LA MENSA SCOLASTICA COME MOMENTO EDUCATIVO E SOCIALIZZANTE? PROFILI DI UNA RICERCA SOCIO-GIURIDICA SUL CASO DELLA CITTÀ DI MILANO

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LA MENSA SCOLASTICA COME MOMENTO
                                EDUCATIVO E SOCIALIZZANTE?
                           PROFILI DI UNA RICERCA SOCIO-GIURIDICA
                               SUL CASO DELLA CITTÀ DI MILANO*

                                        di Roberta Dameno e Massimiliano Verga

                  1. Introduzione
                      Negli ultimi anni la questione delle mense scolastiche ha occupato molto spa-
                  zio nelle cronache dei quotidiani, presentando almeno un elemento di novità. Come
                  è noto, infatti, il dibattito sulla refezione in ambito scolastico si è sempre per lo più
                  concentrato sulla qualità del servizio erogato e, ancor più in particolare, sulla qualità
                  del cibo che gli scolari trovano nel piatto quotidianamente in occasione della pausa
                  pranzo. Detto altrimenti, il tema delle mense scolastiche è stato quasi esclusivamen-
                  te associato alle ricorrenti denunce dei genitori riportate dai media, aventi per ogget-
                  to, appunto, i disservizi in merito all’adeguatezza e alla qualità del pasto fornito nel-
                  le mense.
                      L’elemento di novità che negli ultimi tempi ha acceso il dibattito in questo ambi-
                  to, non soltanto tra i genitori degli scolari che usufruiscono della mensa scolastica ma
                  anche tra gli organi della rappresentanza politica e governativa, è la questione della
                  possibilità di non avvalersi del servizio della mensa e di portare il pasto da casa. Que-
                  stione che a livello mediatico è stata non di rado definita come il tema del “panino da
                  casa” o, per dirla in milanese, della “schiscetta”. Più in particolare, la questione è tut-
                  tora oggetto di intenso dibattito a seguito della sentenza 1049/2016 della Corte d’Ap-
                  pello di Torino (che, in estrema sintesi, riconosce il diritto di portarsi il pasto da ca-
                  sa) e del successivo intervento del Ministero che, tramite di Dipartimento per il siste-
                  ma educativo di istruzione e di formazione, se da un lato ha fatto ricorso, da un altro
                  lato, con la Nota n. 348 del 3 marzo 2017, riconosce la necessità che le scuole appli-
                  chino linee di condotta uniformi su tutto il territorio nazionale.
                      Per non tacere dell’emendamento all’articolo 5 del DDL 2037 “Disposizioni in
                  materia di servizi di ristorazione collettiva”, in discussione al Senato nella preceden-
                  te legislatura1.

                       *
                         Sebbene il lavoro sia da considerarsi frutto di una riflessione comune, i paragrafi 1 e 2 sono
                  attribuibili a Massimiliano Verga, mentre il paragrafo 3 a Roberta Dameno.
                       1
                         All’articolo 5, al comma 1, si propone di aggiungere il comma 1-bis, che recita: “I servizi
                  di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle
                  istituzioni scolastiche, anche ai fini dell’educazione alimentare, ai sensi dell’articolo 1, comma 7,
                  lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107”

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                  A prescindere dalle rimostranze sulla qualità del pasto – tema certamente merite-
              vole di attenzione ma che non sarà l’oggetto delle nostre riflessioni – la questione re-
              lativa alla possibilità di gestire in autonomia il “tempo della mensa” portandosi il pa-
              sto da casa offre diversi spunti di riflessione, sia sotto il profilo del possibile conflitto
              tra diritti (per esempio, da un lato proprio la libertà individuale di scegliere se avva-
              lersi o meno del servizio mensa e, da un altro lato, il diritto di partecipare comunque
              al “tempo della mensa” nei medesimi luoghi previsti per chi usufruisce di quel servi-
              zio), sia sotto il profilo del significato che le istituzioni e gli enti che offrono il servi-
              zio, ma anche gli scolari e il corpo docente, attribuiscono alla pausa pranzo2.
                  Entrambi i profili succintamente delineati saranno oggetto delle nostre riflessioni
              nelle pagine seguenti, nelle quali daremo conto dell’impianto teorico e dei temi che
              ci proponiamo di approfondire con una ricerca che stiamo svolgendo all’interno del
              territorio del comune di Milano sulle mense scolastiche.
                  Il contributo sarà idealmente diviso in due parti. Nella prima parte offriremo un
              inquadramento normativo delle mense scolastiche, in particolare soffermandoci sul-
              le Linee di indirizzo ministeriali, sulle Linee Guida della Regione Lombardia e del
              comune di Milano e sulla Carta dei Servizi di Milano Ristorazione, ovvero la società
              che a titolo esclusivo è incaricata del servizio delle mense scolastiche sul territorio
              milanese a partire dal 2001.
                  Nella seconda parte, muovendoci dalla considerazione – presente nelle medesime
              Linee Guida appena richiamate – che il tempo e lo spazio dedicato al cibo nelle scuo-
              le rientrano pienamente nel percorso educativo3, ci proponiamo, da un lato, di offri-
              re alcuni spunti di riflessione sui diversi temi che ne discendono e, da un altro lato, di
              descrivere i principali obiettivi dell’indagine in corso di svolgimento4.

                  2
                      Su questi temi si veda anche Raiteri M. in questo volume.
                  3
                    Nella Circolare n. 29 del Ministero dell’Istruzione del 5 marzo 2004, che segue il decreto
              legislativo del 19 febbraio 2004, n. 59, concernente la Definizione delle norme generali relative
              alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28
              marzo 2003, n. 53, si legge: “l’orario annuale delle lezioni nel primo ciclo di istruzione comprende
              un monte ore obbligatorio ed un monte ore facoltativo opzionale per le famiglie degli alunni
              (obbligatorio per l’istituzione scolastica nell’ambito delle opportunità esistenti), al quale si
              aggiunge eventualmente l’orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa. I
              tre segmenti orari rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi
              non vanno considerati e progettati separatamente, ma concorrono a costituire un modello unitario
              del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa”.
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                     Non è questa la sede per descrivere puntualmente il piano della ricerca e la metodologia
              d’indagine che adotteremo. Ci limitiamo ad accennare che, con tutta evidenza, il nostro lavoro
              prevede anche una parte di indagine empirica. In particolare, verranno somministrati dei questionari
              semi strutturati a un campione di insegnanti, in quanto soggetti in grado di fornire informazioni utili
              non soltanto sul gradimento del cibo da parte dei bambini, ma anche sul loro comportamento e su
              come la mensa si dimostri essere uno spazio di socializzazione. Gli insegnanti, inoltre, potranno
              fornire informazioni anche relativamente ai problemi di organizzazione del “momento mensa”
              che le scuole devono affrontare. Verranno svolte anche delle interviste in profondità con diversi
              interlocutori privilegiati, con particolare riferimento ai genitori delle Commissioni Mensa e ai
              membri della Rappresentanza cittadina delle Commissioni Mensa.

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                  2. La mensa scolastica nelle Linee di indirizzo ministeriali
                       Le “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica” sono state redatte
                  dal Ministero della Salute nel 2010 e, come si legge nell’Introduzione al documen-
                  to, “muovono dall’esigenza di facilitare, sin dall’infanzia, l’adozione di abitudini ali-
                  mentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cro-
                  nico-degenerative (diabete, malattie cardiovascolari, obesità, osteoporosi, ecc.) di cui
                  l’alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio”, da un altro definen-
                  do “l’accesso e la pratica di una sana e corretta alimentazione” come “uno dei dirit-
                  ti fondamentali per il raggiungimento del migliore stato di salute ottenibile, in parti-
                  colare nei primi anni di vita” e, da un altro lato, affermando che “il successo di mol-
                  ti interventi per la promozione della salute dipende, infatti, anche da elementi ester-
                  ni al “sistema sanitario.”
                       Tra gli ambiti di intervento, come sostiene il Ministero sempre nell’Introduzione,
                  “la ristorazione collettiva, in particolare quella scolastica, è uno strumento prioritario
                  per promuovere salute ed educare ad una corretta alimentazione.” Si tratta di un’affer-
                  mazione che, con tutta evidenza, richiama doveri e responsabilità, in particolare con
                  riferimento ai Comuni e ai fornitori dei servizi di refezione scolastica, ai quali si ri-
                  corda che “oltre che produrre e distribuire pasti nel rispetto delle indicazioni dei Li-
                  velli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Nutrienti per la popolazione italiana
                  (LARN), essa (la ristorazione) può svolgere un ruolo di rilievo nell’educazione ali-
                  mentare coinvolgendo bambini, famiglie, docenti.” Docenti che “adeguatamente for-
                  mati (sui principi dell’alimentazione, sulla importanza dei sensi nella scelta alimenta-
                  re, sulle metodologie di comunicazione idonee a condurre i bambini ad un consumo
                  variato di alimenti, sull’importanza della corretta preparazione e porzionatura dei pa-
                  sti), giocano un ruolo di rilievo nel favorire l’arricchimento del modello alimentare ca-
                  salingo del bambino di nuovi sapori, gusti ed esperienze alimentari gestendo, con se-
                  renità, le eventuali difficoltà iniziali di alcuni bambini ad assumere un cibo mai consu-
                  mato prima o un gusto non gradito al primo assaggio.”
                       Sotto il profilo del ruolo che dovrebbe assumere la ristorazione scolastica, il Mi-
                  nistero non offre particolari spazi all’interpretazione. Infatti, “la ristorazione scolasti-
                  ca non deve essere vista esclusivamente come semplice soddisfacimento dei fabbi-
                  sogni nutrizionali, ma deve essere considerata un importante e continuo momento di
                  educazione e di promozione della salute diretto ai bambini, che coinvolge anche do-
                  centi e genitori.” (pag. 6).
                       Gli attori protagonisti che entrano nell’ambito delle competenze correlate alla ri-
                  storazione scolastica sono: l’Ente committente (Comune o scuola paritaria), il Gesto-
                  re del servizio di ristorazione, Azienda Sanitaria Locale (ASL, oggi ATS), i bambini
                  e i loro familiari, le Commissioni Mensa, le istituzioni scolastiche (pag. 8), queste ul-
                  time invitate a garantire le condizioni migliori per il consumo dei pasti: ambienti ido-
                  nei, non rumorosi e di dimensioni adeguate per numero di alunni, opportuna presen-
                  tazione dei cibi, tempo sufficiente a consumare il pasto (pag. 13).
                       Nel definire le attività e i compiti di questi attori, in questa sede pare particolar-
                  mente interessante quanto viene affermato a proposito delle Commissioni Mensa che,
                  oltre a svolgere un ruolo di collegamento tra l’utenza, il Comune e la ATS (in parti-
                  colare, per quanto concerne il monitoraggio del gradimento dei pasti e delle modali-
                  tà di erogazione del servizio), dovrebbe essere anche il principale “interlocutore/par-

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              tner nei diversi progetti/iniziative di educazione alimentare nella scuola, mirando alla
              responsabilizzazione dei suoi componenti ai fini della promozione di sane scelte ali-
              mentari fra tutti i genitori afferenti alla scuola” (pag. 9),
                  essendo opportuno prevedere interventi di formazione [...] mirati sia agli aspetti di
                  educazione alla salute che a quelli più strettamente legati alla qualità nutrizionale ed
                  alla sicurezza degli alimenti. (pag. 10). Sotto questo profilo, merita sottolineare quan-
                  to riportato nel capitolo finale, laddove si afferma che “l’Italia è sempre più una na-
                  zione multietnica e multiculturale e la presenza di alunni di altre etnie è un dato strut-
                  turale del nostro sistema scolastico. Tra le identità culturali, peculiari appaiono le abi-
                  tudini alimentari che sono proprie di ogni area del mondo e di ogni momento stori-
                  co, in relazione alle condizioni socio- economiche, alle credenze religiose, alla dispo-
                  nibilità di particolari materie prime in alcune aree geografiche e alle tradizioni di cia-
                  scuna popolazione. La popolazione di altre etnie residente in Italia è giovane e quasi
                  1⁄4 di essa è costituita da minorenni, che frequentano le istituzioni scolastiche del no-
                  stro Paese. [...] Peraltro, la scuola costituisce l’ambiente ideale dove poter realizzare
                  tale integrazione e l’alimentazione rappresenta un terreno su cui approfondire e svi-
                  luppare tali politiche. [...] Esiste, in generale, una estrema facilità da parte dei bambi-
                  ni di altre etnie ad adattarsi alle abitudini alimentari italiane e questa tendenza è tanto
                  maggiore quanto più il bambino è piccolo. Se i bambini ben si adattano ad entrambe
                  le culture alimentari, quella del paese ospitante e quella del paese d’origine, più diffi-
                  cile è la scelta comportamentale delle famiglie, in cui può prevalere la preoccupazione
                  di non perdere le proprie specificità culturali, comprese quelle alimentari. [...] Adotta-
                  re la prospettiva interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra culture,
                  significa non limitarsi soltanto a misure compensatorie quali le diete speciali, ma or-
                  ganizzare una strategia di reale crescita della qualità fondata anche su criteri di salu-
                  te e prevenzione. “Cucinare” in una prospettiva interculturale può voler dire assume-
                  re la varietà come paradigma dell’identità stessa della ristorazione, occasione privile-
                  giata di apertura a tutte le differenze (pagg.16-17).

              2.1 La mensa nelle Linee Guida della regione Lombardia
                  Il problema della ristorazione scolastica è stato affrontato per la prima volta, in
              modo organico e completo dalla regione Lombardia, con la “Direttiva Regionale per
              la ristorazione scolastica” emanata dall’Assessorato Regionale alla Sanità, nel 1989.
              Nel 1998, l’argomento è stato nuovamente affrontato, utilizzando lo strumento del-
              le Linee Guida, alle quali hanno fatto seguito le vigenti “Linee guida della Regione
              Lombardia sulla Ristorazione Scolastica” del 2002.
                  Come è lecito attendersi, considerato l’ambito di competenza regionale, le Linee
              Guida si concentrano per lo più sugli aspetti igienico-sanitari e sugli aspetti tecnici
              relativi agli appalti e alla gestione dei servizi. Non pare casuale, sotto questo profilo,
              che l’aggiornamento del 2002 segua, a breve distanza di tempo, l’approvazione delle
              “Linee Guida della Regione Lombardia per i Servizi di Igiene degli Alimenti e della
              Nutrizione (SIAN) delle Aziende Sanitarie Locali” del 20015.

                  5
                    Occorre comunque segnalare come, proprio in sede di presentazione delle Linee Guida,
              la Regione si premuri di precisare che “la ristorazione scolastica si colloca in modo trasversale

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                      In particolare, sotto il profilo della gestione dei servizi, merita attenzione la par-
                  te dedicata alle Commissioni Mensa che, se da un lato riprende quasi testualmente
                  quanto indicato nelle Linee Guida nazionali, da un altro lato, seppur implicitamente,
                  invita a produrre un regolamento su questo punto. A pagina 12 si legge infatti: “Non
                  vi sono specifici riferimenti normativi per le Commissioni Mensa, ma, alla luce del
                  fatto che esse svolgono un indubbio ruolo positivo, si ritiene indispensabile la defini-
                  zione da parte del soggetto titolare del Servizio (ovvero il Comune, N.d.A.) di un re-
                  golamento per il funzionamento della stessa”6.

                  2.2 La mensa nelle Linea guida del comune di Milano
                      Nella Nota informativa “Un posto a tavola 2017-2018” prodotta dal comune di
                  Milano si legge:
                      La partecipazione al servizio di refezione scolastica (salvo casi eccezionali che
                  saranno valutati congiuntamente dal Dirigente Scolastico, dal Comune e dalla Socie-
                  tà Milano Ristorazione) è strettamente legata all’offerta formativa dell’Istituto Sco-
                  lastico, divenendone essa stessa una parte importante in quanto anch’essa momen-
                  to educativo. L’iscrizione al servizio di refezione scolastica deve quindi essere effet-
                  tuata per tutte le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado comunali e
                  statali.
                      Tre sono gli aspetti rilevanti in questo breve enunciato. Il primo, che ben si inseri-
                  sce in quanto già definito dalle linee guida nazionali e regionali, è il richiamo alla re-
                  fezione scolastica come parte dell’offerta educativa. Il secondo è l’obbligatorietà del-
                  la partecipazione al servizio di refezione scolastica, appunto salvo casi eccezionali. Il
                  terzo aspetto è il richiamo alla Milano Ristorazione che, in tema di refezione scolasti-
                  ca, assume nella città di Milano un ruolo da protagonista.
                      Sui primi due aspetti torneremo in seguito. In questa sede ci soffermiamo sulla So-
                  cietà Milano Ristorazione, delineandone non soltanto il profilo giuridico ma, soprat-
                  tutto, cercando di mettere in evidenza la sua peculiarità all’interno dei servizi di refe-
                  zione, scolastica e non solo7.

                  rispetto agli ambiti di attività̀ dei SIAN: essa, infatti, coinvolge non solo gli aspetti legati alla
                  sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti alimentari, ma anche e soprattutto, considerato il tipo
                  di utenza, quelli legati all’educazione alimentare e alla sicurezza nutrizionale”. A pagina 29, il
                  profilo educativo della ristorazione scolastica viene ripreso come segue: “Si ritiene importante
                  ribadire il ruolo educativo del pasto in mensa come strumento per indirizzare il bambino verso una
                  alimentazione appropriata promuovendo l’assaggio degli alimenti di più difficile accettazione”.
                     6
                       Non pare opportuno riportare il “Regolamento comunale delle Commissioni Mensa e della
                  Rappresentanza Cittadina delle Commissioni Mensa”, emanato dal comune di Milano nel 2014. Si
                  rimanda a www.milanoristorazione.it per l’eventuale consultazione
                       7
                          Nella Premessa della Carta della Qualità dei Servizi (edizione 2016) di Milano Ristorazione, il
                  ruolo della Società viene enunciato in modo molto chiaro. Si legge, infatti: “La legge Regionale n. 31
                  del 1980, disciplinante il diritto allo studio, qualifica l’attività di consumazione del pasto degli alunni
                  come un vero e proprio momento educativo e, all’art. 4, dispone che le mense scolastiche rientrano
                  specificatamente tra le funzioni pubbliche di spettanza del Comune e sono finalizzate a garantire
                  il diritto allo studio. Milano Ristorazione S.p.A., società interamente controllata dal Comune di
                  Milano, svolge ogni attività correlata all’effettuazione dei servizi di ristorazione scolastica”.

SOCIO_POLITI.indb 179                                                                                                     14/09/2018 13.03.32
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              2.2.1 La Società Milano Ristorazione S.p.A.
                  La società Milano Ristorazione S.p.A. viene costituita con delibera del Consiglio
              Comunale di Milano nel mese di luglio 2000 ed inizia a gestire, con diritto di esclu-
              siva sul territorio del comune di Milano, la ristorazione scolastica a partire dal 1 gen-
              naio 2001. Il comune di Milano detiene il 99% delle quote societarie.
                  In particolare, Milano Ristorazione gestisce il servizio di ristorazione a favore dei
              nidi d’infanzia, delle scuole pubbliche dell’infanzia, delle scuole primarie e seconda-
              rie di primo grado, oltre a occuparsi del servizio di ristorazione per case di riposo, an-
              ziani con servizio a domicilio e centri di prima accoglienza. Fornisce inoltre pasti al
              cotto presso i C.D.I. (Centri Diurni Integrati), i C.S.E. (Centri Socio Educativi), il ri-
              covero notturno di Viale Ortles, la Protezione Civile, il Consiglio Comunale, le scuo-
              le private convenzionate, le case vacanze extraurbane del comune di Milano.
                  Attualmente il contratto di servizio sottoscritto tra la società Milano Ristorazione
              e il comune di Milano è valido sino a tutto il 2020.
                  Nel corso del 2010 il comune di Milano ha affidato a Milano Ristorazione una se-
              rie di ulteriori servizi, quali il servizio di bidellaggio (neologismo riportato nella Car-
              ta dei Servizi) e di pulizia delle scuole dell’infanzia comunali. Si tratta, con tutta evi-
              denza, di una Società che nel corso degli anni ha aumentato non soltanto il proprio
              bacino d’utenza ma, appunto, anche i servizi sotto la sua gestione.
                  Sotto questo profilo non pare inopportuno riportare da un lato uno stralcio della
              “missione” di Milano Ristorazione e, da un altro lato, alcuni numeri relativi al servi-
              zio erogato sul territorio milanese.
                  La “missione” di Milano Ristorazione S.p.A., come si evince dalla Carta della
              Qualità dei Servizi8, prevede di fornire un pasto “sano, buono, educativo e giusto” al-
              la propria clientela. Questi obiettivi vengono sviluppati anche attraverso un’offerta di
              progetti destinati per lo più ai bambini ed alle loro famiglie, tesi a promuovere, tra gli
              altri, lo sviluppo della cultura e dell’educazione alimentare nella scuola, la diffusione
              di una cultura di controllo degli sprechi alimentari e promozione di progetti di educa-
              zione al consumo consapevole e di recupero delle eccedenze alimentari, la promozio-

                   Occorre segnalare, tuttavia, che il richiamo all’articolo 4 della legge 31/1980 non pare essere
              del tutto conforme a quanto recitato nel testo di legge, trattandosi di un’interpretazione quanto meno
              forzata. L’art. 4 in questione, infatti, recita come segue: “I servizi relativi alle mense scolastiche
              devono essere realizzati in modo da favorire l’attuazione del tempo pieno nelle scuole dell’obbligo,
              agevolare la regolare frequenza nelle scuole superiori e garantire il livello qualitativo e dietetico dei
              cibi, anche ai fini di una corretta educazione alimentare”. Si segnala, inoltre, che la legge n.31/1980
              è stata recentemente abrogata dalla legge Regionale n. 15 del 26 maggio 2017, precisamente
              all’art. 33. Attualmente è in vigore la legge n. 19/2007, che di fatto, già 10 anni prima della sua
              abrogazione, aveva sostituito la legge del 1980.
                   8
                     Come richiamato nel medesimo documento, la Carta dei Servizi trova il suo fondamento
              legislativo nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994 “Principi
              sull’erogazione dei servizi pubblici”, nella Legge n.273 dell’11 luglio 1995 “Misure urgenti per la
              semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell’efficienza della P.A.”,
              nel Decreto Legislativo n. 286/1999, nella legge n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del
              sistema integrato di interventi e servizi sociali” e nelle già richiamate “Linee guida della Regione
              Lombardia per la Refezione scolastica” del 25/11/2002 e “Linee di indirizzo nazionale per la
              ristorazione scolastica” del 29/04/2010.

SOCIO_POLITI.indb 180                                                                                                     14/09/2018 13.03.32
La mensa scolastica come momento educativo e socializzante?                   181

                  ne del senso di rispetto e responsabilità verso l’ambiente, con particolare attenzione
                  alla prevenzione dell’inquinamento ambientale. Sotto questo profilo, citando un pas-
                  so della Presentazione online della Società,
                      Milano Ristorazione, ha aperto un dialogo con i genitori e gli insegnanti degli ol-
                  tre 70 mila bambini di Milano, che usufruiscono del nostro servizio, per creare un
                  modello di comportamento e di vita, un’educazione e un’attenzione al cibo che rite-
                  niamo utile per far crescere i nostri bambini in modo sano e consapevole.
                      Per quanto concerne i numeri di Milano Ristorazione, è facile osservare come ci
                  si trovi di fronte ad un vero e proprio colosso in questo ambito. Basti pensare che la
                  Società fornisce annualmente poco meno della metà dei pasti erogati dalla Pellegri-
                  ni S.p.A., che distribuisce a livello nazionale. Stando ai dati del 2016, Milano Risto-
                  razione eroga oltre 17 milioni di pasti all’anno, quasi 14 milioni soltanto nelle scuo-
                  le del comune di Milano, con una media di circa 85.000 pasti al giorno serviti in ol-
                  tre 400 refettori scolastici e in quasi 200 nidi d’infanzia (metà dei quali con cucina
                  interna). Interessante notare, anche alla luce della Missione succintamente riportata
                  poc’anzi, che Milano Ristorazione gestisce ogni giorno più di 2.500 diete sanitarie
                  (celiaci, diabetici, allergici ecc.) e quasi 8.000 menù etico-religiosi, principalmente
                  menù vegetariani e menù con esclusione della carne di maiale.
                      Vengono lavorate circa 10.000 tonnellate di derrate alimentari all’anno.

                  3. Il “tempo mensa” e il percorso educativo.
                     Alcune considerazioni
                      Come si è accennato, la ricerca che stiamo svolgendo ha come ambito territoriale
                  le scuole primarie del comune di Milano.
                      A nostro avviso, la scelta di focalizzare la nostra attenzione sul comune di Milano
                  si giustifica sotto diversi profili. In primo luogo, infatti, la ristorazione scolastica è da
                  almeno mezzo secolo un servizio ritenuto importante da parte dell’istituzione comu-
                  nale, che fin dal dopoguerra – ma in realtà il servizio della refezione scolastica nelle
                  scuole materne a Milano viene organizzato subito dopo l’Unità d’Italia (Rete Mila-
                  nosifastoria 2014; Inran 2011) – ha impegnato risorse economiche per garantire i pa-
                  sti sia nelle scuole materne sia nelle scuole primarie.
                      A questo proposito, tra l’altro, pare utile ricordare che sul territorio milanese la
                  scuola a tempo pieno è da subito entrata a pieno regime, tanto che attualmente risul-
                  ta difficile, se non quasi impossibile, iscrivere un bambino alla scuola primaria non
                  a tempo pieno9.
                      In secondo luogo, come si è già accennato, il comune di Milano costituisce certa-
                  mente una peculiarità, in virtù del fatto che detiene il 99% delle quote della Società
                  che fornisce i pasti nelle mense di tutte le scuole pubbliche (e, in parte, anche quel-
                  le private) sul territorio milanese (e non solo). Questo fatto rappresenta un elemen-
                  to importante perché fa emergere, da un lato, l’importanza attribuita alla ristorazio-

                        La nascita del tempo pieno, seppur inizialmente in fase sperimentale, viene fatta risalire
                        9

                  all’approvazione della legge 820 del 14 ottobre 1971, denominata “Norme sull’ordinamento della
                  scuola elementare e della scuola materna statale”.

SOCIO_POLITI.indb 181                                                                                           14/09/2018 13.03.32
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              ne scolastica da parte del Comune e, da un altro lato, la rilevanza anche economica
              della ristorazione, anche in ambito scolastico. Detto altrimenti, il servizio pubblico
              si fa garante della qualità, dell’economicità e dell’eticità del cibo cucinato per i bam-
              bini milanesi.
                  In terzo luogo, sempre con riferimento alla rilevanza economica della questione,
              non può essere taciuta la dimensione del servizio offerto che, come si è poc’anzi anti-
              cipato, riguarda la fornitura di circa 85.000 pasti al giorno, appunto in regime di mo-
              nopolio sul territorio del comune di Milano.
                  In quarto luogo, non è irrilevante sottolineare come, nonostante le continue la-
              mentele da parte dei genitori e dei bambini sulla qualità e sulla tipologia del cibo
              erogato, sul territorio milanese soltanto 15 famiglie hanno deciso di non avvaler-
              si della refezione scolastica e di dare al proprio bambino un pasto preparato a casa.
              Le ragioni di questo “misero” dato sono tutte da indagare e saranno oggetto delle
              nostre attenzioni. Tuttavia, già in questa sede possono essere avanzate alcune con-
              siderazioni. Da un lato, infatti, bisogna considerare la fatica che rappresenta per i
              genitori preparare un pasto che sia consumabile a scuola tutti i giorni. Da un altro
              lato, è utile rilevare che oltre al tempo necessario alla preparazione del cibo, non
              pare del tutto irrilevante riflettere sui costi del pasto, considerando che il contribu-
              to richiesto dal Comune per chi presenta un ISEE in fascia massima per un singolo
              pasto corrisponde a 4,20 Euro10. Da un altro lato ancora, non è fuori luogo ipotiz-
              zare che il tema della socializzazione possa avere una sua centralità anche da parte
              delle famiglie: i bambini (e, conseguentemente, i loro genitori) non vogliono esse-
              re considerati dei “diversi” che mangiano cibi “diversi” contenuti in stoviglie “di-
              verse”. Come diremo tra poco, però, si tratta di capire se, a fianco di questa scelta,
              vi sia anche da parte delle famiglie un progetto educativo legato alla mensa condi-
              viso con la scuola.
                  A questi aspetti, che appunto giustificherebbero la scelta di indagare il “caso” mi-
              lanese, se ne aggiunge un altro, meno peculiare ma non di minore importanza: esat-
              tamente come nel resto del territorio italiano, quando si studia il tema dell’alimenta-
              zione e, in particolar modo, dell’alimentazione nelle mense scolastiche, si ragiona di
              fatto sui diritti fondamentali delle persone e sui conflitti che tra i differenti diritti ven-
              gono a crearsi.

                  10
                     Non pare irrilevante sottolineare che a Torino, per esempio, il contributo richiesto supera i 7
              Euro. Da un lato perché occorre sempre tenere presente le dinamiche legate all’economia di scala
              che, visto il numero di pasti erogati quotidianamente da Milano Ristorazione, vedono quest’ultima
              certamente agevolata nella definizione di prezzi maggiormente concorrenziali. Da un altro lato
              perché, proprio il riferimento alla città di Torino può essere utile nell’inquadrare il dibattito
              sul diritto di portarsi il cibo da casa, anche, appunto, considerando il costo dei pasti come una
              variabile non irrilevante. In questa sede non ci soffermeremo sulle vicende che hanno avuto come
              protagonista il movimento a favore del “panino da casa”. Come si è anticipato nell’introduzione a
              questo contributo, questo diritto è stato riconosciuto dalla Corte d’Appello di Torino e, attualmente,
              siamo in attesa di un pronunciamento definitivo da parte della Cassazione. Più avanti ci limiteremo
              a proporre alcune riflessioni sul conflitto tra alcuni diritti fondamentali in questo ambito, senza
              appunto ripercorrere le vicende di cronaca. Ci è sembrato tuttavia opportuno rilevare la significativa
              differenza di costo delle mense nelle due città, che, come è noto, non di rado orienta le valutazioni
              in seno al dibattito sul riconoscimento di un diritto.

SOCIO_POLITI.indb 182                                                                                                  14/09/2018 13.03.32
La mensa scolastica come momento educativo e socializzante?                       183

                     I punti sui quali la nostra ricerca vuole soffermarsi saranno oggetto dei paragra-
                  fi seguenti.

                  3.1 Il tempo della mensa come tempo della scuola
                      Come si è già accennato, il tempo della mensa scolastica deve essere considerato,
                  così come enunciato dalle Linee Guida ministeriali, regionali e del comune di Mila-
                  no, a tutti gli effetti come tempo scolastico-educativo.
                      Al di là delle dichiarazioni di intenti, sicuramente il tempo della mensa risulta es-
                  sere infatti importante non soltanto sotto il profilo dell’educazione alimentare – dan-
                  do per scontato in questa sede che le scuole spendano del tempo per insegnare ai
                  bambini la corretta alimentazione e il corretto modo di stare a tavola11 – ma anche, e
                  a nostro modo di vedere soprattutto, sotto il profilo dall’educazione alla socialità e al-
                  la socializzazione.
                      Come è facile comprendere, sono questi gli aspetti che fanno propendere le istitu-
                  zioni scolastiche verso il rifiuto della “schiscetta”. Sulla base di una triplice conside-
                  razione: se uno scolaro consuma il pasto portato da casa, verrebbero infatti a mancare
                  non soltanto il profilo dell’educazione alimentare, ma anche, almeno potenzialmente,
                  gli obiettivi di garantire un pasto equilibrato a ogni bambino e una “buona” socializ-
                  zazione, che può avvenire proprio condividendo lo stesso cibo, le stesse portate, gli
                  stessi gusti. Sotto questo profilo, la socializzazione dovrebbe essere intesa anche con
                  riferimento al giudizio dato sul cibo, al modo in cui il cibo viene consumato, al con-
                  fronto con dei cibi che, non necessariamente, sono quelli che vengono utilizzati nel-
                  le cucine delle famiglie di provenienza.
                      Detto diversamente, la socializzazione è anche vivere la medesima esperienza de-
                  gli altri. E questo elemento riveste ancor maggior importanza se si pensa ai progetti
                  di “menù etnici” (previsti da Milano Ristorazione), in base ai quali i bambini posso-
                  no venire a conoscenza dei cibi delle altre etnie presenti sul territorio.
                      Come abbiamo avuto modo di rilevare poc’anzi, però, il fatto che il momento del-
                  la mensa scolastica sia effettivamente un momento importante per l’educazione ali-
                  mentare da un lato, e per la socializzazione dall’altro lato, è ancora un dato da dimo-
                  strare. In questa prospettiva, infatti, vi sono alcune criticità che possono influire su
                  entrambi gli aspetti. Criticità che ci limitiamo ad enunciare, ma che saranno oggetto
                  delle nostre attenzioni in fase di indagine.
                      In primo luogo, bisogna fare i conti con la variabile temporale, ovvero con il tem-
                  po concesso agli scolari per la consumazione del pasto. I bambini hanno mediamen-
                  te mezz’ora di tempo per consumare il proprio pasto. Non di rado, poi, le scuole non
                  hanno a disposizione uno spazio per la sala mensa tale da poter contenere contempo-
                  raneamente tutti i bambini che, quindi, si vedono costretti a fare i turni per usufrui-

                        11
                          In verità, il tema è tutt’altro che assodato. La nostra ricerca ha dunque come obiettivo
                  quello di comprendere se, al di là degli enunciati e degli scopi normativamente fissati, nella realtà
                  all’interno delle aule scolastiche milanesi si dedichi effettivamente del tempo all’educazione
                  alimentare, insegnando e spiegando agli alunni l’importanza di alimentarsi bene. Il punto su che
                  cosa significhi educazione al cibo e all’alimentazione e su quali siano gli strumenti utilizzati dagli
                  insegnanti e, più in generale, dalle scuole è un ulteriore punto centrale della nostra ricerca.

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              re del servizio di ristorazione. Ciò significa che alcuni di loro effettueranno il cosid-
              detto “intervallo lungo” prima di pranzare e altri lo effettueranno successivamente.
                  In secondo luogo, bisogna considerare lo spazio in cui viene effettuata la ristora-
              zione. Spesso le sale adibite a mense sono nei sottoscala, spesso sono prive di sistemi
              di insonorizzazione e, conseguentemente, non risultano pertanto luoghi ottimali dove
              poter socializzare davanti al piatto di cibo.
                  In terzo luogo, infine, le scodellatrici12 hanno dei tempi strettissimi da osservare
              per poter consegnare a tutti i bambini i propri piatti e non hanno fisicamente il tempo
              di calibrare la quantità di cibo in base all’età e/o in base ai gusti.
                  Il tempo della mensa, ma anche gli spazi adibiti alla consumazione del pasto13, in-
              cidono, quindi, direttamente sulle capacità di flessibilità del servizio e, di fatto, im-
              pediscono di creare dei percorsi adattabili al gusto di ogni bambino. A titolo di esem-
              pio basti pensare al fatto che il condimento delle verdure non è una scelta (soltanto in
              un’unica scuola, oggetto in questo periodo di sperimentazione in merito, l’olio e l’a-
              ceto sono a disposizione dei bambini sul tavolo e quindi sono i bambini stessi a poter
              scegliere se e come condire) o al fatto che il formaggio sopra la pietanza viene messo
              direttamente senza chiedere al bambino se gli piace o meno. Per non tacere del fatto
              che la mezza porzione non è prevista (tutti i bambini, anche se affermano che quel ci-
              bo non è assolutamente di loro gradimento, ottengono un piatto con la porzione pie-
              na, e, conseguentemente, si alimenta una cultura dello spreco di cibo).

              3.2 L’educazione alla corretta alimentazione
                  La principale motivazione avanzata dalle istituzioni comunali e scolastiche a giu-
              stificazione del fatto di non agevolare, se non addirittura ostacolare, il pranzo prepa-
              rato a casa, è il fatto che la scuola è tenuta a educare i bambini alla corretta alimen-
              tazione.
                  Anche questo punto, però, deve essere indagato. Nelle scuole milanesi si fa re-
              almente educazione alimentare? E, ancora: a chi spetta il compito di fare educazio-
              ne alimentare?
                  Al di là di alcuni progetti avviati sul territorio milanese, infatti, spesso l’educa-
              zione alimentare viene demandata agli insegnanti. Sotto questo profilo, tuttavia, non
              possono non riscontrarsi almeno due criticità. Da un lato, occorre chiedersi se gli in-
              segnanti siano sempre in grado di svolgere questa attività. Da un altro lato, è lecito
              domandarsi anche se vogliano farsi carico di questo momento educativo, che va ad
              aggiungersi ai compiti più tradizionali legati all’insegnamento.
                  Educare al cibo e realizzare un progetto di socializzazione durante il tempo del-
              la mensa, significa, infatti, per gli insegnanti presenti durante la refezione, essere ul-
              teriormente impegnati a svolgere un compito educativo che si somma alle altre ore
              di lezione. Significa che non soltanto devono spiegare l’importanza di mangiare be-
              ne e la necessità dell’organismo di variare la dieta (e di cibarsi anche di verdure!), ma

                  12
                        Il termine fa riferimento alle persone addette a versare il cibo nei piatti dei bambini.
                  13
                      Anche lo spazio incide direttamente sulla qualità servizio: il rumore, la luce, il colore della
              sala, la difficoltà di arrivare al tavolo con il proprio vassoio sono tutti elementi che contribuiscono
              alla qualità e al godimento del pasto.

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La mensa scolastica come momento educativo e socializzante?                185

                  che devono anche insegnare il corretto modo di stare a tavola, per esempio invitando
                  gli scolari a non urlare durante il pasto, a non disturbare i compagni, ad usare le po-
                  sate e via dicendo, oltre che essere in grado di spiegare e di far comprendere ai bam-
                  bini che le differenze nella tipologia del cibo (pensiamo alle diete speciali) derivano
                  da ragioni sanitarie o etico-religiose che non compromettono, ma al contrario arric-
                  chiscono, lo stare insieme.
                      Per non tacere del fatto che non pare del tutto scontata la questione relativa al si-
                  gnificato che si intende attribuire all’educazione alimentare. A titolo di esempio: es-
                  sere obbligati a prendere tutte le pietanze e poi buttarle perché non sono gradite, si-
                  gnifica essere educati alla buona alimentazione? E ancora: non mangiare nulla a pran-
                  zo perché nessuna pietanza è di proprio gradimento e, quindi, rimanere a scuola senza
                  che ci si sia alimentati, rientra nella corretta educazione alimentare?
                      Questi interrogativi, sicuramente retorici, sono tuttavia centrali quando si parla di
                  alimentazione, in particolar modo quando si parla di educazione al corretto modo di
                  cibarsi all’interno delle refezioni scolastiche dei bambini.
                      Nelle scuole milanesi, questo compito educativo viene nella stragrande maggio-
                  ranza dei casi delegato alla scuola dai genitori. Del resto, occorre anche dire che le
                  stesse procedure di iscrizione “facilitano” il meccanismo di delega, essendo, come ri-
                  cordato, fortemente incentivata l’iscrizione al servizio della mensa scolastica.
                      Tuttavia c’è da domandarsi se i genitori siano consapevoli, da un lato, di delegare
                  alla scuola questi compiti educativi che incidono non solo sulla salute e sulla qualità
                  della vita del loro bambino, ma anche sulle abitudini e sulle culture alimentari della
                  famiglia e, da un altro lato, del contenuto e del significato della delega, che, se man-
                  ca un progetto condiviso tra scuola e famiglia, diviene di fatto una delega in bianco
                  nei confronti della tipologia del progetto educativo, oltre che della qualità del cibo e
                  delle modalità dello stare a tavola. Occorre ricordare infatti che la delega non viene
                  formalizzata se non attraverso il pagamento della retta richiesto al momento dell’i-
                  scrizione a scuola, senza che vi siano dei passaggi informativi e di discussione pre-
                  cedenti. E, sotto questo profilo, è lecito ipotizzare che senza una collaborazione stret-
                  ta tra la scuola e le famiglie, pur con tutta la buona volontà degli insegnanti, difficil-
                  mente la scuola da sola potrà insegnare ai bambini a mangiare in modo sano ed equi-
                  librato, oltre che rendere il tempo della mensa un reale momento di socializzazione.

                  3.3 Esiste un diritto alla “schiscetta”?
                      Affrontare il tema delle mense scolastiche significa anche mettere in evidenza il
                  fatto che, quando si parla di preparazione e di somministrazione del cibo ai bambi-
                  ni, sono diversi i diritti fondamentali in gioco e che, non di rado, questi diritti entrano
                  in conflitto tra di loro. Sotto questo profilo, però, se da un lato si tratta di capire quali
                  siano questi diritti in gioco, da un altro lato occorre ricordare che la loro affermazio-
                  ne può dipendere da altri fattori che poco hanno a che vedere con la riflessione sulla
                  bontà della prevalenza di alcuni diritti su altri diritti.
                      Quali sono questi diritti in gioco? Ne individuiamo almeno due.
                      Abbiamo visto che le istituzioni (dal ministero, alla regione, al comune, alle scuo-
                  le) considerano essenziale all’interno del progetto educativo scolastico il momento
                  della mensa. Sarebbe, quindi, un compito dato dalla legge alle scuole quello di inse-

SOCIO_POLITI.indb 185                                                                                      14/09/2018 13.03.33
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              gnare a tutti bambini a ben alimentarsi. Un compito educativo che, per essere realiz-
              zato, presuppone che tutti i bambini seguano il medesimo progetto educativo e che,
              quindi, verrebbe compromesso nel momento in cui venisse riconosciuto il diritto a
              portarsi il cibo da casa.
                  Con tutta evidenza ci troviamo di fronte ad un primo conflitto fra due diritti: il
              diritto del singolo ad alimentarsi come vuole, fatte salve le diete medico-sanitarie e
              quelle etico-religiose, confligge col diritto di tutti ad avere una buona educazione ali-
              mentare. Vale a dire, da un lato il diritto alla scelta individuale rivendicato dalle fa-
              miglie e, da un altro lato, la tutela del benessere collettivo che le istituzioni ritengono
              prevalente rispetto al precedente.
                  Vi è poi un secondo conflitto, rilevato in particolare dai dirigenti scolastici che
              hanno il compito di gestire i tempi e gli spazi della mensa. Ovvero, il fatto che il di-
              ritto alla “schiscetta” potrebbe mettere a rischio la tutela della salute degli altri bam-
              bini o comunque di alcuni di loro. Non ci potrebbe essere, infatti, un controllo sia
              sulle qualità organolettiche del cibo portato da casa (qualità che vengono messe a ri-
              schio anche e proprio dalla conservazione durante le ore scolastiche, considerato che
              le scuole non hanno a disposizione i frigoriferi dove riporre il cibo portato dai bam-
              bini e neppure un forno dove poter scaldare le pietanze), sia sugli allergeni e sulla ti-
              pologia di cibo. Detto altrimenti, la scuola non soltanto non sarebbe in grado di assi-
              curare che non vi sia uno scambio di cibo tra i bambini, ma, non conoscendo la com-
              posizione del cibo portato da casa, diventerebbe estremamente complesso fare in mo-
              do che i bambini allergici, con problemi sanitari legati all’alimentazione o i bambini
              a cui deve essere garantita una dieta etico-religiosa particolare, non entrino in contat-
              to e non mangino dei cibi pericolosi o comunque contrari alla loro scelta alimentare.
                  Anche in questo caso il diritto del singolo entra in conflitto con il diritto di tutti a
              non correre rischi riguardo alla propria salute o riguardo al rispetto delle convinzioni
              religiose e/o etiche della propria famiglia. E anche in questo caso è da ritenersi pre-
              valente il secondo rispetto al primo.
                  Tuttavia, come si è anticipato, a fronte di questi due conflitti brevemente deline-
              ati, vi è un piano ulteriore di riflessione che occorre porre in evidenza, nel senso che
              è lecito domandarsi se siano realmente i diritti a confliggere tra di loro oppure se, a
              prescindere dal potenziale conflitto tra i diritti e dal prevalere dell’uno o dell’altro,
              non siano le scelte organizzative a prevalere e dunque, di fatto, a definire il diritto
              prevalente.
                  Facciamo due esempi. Il primo: non è forse vero che, così come la struttura sco-
              lastica si fa garante ed effettivamente garantisce che i bambini con delle diete specia-
              li mangino esclusivamente quello che è stato preparato per loro, la medesima strut-
              tura potrebbe organizzare il momento del pasto garantendo che non avvengano degli
              scambi di cibo pericolosi e inappropriati? In fondo, proprio sotto il profilo educativo,
              è parte dell’educazione alimentare insegnare ai bambini che non tutti possono man-
              giare qualunque cibo, ma che vi sono delle differenze dovute a questioni sanitarie o a
              questioni etico-religiose. Vale a dire, il tema legato al rischio di una possibile conta-
              minazione dei cibi o di un possibile scambio di cibo tra gli scolari, pur non essendo
              privo di senso, si presta comunque a qualche osservazione critica e lascia ipotizzare
              che il richiamo al rischio sia una strada facilmente percorribile per non intraprendere
              quella di un intervento educativo sicuramente più faticoso.

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La mensa scolastica come momento educativo e socializzante?               187

                      Secondo esempio: affermare che la scuola non è in grado di garantire la corret-
                  ta conservazione della “schiscetta” per mancanza di frigoriferi e di poter scaldare il
                  pasto per mancanza di forni e di personale addetto a questa funzione, significa sola-
                  mente affermare che non vi sono elettrodomestici e che non sono previste delle figu-
                  re col compito di scaldare i cibi. Detto in altro modo, non ci troviamo di fronte a una
                  presa di posizione su quale diritto debba prevalere su un altro, nel senso che questa
                  non è una questione di diritti fondamentali, ma banalmente di scelte di tipo economi-
                  co-organizzativo, che per l’appunto poco hanno a che fare con la riflessione sui diritti
                  fondamentali, sebbene ne definiscano il loro riconoscimento o la loro mancata tutela.
                      Sotto questo profilo, a prescindere dalle opinioni su questo tema, la domanda da
                  porsi è se la questione del cibo portato da casa sarebbe risolvibile soltanto attraverso
                  una riorganizzazione del “tempo mensa” e dello spazio dedicato alla ristorazione in
                  ambito scolastico. Una soluzione che consentirebbe di stemperare i toni del conflitto,
                  se non addirittura di azzerarlo.
                      Infatti, da una prima osservazione di come vengono gestite le mense, il diritto a
                  consumare il cibo portato da casa risulterebbe, nella pratica, non realizzabile non per-
                  ché confliggente con gli altri diritti fondamentali degli altri bambini, ma risultereb-
                  be di difficile tutela a causa di prassi organizzative e di ragioni economiche. Non ci
                  sfugge che sicuramente l’organizzazione e i costi del servizio scolastico e del servizio
                  mensa siano rilevanti non soltanto per le istituzioni chiamate a garantire il diritto allo
                  studio, ma anche per i genitori chiamati a sostenere almeno in parte le spese dei ser-
                  vizi erogati. Tuttavia riteniamo sia importante sottolineare il fatto che siano le prassi
                  e l’economicità a determinare il diritto o meno di portarsi il cibo da casa, più di quan-
                  to lo sia la riflessione su quale diritto debba ritenersi meritevole di maggior tutela.
                      Senza dimenticare una considerazione conclusiva, che a nostro avviso appare pre-
                  valente rispetto ad ogni altra considerazione: l’obbligatorietà della mensa scolasti-
                  ca, per quanto possa sembrare una imposizione che mette in discussione la libertà di
                  scelta individuale, è anche una garanzia per molti bambini di avere almeno un pa-
                  sto completo al giorno, probabilmente gratuito. Anche questa, a nostro avviso, è una
                  scelta educativa.

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