L'universo secondo Stalin - Il controllo ideologico della scienza - Chiesa di Cusano
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L’universo secondo Stalin Il controllo ideologico della scienza Marco Fulvio Barozzi https://medium.com, 21 Ottobre 2016 La Guerra Fredda non fu solo un confronto tra sistemi politici antagonisti, ma anche una lotta tra due visioni del mondo, nelle quali la scienza e la filosofia furono, più o meno direttamente, condizionate dall’agenda politica. Ciò avveniva da entrambe le parti e, se a Ovest l’accusa di comunismo poteva segnare la fine di una carriera scientifica, fu soprattutto nel sistema autoritario dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti che le scienze ideologicamente sensibili furono asservite al controllo politico, particolarmente nel periodo tra il 1946 e la morte di Stalin, avvenuta nel 1953. Secondo il Comitato Centrale del Partito Comunista del 1950 era un dovere di ogni cittadino sovietico “difendere la purezza delle dottrine marxiste-leniniste in tutti i campi della cultura e della scienza”. Ora, frasi come “purezza delle dottrine” manifestano più un atteggiamento fideistico che un recepimento reale del materialismo dialettico e della filosofia di Marx ed Engels. In effetti lo scontro ideologico che coinvolse discipline di frontiera come la cosmologia ebbe i caratteri di una guerra di religione: non a caso il maggior avversario della “scienza sovietica” non fu il Pentagono o la Casa Bianca, ma il Vaticano. Se si esclude lo sciagurato caso Lysenko, con la crociata contro la genetica occidentale (“scienza fascista” e “puttana del capitalismo”), che ebbe conseguenze disastrose per la biologia e le scienze agrarie sovietiche (e che portò nei campi di lavoro o di fronte al plotone 1
d’esecuzione genetisti di vaglia), gran parte della scienza nell’URSS anche negli anni ’50 fece grandi progressi, culminati con i successi dello Sputnik e di Gagarin, importanti anche dal punto di vista propagandistico. Quando però la “purezza della dottrina” era minacciata, allora la politica interveniva a correggere, purgare, mettere sotto silenzio certe teorie. È il caso ad esempio della chimica organica, dove la teoria della risonanza dei composti aromatici fu avversata e definita “idealistica” in quanto non descrive le molecole come strutture reali in conformità con l’interpretazione che si dava della dottrina materialista. Nel 1951 la teoria fu dichiarata “pseudoscienza borghese” e al dipartimento di chimica dell’Università di Mosca si proibì il proseguimento di ogni ricerca in materia. Anche la fisica quantistica, con il suo mondo di particelle evanescenti, andò incontro all’accusa di idealismo. I fisici sovietici Nikolskij e Blokhintzev, fedeli alla linea, tentarono di sviluppare una versione dell’interpretazione statistica della meccanica quantistica, che era considerata più conforme ai principi del materialismo dialettico. Tuttavia le necessità pratiche dello sviluppo del programma nucleare sovietico fecero in modo che l’occhio dei censori fosse meno attento a correggere le manchevolezze ideologiche in questo campo. Più esposta alle attenzioni dei custodi dell’ortodossia fu invece la cosmologia, scienza inevitabilmente destinata a toccare le questioni fondamentali dell’origine e della fine dell’universo, e quindi ideologicamente sensibile. Andrei Zdanov, il principale ideologo di Stalin, era il custode dell’allineamento politico della cultura e della scienza, con il potere di purgare la scienza sovietica dalle idee pericolose. Il 24 giugno 1947 tenne un discorso di condanna delle tendenze filosofiche e scientifiche che egli riteneva contrarie ai valori del marxismo-leninismo. Tra le scienze che richiedevano di essere ripulite dalle eresie borghesi c’erano l’astronomia e la cosmologia. Riferendosi agli “scienziati reazionari Lemaître, Milne e altri”, egli accusò la cosmologia occidentale di essere segretamente religiosa. Essa utilizzava il redshift delle nebulose, disse, “per rafforzare le concezioni religiose sulla struttura dell’universo”. Inoltre “I falsificatori della scienza vogliono far rivivere la favoletta dell’origine del mondo dal nulla (…) Un altro fallimento della teoria in questione consiste nel fatto che ci porta all’atteggiamento idealistico di considerare finito il mondo”. Il discorso di Zdanov segnò l’inizio di un decennio nel quale la cosmologia, nel senso in cui essa era praticata dai fisici e dagli astronomi occidentali, quasi scomparve dalla scienza sovietica perché considerata pericolosa per l’ortodossia. A seguito delle critiche di Zdanov e di altri alti papaveri del Partito, si tenne nel dicembre del 1948 a Leningrado un convegno di astronomi e fisici per discutere le questioni ideologiche legate alle scienze astronomiche. L’universo omogeneo e in espansione fu fortemente criticato come un’estrapolazione errata delle osservazioni, e ai cosmologi si ordinò di trovare un’interpretazione materialistica del redshift, da contrapporre alle spiegazioni che si davano in occidente, accusate di fornire un’interpretazione idealistica. Nel documento finale del convegno si dichiarava che “La “teoria” reazionaria e idealistica dell’espansione dell’universo domina la cosmologia straniera contemporanea. Sfortunatamente, questa teoria anti-scientifica è penetrata nelle 2
pagine delle nostre pubblicazioni specializzate. (…) È indispensabile denunciare instancabilmente questo idealismo astronomico, che favorisce il clericalismo”. Per quanto ideologicamente sensibile, la cosmologia in Unione Sovietica non ebbe il feroce trattamento riservato alla genetica. Non ci furono purghe e nessun Lysenko nell’astronomia e nella cosmologia sovietiche. Tuttavia la pressione politica e l’autocensura fecero in modo che le ricerche in questo campo furono praticamente inesistenti. Tra il 1934 e il 1958 nessun modello cosmologico fu oggetto di pubblicazioni di scienziati sovietici, anche se il dibattito scientifico sulla materia che avveniva in Occidente era conosciuto. Ma in che cosa consisteva l’ortodossia della cosmologia nell’Unione Sovietica nel primo decennio della Guerra Fredda? Sostanzialmente essa può essere sintetizzata in cinque punti: a) L’universo è infinito, sia nello spazio sia nel suo contenuto di materia. b) L’universo è eterno: non ci fu mai un inizio e non ci sarà mai una fine. c) Nell’universo solo la materia e le sue manifestazioni sotto forma di moto ed energia possiedono una reale esistenza. d) La verità delle teorie cosmologiche dovrebbe essere giudicata sulle basi della loro corrispondenza con le leggi della filosofia dialettico-materialista. e) I redshift delle galassie non indicano affatto che lo spazio cosmica sia in espansione, ma possono essere spiegati in modo diverso. I primi quattro punti affondano le loro radici nel XIX secolo, e sono sostanzialmente delle ripetizioni di ciò che affermò Friedrich Engels nelle sue opere sulla dialettica della natura (ovviamente egli non poteva conoscere l’espansione dell’universo, di cui si cominciò a parlare solo negli anni ’20). Gli ideologi stalinisti consideravano gli scritti di Marx e Engels alla stregua di testi sacri, incorruttibili nella loro verità e indipendenti dal tempo e dai progressi della conoscenza umana. Per comprendere la posizione degli ideologi del PCUS riguardo alla scienza bisogna perciò richiamare brevemente il dibattito sulla termodinamica e la cosmologia alla fine dell’800. L’idea di “morte termica dell’universo” causata dalla continua crescita dell’entropia, che è un corollario della seconda legge della termodinamica, fu intensamente dibattuta nella seconda metà del XIX secolo da scienziati e filosofi. 3
Gran parte dei pensatori socialisti trovava insostenibile l’idea che la vita e l’attività dell’universo debbano un giorno finire. Essi consideravano ugualmente inaccettabile che dalla termodinamica si potesse giungere a considerare un universo di età finita: se esso è infinitamente vecchio, pensavano, l’entropia avrebbe dovuto essere infinitamente elevata, in contrasto con l’osservazione. Inoltre, da un universo di età finita a un universo che ha avuto un inizio li passo è breve, e inizio dell’universo voleva dire creazione soprannaturale. Il pensiero ateo e materialista rifiutava sia la morte termica sia l’idea di un inizio con entropia nulla, per le loro implicazioni religiose. Un modo per sfuggire alle leggi della termodinamica fu quello di postulare un universo infinitamente esteso. Engels, nell’Anti-Duhring (1878) e in Dialettica della natura (1883), non amava pensare a un universo destinato a finire: per il filosofo tedesco l’irreversibilità cosmica (la “freccia del tempo”) era incompatibile con il materialismo, in quanto legittimava l’idea di creazione. L’universo deve essere necessariamente un perpetuum mobile, e per questo motivo infinito nello spazio e nel tempo. Questa concezione fu adottata da Lenin e dibattuta nel saggio Materialismo e empiriocriticismo del 1908. Per Lenin, la filosofia del marxismo è il materialismo dialettico, l’unica forma conseguente di materialismo, coerente con le scoperte scientifiche moderne. Materia senza movimento o movimento senza materia sono concetti assurdi. Il movimento e la materia sono un’unità indissolubile, di cui spazio e tempo sono il modo di esistenza. L’Universo è la materia, cioè il movimento, e nella sua materialità trova la sua unitarietà. Queste idee divennero dogma e furono incorporate nel pensiero ufficiale dell’Unione Sovietica. Così, un pensiero che al principio accolse con entusiasmo le conquiste della scienza, in particolare l’evoluzionismo, e faceva dell’esperienza uno dei suoi metodi di indagine della realtà, fu mummificato dal potere sovietico, come la salma del suo fondatore. In una pubblicazione del 1938, destinata all’indottrinamento ideologico, Stalin scriveva che “Il materialismo filosofico marxista parte dal principio che il mondo e le sue leggi sono perfettamente conoscibili, che la nostra conoscenza delle leggi della natura, verificata 4
dall’esperienza, dalla pratica, è una conoscenza valida, che ha il valore di una verità oggettiva”. Quanto distante è questa sicumera dai dubbi di Engels sulle verità eterne: “Se mai l’umanità arrivasse al punto di non operare che su verità eterne, su risultati del pensiero che posseggano il valore sovrano e l’incondizionata pretesa di verità, essa sarebbe pervenuta a quel punto in cui l’infinità del mondo intellettivo sarebbe esaurita tanto in atto che in potenza, e sarebbe compiuto il celeberrimo miracolo dell’innumere numerato” (Anti- Duhring). Il pensiero di Engels sull’universo, diventato dogma, fu adottato come teoria cosmologica ufficiale dello stalinismo. Nei primi anni ’50 si potevano leggere definizioni come questa: “La Cosmologia è lo studio di un universo infinito come un coerente, unico tutto, e dell’intera regione raggiungibile dall’osservazione come parte dell’universo. Questo studio ha (…) il rango di una branca indipendente dell’astronomia, associata strettamente con la fisica. Nella sua generalizzazione, la cosmologia è essenzialmente governata dalla filosofia e non può essere scientifica senza una base filosofica contenente una corretta teoria della conoscenza e che riveli le leggi generali della materia e del suo movimento”. La scienza ancella della filosofia (materialista dialettica), come nel Medioevo la filosofia lo era della teologia. Ateismo e materialismo erano diventati una religione. Proprio la religione fu l’elemento più importante della guerra ideologica associata alla Guerra Fredda. La versione ufficiale sovietica del materialismo dialettico era radicalmente antireligiosa e impegnata a combattere la religione in tutte le sue manifestazioni, comprese le sue associazioni con la scienza. L’astronomia e la cosmologia furono fatalmente coinvolte dalla propaganda per l’ateismo. Gli ideologi del PCUS consideravano pericolose le teorie cosmologiche che spiegavano l’allontanamento reciproco delle galassie come derivanti da un inizio nel tempo. Il big-bang era troppo strettamente associato all’idea di creazione per essere accettato. Il fatto poi che uno dei primi assertori dell’universo in espansione fosse il sacerdote cattolico Lemaître non faceva che accrescere i sospetti e le armi di propaganda di Mosca. Il prete- scienziato belga fu ben attento a distinguere tra “inizio” e “creazione” del mondo: in un testo del 1958 scriveva infatti che la sua versione del modello di big-bang “si situa interamente al di fuori di qualsiasi domanda metafisica o religiosa [e] consente al materialista la libertà di negare ogni Essere trascendente”. Il mondo scientifico occidentale era poco interessato alla questione, e in quegli anni il big-bang era ancora un’ipotesi tra tante, compresa quella dell’universo stazionario, tutte compatibili con le equazioni di campo della relatività generale. Ma, se Lemaître fu ben attento a non mischiare scienza e religione, i sospetti dei sovietici furono confermati direttamente dalla Santa Sede. Nel discorso “Le prove dell’esistenza di Dio alla luce della scienza naturale moderna”, tenuto alla Pontificia Accademia delle Scienze il 22 novembre 1951, Pio XII fece un uso apologetico della teoria del big-bang. 5
In questo famoso discorso ufficiale, il papa sostenne che la nuova teoria era una legittimazione scientifica di ciò che il credente aveva sempre saputo, cioè che l’universo fu creato da Dio. Secondo Pio XII: “È innegabile che una mente illuminata ed arricchita dalle moderne conoscenze scientifiche, la quale valuti serenamente questo problema, è portata a rompere il cerchio di una materia del tutto indipendente e autoctona, o perché increata, o perché creatasi da sé, e a risalire ad uno Spirito creatore. (…) Pare davvero che la scienza odierna, risalendo d’un tratto milioni di secoli, sia riuscita a farsi testimone di quel primordiale “Fiat lux”, allorché dal nulla proruppe con la materia un mare di luce e di radiazioni, mentre le particelle degli elementi chimici si scissero e si riunirono in milioni di galassie”. La moderna teoria fisica dell’universo, concludeva, “ha allargato e approfondito considerevolmente il fondamento empirico su cui quell’argomento si basa, e dal quale si conclude alla esistenza di un Ens a sè, per sua natura immutabile. Inoltre essa ha (…) additato il loro inizio in un tempo di circa 5 miliardi di anni fa, confermando con la concretezza propria delle prove fisiche la contingenza dell’universo e la fondata deduzione che verso quell’epoca il cosmo sia uscito dalla mano del Creatore”. L’anno successivo, nel 1952, si tenne a Roma l’Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), con 429 delegati di 35 paesi. L’evento era stato inizialmente programmato a Leningrado, ma era stato spostato per ragioni politiche, soprattutto a causa della guerra in Corea che aveva aumentato le tensioni tra i due blocchi. I delegati sovietici criticarono aspramente il cambiamento di sede e il fatto che il programma prevedeva un indirizzo di saluto del papa. Ricordando il discorso papale dell’anno precedente, abbandonarono polemicamente la sala quando Pio XII salì sul palco. Le parole del papa furono meno apertamente apologetiche rispetto al discorso dell’anno precedente, tuttavia il senso era lo stesso: l’astronomia e la cosmologia moderne indicavano l’esistenza di uno spirito superiore e creatore. L’astrofisico sovietico Victor Ambartsumian, che ricopriva anche la carica di vice- presidente dell’IAU, pur non nascondendo la sua irritazione, rispose diplomaticamente che lo studio dei problemi cosmologici avrebbe contribuito all’avvicinamento culturale delle nazioni 6
e alla causa della pace nel mondo. Come la pensasse veramente risulta da un articolo che scrisse in seguito, nel quale affermava l’inconciliabilità di fede e scienza, la quale “attesta inconfutabilmente la verità e l’utilità del materialismo dialettico” e “dimostra la completa fallacia dell’idealismo e dell’agnosticismo, e la reazionarietà della visione religiosa del mondo”. I cosmologi sovietici dovevano spiegare il redshift delle galassie in un modo che non desse adito a speculazioni metafisiche. L’espansione dell’universo fu così affrontata in diversi modi. Vi fu chi sosteneva che il fenomeno poteva essere spiegato sulla base di un universo statico, ma infinito. Molti invece argomentarono che l’espansione poteva essere un fenomeno locale, che interessava solo la parte di universo accessibile alle nostre osservazioni, affermando che estrapolare all’intero universo i dati osservazionali era un’operazione scorretta, che tradiva l’atteggiamento idealistico della scienza occidentale. Si restrinse così il campo d’indagine della cosmologia, introducendo il concetto di “metagalassia”, ovvero la regione che comprende le galassie o gli ammassi di galassie direttamente osservabili. Si poté dunque accettare l’espansione, ma non di tutto l’universo, ma solo della metagalassia. Ciò era conforme al materialismo dialettico, ma non alle equazioni della relatività generale, che valgono per l’intero universo. La teoria dell’universo stazionario, che in quel periodo sembrava poter costituire una valida alternativa a quella dell’universo in espansione, sosteneva che esso è eterno e di dimensioni infinite. In occidente vi fu chi accusò i suoi sostenitori Hoyle, Bondi e Gold di ateismo e ci si aspetterebbe che essa fosse ben accetta in Unione Sovietica. Ma non fu per niente così. Le pubblicazioni scientifiche nell’URSS dei primi anni ’50 sembrano ignorare la teoria, e, quando la menzionano, è per definirla non meno borghese e reazionaria della teoria del big-bang. I motivi di questo rifiuto erano essenzialmente due. Innanzitutto, la teoria dello stato stazionario ipotizzava che l’universo è omogeneo sia nello spazio sia nel tempo (il cosiddetto “principio cosmologico perfetto”), concetto che fu considerato ancor più idealistico del 7
principio cosmologico ordinario, secondo il quale a grande scala l’universo è omogeneo e isotropico. Inoltre, cosa ancor più indigesta per l’ideologia sovietica, il modello dello stato stazionario dipendeva dall’ipotesi di una continua creazione di materia dal nulla. Che avvenga in una volta sola (big-bang), o continuamente (stato stazionario), la creazione non poteva essere digerita da un materialista dialettico. Esisteva un’ulteriore possibilità di conciliare un universo infinito nel tempo con i redshift predetti dalla cosmologia relativistica: ipotizzare un modello ciclico dell’universo. Questi modelli furono talvolta discussi dai cosmologi in occidente, anche se erano presi in considerazione solo da un’esigua minoranza. D’altra parte, l’idea di un universo ciclico era molto popolare tra i materialisti e i socialisti dell’Ottocento, che si opponevano all’idea di un universo finito nel tempo che essi associavano al teismo. Ad esempio, Engels aveva preso in considerazione un universo eternamente ciclico. Ebbene, nonostante le sue credenziali 8
storico-ideologiche, questo modello non ebbe sostenitori tra gli scienziati sovietici. Anch’esso non era considerato in accordo con i dogmi del materialismo dialettico: se il tempo dell’universo ciclico era infinito, non lo era lo spazio, e ciò contraddiceva la posizione ufficiale del Partito. La morte di Stalin nel 1953 portò a un cambiamento del clima culturale e nelle relazioni tra scienza e ideologia. L’influenza dei custodi dell’ortodossia del materialismo dialettico diminuì e ciò ebbe conseguenze anche sullo sviluppo nel decennio successivo dell’astronomia, dell’astrofisica e della cosmologia. Da una politica di sostanziali critica e rifiuto di tutte le teorie elaborate in occidente sulla natura dell’universo, con la mancanza di studi e ipotesi alternative, si passò a una lenta apertura verso le idee provenienti dall’altra parte della Cortina di Ferro. 9
Un convegno della Commissione per la Cosmologia del Consiglio Astronomico dell’URSS nel tardo 1956 dà l’impressione di una debolezza della disciplina, ma anche dell’emergere della consapevolezza che era necessaria una rottura con lo sterile atteggiamento del passato. Secondo il rapporto finale pubblicato l’anno successivo, l’assenza di traduzioni delle monografie e degli articoli scientifici stranieri costituiva un problema, pur senza abbandonare il valore attribuito al materialismo dialettico nell’interpretazione sovietica. Mentre i primi tre volumi della rivista specializzata Astronomicheskii Zhurnal (1957–1959) non contenevano alcun articolo classificabile come cosmologico, negli anni ’60 il numero salì a una media di 7 per volume. Il cambiamento era in corso, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello, qualitativo. In un articolo del 1962 è possibile leggere concetti impensabili qualche anno prima: che «In accordo con l’espansione dell’universo osservata, si ritiene probabile che nello stadio primordiale dell’evoluzione dell’universo esisteva una soluzione di Friedmann [delle equazioni della relatività generale] non stazionaria omogenea e isotropica, con la densità della materia in decrescita da un valore infinito all’istante iniziale». In confronto con l’ostilità tradizionale verso i modelli di un universo finito nel tempo, queste parole di uno scienziato sovietico di spicco, Yakov Zel’dovich, appaiono ancor più degne di nota se si pensa che in occidente il modello del big-bang in quel periodo riceveva ancora poca attenzione. La cosmologia sviluppata in Unione Sovietica negli anni ’60 da Zel’dovich e dalla sua scuola si inquadra oramai nella corrente principale della cosmologia occidentale. Nessuna pubblicazione scientifica di quel periodo si avventurava in disquisizioni filosofiche e tutte avevano un carattere puramente tecnico. Nella seconda metà degli anni ’60 i paper dei cosmologi sovietici non si distinguevano più da quelli occidentali se non per la lingua con la quale erano scritti. Cammini di santità: 1. Mons. Angelo Comastri: Duemila anni fa l'Eterno è entrato nella storia degli uomini. https://youtu.be/EmRDWzy2VKM 2. Mons. Angelo Comastri esamina le profezie messianiche. https://youtu.be/IT501gGHpiU 10
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