INFORTUNIO E MALATTIA: I PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ DATORIALE
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Scuola Superiore della Magistratura STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA DEL DISTRETTO DI MILANO INADEMPIMENTO ILLECITO E RISARCIMENTO DEL DANNO NEL RAPPORTO DI LAVORO INFORTUNIO E MALATTIA: I PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ DATORIALE Avvocato Aldo Garlatti Studio Legale Garlatti Milano, 22 maggio 2019
La nozione di sicurezza INSIEME DELLE MISURE TECNICO ORGANIZZATIVE, MEDICO SANITARIE, FOMATIVE, PROCEDURALI FINALIZZATE ALLA PREVENZIONE DI EVENTI DI DANNO NEI CONFRONTI DEI PRESTATORI DI LAVORO, AUTONOMI, SUBORDINATI O FLESSIBILI DURANTE LO SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITA’ LAVORATIVA. LA SICUREZZA ATTINGE DUNQUE A TUTTI I FATTORI DI ORGANIZZAZIONE DELL’IMPRESA ED IN PARTICOLARE I SOGGETTI GRAVATI DALLA POSIZIONE DI GARANZIA CHE DEVONO ADOTTARE QUELLE MISURE CHE NEI DIVERSI SETTORI, E NELLE DIVERSE LAVORAZIONI, CORRISPONDONO AD APPLICAZIONI TECNOLOGICHE GENERALMENTE PRATICATE E QUEGLI ACCORGIMENTI ORGANIZZATIVI E PROCEDURALI GENERALMENTE ACQUISITI. La fonte normativa più importante, oltre all’art. 2087 c.c, ed all’art 32 della Costituzione è il D.Lgs 81/2008 che accorpa tutta la precedente normativa i cui ai DPR nrr. 545/55, 303/56, 626/94 ecc.ra) . L’art 2087 cc si qualifica come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, con contenuto atipico e residuale, estensibile a situazione ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore, ed impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con l’adozione ed il mantenimento perfettamente funzionale, non solo di misure igienico sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad aventi pur se allo stesso non collegati direttamente (cfr. sulla portata dell’art 2087 cc Cass Sez. L nr. 24742 dell’8.10.2018; Cass Sez. L nr. 13956 del 3.8.2012)
Le diverse responsabilità conseguenti alla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza La responsabilità del datore di lavoro, (e quella eventuale del lavoratore) conseguente alla violazione dell’obbligazione di sicurezza dalla quale consegua un evento di danno (morte o lesioni), può assumere diversa natura giuridica e diverso regime sanzionatorio - risarcitorio. In particolare può configurarsi come responsabilità: 1) Penale e di natura personale (fattispecie ricorrente art. 589 e 590 cp commessi con violazione delle norme specifiche sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali); 2) civile contrattuale ed extracontrattuale (cfr. artt. 2087, 2043 c.c) 3) penale amministrativa dell’Ente ex Dlgs 231/01 introdotta con l’art 9 della L. 123/07 che ha esteso la portata della norma ai delitti di cui agli artt. 589 e 590 comma 3 cp, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro: Il criterio di imputazione è dato dalla cosiddetta colpa di organizzazione che fonda la responsabilità dell’ente quale espressione di scelte di politica aziendale errate ed imprudenti 4) previdenziale INAIL Dpr. nr. 1124/65 e D.Lgs nr. 38/2000 (cfr. azione di regresso Inail, prestazioni assicurative indennitarie per il lavoratore)
Sulla natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro La responsabilità civile e contrattuale del datore di lavoro conseguente all’obbligo di sicurezza nell’ambito giuslavoristico, scaturisce con contenuto atipico e residuale dall’art. 2087 c.c ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore sugli infortuni e malattie professionali. 1) Riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità datoriale (anche se concorrente con quella eventualmente extracontrattuale o da atto illecito) atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro, risulta integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 cc dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale (Cfr. sulla natura contrattuale (cfr. Cass Sez. Lav.nr. 8911 del 29.3.2019 Est Marotta; Cass. Sez. L nr. 21563 del 3.9.2018; Cass. Sez. Lav. nr. 12445/2006; Cass Sez. Lav nr. 3788/2009; Cass. Lav. 21590 del 13.8.2008; Cass. Sez. Lav. nr. 146/2018); 2) La fonte giuridica dell’obbligazione di sicurezza viene intesa come obbligazione integrativa del contratto di lavoro: oltre alle fonti di rango costituzionale, comunitario, ed alla legislazione specialistica, tra cui in particolare il D.Lgs. 81/’08 rilevano gli artt. 2043, 2049, 2087 codice civile: il datore di lavoro è tenuto a predisporre un ambiente ed una organizzazione del lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa con la conseguenza che è possibile per il prestatore di eccepirne l’inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa ex art 1460 cc 3) L’art 2087 c.c non configura per altro ipotesi di responsabilità oggettiva in quanto la responsabilità datoriale va in ogni caso collegata alla violazione di obblighi di comportamento imposte da norme di legge o suggeriti dalla conoscenze sperimentali; (cfr. Cass.nr. 8911 del 29.3.2019 cit; Cass. Sez. Lav. nr. 3288/2013)
Sulla concreta portata dell’art 2087 cc. L’art 2087 ha una funzione dinamica intesa come norma finalizzata a spingere il datore di lavoro ad attuare nell’organizzazione del lavoro un’efficace attività di prevenzione attraverso la continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più aggiornata, E’ fonte di obblighi positivi stante la formulazione aperta della norma declinata attraverso i parametri della “particolarità del lavoro” intesa come complesso di rischi e pericoli che caratterizzano la specifica attività lavorativa, della “esperienza” intesa come conoscenza di rischi e pericoli acquisita nella specifica attività lavorativa e della “tecnica” intesa come progresso scientifico e tecnologico attinente a misure di tutela cui il datore di lavoro deve essere aggiornato. L’art 2087 cc come norma di chiusura del sistema di prevenzione è dunque operante anche in assenza di specifiche regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e diretto a sanzionare l’omessa predisposizione di tutte quelle cautele atte a preservare la salute del lavoratore tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare su fattori di rischio in un determinato momento storico (cfr. Cass Sez. Lav. nr. 24272 8.10.2018). Ma la responsabilità datoriale non è tuttavia suscettibile di essere ampliata sino al punto da comprendere sotto il profilo meramente oggettivo ogni ipotesi di lesione dell’integrità psicofisica dei dipendenti. L’elemento costitutivo e fondante la responsabilità datoriale resta pur sempre la colpa e quindi la prevedibilità e la evitabilità. Quindi non incombe sul datore di lavoro: a) l’obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire un ambiente di lavoro a rischio zero quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di una attrezzatura non sia eliminabile ; b) L’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili (cfr. Cass Sez. Lav nr. 4970 del 22.2.2017). Quindi dal semplice verificare di un evento di danno non può desumersi l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze tecniche in relazione al lavoro svolto
Rilevanza dell’art. 2087 cc e la tutela delle situazioni stress lavoro correlate quale il cd straining La Corte di Cassazione, con ordinanza 29.3.2018 nr. 7844, ha ribadito il consolidato orientamento il base al quale il datore di lavoro “è tenuto ad evitare situazioni stressogene che diano origine ad una condizione che per per caratteristiche, gravità frustrazione personale o professionale altre circostanze del caso concreto, possa presuntivamente comportare un danno alla salute per il lavoratore e ciò anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio”, in virtù della natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento all’obbligo di sicurezza ex art 2087 cc, il quale impone al medesimo l’adozione di tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei propri dipendenti ( Cfr. Cass. Sez. Lav nr. 12553/2003). In questo senso il suddetto stress forzato può derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile , per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo” integrando il fenomeno del cd. straining. Intendendosi per straining una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una zione che ha come conseguenza un effetto negativo sull’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona che attua lo straining in persistente inferiorità. Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone ma sempre in maniera discriminante.
La ripartizione degli oneri della prova ex artt. 1218, 2087 e 2697 c.c Dalla affermata natura contrattuale della responsabilità, consegue la precisa ripartizione degli oneri probatori nel processo del lavoro ( cfr. disposizioni processuali ex artt. 414 e 416 c.p.c) ex artt. 1218 art 2087 c.c e 2697 cc. Il creditore ossia il danneggiato deve provare ed allegare i fatti costitutivi della pretesa, essendo necessario e sufficiente l’allegazione dell’inadempimento colpevole. In particolare, la parte danneggiata dovrà dimostrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno subito. In parziale deroga all’art 2697 cc non è tenuto alla dimostrazione della colpa del datore di lavoro danneggiante nei cui confronti opera la presunzione ex art 1218 c.c (cfr. Cass Sez. L 10319/2017) Il lavoratore dovrà pertanto allegare e provare l’esistenza del fatto materiale, le regole di condotta che si assumono essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro. (cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 8911 del 29.3.2019; Cass. Sez. Lav. Nr. 146 del 5.1.2018 Est Amoroso; Cass. Sez.Lav 26.10.2016 nr. 21882; Cass Sez. L. nr. 22827 del 26.10.2014; Cass sez. Lav. nr. 12358 del 3.6.2014;Cass Sez. L. nr. 26293 del 25.11.2013; ) Sul datore di lavoro incombe la dimostrazione della non imputabilità dell’inadempimento ovvero di aver adempiuto all’obbligo di sicurezza.
Misure di sicurezza “nominate” o “innominate”: differente onere probatorio Nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto misure di sicurezza espressamente o specificatamente definite dalla legge (cfr. D.Lgs 81/08) o da altra fonte parimenti vincolanti in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, le stesse misure sono definite come misure nominate. Il lavoratore deve dimostrare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere ed il nesso di causalità tra l’inosservanza della misura ed il danno derivatone. Il datore di lavoro dovrà fornire la prova liberatoria ossia la negazione dei fatti provati dal lavoratore, ovvero l’insussistenza dell’inadempimento e del nesso di causalità tra questo ed il danno. Nel caso di violazione di misure di sicurezza “innominate”, ossia ricavabili dallo stesso art 2087 cc, l’onere della prova a carico del datore di lavoro risulta correlata alla misura della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, ossia la dimostrazione di aver adottato misure suggerite dalle conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati (best practise) o che trovino riferimento in fonti analoghe (cfr. Cass. 31.10.2018 nr. 27694) . Esse continuano ad essere ricavate dai riferimenti di massima dell’art. 2087 cc ed impongono non solo l’adozione delle misure imposte dalla legge, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza ed alla tecnica. La responsabilità datoriale ex art 2087 cc. si configura anche quando le misure di sicurezza siano rispettate ma le mansioni concretamente assegnate siano incompatibili con lo stato di salute del lavoratore cagionandone un danno alla salute. ( cfr. sul punto Cass. Sez. Lav. nr. 7584 del 18.3.2019 Est De Gregorio)
Incombe quindi sul lavoratore infortunato, a pena di decadenza, nell’atto introduttivo (ricorso) del giudizio risarcitorio: 1. allegare e provare l’esistenza della obbligazione lavorativa, fornire dettagliatamente tutti gli elementi in fatto (dimostrazione dell’esistenza del fatto materiale) ed in diritto affinché possa essere accertabile l’inadempimento datoriale, con specifica allegazione delle norme antinfortunistiche che si assumono violate: la mera enunciazione generica e richiamo alla normativa ex art 2087 c.c potrebbe impedire di fatto la difesa datoriale trasformando il regime dell’imputazione dalla colpa a quello della responsabilità oggettiva e portare alla declaratoria di nullità del ricorso (cfr Cass. Sez. L nr. 10329 del 12.4.2019); 2. allegare le circostanze in fatto atte a ricostruire la dinamica dell’infortunio e la prova dell’evento lesivo (infortunio o malattia professionale), e la dimostrazione delle condizioni lavorative, ambientali, delle misure di sicurezza concretamente adottate o meno, della formazione ed informazione concretamente ricevuta o meno, delle disposizioni violate (e quindi della colpa), del nesso causale sia esso attivo od omissivo rispetto all’evento finale; 3. provare l’esistenza del danno ed il nesso causale rispetto all’obbligazione lavorativa;
4. Allegare gli elementi utili a connotare la condotta datoriale in materia di sicurezza sul lavoro e di compliance alla normativa (es: estratto del DVR, eventuali Ispezioni ASL ARPA Ispettorato Lavoro, acquisizione registro Infortuni); 5. Dedurre provare ed allegare la responsabilità dell’infortunio ascrivibile alla condotta di altro lavoratore dipendente in relazione al quale il datore di lavoro risponde sempre ex art 2049 c.c; 6. Provare ed allegazione di tutti gli elementi utili alla liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato (eventuale CTU, allegazione in fatto del cambiamento dell’agenda di vita), allegare le prestazioni erogate dall’Inail ; 7. Provare ad allegare tutte le circostanze utili alla liquidazione del danno parentale in caso di morte del lavoratore infortunato o tecnopatico, (dimostrazione della sussistenza del rapporto parentale, della qualità di eredi, della composizione del nucleo famigliare, del reddito apportato in vita dal de cuius,); 8. Ai fini del conseguimento dell’indennizzo INAIL l’onere della prova è alleggerito sotto il profilo della dimostrazione della responsabilità, essendo irrilevante la colpa del lavoratore. Occorre pur sempre dimostrare che l’evento è avvenuto per causa ed in occasione di lavoro e che la malattia è causalmente riconducibile all’ambiente di lavoro salve le ipotesi tabellari con presunzione di nesso.
Onere della prova incombente sul datore di lavoro Incombe, ex plurimis, sul datore di lavoro la dimostrazione: 1. del fatto estintivo dell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza ex art 1218 cc e quindi la concreta adozione di tutte le misure di sicurezza ambientali ed individuali imposte dalla normativa specifica ed ex art 2087 c.c secondo il miglior progresso tecnologico e secondo gli standard di sicurezza propri di quel settore di attività e del momento esistenti in quel determinato contesto produttivo; 2. della corretta e aggiornata valutazione del rischio pertinente (cfr. DVR; es, rischio polveri rumori, agenti chimici, sostanze cancerogene, lavorazioni in quota ecc.ra ); 3. della adeguata formazione, informazione ed addestramento dei lavoratori sui rischi specifici e generici derivanti dalla mansione concretamente svolta dall’infortunato; 4. di aver dotato i lavoratori delle misure di sicurezza ambientali ed individuali, vigilando sulla loro concreta adozione; 5. di avere predisposto idonee prassi operative aziendali e la sorveglianza sanitaria; 6. di aver aver attuato ed efficacemente adottato un modello di gestione per la salute e la sicurezza; 7. di aver effettivamente vigilato e controllato sul concreto rispetto ed adozione delle misure di sicurezza avvalendosi di personale professionalmente qualificato; 8. di dimostrare l’eventuale concorso di colpa del lavoratore o l’interruzione del nesso causale per fatto abnorme dello stesso; 9. di svolgere tutte le contestazione sulla risarcibilità e sul quantum del danno patrimoniale e non patrimoniale rivendicato dal lavoratore infortunato; 10. dedurre eventuali eccezioni estintive del diritto (prescrizione), di procedibilità della domanda e ovviamente formulare l’idonea istanza di chiamata in causa della compagnia di assicurazione
La responsabilità “solidale” nel caso di appalto La responsabilità è disciplinata dall’art. 26 D.Lgs nr. 81/08 “Obblighi connessi i contratti di appalto o d’opera o di somministrazione”: “In caso di infortunio avvenuto nel corso di lavorazioni eseguite in appalto, opera la solidarietà prevista dall’art. 26 comma 4 del D.Lgs 81/08 per cui il committente risponde in solido con appaltatori ed eventuali sub appaltatori dei danni differenziali non indennizzati dall’Inail. La solidarietà non opera ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o sub appaltatrici”. Il committente è responsabile in tema di salute e sicurezza solo se ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo” La norma si rivolge pertanto a qualsiasi committente (imprenditore o non imprenditore) purché datore di lavoro e presuppone pertanto personale alle dipendenze. La norma si estende anche al contratto d’opera ex art 26 comma I, ma solo nell’ipotesi in cui il lavoratore autonomo abbia propri dipendenti (cfr in particolare l’art 26 comma 2° che impone esplicitamente gli obblighi in esso previsti ai datori di lavoro” Ipotesi classiche dei cosiddetti “appalti interni in senso funzionale” quali attività di pulizia locali aziendali, attività di manutenzione dei macchinai installati. La norma richiede di promuovere la cooperazione per l’attuazione delle misure di sicurezza ed il coordinamento per gli interventi di protezione e prevenzione che si concretano nella redazione di un unico documento di valutazione dei rischi.
I doveri e gli obblighi dell’appaltante e dell’appaltatore Ex art 26 D.Lgs, 81/08 sull’appaltante incombono diversi doveri ed obblighi la cui violazione può comportare obbligo risarcitorio per il lavoratore infortunato ex art 2087 cc. In particolare il committente deve : a) verificare l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, in relazione ai lavori, ai servizi ed alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione (obbligo sanzionato penalmente art 26 1° comma lett. a) ; b) fornire “agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto (sanzionato penalmente); c) Coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi sui sono esposti i lavoratori informandosi reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi derivanti dalle interferenze tra lavoratori delle diverse imprese coinvolte (cfr art 26 2° comma lett. h) ; d) Promuovere la cooperazione (ex art 1374 cc) per l’attuazione delle misure di sicurezza e degli strumenti di protezione con l’appaltatore ed il coordinamento, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure da adottare (art 26 2° comma lett. a) e art 26 comma 3); e) Obbligo di indicazione separato nel contratto di appalto - a pena di nullità, dei costi per le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza. La previsione consente di valutare la congruità dell’importo stanziato a tal fine da parte del rappresentante per la sicurezza dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali
La giurisprudenza sulla sicurezza negli appalti Cfr. Cass. Pen Sez, IV nr. 7188 del 10.1.2018 Est Piccialli Fattispecie ex art 589 cp per lesioni gravissime derivate ad un lavoratore con accertamento della responsabilità in capo all’Amministratore della Ditta Appaltatrice per la realizzazione di opere edili uno stabile, che a sua volta subappaltava le diverse lavorazioni a tre ditte individuali. Il lavoratore precipitava dal vano ascensore del terzo piano le cui protezioni- parapetti risultavano insufficienti. La pronuncia si conforma all’orientamento di legittimità che impone al committente di verificare la struttura organizzativa dell’impresa. Il committente dei lavori dati in appalto, nello scegliere il soggetto al quale affidare l’incarico, deve accertarsi che tale soggetto sia munito non solo dei titoli prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata, in relazione sua alla pericolosità ed alle concrete modalità di espletamento della stessa. L’idoneità tecnico professionale delle imprese subappaltatrici e dei lavoratori autonomi, con le modalità di cui all’Allegato XVII del D.Lvo 81/2008. Pertanto l'omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso” Cfr Cass. Sez. Lav. 21694/2011; Cass. Sez. Lav. nr. 798 del 13.1.2017 Est. Manna;
Aspetti processuali dell’azione risarcitoria ex art. 2087 c.c: inesistenza di azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione Il lavoratore infortunato tecnopatico non ha azione diretta ex art 1916 c.c nei confronti dell’eventuale assicurazione del datore di lavoro. Il lavoratore infortunato non ha azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa, anche nell’ipotesi in cui abbia ottenuto sentenza favorevole di condanna. Quindi la compagnia di assicurazione manleva l’assicurato (ossia il datore di lavoro) solo dopo che questi abbia corrisposto il risarcimento al lavoratore infortunato. Rilevanti sono le conseguenze in ambito fallimentare, dove il risarcimento del danno, pur trattandosi di diritto personalissimo, viene corrisposto alla massa fallimentare e assoggettato al riparto tra i vari creditori. In tema di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può agire direttamente nei confronti dell'assicuratore del responsabile del danno (facoltà prevista con disciplina speciale dalla legge n. 990 del 1969 e, quindi, non applicabile al di fuori della fattispecie di cui alla citata legge), atteso che egli è estraneo al rapporto tra il danneggiante e l'assicuratore dello stesso, né può trarre alcun utile vantaggio da una pronuncia che estenda all'assicuratore gli effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando l'assicurato chieda all'assicuratore di pagare direttamente l'indennizzo al danneggiato, attenendo detta richiesta alla modalità di esecuzione della prestazione indennitaria.
Assicurazione, fallimento e credito privilegiato del lavoratore ex art 1917 cc Cass Sez. L, Ordinanza interlocutoria n. 11921 del 13/05/2008 (Rv. 603207) Alla luce del principio di concentrazione delle tutele ex art. 111, comma 2, Cost., che impone - nell'alternatività tra l'azione diretta verso l'assicuratore e l'ammissione al passivo fallimentare dell'assicurato - una risposta giudiziaria contestuale e non limitativa della domanda di giustizia del danneggiato, è rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 3, 24, 35 e 111 Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui non prevede azione diretta del lavoratore per il risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro nei confronti dell'assicuratore del datore di lavoro, dovendosi ritenere che l'esigenza, posta alla base dell'applicazione dell'art. 3 Cost. e dell'art. 35 Cost. (in relazione alla qualità soggettiva degli infortunati), di attribuire a situazioni identiche trattamenti equipollenti - quali quelli riconosciuti ai dipendenti dell'appaltatore ex art. 1676 cod. civ., al lavoratore in tema di contratto di somministrazione di manodopera e di appalto ex artt. 23, comma 3, e 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nonché ai danneggiati da sinistro stradale ex art. 18, legge n. 990 del 1969 - ne venga ingiustificatamente lesa, tanto più che la norma presenta ulteriori profili di irrazionalità atteso che, da un lato, il soddisfacimento del credito risarcitorio del lavoratore infortunato resta affidato alla discrezionalità dell'assicuratore o dell'assicurato, per cui, in ragione del momento in cui interviene, può restare sottratto alla "par condicio creditorum", mentre, dall'altro, è ravvisabile una irragionevole differenziazione tra la situazione del lavoratore infortunato sul luogo di lavoro e quella del lavoratore infortunato in infortunio "in itinere", godendo solo quest'ultimo, in quanto vittima della strada, di azione diretta. Né vanno sottesi i maggiori tempi processuali per la realizzazione del diritto - ostacoli di fatto la cui considerazione è imposta dall'art. 3 Cost. - conseguenti alla non esperibilità dell'azione diretta, integrandosi anche una lesione degli artt. 24 e 111 Cost.
Rapporto tra GIUDIZIO PENALE e GIUDIZIO CIVILE: il principio di autonomia delle azioni Dalla lettura e dalla interpretazione giurisprudenziale dell’art. 75 CPP emerge il principio della piena autonomia delle due giurisdizioni quindi non sussiste alcuna pregiudizialità un tempo devoluta all’azione penale. L’art 75 comma I c.p.p prevede: “L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile” L’art 75 comma II c.p.p prevede: “L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile” L’art. 75 comma III c.p.p prevede: “Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge”
…segue Quindi, a parte le eccezioni previste dal III comma, il giudizio civile procede a prescindere dalle decisioni che potranno essere adottate nell’ambito del processo penale (si veda anche l’effetto del giudicato penale ex art 652 cpp . “Nell'ordinamento processuale vigente, l'unico mezzo preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall'art. 75 cod. proc. pen., il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio generale di autonomia, al quale s'ispirano i rapporti tra i due processi, con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell'obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti. La sospensione necessaria del giudizio civile è pertanto limitata all'ipotesi in cui l'azione in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di P.C. nel processo penale, prevedendosi, nel caso inverso, la facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale, il cui esercizio comporta la rinuncia "ex lege" agli atti del giudizio civile, ovvero la prosecuzione separata dei due giudizi. Cfr Cass Sez. 3, Civile Ordinanza n. 13544 del 12/06/2006
L’art. 10 del DPR 1124/65 non pone obblighi di pregiudizialità penale L’art. 10 comma 2 del TU 1124/65 (“che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato) deve quindi essere interpretato tenuto conto del principio di autonomia delle giurisdizioni e dell’ordinamento processuale nella sua interezza. Ma la pregiudiziale penale oggi può trovare applicazione solo in forza di una espressa previsione di legge, non sussistendo alcun vincolo di pregiudizialità negli altri casi. Principio della unitarietà della giurisdizione per il quale il giudice civile procede autonomamente alla qualificazione del fatto illecito come reato ai fini del risarcimento del danno. “Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, l’inesistenza di una pronuncia del giudice penale, con efficacia di giudicato, comporta che il giudice civile possa accertare incidenter tantum l’esistenza del reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi individuandone l’autore e procedendo al relativo accertamento nel rispetto dei canoni della lette penale”. Cfr. Cass. Sez. Lav. 13425/00; Cass. Sez. Lav. nr. 6749 del 10.7.1998. E’ allora fondamentale che l’infortunato alleghi la sussistenza di fatto integrante in astratto un reato perseguibile ‘ufficio (es art 589 e 590 c.p. commessi con violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro): ai fini dell’accertamento del fatto reato è sufficiente il riscontro della responsabilità ex art 2087 c.c. del datore di lavoro o dei suoi preposti.
La prescrizione dell’azione di risarcimento dei danni Il termine prescrizionale del diritto al risarcimento dei danni ex art 2087 cc è quello decennale ex art 2947 cc. (Cfr. in particolare Cass Sez. L nr. 7850 del 20.3.2019; Cass Sez. Lav nr. 19838 del 5.10.2015; Cfr Cass. Sez. Lav sent 17579 del 18.7.2013; Cass. Sez. Lav nr. 10414/2013; Cass Sez. Lav nr. 7272 /2011) Il dies a quo, nel caso di infortunio sul lavoro, coincide con l’evento stesso e non subisce sospensione (sino alla cessazione del rapporto) in ragione del requisito dimensionale dell’impresa come per i crediti retributivi. Diversa è la problematica nell’ipotesi di malattia professionale, dove il dies a quo coincide con quello in cui è stata formulata la diagnosi della natura professionale della patologia contratta dal lavoratore (es: accertamento Clinica del Lavoro, INAIL, accertamento e diagnosi ospedaliera). La prescrizione decorre non dal giorno in cui il terzo abbia determinato la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si sia manifestata all’esterno, bensì da quello in cui essa venga percepita o possa essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (cfr Cass. Sez. L. nr. 7850 del 20.3.2019 cit.; Cass SU 11.1.2008 nr. 579; Cass 22.9.2017 nr. 22045); Non solo, ma ove si tratti di condotta permanente (es protratta esposizione a sostanze nocive) la prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione della condotta illecita, in assoluta sintonia con la disciplina del reato permanente. “La prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza della mancata adozione da parte del datore di adeguate misure di sicurezza delle condizioni di lavoro, ai sensi dall'art. 2087 cod. civ., decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile solo ove l'illecito sia istantaneo, ossia si esaurisca in un tempo definito, ancorchè abbia effetti permanenti, mentre ove, l'illecito sia permanente e si sia perciò protratto nel tempo, il termine prescrizionale inizia a decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente”. (Cfr: Cass. Sez. Lavoro nr. 7272 del 30.3.2011 Est Di Cerbo)
Sulla prescrizione: la problematica degli aggravamenti Particolare rilevanza riveste la questione degli aggravamenti nell’ambito della malattia professionale. L’aggravamento non costituisce di regola nuovo evento di danno di per se suscettibile di configurare nuovo dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale rispetto a quello originario riconducibile alla diagnosi. Es: il semplice aumento del grado di invalidità della stessa patologia professionale (ipoacusia) non sposta il termine prescrizionale. Diverso è se da un evento iniziale (es asbestosi) la patologia professionale degenera in un evento successivo più grave ( tumore polmonare) Cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 19022/2007 Est. Monaci “In tema di risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto della mancata tutela da parte del datore delle condizioni di lavoro, in violazione degli obblighi imposti dall'art. 2087 cod. civ., la prescrizione - decennale, ove il lavoratore esperisca l'azione contrattuale - decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile e non dal momento di un successivo aggravamento che non sia dovuto ad una causa autonoma, dotata di propria efficienza causale (In applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato la sentenza di merito, che aveva collocato l'inizio della malattia professionale - ipoacusia per adibizione a lavorazioni nocive - in un momento successivo all'epoca della diagnosi)”.
I presupposti della responsabilità: la colpa Il Giudizio normativo sulla colpa e quindi sul comportamento concretamente esigibile dal datore di lavoro per evitare il pericolo e sulla prevedibilità dell’evento, trova fondamento nell’art 43 codice penale ed è presupposto necessario per l’affermazione della responsabilità datoriale anche nel giudizio civilistico. Alla base delle norme precauzionali stanno infatti regole di esperienza ricavate da giudizi ripetuti nel tempo sulla pericolosità di determinati comportamenti. Il fondamento della responsabilità colposa è dato dalla dalla prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Nel caso della colpa specifica (violazione di norme a contenuto precauzionale) il giudizio prognostico sul pericolo e sui mezzi atti ad evitare l’evento è compito dal legislatore. Nell’ipotesi di situazione nelle quali la dannosità o la pericolosità di determinate attività risulti ancora scientificamente incerta rileva il cd. principio di precauzione. La colpa deve essere accertata nel suo concreto contenuto sostanziale secondo un criterio oggettivo di esigibilità generale: l’art. 2087 codice civile è norma di chiusura del sistema costruito con tecnica normativa aperta volta a supplire alle lacune della disciplina speciale che non può prevedere ogni fattore di rischio. La norma ha una funzione precettiva immediata e cogente, costitutiva dell’obbligo di protezione cioè di attuale applicazione delle misura di sicurezza esistenti, ovvero già rinvenibili ed esigibili secondo un parametro di adeguatezza sociale. La giurisprudenza condivide il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile fatto proprio ed enunciato dalla sentenza della Corte Costituzionale nr. 312/1996 in tema di responsabilità per ipoacusia. La dottrina evidenzia il rischio conseguente alla mancata specificazione ed enucleazione degli obblighi di protezione in deroga al principio di legalità. La base di riferimento per valutare lo stato delle misure previsto e concretamente adottato dal datore di lavoro è costituita solo da quei comportamenti specifici, suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche standard di sicurezza adottate normalmente.
Il giudizio sulla colpa: la verifica delle misure concretamente adottabili Il giudizio comparativo (Corte Cost. 312/96) tra misure adottate dall’imprenditore e quelle concretamente adottabili viene effettuato sulla base delle delle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti . Rimane censurabile la deviazione dei comportamenti dell’imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle diverse attività produttive. L’adempimento alla singola disposizione tecnica prevista dalla normativa speciale, non libera da responsabilità il datore di lavoro se si dimostra che il progresso tecnologico e la migliore esperienza imponevano nel caso concreto l’adozione di una misura ulteriore e diversa ex art 2087 quale norma di chiusura del sistema della specifica normativa antinfortunistica. In sintesi possiamo affermare che l'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, le quali rappresentano lo "standard" minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre cautele richieste in concreto dalla specificità del rischio. Ma se la norma cautelare prevenzionale viene introdotta successivamente, difetta la colpa: “In tema di malattia professionale ed infortuni sul lavoro, va esclusa la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. ove la normativa specifica sulla pericolosità ambientale delle attività inerenti la prestazione lavorativa (nella specie, per aver fatto bruciare, come combustibile, in una stufa all'interno del locale di lavorazione delle traversine ferroviarie impregnate con una miscela di olio di catrame e pentaclorofenolo) sia stata introdotta solo in epoca successiva ai fatti che hanno dato causa all'infermità, dovendosi escludere, in tale eventualità, la colpa dell'azienda, mentre resta fermo, in ogni caso, il diritto dell'interessato a vedersi riconosciuto, a tutela del danno subito, un equo indennizzo, la cui attribuzione prescinde da ogni profilo di colpa”.
Sulla inesigibilità della condotta cautelare da parte del datore di lavoro Cfr. Cass. Sez. Lav nr. 20142 del 23.9.2010 Est. Di Nubila “L'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del D.P.R. nr.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato. Anche tale responsabilità datoriale non è, peraltro, configurabile ove il nesso causale tra l'uso di una sostanza e la patologia professionale non fosse configurabile allo stato delle conoscenze scientifiche dell'epoca, sicché non poteva essere prospettata l'adozione di adeguate misure precauzionali. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dagli eredi di un lavoratore, già addetto alla lavorazione dell'amianto, deceduto per mesotelioma ed esposti al rischio tra il 1953 ed il 1962, ritenendo congruamente motivato il giudizio secondo il quale il rispetto delle limitate prescrizioni cautelative praticabili all'epoca dello svolgimento dell'attività lavorativa, non avrebbe impedito l'insorgere del mesotelioma in quanto malattia dose-dipendente”
Il giudizio sulla responsabilità Oltre all’accertamento sulla concreta adozione delle misure di sicurezza predisposte dall’imprenditore rispetto agli standard tecnologici esistenti ed a quello imposto dalle specifiche misure normative, soccorre quello relativo all’assolvimento degli obblighi FORMATIVI ED INFORMATIVI dei lavoratori da parte del datore di lavoro e dei suoi preposti, ossia sulla organizzazione della sicurezza nell’ambito aziendale. La formazione fornisce gli strumenti in termini di conoscenze e competenze (saper fare) supportate da adeguati convincimenti e motivazioni per adottare comportamenti lavorativi conformi alla prevenzione e sicurezza Pari rilevanza assume l’obbligo di vigilanza e controllo da parte del datore di lavoro e suoi preposti sulla concreta osservanza e rispetto delle disposizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori. Il giudizio sulla responsabilità inerisce anche il comportamento tenuto dall’infortunato che può incidere sia sul nesso causale sia sulla determinazione del risarcimento del danno ex art 1227 c.c.
La giurisprudenza sulla responsabilità conseguente all’inadempimento dell’obbligo informativo, formativo Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore per aver omesso di fornire determinate informazioni, cautele e divieti nonché adeguata formazione sui rischi derivanti le mansioni affidate e misure di sicurezza al dipendente, obblighi scaturenti dal D.Lgs 81/2008 . Anche l’eventuale condotta colposa del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro ove questi non dimostri di aver fornito al lavoratore tutte le necessarie istruzioni (cfr. sul punto Cass. Sez. Lav. Ordinanza nr. 4817 del 19.2.2019; Cass. Sez. Lav. sentenza nr. 21563 del 3.9.2018; e conformi Cass. Sez. L 20051 del 2016; Cass. sez. Lav. nr. 4718/2008) . In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile della sicurezza (sia, o meno, datore di lavoro) deve attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nella ordinaria prassi di lavoro; e tale onere di informazione e di assiduo controllo si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri, venendo per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture ad essi non familiari, e che perciò possono riservare insidie non note. (Cass.. Pen. Sez. 4, Sentenza nr. 27738 del 27.5.2011) In materia di infortuni sul lavoro, il debito di sicurezza cui è tenuto il datore di lavoro nei confronti del lavoratore comprende l'obbligo di informare i dipendenti dei rischi specifici per la sicurezza e la salute in relazione all'attività svolta nell'impresa, non solo attraverso la esplicitazione di divieti, ma anche attraverso la indicazione delle conseguenze che determinate modalità di lavoro possono comportare. (Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza nr. 34771 dell’8.6.2010) Il datore di lavoro, essendo tenuto a rendere edotto i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e a fornir loro adeguata formazione in relazione alle mansioni cui sono assegnati, risponde degli infortuni occorsi in caso di violazione di tale obbligo. (Nella specie, il lavoratore, cui veniva comandata la pulitura dell'albero motore di un autocarro aziendale, si procurava la morte per effetto della chiusura repentina del cassone di copertura del motore conseguente all'incauto smontaggio, che una specifica formazione avrebbe evitato, del raccordo del tubo idraulico). (Cass. Pen. Sez. IV Sentenza nr.. 11112 del 29.11.2011)
Sul principio di effettività della formazione L’attività di formazione del lavoratore, per assumere dignità esimente, deve rispondere a determinate caratteristiche: a) L’informazione deve essere accompagnata sempre da un opera di particolare sensibilizzazione e spiegazione sui contenuti del materiale distribuito al lavoratore; b) Non è esaustivo dell’obbligo informativo e formativo la mera consegna di materiale illustrativo anche se controfirmata dall’interessato: il datore di lavoro deve assicurarsi che le regole vengano assimilate dai lavoratori e rispettate nelle ordinarie prassi di lavoro specie con riferimento al corretto utilizzo di impianti o macchine pericolose o ad operazioni di manutenzione delle stesse; c) Altrettanto, la mera affissione di estratti di norme, l’affissione di cartelli sugli impianti; non è in alcun modo liberatoria della posizione di garanzia del datore di lavoro; d) L’obbligo formativo assume e riveste particolare intensità nei confronti del lavoratore apprendista o neo assunto e del lavoratore straniero;
…segue Le Procure sono sempre più orientate ad accertare che vi sia stata la concreta verifica dell’apprendimento da parte del lavoratore e non ad aspetti formali quali la mera partecipazione a corsi. Se la formazione non ha previsto una effettiva verifica (sia per dirigenti e preposti quanto per i lavoratori) si ritiene sussistente la violazione della normativa con la conseguente responsabilità di natura penale. Sono stati rilevati casi di formazione simulata attuata attraverso la vendita di attestati falsi. La Corte ha ad es cassato con rinvio la decisione di merito che aveva erroneamente ritenuto formato un lavoratore infortunatosi durante operazioni di sollevamento manuale dei carichi(trasporto di una cariola sulla base di semplici direttive e senza che fosse stata accertata l’effettiva informazione e formazione dei lavoratori. Cfr Cass. Sez. Lav. sent. Nr. 20051 del 6.10.2016
La giurisprudenza sull’obbligo di vigilanza e controllo del datore di lavoro Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore al quale venivano assegnate mansioni diverse (di meccanico) rispetto a quelle ordinariamente espletate (di autista) senza che lo stesso fosse stato messo al corrente dei gravi rischi inerenti le stesse. Lo stesso riportava gravissime lesioni nel corso della riparazione di autocisterna adibita al trasporto di petrolio liquefatto dalla quale scaturivano gas che determinavano un incendio; Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 21563 del 3.9.2018: Il datore di lavoro è responsabile sia quando ometta di adottare le misure sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto concretamente uso da parte del dipendente, non potendo giovarsi, in caso contrario Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 1045 del 17.1.2018 Est Cavallaro Il datore di lavoro risponde per le lesioni derivate al lavoratore che intento ad operazioni di saldatura indossava semplice pettorina e non la giacca ignifuga che era a sua disposizione ma non era stata indossata e ciò per la ratio delle misure prevenzionistiche atte a prevenire comportamenti imprudenti dei lavoratori; Cfr. Cass. Sez. Lav sent nr. 24804 del 5.12.2016: Cfr. Cass. Sez. Lav. sent. nr. 4656 del 25.2.2011 Est Filabozzi “la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la condotta del lavoratore, infortunatosi mentre era intento nelle operazioni di lavaggio della cucina di un albergo, avesse i caratteri dell'abnormità o dell'imprevedibilità atteso che, anche ammesso che il dipendente si fosse tolto le calzature di sicurezza prima di terminare il turno di lavoro, era onere del datore di lavoro predisporre controlli idonei per garantire l'osservanza dell'obbligo e ciò tanto più che il lavoratore era stato addetto a mansioni di lavoro diverse da quelle di assunzione ed operava in un ambiente di lavoro nuovo rispetto a quello abituale.
Il concorso di colpa del lavoratore ex art 1227 c.c. Il principio ribadito costantemente nella giurisprudenza di legittimità in tema di infortuni sul lavoro e di cd rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, può essere così riportato: “Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere”. (Cfr conformi: Cass. Sez. L. nr. 4225 del 13.2.2019; Cass. Sez. Lav nr. 5419 del 25.2.2019; Cass Sez. L nr. 16047 del 18.6.2018; Cass. Sez. Lav. nr. 1045 del 17.1.2018 Est Cavallaro, Cass. Sez. Lav. nr. 798 del 13.1.2017; Cass. Sez. Lav. 26.4.2017 nr. 10319; Cass. Sez. Lav. nr. 27127 del 2013; Cass. Sez. L 19494/09; Cass Sez. Lav 21694/2011)
Segue: il concorso di colpa del lavoratore Il principio generale è che la colpa, la disattenzione ed anche il comportamento disaccorto o di confidenza con il pericolo del lavoratore, non escludono il nesso causale. Anche l’affidamento su una particolare qualifica professionale esperta del lavoratore non costituisce esimente della responsabilità, se risultano violazioni delle norme antinfortunistiche. 1. Il comportamento collaborativo imposto al lavoratore (e sanzionato nel nuovo TU 81/08) nell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza, diviene rilevante ex art 1175 e 1365 c.c nella determinazione del contenuto obbligatorio del contratto; 2. Il concorso di colpa del lavoratore infortunato o tecnopatico (es. concausa come tabagismo in patologie professionali all’apparato respiratorio) se non esclude il nesso di causalità, può incidere sull’entità del risarcimento del danno ex art 1227 c.c; 3. Notevole rilevanza assumono gli obblighi formativi ed informativi del lavoratore: si pensi ai contratti con causa mista con finalità formativa, quali l’apprendistato o il vecchio contratto di formazione: in assenza di adeguata informazione e formazione del lavoratore nessuna rilevanza può assumere il comportamento gravemente imprudente del giovane lavoratore. «In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di responsabilità del datore di lavoro la condotta del lavoratore è abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto, solo quando assume le connotazioni dell'inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, non già quando sia caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ascritto l'infortunio, determinato dal mancato bloccaggio delle ruote del trabattello sul quale il lavoratore si apprestava ad effettuare il proprio intervento, al preponderante concorso di colpa della società datoriale nella causazione dell'infortunio per il mancato assolvimento, da parte del responsabile della sicurezza dell'obbligo della puntuale vigilanza sull'esecuzione dei lavori affinché condizioni ed uso delle attrezzature fossero conformi alle condizioni di sicurezza specifiche o generiche” (Cfr. Cass. Sez. Lav 2289/2008;)
Segue sull’interpretazione giurisprudenziale della nozione di comportamento abnorme del lavoratore Sulla configurabilità o meno del comportamento abnorme e quindi sulla conseguente interruzione del nesso causale la casistica più interessante è quella penale. Si segnala Cass. Pen Sez. IV sentenza nr. 45821 del 30.6.2017 Est Di Salvo ed i precedenti ivi richiamati. Il comportamento può definirsi abnorme allorquando sia consistito in una condotta radicalmente ontologicamente lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche se imprudenti, del lavoratore nell’esplicitazione delle proprie mansioni. Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatoli. In alcuni casi la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità a vario titolo per la violazione dell’obbligazione di sicurezza da parte del datore di lavoro, escludendo la configurabilità di comportamento abnorme del lavoratore e quindi la rilevanza di eventuale concorso di colpa: 1. Il lavoratore, all’atto dell’imbarco su rimorchiatore, scivolava su una passerella di accesso eccessivamente inclinata e priva di efficienti correnti in alluminio, non indossando scarpe antinfortunistiche in dotazione e con due borse in mano e avendo già la gamba sinistra offesa per precedente infortunio; ( cfr. Cass. Sez. L. sentenza nr. 27034 del 24.10.2018); 2. Il lavoratore, non formato sui rischi inerenti l’attività lavorativa presso la miniera di sale, su ordine del sorvegliante si recava a bordo della pala meccanica per il recupero del sale, oltre la zona di sicurezza ove rimaneva schiacciato riportando la morte a seguito di un distacco di roccia. Il lavoratore lavorava da oltre un anno e non era stata raggiunta la prova sicura sull’ordine, ma si era accertata la totale carenza della formazione ed informazione sui rischi inerenti l’attività lavorativa. 3. Il lavoratore alla guida di un carrello elevatore munito di benna veniva incaricato di raccogliere materiale plastico, ed a causa di una manovra compiuta con la benna sollevata, perdeva il controllo del mezzo che si ribaltava travolgendolo e cagionandone la morte, La Corte ha escluso un comportamento eccentrico o imprevedibile, ed ha valorizzato la mancata formazione ed informazione del lavoratore sulla instabilità del mezzo, condotto con le forche sollevate (cfr. Cass. Pen Sez. IV nr. 1242 del 23.11.2017). 4. Lavoratore con mansioni di autista veniva incaricato di svolgere riparazioni su autocisterna da cui erano fuoriusciti vapori di gas con conseguente incendio e gravi lesioni personali ( cfr. Cass. Sez. L sentenza nr. 21563 del 3.9.2018)
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