INFORTUNIO E MALATTIA: I PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ DATORIALE

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INFORTUNIO E MALATTIA: I PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ DATORIALE
Scuola Superiore della Magistratura
    STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA DEL DISTRETTO DI MILANO

  INADEMPIMENTO ILLECITO E RISARCIMENTO
    DEL DANNO NEL RAPPORTO DI LAVORO

    INFORTUNIO                       E MALATTIA: I
PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ
                        DATORIALE
                                                                Avvocato Aldo Garlatti
                                                                Studio Legale Garlatti

                                                              Milano, 22 maggio 2019
La nozione di sicurezza
INSIEME DELLE MISURE TECNICO ORGANIZZATIVE, MEDICO SANITARIE,
FOMATIVE, PROCEDURALI FINALIZZATE ALLA PREVENZIONE DI EVENTI DI DANNO
NEI CONFRONTI DEI PRESTATORI DI LAVORO, AUTONOMI, SUBORDINATI O
FLESSIBILI DURANTE LO SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITA’ LAVORATIVA.

LA SICUREZZA ATTINGE DUNQUE A TUTTI I FATTORI DI ORGANIZZAZIONE
DELL’IMPRESA ED IN PARTICOLARE I SOGGETTI GRAVATI DALLA POSIZIONE DI
GARANZIA CHE DEVONO ADOTTARE QUELLE MISURE CHE NEI DIVERSI SETTORI, E
NELLE DIVERSE LAVORAZIONI, CORRISPONDONO AD APPLICAZIONI TECNOLOGICHE
GENERALMENTE PRATICATE E QUEGLI ACCORGIMENTI ORGANIZZATIVI E
PROCEDURALI GENERALMENTE ACQUISITI.

La fonte normativa più importante, oltre all’art. 2087 c.c, ed all’art 32 della Costituzione
è il D.Lgs 81/2008 che accorpa tutta la precedente normativa i cui ai DPR nrr. 545/55,
303/56, 626/94 ecc.ra) .
L’art 2087 cc si qualifica come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, con
contenuto atipico e residuale, estensibile a situazione ed ipotesi non ancora
espressamente considerate e valutate dal legislatore, ed impone all’imprenditore
l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con l’adozione ed il
mantenimento perfettamente funzionale, non solo di misure igienico sanitario o
antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a
preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in
relazione ad aventi pur se allo stesso non collegati direttamente (cfr. sulla portata dell’art
2087 cc Cass Sez. L nr. 24742 dell’8.10.2018; Cass Sez. L nr. 13956 del 3.8.2012)
Le diverse responsabilità conseguenti alla violazione delle norme
in materia di salute e sicurezza

  La responsabilità del datore di lavoro, (e quella eventuale del lavoratore)
  conseguente alla violazione dell’obbligazione di sicurezza dalla quale consegua un
  evento di danno (morte o lesioni), può assumere diversa natura giuridica e diverso
  regime sanzionatorio - risarcitorio.
  In particolare può configurarsi come responsabilità:

  1) Penale e di natura personale (fattispecie ricorrente art. 589 e 590 cp commessi
     con violazione delle norme specifiche sulla prevenzione degli infortuni e delle
     malattie professionali);

  2) civile contrattuale ed extracontrattuale (cfr. artt. 2087, 2043 c.c)

  3) penale amministrativa dell’Ente ex Dlgs 231/01 introdotta con l’art 9 della L.
     123/07 che ha esteso la portata della norma ai delitti di cui agli artt. 589 e 590
     comma 3 cp, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla
     tutela dell’igiene e della salute sul lavoro: Il criterio di imputazione è dato dalla
     cosiddetta colpa di organizzazione che fonda la responsabilità dell’ente quale
     espressione di scelte di politica aziendale errate ed imprudenti

  4) previdenziale INAIL Dpr. nr. 1124/65 e D.Lgs nr. 38/2000 (cfr. azione di
     regresso Inail, prestazioni assicurative indennitarie per il lavoratore)
Sulla natura contrattuale della responsabilità incombente sul
 datore di lavoro
La responsabilità civile e contrattuale del datore di lavoro conseguente all’obbligo di
sicurezza nell’ambito giuslavoristico, scaturisce con contenuto atipico e residuale dall’art.
2087 c.c ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore sugli
infortuni e malattie professionali.
1) Riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità datoriale (anche se
   concorrente con quella eventualmente extracontrattuale o da atto illecito) atteso che il
   contenuto del contratto individuale di lavoro, risulta integrato per legge, ai sensi dell’art.
   1374 cc dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma
   contrattuale (Cfr. sulla natura contrattuale (cfr. Cass Sez. Lav.nr. 8911 del 29.3.2019 Est
   Marotta; Cass. Sez. L nr. 21563 del 3.9.2018; Cass. Sez. Lav. nr. 12445/2006; Cass Sez.
   Lav nr. 3788/2009; Cass. Lav. 21590 del 13.8.2008; Cass. Sez. Lav. nr. 146/2018);

2) La fonte giuridica dell’obbligazione di sicurezza viene intesa come obbligazione
   integrativa del contratto di lavoro: oltre alle fonti di rango costituzionale, comunitario,
   ed alla legislazione specialistica, tra cui in particolare il D.Lgs. 81/’08 rilevano gli artt.
   2043, 2049, 2087 codice civile: il datore di lavoro è tenuto a predisporre un ambiente ed
   una organizzazione del lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute,
   funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa con la conseguenza che è
   possibile per il prestatore di eccepirne l’inadempimento e rifiutare la prestazione
   pericolosa ex art 1460 cc

3) L’art 2087 c.c non configura per altro ipotesi di responsabilità oggettiva in quanto la
   responsabilità datoriale va in ogni caso collegata alla violazione di obblighi di
   comportamento imposte da norme di legge o suggeriti dalla conoscenze sperimentali; (cfr.
   Cass.nr. 8911 del 29.3.2019 cit; Cass. Sez. Lav. nr. 3288/2013)
Sulla concreta portata dell’art 2087 cc.
L’art 2087 ha una funzione dinamica intesa come norma finalizzata a spingere il datore di
lavoro ad attuare nell’organizzazione del lavoro un’efficace attività di prevenzione attraverso la
continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più
aggiornata, E’ fonte di obblighi positivi stante la formulazione aperta della norma declinata
attraverso i parametri della “particolarità del lavoro” intesa come complesso di rischi e
pericoli che caratterizzano la specifica attività lavorativa, della “esperienza” intesa come
conoscenza di rischi e pericoli acquisita nella specifica attività lavorativa e della “tecnica”
intesa come progresso scientifico e tecnologico attinente a misure di tutela cui il datore di
lavoro deve essere aggiornato. L’art 2087 cc come norma di chiusura del sistema di
prevenzione è dunque operante anche in assenza di specifiche regole di esperienza o di regole
tecniche preesistenti e diretto a sanzionare l’omessa predisposizione di tutte quelle cautele
atte a preservare la salute del lavoratore tenuto conto della concreta realtà aziendale e della
maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare su fattori di rischio in un
determinato momento storico (cfr. Cass Sez. Lav. nr. 24272 8.10.2018).
Ma la responsabilità datoriale non è tuttavia suscettibile di essere ampliata sino al punto da
comprendere sotto il profilo meramente oggettivo ogni ipotesi di lesione dell’integrità
psicofisica dei dipendenti. L’elemento costitutivo e fondante la responsabilità datoriale resta
pur sempre la colpa e quindi la prevedibilità e la evitabilità. Quindi non incombe sul
datore di lavoro:
a) l’obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile diretta ad evitare qualsiasi danno al
   fine di garantire un ambiente di lavoro a rischio zero quando di per sé il pericolo di una
   lavorazione o di una attrezzatura non sia eliminabile ;
b) L’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente
   impensabili (cfr. Cass Sez. Lav nr. 4970 del 22.2.2017).
Quindi dal semplice verificare di un evento di danno non può desumersi l’inadeguatezza delle
misure di protezione adottate, ma è necessario che la lesione del bene tutelato derivi
causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o
suggeriti dalle conoscenze tecniche in relazione al lavoro svolto
Rilevanza dell’art. 2087 cc e la tutela delle situazioni stress
lavoro correlate quale il cd straining
La Corte di Cassazione, con ordinanza 29.3.2018 nr. 7844, ha ribadito il
consolidato orientamento il base al quale il datore di lavoro “è tenuto ad evitare
situazioni stressogene che diano origine ad una condizione che per per
caratteristiche, gravità frustrazione personale o professionale altre circostanze
del caso concreto, possa presuntivamente comportare un danno alla salute per
il lavoratore e ciò anche in caso di mancata prova di un preciso intento
persecutorio”, in virtù della natura contrattuale della responsabilità del datore
di lavoro per inadempimento all’obbligo di sicurezza ex art 2087 cc, il quale
impone al medesimo l’adozione di tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità
fisica e morale dei propri dipendenti ( Cfr. Cass. Sez. Lav nr. 12553/2003).

In questo senso il suddetto stress forzato può derivare dalla costrizione della
vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile , per incuria e disinteresse nei
confronti del suo benessere lavorativo” integrando il fenomeno del cd. straining.
Intendendosi per straining una situazione di stress forzato sul posto di lavoro,
in cui la vittima subisce almeno una zione che ha come conseguenza un effetto
negativo sull’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è
caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona
che attua lo straining in persistente inferiorità. Lo straining viene attuato
appositamente contro una o più persone ma sempre in maniera discriminante.
La ripartizione degli oneri della prova ex artt. 1218, 2087 e 2697 c.c

 Dalla affermata natura contrattuale della responsabilità, consegue la precisa ripartizione
 degli oneri probatori nel processo del lavoro ( cfr. disposizioni processuali ex artt. 414 e
 416 c.p.c) ex artt. 1218 art 2087 c.c e 2697 cc.

 Il creditore ossia il danneggiato deve provare ed allegare i fatti costitutivi della pretesa,
 essendo necessario e sufficiente l’allegazione dell’inadempimento colpevole.
 In particolare, la parte danneggiata dovrà dimostrare il fatto costituente inadempimento
 dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento
 stesso ed il danno subito. In parziale deroga all’art 2697 cc non è tenuto alla
 dimostrazione della colpa del datore di lavoro danneggiante nei cui confronti opera la
 presunzione ex art 1218 c.c (cfr. Cass Sez. L 10319/2017)
 Il lavoratore dovrà pertanto allegare e provare l’esistenza del fatto materiale, le regole di
 condotta che si assumono essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto
 in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il
 rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede
 o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa debbono essere adottate per tutelare
 l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro.
 (cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 8911 del 29.3.2019; Cass. Sez. Lav. Nr. 146 del 5.1.2018 Est
 Amoroso; Cass. Sez.Lav 26.10.2016 nr. 21882; Cass Sez. L. nr. 22827 del 26.10.2014;
 Cass sez. Lav. nr. 12358 del 3.6.2014;Cass Sez. L. nr. 26293 del 25.11.2013; )
 Sul datore di lavoro incombe la dimostrazione della non imputabilità
 dell’inadempimento ovvero di aver adempiuto all’obbligo di sicurezza.
Misure di sicurezza “nominate” o “innominate”: differente onere
probatorio
Nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto misure di sicurezza espressamente o
specificatamente definite dalla legge (cfr. D.Lgs 81/08) o da altra fonte parimenti
vincolanti in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, le stesse
misure sono definite come misure nominate.
Il lavoratore deve dimostrare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte
impositiva ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere ed il nesso di
causalità tra l’inosservanza della misura ed il danno derivatone.
Il datore di lavoro dovrà fornire la prova liberatoria ossia la negazione dei fatti provati
dal lavoratore, ovvero l’insussistenza dell’inadempimento e del nesso di causalità tra
questo ed il danno.

Nel caso di violazione di misure di sicurezza “innominate”, ossia ricavabili dallo stesso
art 2087 cc, l’onere della prova a carico del datore di lavoro risulta correlata alla
misura della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di
sicurezza, ossia la dimostrazione di aver adottato misure suggerite dalle conoscenze
sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati (best
practise) o che trovino riferimento in fonti analoghe (cfr. Cass. 31.10.2018 nr. 27694) .
Esse continuano ad essere ricavate dai riferimenti di massima dell’art. 2087 cc ed
impongono non solo l’adozione delle misure imposte dalla legge, ma anche tutte le altre
misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza in base alla
particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza ed alla tecnica.

La responsabilità datoriale ex art 2087 cc. si configura anche quando le misure di
sicurezza siano rispettate ma le mansioni concretamente assegnate siano incompatibili
con lo stato di salute del lavoratore cagionandone un danno alla salute. ( cfr. sul punto
Cass. Sez. Lav. nr. 7584 del 18.3.2019 Est De Gregorio)
Incombe quindi sul lavoratore infortunato, a pena di decadenza, nell’atto
introduttivo (ricorso) del giudizio risarcitorio:
1.     allegare e provare l’esistenza della obbligazione lavorativa, fornire
    dettagliatamente tutti gli elementi in fatto (dimostrazione dell’esistenza del
    fatto materiale) ed in diritto affinché possa essere accertabile
    l’inadempimento datoriale, con specifica allegazione delle norme
    antinfortunistiche che si assumono violate: la mera enunciazione generica
    e richiamo alla normativa ex art 2087 c.c potrebbe impedire di fatto la
    difesa datoriale trasformando il regime dell’imputazione dalla colpa a
    quello della responsabilità oggettiva e portare alla declaratoria di nullità
    del ricorso (cfr Cass. Sez. L nr. 10329 del 12.4.2019);
2. allegare le circostanze in fatto atte a ricostruire la dinamica
    dell’infortunio e la prova dell’evento lesivo (infortunio o malattia
    professionale), e la dimostrazione delle condizioni lavorative, ambientali,
    delle misure di sicurezza concretamente adottate o meno, della formazione
    ed informazione concretamente ricevuta o meno, delle disposizioni violate
    (e quindi della colpa), del nesso causale sia esso attivo od omissivo rispetto
    all’evento finale;
3. provare l’esistenza del danno ed il nesso causale rispetto all’obbligazione
    lavorativa;
4.    Allegare gli elementi utili a connotare la condotta datoriale in materia di
     sicurezza sul lavoro e di compliance alla normativa (es: estratto del DVR,
     eventuali Ispezioni ASL ARPA Ispettorato Lavoro, acquisizione registro
     Infortuni);
5.   Dedurre provare ed allegare la responsabilità dell’infortunio ascrivibile alla
     condotta di altro lavoratore dipendente in relazione al quale il datore di
     lavoro risponde sempre ex art 2049 c.c;
6.     Provare ed allegazione di tutti gli elementi utili alla liquidazione del
     danno patrimoniale e non patrimoniale              derivato (eventuale CTU,
     allegazione in fatto del cambiamento dell’agenda di vita), allegare le
     prestazioni erogate dall’Inail ;
7.   Provare ad allegare tutte le circostanze utili alla liquidazione del danno
     parentale in caso di morte del lavoratore infortunato o tecnopatico,
     (dimostrazione della sussistenza del rapporto parentale, della qualità di
     eredi, della composizione del nucleo famigliare, del reddito apportato in
     vita dal de cuius,);
8.   Ai fini del conseguimento dell’indennizzo INAIL l’onere della prova è
     alleggerito sotto il profilo della dimostrazione della responsabilità, essendo
     irrilevante la colpa del lavoratore. Occorre pur sempre dimostrare che
     l’evento è avvenuto per causa ed in occasione di lavoro e che la malattia è
     causalmente riconducibile all’ambiente di lavoro salve le ipotesi tabellari
     con presunzione di nesso.
Onere della prova incombente sul datore di lavoro
Incombe, ex plurimis, sul datore di lavoro la dimostrazione:

1. del fatto estintivo dell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza ex art 1218 cc e
    quindi la concreta adozione di tutte le misure di sicurezza ambientali ed individuali
    imposte dalla normativa specifica ed ex art 2087 c.c secondo il miglior progresso
    tecnologico e secondo gli standard di sicurezza propri di quel settore di attività e del
    momento esistenti in quel determinato contesto produttivo;
2. della corretta e aggiornata valutazione del rischio pertinente (cfr. DVR; es, rischio
    polveri rumori, agenti chimici, sostanze cancerogene, lavorazioni in quota ecc.ra );
3. della adeguata formazione, informazione ed addestramento dei lavoratori sui rischi
    specifici e generici derivanti dalla mansione concretamente svolta dall’infortunato;
4. di aver dotato i lavoratori delle misure di sicurezza ambientali ed individuali,
    vigilando sulla loro concreta adozione;
5. di avere predisposto idonee prassi operative aziendali e la sorveglianza sanitaria;
6. di aver aver attuato ed efficacemente adottato un modello di gestione per la salute e
    la sicurezza;
7. di aver effettivamente vigilato e controllato sul concreto rispetto ed adozione delle
    misure di sicurezza avvalendosi di personale professionalmente qualificato;
8. di dimostrare l’eventuale concorso di colpa del lavoratore o l’interruzione del nesso
    causale per fatto abnorme dello stesso;
9. di svolgere tutte le contestazione sulla risarcibilità e sul quantum del danno
    patrimoniale e non patrimoniale rivendicato dal lavoratore infortunato;
10. dedurre eventuali eccezioni estintive del diritto (prescrizione), di procedibilità della
    domanda e ovviamente formulare l’idonea istanza di chiamata in causa della
    compagnia di assicurazione
La responsabilità “solidale” nel caso di appalto
 La responsabilità è disciplinata dall’art. 26 D.Lgs nr. 81/08 “Obblighi connessi i
 contratti di appalto o d’opera o di somministrazione”:

 “In caso di infortunio avvenuto nel corso di lavorazioni eseguite in appalto, opera la
 solidarietà prevista dall’art. 26 comma 4 del D.Lgs 81/08 per cui il committente
 risponde in solido con appaltatori ed eventuali sub appaltatori dei danni
 differenziali non indennizzati dall’Inail. La solidarietà non opera ai danni
 conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o
 sub appaltatrici”. Il committente è responsabile in tema di salute e sicurezza
 solo se ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la
 prestazione di lavoro autonomo”

 La norma si rivolge pertanto a qualsiasi committente (imprenditore o non
 imprenditore) purché datore di lavoro e presuppone pertanto personale alle
 dipendenze.

 La norma si estende anche al contratto d’opera ex art 26 comma I, ma solo nell’ipotesi
 in cui il lavoratore autonomo abbia propri dipendenti (cfr in particolare l’art 26
 comma 2° che impone esplicitamente gli obblighi in esso previsti ai datori di lavoro”

 Ipotesi classiche dei cosiddetti “appalti interni in senso funzionale” quali attività di
 pulizia locali aziendali, attività di manutenzione dei macchinai installati.

 La norma richiede di promuovere la cooperazione per l’attuazione delle misure di
 sicurezza ed il coordinamento per gli interventi di protezione e prevenzione che si
 concretano nella redazione di un unico documento di valutazione dei rischi.
I doveri e gli obblighi dell’appaltante e dell’appaltatore
Ex art 26 D.Lgs, 81/08 sull’appaltante incombono diversi doveri ed obblighi la cui
violazione può comportare obbligo risarcitorio per il lavoratore infortunato ex art 2087
cc. In particolare il committente deve :
a) verificare l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei
   lavoratori autonomi, in relazione ai lavori, ai servizi ed alle forniture da affidare in
   appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione (obbligo sanzionato
   penalmente art 26 1° comma lett. a) ;
b) fornire “agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti
   nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e
   protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto
   (sanzionato penalmente);
c) Coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi sui sono esposti i
   lavoratori informandosi reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi derivanti
   dalle interferenze tra lavoratori delle diverse imprese coinvolte (cfr art 26 2° comma
   lett. h) ;
d) Promuovere la cooperazione (ex art 1374 cc) per l’attuazione delle misure di
   sicurezza e degli strumenti di protezione con l’appaltatore ed il coordinamento,
   elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure da
   adottare (art 26 2° comma lett. a) e art 26 comma 3);
e) Obbligo di indicazione separato nel contratto di appalto - a pena di nullità, dei costi
   per le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi in materia di
   salute e sicurezza. La previsione consente di valutare la congruità dell’importo
   stanziato a tal fine da parte del rappresentante per la sicurezza dei lavoratori e delle
   organizzazioni sindacali
La giurisprudenza sulla sicurezza negli appalti
Cfr. Cass. Pen Sez, IV nr. 7188 del 10.1.2018 Est Piccialli

Fattispecie ex art 589 cp per lesioni gravissime derivate ad un lavoratore con accertamento
della responsabilità in capo all’Amministratore della Ditta Appaltatrice per la realizzazione di
opere edili uno stabile, che a sua volta subappaltava le diverse lavorazioni a tre ditte
individuali. Il lavoratore precipitava dal vano ascensore del terzo piano le cui protezioni-
parapetti risultavano insufficienti.
La pronuncia si conforma all’orientamento di legittimità che impone al committente di
verificare la struttura organizzativa dell’impresa.
Il committente dei lavori dati in appalto, nello scegliere il soggetto al quale affidare l’incarico,
deve accertarsi che tale soggetto sia munito non solo dei titoli prescritti dalla legge, ma
anche della capacità tecnica professionale, proporzionata al tipo astratto di attività
commissionata, in relazione sua alla pericolosità ed alle concrete modalità di espletamento
della stessa.
L’idoneità tecnico professionale delle imprese subappaltatrici e dei lavoratori autonomi, con
le modalità di cui all’Allegato XVII del D.Lvo 81/2008.

Pertanto l'omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso
causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto
all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di
svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei
lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale
ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo
quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti
di esso”
Cfr Cass. Sez. Lav. 21694/2011; Cass. Sez. Lav. nr. 798 del 13.1.2017 Est. Manna;
Aspetti processuali dell’azione risarcitoria ex art. 2087 c.c: inesistenza
di azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione

 Il lavoratore infortunato tecnopatico non ha azione diretta ex art 1916 c.c nei
 confronti dell’eventuale assicurazione del datore di lavoro.

 Il lavoratore infortunato non ha azione diretta nei confronti della compagnia
 assicurativa, anche nell’ipotesi in cui abbia ottenuto sentenza favorevole di
 condanna. Quindi la compagnia di assicurazione manleva l’assicurato (ossia il
 datore di lavoro) solo dopo che questi abbia corrisposto il risarcimento al
 lavoratore infortunato.
 Rilevanti sono le conseguenze in ambito fallimentare, dove il risarcimento del
 danno, pur trattandosi di diritto personalissimo, viene corrisposto alla massa
 fallimentare e assoggettato al riparto tra i vari creditori.

In tema di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può
agire direttamente nei confronti dell'assicuratore del responsabile del danno
(facoltà prevista con disciplina speciale dalla legge n. 990 del 1969 e, quindi, non
applicabile al di fuori della fattispecie di cui alla citata legge), atteso che egli è
estraneo al rapporto tra il danneggiante e l'assicuratore dello stesso, né può
trarre alcun utile vantaggio da una pronuncia che estenda all'assicuratore gli
effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando
l'assicurato chieda all'assicuratore di pagare direttamente l'indennizzo al
danneggiato, attenendo detta richiesta alla modalità di esecuzione della
prestazione indennitaria.
Assicurazione, fallimento e credito privilegiato
   del lavoratore ex art 1917 cc

Cass Sez. L, Ordinanza interlocutoria n. 11921 del 13/05/2008 (Rv. 603207)

Alla luce del principio di concentrazione delle tutele ex art. 111, comma 2, Cost., che impone -
nell'alternatività tra l'azione diretta verso l'assicuratore e l'ammissione al passivo fallimentare
dell'assicurato - una risposta giudiziaria contestuale e non limitativa della domanda di giustizia
del danneggiato, è rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 3, 24, 35 e
111 Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, cod.
civ., nella parte in cui non prevede azione diretta del lavoratore per il risarcimento del
danno conseguente ad infortunio sul lavoro nei confronti dell'assicuratore del datore di
lavoro, dovendosi ritenere che l'esigenza, posta alla base dell'applicazione dell'art. 3 Cost. e
dell'art. 35 Cost. (in relazione alla qualità soggettiva degli infortunati), di attribuire a situazioni
identiche trattamenti equipollenti - quali quelli riconosciuti ai dipendenti dell'appaltatore ex art.
1676 cod. civ., al lavoratore in tema di contratto di somministrazione di manodopera e di
appalto ex artt. 23, comma 3, e 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nonché ai danneggiati da
sinistro stradale ex art. 18, legge n. 990 del 1969 - ne venga ingiustificatamente lesa, tanto più
che la norma presenta ulteriori profili di irrazionalità atteso che, da un lato, il soddisfacimento
del credito risarcitorio del lavoratore infortunato resta affidato alla discrezionalità
dell'assicuratore o dell'assicurato, per cui, in ragione del momento in cui interviene, può restare
sottratto alla "par condicio creditorum", mentre, dall'altro, è ravvisabile una irragionevole
differenziazione tra la situazione del lavoratore infortunato sul luogo di lavoro e quella del
lavoratore infortunato in infortunio "in itinere", godendo solo quest'ultimo, in quanto vittima
della strada, di azione diretta. Né vanno sottesi i maggiori tempi processuali per la realizzazione
del diritto - ostacoli di fatto la cui considerazione è imposta dall'art. 3 Cost. - conseguenti alla
non esperibilità dell'azione diretta, integrandosi anche una lesione degli artt. 24 e 111 Cost.
Rapporto tra GIUDIZIO PENALE e GIUDIZIO CIVILE:
il principio di autonomia delle azioni
Dalla lettura e dalla interpretazione giurisprudenziale dell’art. 75 CPP
emerge il principio della piena autonomia delle due giurisdizioni
quindi non sussiste alcuna pregiudizialità un tempo devoluta all’azione
penale.

L’art 75 comma I c.p.p prevede: “L’azione civile proposta davanti al
giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in
sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non
passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti
del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento
civile”

L’art 75 comma II c.p.p prevede: “L’azione civile prosegue in sede civile se
non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più
ammessa la costituzione di parte civile”

L’art. 75 comma III c.p.p prevede: “Se l’azione è proposta in sede civile nei
confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo
penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è
sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a
impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge”
…segue

Quindi, a parte le eccezioni previste dal III comma, il giudizio civile
procede a prescindere dalle decisioni che potranno essere adottate
nell’ambito del processo penale (si veda anche l’effetto del giudicato
penale ex art 652 cpp .

“Nell'ordinamento processuale vigente, l'unico mezzo preventivo di
coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall'art. 75
cod. proc. pen., il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del
giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio
generale di autonomia, al quale s'ispirano i rapporti tra i due processi, con il
duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello
penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e
dell'obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti. La
sospensione necessaria del giudizio civile è pertanto limitata
all'ipotesi in cui l'azione in sede civile sia stata proposta dopo la
costituzione di P.C. nel processo penale, prevedendosi, nel caso
inverso, la facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale, il
cui esercizio comporta la rinuncia "ex lege" agli atti del giudizio
civile, ovvero la prosecuzione separata dei due giudizi.
Cfr Cass Sez. 3, Civile Ordinanza n. 13544 del 12/06/2006
L’art. 10 del DPR 1124/65 non pone obblighi di pregiudizialità
penale
L’art. 10 comma 2 del TU 1124/65 (“che abbiano riportato condanna penale per il
fatto dal quale l’infortunio è derivato) deve quindi essere interpretato tenuto conto del
principio di autonomia delle giurisdizioni e dell’ordinamento processuale nella sua
interezza.

Ma la pregiudiziale penale oggi può trovare applicazione solo in forza di una
espressa previsione di legge, non sussistendo alcun vincolo di pregiudizialità negli
altri casi.

Principio della unitarietà della giurisdizione per il quale il giudice civile procede
autonomamente alla qualificazione del fatto illecito come reato ai fini del
risarcimento del danno.
“Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, l’inesistenza di una pronuncia
del giudice penale, con efficacia di giudicato, comporta che il giudice civile possa
accertare incidenter tantum l’esistenza del reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi
individuandone l’autore e procedendo al relativo accertamento nel rispetto dei canoni
della lette penale”.
Cfr. Cass. Sez. Lav. 13425/00; Cass. Sez. Lav. nr. 6749 del 10.7.1998.
E’ allora fondamentale che l’infortunato alleghi la sussistenza di fatto integrante in
astratto un reato perseguibile ‘ufficio (es art 589 e 590 c.p. commessi con violazione
delle norme sugli infortuni sul lavoro): ai fini dell’accertamento del fatto reato è
sufficiente il riscontro della responsabilità ex art 2087 c.c. del datore di lavoro o dei
suoi preposti.
La prescrizione dell’azione di risarcimento dei danni
Il termine prescrizionale del diritto al risarcimento dei danni ex art 2087 cc è quello decennale
ex art 2947 cc. (Cfr. in particolare Cass Sez. L nr. 7850 del 20.3.2019; Cass Sez. Lav nr. 19838
del 5.10.2015; Cfr Cass. Sez. Lav sent 17579 del 18.7.2013; Cass. Sez. Lav nr. 10414/2013; Cass
Sez. Lav nr. 7272 /2011)

Il dies a quo, nel caso di infortunio sul lavoro, coincide con l’evento stesso e non subisce
sospensione (sino alla cessazione del rapporto) in ragione del requisito dimensionale dell’impresa
come per i crediti retributivi.

Diversa è la problematica nell’ipotesi di malattia professionale, dove il dies a quo coincide con
quello in cui è stata formulata la diagnosi della natura professionale della patologia contratta
dal lavoratore (es: accertamento Clinica del Lavoro, INAIL, accertamento e diagnosi ospedaliera).
La prescrizione decorre non dal giorno in cui il terzo abbia determinato la modificazione causativa
del danno o dal momento in cui la malattia si sia manifestata all’esterno, bensì da quello in cui
essa venga percepita o possa essere percepita quale danno ingiusto conseguente al
comportamento del terzo usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle
conoscenze scientifiche (cfr Cass. Sez. L. nr. 7850 del 20.3.2019 cit.; Cass SU 11.1.2008 nr. 579;
Cass 22.9.2017 nr. 22045);
Non solo, ma ove si tratti di condotta permanente (es protratta esposizione a sostanze nocive) la
prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione della condotta illecita, in assoluta sintonia
con la disciplina del reato permanente.
“La prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla salute patito dal lavoratore in
conseguenza della mancata adozione da parte del datore di adeguate misure di sicurezza delle
condizioni di lavoro, ai sensi dall'art. 2087 cod. civ., decorre dal momento in cui il danno si è
manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile solo ove l'illecito sia istantaneo,
ossia si esaurisca in un tempo definito, ancorchè abbia effetti permanenti, mentre ove, l'illecito
sia permanente e si sia perciò protratto nel tempo, il termine prescrizionale inizia a
decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente”.
(Cfr: Cass. Sez. Lavoro nr. 7272 del 30.3.2011 Est Di Cerbo)
Sulla prescrizione: la problematica degli aggravamenti
Particolare rilevanza riveste la questione degli aggravamenti nell’ambito della
malattia professionale. L’aggravamento non costituisce di regola nuovo evento
di danno di per se suscettibile di configurare nuovo dies a quo per la
decorrenza del termine prescrizionale rispetto a quello originario riconducibile
alla diagnosi.

Es: il semplice aumento del grado di invalidità della stessa patologia
professionale (ipoacusia) non sposta il termine prescrizionale. Diverso è se da
un evento iniziale (es asbestosi) la patologia professionale degenera in un
evento successivo più grave ( tumore polmonare)

Cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 19022/2007 Est. Monaci
“In tema di risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto della
mancata tutela da parte del datore delle condizioni di lavoro, in violazione degli
obblighi imposti dall'art. 2087 cod. civ., la prescrizione - decennale, ove il
lavoratore esperisca l'azione contrattuale - decorre dal momento in cui il
danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e
riconoscibile e non dal momento di un successivo aggravamento che non
sia dovuto ad una causa autonoma, dotata di propria efficienza causale (In
applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato la sentenza di merito, che
aveva collocato l'inizio della malattia professionale - ipoacusia per adibizione a
lavorazioni nocive - in un momento successivo all'epoca della diagnosi)”.
I presupposti della responsabilità: la colpa
Il Giudizio normativo sulla colpa e quindi sul comportamento concretamente esigibile dal datore
di lavoro per evitare il pericolo e sulla prevedibilità dell’evento, trova fondamento nell’art 43
codice penale ed è presupposto necessario per l’affermazione della responsabilità datoriale
anche nel giudizio civilistico. Alla base delle norme precauzionali stanno infatti regole di
esperienza ricavate da giudizi ripetuti nel tempo sulla pericolosità di determinati
comportamenti. Il fondamento della responsabilità colposa è dato dalla dalla prevedibilità ed
evitabilità dell’evento. Nel caso della colpa specifica (violazione di norme a contenuto
precauzionale) il giudizio prognostico sul pericolo e sui mezzi atti ad evitare l’evento è compito
dal legislatore. Nell’ipotesi di situazione nelle quali la dannosità o la pericolosità di determinate
attività risulti ancora scientificamente incerta rileva il cd. principio di precauzione.

La colpa deve essere accertata nel suo concreto contenuto sostanziale secondo un criterio
oggettivo di esigibilità generale: l’art. 2087 codice civile è norma di chiusura del sistema
costruito con tecnica normativa aperta volta a supplire alle lacune della disciplina
speciale che non può prevedere ogni fattore di rischio.
La norma ha una funzione precettiva immediata e cogente, costitutiva dell’obbligo di
protezione cioè di attuale applicazione delle misura di sicurezza esistenti, ovvero già
rinvenibili ed esigibili secondo un parametro di adeguatezza sociale.
La giurisprudenza condivide il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile
fatto proprio ed enunciato dalla sentenza della Corte Costituzionale nr. 312/1996 in tema
di responsabilità per ipoacusia.
La dottrina evidenzia il rischio conseguente alla mancata specificazione ed enucleazione degli
obblighi di protezione in deroga al principio di legalità.
La base di riferimento per valutare lo stato delle misure previsto e concretamente
adottato dal datore di lavoro è costituita solo da quei comportamenti specifici, suggeriti
da conoscenze sperimentali e tecniche standard di sicurezza adottate normalmente.
Il giudizio sulla colpa: la verifica delle misure concretamente adottabili
Il giudizio comparativo (Corte Cost. 312/96) tra misure adottate dall’imprenditore e quelle
concretamente adottabili viene effettuato sulla base delle delle misure che, nei diversi settori
e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente
praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente
acquisiti .
Rimane censurabile la deviazione dei comportamenti dell’imprenditore dagli standard di
sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle diverse attività produttive.

L’adempimento alla singola disposizione tecnica prevista dalla normativa speciale, non libera
da responsabilità il datore di lavoro se si dimostra che il progresso tecnologico e la migliore
esperienza imponevano nel caso concreto l’adozione di una misura ulteriore e diversa ex art
2087 quale norma di chiusura del sistema della specifica normativa antinfortunistica.

In sintesi possiamo affermare che l'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non
soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata,
le quali rappresentano lo "standard" minimale fissato dal legislatore per la tutela della
sicurezza del lavoratore, ma anche le altre cautele richieste in concreto dalla specificità
del rischio.

Ma se la norma cautelare prevenzionale viene introdotta successivamente, difetta la colpa:
“In tema di malattia professionale ed infortuni sul lavoro, va esclusa la responsabilità del datore di lavoro ai
sensi dell'art. 2087 cod. civ. ove la normativa specifica sulla pericolosità ambientale delle attività inerenti la
prestazione lavorativa (nella specie, per aver fatto bruciare, come combustibile, in una stufa all'interno del locale
di lavorazione delle traversine ferroviarie impregnate con una miscela di olio di catrame e pentaclorofenolo) sia
stata introdotta solo in epoca successiva ai fatti che hanno dato causa all'infermità, dovendosi
escludere, in tale eventualità, la colpa dell'azienda, mentre resta fermo, in ogni caso, il diritto
dell'interessato a vedersi riconosciuto, a tutela del danno subito, un equo indennizzo, la cui attribuzione
prescinde da ogni profilo di colpa”.
Sulla inesigibilità della condotta cautelare da parte del datore di
lavoro
Cfr. Cass. Sez. Lav nr. 20142 del 23.9.2010 Est. Di Nubila
“L'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia
professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del D.P.R. nr.1124 del 1965 e
per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti
tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano
casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod.
civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro,
anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure
generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme
tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato.

Anche tale responsabilità datoriale non è, peraltro, configurabile ove il nesso causale tra
l'uso di una sostanza e la patologia professionale non fosse configurabile allo stato delle
conoscenze scientifiche dell'epoca, sicché non poteva essere prospettata l'adozione di
adeguate misure precauzionali.

Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di
risarcimento del danno proposta dagli eredi di un lavoratore, già addetto alla lavorazione
dell'amianto, deceduto per mesotelioma ed esposti al rischio tra il 1953 ed il 1962,
ritenendo congruamente motivato il giudizio secondo il quale il rispetto delle limitate
prescrizioni cautelative praticabili all'epoca dello svolgimento dell'attività lavorativa,
non avrebbe impedito l'insorgere del mesotelioma in quanto malattia dose-dipendente”
Il giudizio sulla responsabilità

Oltre all’accertamento sulla concreta adozione delle misure di sicurezza
predisposte dall’imprenditore rispetto agli standard tecnologici esistenti ed a
quello imposto dalle specifiche misure normative, soccorre quello relativo
all’assolvimento degli obblighi FORMATIVI ED INFORMATIVI dei
lavoratori da parte del datore di lavoro e dei suoi preposti, ossia sulla
organizzazione della sicurezza nell’ambito aziendale.

La formazione fornisce gli strumenti in termini di conoscenze e competenze
(saper fare) supportate da adeguati convincimenti e motivazioni per adottare
comportamenti lavorativi conformi alla prevenzione e sicurezza

Pari rilevanza assume l’obbligo di vigilanza e controllo da parte del
datore di lavoro e suoi preposti sulla concreta osservanza e rispetto delle
disposizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori.

Il giudizio sulla responsabilità inerisce anche il comportamento tenuto
dall’infortunato che può incidere sia sul nesso causale sia sulla
determinazione del risarcimento del danno ex art 1227 c.c.
La giurisprudenza sulla responsabilità conseguente
 all’inadempimento dell’obbligo informativo, formativo
Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore per aver omesso di fornire
determinate informazioni, cautele e divieti nonché adeguata formazione sui rischi derivanti le mansioni
affidate e misure di sicurezza al dipendente, obblighi scaturenti dal D.Lgs 81/2008 . Anche l’eventuale
condotta colposa del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro ove questi non dimostri
di aver fornito al lavoratore tutte le necessarie istruzioni (cfr. sul punto Cass. Sez. Lav. Ordinanza nr.
4817 del 19.2.2019; Cass. Sez. Lav. sentenza nr. 21563 del 3.9.2018; e conformi Cass. Sez. L 20051 del
2016; Cass. sez. Lav. nr. 4718/2008) .

In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile della sicurezza (sia, o meno, datore di lavoro) deve
attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche
nella ordinaria prassi di lavoro; e tale onere di informazione e di assiduo controllo si impone a maggior
ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri, venendo per la prima volta a
contatto con un ambiente e delle strutture ad essi non familiari, e che perciò possono riservare insidie
non note. (Cass.. Pen. Sez. 4, Sentenza nr. 27738 del 27.5.2011)

In materia di infortuni sul lavoro, il debito di sicurezza cui è tenuto il datore di lavoro nei confronti del
lavoratore comprende l'obbligo di informare i dipendenti dei rischi specifici per la sicurezza e la salute in
relazione all'attività svolta nell'impresa, non solo attraverso la esplicitazione di divieti, ma anche
attraverso la indicazione delle conseguenze che determinate modalità di lavoro possono comportare.
(Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza nr. 34771 dell’8.6.2010)

Il datore di lavoro, essendo tenuto a rendere edotto i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e a
fornir loro adeguata formazione in relazione alle mansioni cui sono assegnati, risponde degli infortuni
occorsi in caso di violazione di tale obbligo. (Nella specie, il lavoratore, cui veniva comandata la pulitura
dell'albero motore di un autocarro aziendale, si procurava la morte per effetto della chiusura repentina del
cassone di copertura del motore conseguente all'incauto smontaggio, che una specifica formazione
avrebbe evitato, del raccordo del tubo idraulico). (Cass. Pen. Sez. IV Sentenza nr.. 11112 del 29.11.2011)
Sul principio di effettività della formazione

L’attività di formazione del lavoratore, per assumere dignità esimente, deve
rispondere a determinate caratteristiche:
a) L’informazione deve essere accompagnata sempre da un opera di
  particolare sensibilizzazione e spiegazione sui contenuti del materiale
  distribuito al lavoratore;

b) Non è esaustivo dell’obbligo informativo e formativo la mera consegna
  di materiale illustrativo anche se controfirmata dall’interessato: il
  datore di lavoro deve assicurarsi che le regole vengano assimilate dai
  lavoratori e rispettate nelle ordinarie prassi di lavoro specie con
  riferimento al corretto utilizzo di impianti o macchine pericolose o ad
  operazioni di manutenzione delle stesse;
c) Altrettanto, la mera affissione di estratti di norme, l’affissione di cartelli
  sugli impianti; non è in alcun modo liberatoria della posizione di garanzia
  del datore di lavoro;
d) L’obbligo formativo assume e riveste particolare intensità nei confronti
  del lavoratore apprendista o neo assunto e del lavoratore straniero;
…segue

Le Procure sono sempre più orientate ad accertare che vi sia stata la
concreta verifica dell’apprendimento da parte del lavoratore e non ad aspetti
formali quali la mera partecipazione a corsi. Se la formazione non ha
previsto una effettiva verifica (sia per dirigenti e preposti quanto per i
lavoratori) si ritiene sussistente la violazione della normativa con la
conseguente responsabilità di natura penale.

Sono stati rilevati casi di formazione simulata attuata attraverso la vendita
di attestati falsi.

La Corte ha ad es cassato con rinvio la decisione di merito che aveva
erroneamente ritenuto formato un lavoratore infortunatosi durante
operazioni di sollevamento manuale dei carichi(trasporto di una cariola
sulla base di semplici direttive e senza che fosse stata accertata l’effettiva
informazione e formazione dei lavoratori.
Cfr Cass. Sez. Lav. sent. Nr. 20051 del 6.10.2016
La giurisprudenza sull’obbligo di vigilanza e controllo del
datore di lavoro
Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore al quale venivano
assegnate mansioni diverse (di meccanico) rispetto a quelle ordinariamente espletate (di
autista) senza che lo stesso fosse stato messo al corrente dei gravi rischi inerenti le stesse. Lo
stesso riportava gravissime lesioni nel corso della riparazione di autocisterna adibita al
trasporto di petrolio liquefatto dalla quale scaturivano gas che determinavano un incendio;
Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 21563 del 3.9.2018:

Il datore di lavoro è responsabile sia quando ometta di adottare le misure sia quando non
accerti e vigili che di queste misure venga fatto concretamente uso da parte del dipendente,
non potendo giovarsi, in caso contrario
Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 1045 del 17.1.2018 Est Cavallaro

Il datore di lavoro risponde per le lesioni derivate al lavoratore che intento ad operazioni di
saldatura indossava semplice pettorina e non la giacca ignifuga che era a sua disposizione ma
non era stata indossata e ciò per la ratio delle misure prevenzionistiche atte a prevenire
comportamenti imprudenti dei lavoratori;
Cfr. Cass. Sez. Lav sent nr. 24804 del 5.12.2016:

Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 4656 del 25.2.2011 Est Filabozzi
“la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la condotta del
lavoratore, infortunatosi mentre era intento nelle operazioni di lavaggio della cucina di un
albergo, avesse i caratteri dell'abnormità o dell'imprevedibilità atteso che, anche ammesso che
il dipendente si fosse tolto le calzature di sicurezza prima di terminare il turno di lavoro, era
onere del datore di lavoro predisporre controlli idonei per garantire l'osservanza
dell'obbligo e ciò tanto più che il lavoratore era stato addetto a mansioni di lavoro diverse da
quelle di assunzione ed operava in un ambiente di lavoro nuovo rispetto a quello abituale.
Il concorso di colpa del lavoratore ex art 1227 c.c.

Il principio ribadito costantemente nella giurisprudenza di legittimità in tema di infortuni sul
lavoro e di cd rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella
di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza,
imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, può essere così riportato:
“Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il
lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili
ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è
sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente
uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore,
all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del
medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri
dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva
dell'evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello
connesso alle normali modalità del lavoro, essendo necessaria, a tal fine, una
rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore
dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa,
dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed
esigenze del lavoro da svolgere”.
(Cfr conformi: Cass. Sez. L. nr. 4225 del 13.2.2019; Cass. Sez. Lav nr. 5419 del 25.2.2019;
Cass Sez. L nr. 16047 del 18.6.2018; Cass. Sez. Lav. nr. 1045 del 17.1.2018 Est Cavallaro,
Cass. Sez. Lav. nr. 798 del 13.1.2017; Cass. Sez. Lav. 26.4.2017 nr. 10319; Cass. Sez. Lav. nr.
27127 del 2013; Cass. Sez. L 19494/09; Cass Sez. Lav 21694/2011)
Segue: il concorso di colpa del lavoratore
Il principio generale è che la colpa, la disattenzione ed anche il comportamento disaccorto o di
confidenza con il pericolo del lavoratore, non escludono il nesso causale. Anche l’affidamento
su una particolare qualifica professionale esperta del lavoratore non costituisce esimente della
responsabilità, se risultano violazioni delle norme antinfortunistiche.
1. Il comportamento collaborativo imposto al lavoratore (e sanzionato nel nuovo TU 81/08)
     nell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza, diviene rilevante ex art 1175 e 1365 c.c
     nella determinazione del contenuto obbligatorio del contratto;
2. Il concorso di colpa del lavoratore infortunato o tecnopatico (es. concausa come tabagismo
     in patologie professionali all’apparato respiratorio) se non esclude il nesso di causalità,
     può incidere sull’entità del risarcimento del danno ex art 1227 c.c;
3. Notevole rilevanza assumono gli obblighi formativi ed informativi del lavoratore: si pensi ai
     contratti con causa mista con finalità formativa, quali l’apprendistato o il vecchio
     contratto di formazione: in assenza di adeguata informazione e formazione del lavoratore
     nessuna rilevanza può assumere il comportamento gravemente imprudente del giovane
     lavoratore.

«In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di responsabilità del datore di lavoro la
condotta del lavoratore è abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto, solo quando
assume le connotazioni dell'inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo, non già quando sia caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza.
Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ascritto l'infortunio,
determinato dal mancato bloccaggio delle ruote del trabattello sul quale il lavoratore si
apprestava ad effettuare il proprio intervento, al preponderante concorso di colpa della
società datoriale nella causazione dell'infortunio per il mancato assolvimento, da parte
del responsabile della sicurezza dell'obbligo della puntuale vigilanza sull'esecuzione dei
lavori affinché condizioni ed uso delle attrezzature fossero conformi alle condizioni di
sicurezza specifiche o generiche”
(Cfr. Cass. Sez. Lav 2289/2008;)
Segue   sull’interpretazione giurisprudenziale                               della       nozione         di
  comportamento abnorme del lavoratore
Sulla configurabilità o meno del comportamento abnorme e quindi sulla conseguente interruzione del nesso
causale la casistica più interessante è quella penale.
Si segnala Cass. Pen Sez. IV sentenza nr. 45821 del 30.6.2017 Est Di Salvo ed i precedenti ivi richiamati.
Il comportamento può definirsi abnorme allorquando sia consistito in una condotta radicalmente
ontologicamente lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche se imprudenti, del lavoratore
nell’esplicitazione delle proprie mansioni.
Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un operazione comunque rientrante, oltre
che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatoli.
In alcuni casi la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità a vario titolo per la violazione
dell’obbligazione di sicurezza da parte del datore di lavoro, escludendo la configurabilità di
comportamento abnorme del lavoratore e quindi la rilevanza di eventuale concorso di colpa:
1. Il lavoratore, all’atto dell’imbarco su rimorchiatore, scivolava su una passerella di accesso
    eccessivamente inclinata e priva di efficienti correnti in alluminio, non indossando scarpe
    antinfortunistiche in dotazione e con due borse in mano e avendo già la gamba sinistra offesa per
    precedente infortunio; ( cfr. Cass. Sez. L. sentenza nr. 27034 del 24.10.2018);
2. Il lavoratore, non formato sui rischi inerenti l’attività lavorativa presso la miniera di sale, su ordine del
    sorvegliante si recava a bordo della pala meccanica per il recupero del sale, oltre la zona di sicurezza ove
    rimaneva schiacciato riportando la morte a seguito di un distacco di roccia. Il lavoratore lavorava da oltre
    un anno e non era stata raggiunta la prova sicura sull’ordine, ma si era accertata la totale carenza della
    formazione ed informazione sui rischi inerenti l’attività lavorativa.
3. Il lavoratore alla guida di un carrello elevatore munito di benna veniva incaricato di raccogliere materiale
plastico, ed a causa di una manovra compiuta con la benna sollevata, perdeva il controllo del mezzo che si
ribaltava travolgendolo e cagionandone la morte, La Corte ha escluso un comportamento eccentrico o
imprevedibile, ed ha valorizzato la mancata formazione ed informazione del lavoratore sulla instabilità del
mezzo, condotto con le forche sollevate (cfr. Cass. Pen Sez. IV nr. 1242 del 23.11.2017).
4. Lavoratore con mansioni di autista veniva incaricato di svolgere riparazioni su autocisterna
da cui erano fuoriusciti vapori di gas con conseguente incendio e gravi lesioni personali ( cfr.
Cass. Sez. L sentenza nr. 21563 del 3.9.2018)
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