenuto, infatti, che la tassazione dei profitti in questione potrebbe essere legittimamente ri-
             vendicata da altri Stati, evidentemente non è stata fornita la prova diretta e inconfutabile che
             tali profitti appartenessero alla giurisdizione irlandese”.

                                                                                                     Rubriche
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              testati, le Autorità fiscali irlandesi abbiano concesso a ASI e AOE un van-
              taggio selettivo qualificabile come aiuto di Stato.
                   Non v’è dubbio che questa decisione del Tribunale Ue rappresenti una
              rilevante battuta di arresto per l’operato della Commissione, da anni impegnata
              nella lotta ai fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva e di concorrenza
              fiscale sleale tra Stati Ue, come testimoniano le ulteriori iniziative annunciate
              proprio nel giorno della sentenza in commento (11).
                   Tuttavia, in disparte la circostanza che la Commissione potrà ora pre-
              sentare appello alla Corte di Giustizia limitatamente alle questioni di diritto,
              è opportuno tener presente che nella sentenza in commento il Tribunale Ue
              non ha contestato che le regole sugli aiuti di Stato vadano rispettate anche
              in materia fiscale, ancorché questa sia una materia rimessa alla competenza
              dei singoli Stati, e che quindi possano essere censurati anche in questo
              campo eventuali vantaggi selettivi.
                   Tuttavia, proprio perché si tratta di limitare scelte impositive rimesse
              alla discrezionalità degli Stati, l’organo giudiziario europeo ha evidenziato
              che deve essere fornita in questo settore una prova diretta e completa del-
              l’esistenza di un aiuto di Stato illegittimo; prova che nel caso in esame la
              Commissione non avrebbe prodotto rendendo così irrilevante, ad avviso del
              Tribunale, la circostanza che la parte preponderante dei profitti conseguiti
              dalle due società costituite in Irlanda – e, cioè, i profitti realizzati in tutte
              le giurisdizioni del mondo diverse dal continente americano – non subisse
              alcun tipo di prelievo fiscale.

                    (11) Si fa riferimento: i) alla comunicazione della Commissione europea al Parlamento
              europeo e al Consiglio, COM(2020) 312 final, che delinea un piano d’azione per un’imposizione
              equa e semplice a sostegno della strategia di ripresa e presenta venticinque iniziative da realizzare
              entro il 2024 nel settore dell’imposizione diretta e indiretta; ii) alla proposta di modifica della
              direttiva 2011/16/Ue relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, COM(2020)
              314 final, che mira a introdurre uno scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni
              fiscali degli Stati membri sui redditi/ricavi generati dalle piattaforme digitali; iii) alla comunicazione
              della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio, COM(2020) 313 final, che
              si propone di esaminare i progressi compiuti nel migliorare la buona governance fiscale sia al-
              l’interno che all’esterno dell’Ue, indicando gli ambiti suscettibili di miglioramento.

              Rivista della Guardia di Finanza – n. 5 del 2020
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