IL LATINO, LA LINGUA CHE NON MUORE

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Intervista a Cleto Pavanetto:
                IL LATINO, LA LINGUA CHE NON MUORE

                           José Luiz Lima de Mendonça1

                                                                   Salesianum 83 (2021) 219-237

Introduzione

    Consigliato e benignamente accompagnato dal mio relatore di tesi, Roberto
Spataro, ho deciso di raccontare la vita di alcuni salesiani che hanno insegnato
la lingua latina sia nelle università sia nei licei salesiani sparsi in Italia con lo
scopo non solo di ripercorrere la storia dell’insegnamento della lingua latina
nella Congregazione Salesiana oggi, ma anche di narrare il bene compiuto dai
salesiani tramite la docenza della lingua latina.
    Quando ho iniziato l’impresa affidatami – nel dicembre 2018 – non ho avuto
il minimo dubbio, secondo le mie forze e il tempo a mia disposizione, di avviare
la ricerca proprio dai salesiani che hanno svolto la loro docenza nel Pontificium
Institutum Altioris Latinitatis, dell’Università Pontificia Salesiana di Roma.
    Né avrei potuto far a meno di intervistare per primo l’insigne latinista, fel.
rec. Cleto Pavanetto. Egli è sempre stato un lucido intellettuale, come traspa-
riva massimamente dalle sue composizioni in lingua latina, dagli argomenti
trattati e dalla sua passione per il mondo classico. Eccezionale era la sua abilità
e il suo talento nello scrivere concinne et eleganter (armoniosamente ed elegan-
temente) in latino. Fin dall’inizio della sua carriera di latinista ha potuto van-

   1
     Professore Assistente sdb nella Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche dell’Università
Pontificia Salesiana in Roma, e segretario del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis.
220   José Luiz Lima de Mendonça

tare uno stile fine, ricercato, capace di cogliere le varie nuances e sottigliezze
del Sermo Patrum, che ha coltivato come una seconda lingua: non a caso, in
occasione del suo trapasso – il 6 gennaio 2021 – è stato sonoramente definito
princeps et custos Latinitatis2 (principe e custode della lingua latina). Infatti,
basterebbe guardare la sua produzione, scritta in un latino corretto ed elegante,
per rendersi conto del suo meritato ‘principato’.3
    Esimio latinista qual era, avrà preso sicuramente a cuore l’affermazione
ciceroniana espressa nel Brutus: «Non enim tam praeclarum est scire Latine
quam turpe nescire, neque tam id mihi oratoris boni quam civis Romani pro-
prium videtur».4 Infatti, conosceva benissimo la grammatica latina e, soprattut-
to, era in grado di coniugare la conoscenza tecnica al suo vissuto. Chi lo cono-
sceva, in special modo i suoi studenti, sapeva del suo amore per la bellezza che
la cultura classica sparge, ancora oggi, sulla nostra civiltà. Tale bellezza l’ha
sempre cercata non solo con la sua vita da consacrato, dedito allo studio e alla
preghiera, ma anche con la sua penna, che talvolta era in grado di conseguire,

     2
       Alcuni giornali italiani hanno dato la notizia della scomparsa del latinista presentandolo in
questo modo. Riporto qui alcuni servizi che possono essere consultati sulla rete: https://www.
ilmessaggero.it/vaticano/latino_vaticano_papa_francesco_cleto_pavanetto_chiesa-5686629.
html#:~:text=Citt%C3%A0%20del%20Vaticano%20%2D%20Se%20n,Padova%20il%20
20%20dicembre%201931.;             https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-01/morte-
cleto-pavanetto-latinista-vaticano.html; https://www.iltempo.it/adnkronos/2021/01/07/news/
latino-e-morto-cleto-pavanetto-custode-dell-antico-idioma-in-vaticano-25790682/; https://
necrologie.tribunatreviso.gelocal.it/news/116593 (tutti consultati il primo febbraio 2021). Al
momento della stesura di quest’articolo, si attende la pubblicazione di un epitaffio, in lingua
latina, composto dal prof. Roberto Spataro, sdb, destinato alla rivista “Latinitas. Nova series”.
L’epitaffio in questione è già disponibile on line sul sito dell’Academia Latinitati Fovendae
all'indirizzo https://academialatinitatifovendae.com/orationes-inaugurales cliccando il link
Roberti Spartaro verba de P. Cleto Pavanetto.
     3
       In questa introduzione ci limiteremo a fare una lettura interpretativa dell’intervista
rilasciata da Cleto Pavanetto nel gennaio 2019. Per un approfondimento della figura e del
contributo intellettuale di Pavanetto, il prof. Mauro Pisini insieme alla prof.ssa Chiara Sa-
vini, nell’introduzione al libro Passione e studio a servizio della cultura classica, offrono
un bel profilo intellettuale e biografico dell’autore: Cf. C. Pavanetto, Passione e studio a
servizio della cultura classica. Scripta selecta, LAS, Roma 2013, pp. 7-17. Inoltre, alla fine
di questa intervista compare una lista aggiornata con le principali opere di Cleto Pavanetto.
     4
       «Non è tanto prestigioso sapere il latino quanto vergognoso il non saperlo, questo non
mi sembra tanto una qualità del buon oratore quanto del cittadino romano»: M. Tullius Ci-
cero, Brutus 37,140 in E. Malcovati (ed.), Scripta quae manserunt omnia, fasc. 4, Brutus,
Teubner, Leipzig 1970, p. 42.
Intervista a Cleto Pavanetto   221

attraverso la lingua latina, una comunicazione dotata tanto di chiarezza quanto
di perspicuità, decisamente ornata e gradevole.
    In una delle ultime interviste che aveva rilasciato per Anima Latina, pro-
gramma settimanale della radio Vaticana per la promozione della lingua di Ci-
cerone, Cleto aveva avanzato la seguente affermazione riguardo alla situazione
del latino nella Chiesa: «Tunc temporis sicut postrema aetate lingua Latina
debilior facta est etiam in Ecclesia. Et sunt, pro dolor, etiam sacerdotes qui
nolunt excipere linguam Latinam quia hoc illis non est lucro. Est enim quod
Vergilius in Aeneide damnavit ‘auri sacra fames’».5 Da queste parole, che pos-
sono sembrare forti e, per qualcuno – lo sappiamo – anche fastidiose, possiamo
capire la passione con cui Cleto ha vissuto grande parte della sua vita – più di
cinquant’anni – dedicandola alla lingua latina e alla sua promozione.
    Tale passione la esprimeva attraverso la cura e il labor limae – cioè la revi-
sione e il miglioramento del testo – della scrittura latina. Ma non solo! Cleto,
anche dopo la pensione, ha sempre aiutato gli studenti che avevano bisogno di
un aiuto nell’apprendimento della lingua latina. Ho avuto l’onore di avere, per
ben cinque anni, la mia camera davanti alla sua, e posso testimoniare quanto ho
percepito: spessissimo, per non dire ogni giorno, vedevo gli studenti che accor-
revano a lui per un ripasso, per una correzione, per un semplice aiuto. Certo,
anche io ne ho approfittato!
    Questi, se guardiamo bene, sono elementi che ci fanno intravedere la qualità
e la profondità intellettuale e umana di Cleto. L’humanitas, infatti, cui facciamo
riferimento e che è alla base della stessa formazione classica, non può limitarsi
all’erudizione, ma deve essere piuttosto un’immersione all’interno della vita
dell’uomo, delle sue gioie, delle sue paure e delle sue angosce. Essa si palesa
nell’interessamento per l’altro, come attesta Terenzio nel suo Heautontimoru-
menos (Il punitore di se stesso): «Homo sum: humani nil a me alienum puto»,6

    5
      «A quel tempo, come anche dopo, la conoscenza della lingua latina si è indebolita
nella Chiesa. Ci sono addirittura certi sacerdoti che si rifiutano di imparare la lingua latina
perché non porta guadagni. È esattamente quello che Virgilio biasimava nella sua Eneide,
‘la maledetta ed esecrabile fame di oro’» (La traduzione è mia). La registrazione può essere
sentita in lingua latina qui: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-01/morte-
cleto-pavanetto-latinista-vaticano.html (consultato il primo febbraio 2021). Per la citazione
di Virgilio: cf. P. Vergilius Maro, Aeneis III,57 in G. B. Conte (ed.), Aeneis, De Gruyter,
Berlin 2009, p. 67.
    6
      «Sono un uomo e niente di ciò che umano mi è estraneo»: P. Terentius Afer, Heau-
tontimorumenos I,77 in A. Fleckeinsen (ed.), P. Terenti Afri Comoediae, Teubner, Leipzig
222   José Luiz Lima de Mendonça

ma anche nella comunanza universale della condizione umana, come dice Plau-
to nella sua Asinaria: «tam ego homo sum quam tu».7
    Non possiamo tralasciare la menzione del poeta greco Pindaro il quale nel-
le Istmiche – secondo l’attestazione di Erasmo da Rotterdam contenuta negli
Adagia8– afferma che il bene compiuto da un uomo non deve essere celato, ma
al contrario deve essere posto in evidenza per fungere, in questo modo, come
luce che illumina la via agli altri uomini per il raggiungimento della virtù. Lo
stesso umanista olandese conclude affermando che questo nobile pensiero è in
perfetta armonia con quello evangelico: «numquid venit lucerna, ut sub modio
ponatur aut sub lecto? Nonne ut super candelabrum ponatur».9 Tale idea, inol-
tre, era così consona al pensiero romano che anche il grande oratore Cicerone
non ha risparmiato di adattarla alla mens latina: «honos alit artes, iacentque ea
semper, quae apud quosque improbantur».10 Le discipline vere, dunque, sono
quelle che onorano l’uomo e la loro ricompensa non è altro che l’onore, che
conduce alla virtù. Come non ricordare Marziale con il suo pungente epigram-
ma «sint Maecenates, non derunt, Flacce, Marones Virgiliumque tibi vel tua
rura dabunt»,11 perché dove manca l’onore vengono meno le arti e dove manca-
no le arti, difficilmente si potrà progredire in virtù e in bellezza. Pertanto, onore,
virtù e bellezza sono collegati da una stessa idea di fondo ravvisabile nell’unità
di uno stesso concetto.
    L’intervista che leggerete di seguito è il frutto delle riflessioni di un intellet-

1898, p. 55.
     7
       «Sono uomo tanto quanto te»: T. Maccius Plautus, Asinaria II, 490 in G. Goetz – F.
Schoell (edd.), T. Macci Plauti Comoediae, fasc. I, Teubner, Leipzig 1898, p. 88.
     8
       «est autem dictum quoddam inter homines celebre: bonum peractum non esse in terra
occultandum silentio»: Erasmus Rotterodami, Adagia, centuria 7,92 in E. Lelli (ed.),
Adagi, Bompiani, Milano 2013, p. 758.
     9
       «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece
per essere messa sul candelabro?»: Mc 4,21; i paralleli sono: Mt 5,15 e Lc 8,16.
     10
        «L’onore alimenta le arti, e quelle cose, che gli uomini non considerano degne di ono-
re, tendono a scemare»: M. Tullius Cicero, Tusculanae disputationes I, 2,4 in M. Pohlenz
(ed.), M. Tulli Ciceronis scripta quae manserunt omnia, fasc. 44, Teubner, Leipzig 1918,
p. 218.
     11
        «Ci siano i Mecenati [per antonomasia, colui che protegge e finanzia letterati, artisti e
simili] e non mancheranno, Flacco, i Maroni [riferimento al poeta Virgilio, il cui cognomen
era appunto Marone], e pure nei tuoi campi nasceranno Virgili»: M. Valerius Martialis,
Epigrammaton 8, 55,5-6 in W. M. Lindsay (ed.), Epigrammata, Clarendon, London 1911,
s.p.
Intervista a Cleto Pavanetto   223

tuale appassionato e convinto della sua missione di educatore dei giovani e per
i giovani; appare come una via – quasi ispirata – di virtù e di bellezza onorata
dall’intraprendenza e perseveranza, quella di don Cleto, nonostante le incertez-
ze di una vita povera di risorse e martoriata da una guerra.
    La chiave interpretativa dell’intervista è il rapporto di don Cleto Pavanetto
con il latino. Leggendola si apprende che il suo primo approccio alla lingua
latina non sia stato così facile per quel bambino di Levada, frazione del comune
di Piombino Dese nel Veneto. Cleto stesso sottolinea il ruolo che ha avuto la
maestra Mercedes Ventura nel suo percorso, insegnandogli i rudimenti dell’i-
dioma romano, contenendo la sua ‘esuberanza’ giovanile e aiutandolo alla pre-
parazione degli esami di licenza media.
    Quella della maestra Mercedes, infatti, era la prima mano tesa ad un bambi-
no che prometteva bene («abbastanza presto, e con una certa agevolezza, riuscì
ad apprezzare lo stile lapidario e conciso della lingua latina»), ma che, come
accadeva il più delle volte per le strette necessità della vita rurale, non poteva
sottrarsi al lavoro dei campi né tanto meno a pagare il compenso alla maestra.
L’aiuto gli venne anche da don Righetti, missionario salesiano in Oriente, che
visitava i paesi del Padovano facendo animazione vocazionale. Cleto lo se-
guì e si trasferì nel ginnasio salesiano di Mirabello. Successivamente, «sotto
la severa guida di professori salesiani a Foglizzo» preparò l’esame di maturità
classica.
    Nell’intervista Cleto parla anche della sua esperienza personale nell’appren-
dimento del latino. Così lo vediamo parlare di costanza e perseveranza nello
studio della lingua – «Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo»12 –, ma
anche della tradizione salesiana nell’insegnamento del latino, ricordando i pri-
missimi latinisti della Congregazione salesiana (Francesia, Sciuto, Tempini) e
quelli più recenti (Iacoangeli e Riggi), e anche alcuni dei suoi maestri salesiani
(Gentile, Gastaldelli, Loi, Composta).
    Cleto poteva vantare di essere tra i primi studenti dell’appena nato Pontifi-
cium Institutum Altioris Latinitatis (PIAL). Ricorda con molta gioia e lucidità
i primi anni di questa Istituzione, riportando addirittura l’elenco degli studen-
ti del PIAL, suoi compagni, nella decade dei ’60. Andava molto fiero della
formazione ricevuta presso l’Institutum, principalmente perché ha avuto come
insegnanti i più nobili e insigni latinisti di quella generazione, tra cui Pighi,
Paratore, Simonetti, Colonna, Künzle, Santha, Pozzi, Egger e altri.

   12
        «La goccia scalfisce la pietra non con la forza, ma cadendo (cioè, con la persistenza)».
224   José Luiz Lima de Mendonça

    Negli anni ’70, dividerà il suo tempo tra l’impegno di docenza nella Facoltà
di Lettere Cristiane e Classiche (PIAL) – e anche presso altri Atenei romani – e
il suo lavoro nella sezione delle Lettere Latine della Segreteria di Stato della
Città del Vaticano, di cui nel 1996 diventerà capo-ufficio.
    Il suo contributo nella Segreteria di Stato viene ricordato come arduo e in-
tenso, ma non sempre facile: ricorda, a questo proposito, anche qualche strafal-
cione in latino, come accadde ad esempio nella stesura della lettera di scomu-
nica a mons. Lefebvre, che gli causò non poche sofferenze, in special modo a
seguito delle critiche della stampa.
    Interrogato sulle competenze che un latinista dovrebbe avere per svolgere
degnamente il suo compito, Cleto ha dato la seguente risposta: «la lingua latina
ha tante e tali sfaccettature che non possono essere supportate da una sola per-
sona … il buon latinista cerca di evitare quella improvvisazione che è propria
dei parolai». Da ciò possiamo cogliere la sua finezza e, perché no, persino la
sua umiltà nell’affrontare la scrittura in lingua latina, anche se, dobbiamo dirlo,
è stato sempre molto fiero del suo stile latino.
    Per ultimo, vorrei fare due considerazioni sull’intervista a Cleto. La prima è
che l’autore l’ha rilasciata per iscritto il giorno 21 gennaio 2019.13 La seconda è
che lui stesso aveva dato un titolo alla sua intervista: «Il latino che non muore».
Da un lato, questo titolo dice molto delle convinzioni personali dell’autore, all’in-
segna di quel motto oraziano che si addice certamente a quanto Cleto, nella vita
accademica e professionale, ha operato: «exegi monumentum aere perennius».14
Dall’altro, esso riprende in qualche maniera la consapevolezza dell’importanza
che la cultura classica latina – e certamente anche quella greca – ha avuto e ha
tutt’ora per il mondo. E se è pure vero che i latinisti sono pochi e rari, non dob-
biamo dimenticare quel bel pensiero agostiniano il quale ci ricorda che i tempi
saranno migliori solo se anche noi lo saremo: «Bene uiuamus, et bona sunt tem-
pora. Nos sumus tempora: quales sumus, talia sunt tempora. Sed quid facimus?
non possumus ad bonam uitam conuertere multitudinem hominum? Pauci qui
audiunt bene uiuant: pauci bene uiuentes multos male uiuentes ferant».15

    13
       Ho ritenuto giusto e opportuno riportare l’intervista come era stata elaborata da don
Cleto, evitando l’uniformazione delle note, secondo il criterio qui adoperato. Il mio intervento,
pertanto, si è limitato esclusivamente alla correzione degli eventuali refusi da parte dell’autore.
    14
       «Ho eretto un monumento più durevole del bronzo»: Q. Horatius Flaccus, Carmina
3,30,1 in D. R. Shackleton Bailey (ed.), Carmina, Teubner, Leipzig 1995, p. 109.
    15
       «Sforziamoci di vivere bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi: come sia-
Intervista a Cleto Pavanetto   225

                INTERVISTA A DON CLETO PAVANETTO

                           Il Latino che non muore

   1. Caro don Cletο, siamo molto lieti di intervistare lei che può vantarsi di
essere stato il latinista del Papa. Ci può raccontare come inizia la sua storia
con il latino? Dove nasce la sua passione per il Sermo Patrum? Come ha preso
avvio la sua avventura con la lingua di Cicerone? Quali sono state le difficoltà,
se ci sono state? Quale liceo ha frequentato?

    Cleto: Strane previsioni di futuro incerto accompagnarono i miei primi passi
nello studio della lingua latina. Nato in un paese oscuro della campagna pado-
vana, avevo masticato qualche parola di latino come chierichetto nella chiesa
parrocchiale, ma senza convinzione ed ignorandone il significato.
    Correva il mese di settembre dell’anno 1943. Da pochi giorni l’Italia aveva
cercato di cambiare la sua appartenenza agli eventi bellici, causando una gran-
de confusione nell’intero Paese. Io avevo concluso con felice esito la scuola
elementare, ma ero incerto sulla scelta del futuro. Il paese (Levada), a forte
conduzione agricola, lontano dalla città, non offriva fantasie di scelta.
    Quasi fulmine a ciel sereno, una giovane insegnante di scuola elementare
(Mercedes Ventura) mi propose di dedicare qualche ora nel pomeriggio allo
studio di elementi fondamentali della cultura italiana ed iniziare un corso di
latino. La famiglia patriarcale a cui appartenevo, ricca di onesti costumi, piut-
tosto numerosa (27 persone, di cui 18 bambini), disponeva di pochi mezzi di
sussistenza. C’era il problema di acquistare i testi necessari, di compensare in
qualche modo l’insegnante; essendo poi io il secondo in ordine di età, la mia
presenza era spesso richiesta per il lavoro nei campi.
    Le difficoltà vennero superate con dignità e generosità. Così potei aprire la
mente alla conoscenza di tante cose nuove: la lettura di molti libri di avventura,
messi a disposizione dalla biblioteca comunale, mi permise di superare l’uni-
co linguaggio veneto da me conosciuto e così entrare nell’intrico delle forme

mo noi, così sono i tempi. Ma cosa facciamo? Non possiamo convertire alla vita buona la
moltitudine degli uomini? I pochi che ascoltano vivano bene! In questo modo, i pochi che
vivono bene possono sopportare i molti che vivono male»: A. Augustinus Hipponensis,
Sermo LXXX in PL 38, 498, 35-39.
226   José Luiz Lima de Mendonça

grammaticali della lingua italiana. Abbastanza presto, e con una certa agevolez-
za, riuscii ad apprezzare lo stile lapidario e conciso della lingua latina.
    Nel frattempo si erano aggregati altri amici al corso libero di latino: l’in-
segnante, con invidiabile pazienza, riusciva a contenere la nostra esuberanza.
Nello spazio di due anni solari mi trovai pronto ad affrontare con successo gli
esami di licenza media, presso l’Istituto Pio X di Treviso.
    Ne frattempo i disastrosi eventi bellici erano giunti a conclusione. Un mio
tentativo di continuare gli studi presso l’Istituto Cavanis di Possagno del Grappa
fu reso vano per la mancanza del documento ufficiale di licenza media. Avevo
affrontato gli esami senza premettere quello di ammissione, allora obbligatorio.
    Verso la fine di settembre dello stesso anno (1945) il salesiano Giovanni
Righetti, già missionario in Oriente, durante una escursione nei paesi del pa-
dovano, raggrumò un certo numero di giovani disposti a continuare gli studi
in Piemonte presso l’Istituto Luisa Provera di Mirabello Monferrato (Alessan-
dria). Alla mia difficoltà finanziaria provvide con l’affidarmi alla generosità di
una benefattrice (Lina Turri di Verona). Ancora una volta il buon Dio si inse-
riva decisamente nella mia vita. Mi allontanai dal paese dopo aver raggrumato
il minimo indispensabile per corredo, portando con me profonda tristezza ed
infinita nostalgia.
    A Mirabello frequentai la quarta e quinta ginnasiale, affrontando per la pri-
ma volta anche lo studio della lingua greca. Conseguii il diploma di licenza
ginnasiale presso l’Istituto parificato di Borgo San Martino (Alessandria). Nei
tre anni successivi, sotto la severa guida di professori salesiani a Foglizzo Ca-
navese (Torino), mi preparai al diploma di maturità classica che potei conse-
guire presso il liceo statale Massimo D’Azeglio di Torino nel 1951, affrontando
nello stesso tempo gli esami nelle singole materie degli ultimi tre anni degli
studi classici.

  2. Quali sono, secondo lei, i punti più importanti per imparare il latino?
Cosa raccomanderebbe agli studenti che sono alle prime armi con il latino?

    Cleto: Uno studio efficace della lingua latina deve essere preceduto da un
serio corso preparatorio di analisi logica. Dote essenziale è la costanza: «Gutta
cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo». Lo studio di quella lingua va affron-
tato con la consapevolezza che essa, cresciuta faticosamente dall’apporto di
altre lingue, per molti secoli rimase veicolo di civiltà fra tutte le genti del vasto
impero romano. La sua efficacia espressiva e le sue norme statutarie, racchiuse
Intervista a Cleto Pavanetto   227

specialmente nelle Leggi delle Dodici Tavole, conservano piena validità anche
ai nostri giorni.

    3. Lei, come salesiano, può dire con pregio di far parte di una lunga schiera
di confratelli, come Francesia, Durando, Ceria, Tempini, Sciuto, per citarne
alcuni, che con competenza e zelo hanno coltivato la passione per la lingua
latina e, allo stesso tempo, l’hanno insegnata come veri e propri maestri, quali
effettivamente erano. Cosa ci può dire dei suoi professori salesiani?

    Cleto: La Congregazione salesiana può certamente vantare una lunga serie
di specialisti nella lingua latina, grammatici e interpreti di autori classici e cri-
stiani. Ho potuto apprezzare il vocabolario latino di Celestino Durando, un vero
gioiello di definizioni semplici ma precise, caratteristico per la sua sintetica ca-
pacità di proporre l’essenziale in lingua latina. Anche i testi di Ottavio Tempini,
e di Salvatore Sciuto, di Giovanni Battista Francesia e di Enrico Tittarelli hanno
retto bellamente per vari decenni la concorrenza di bravi autori. Ricordo dove-
rosamente che, per venire incontro al sapiente desiderio di don Bosco, a Val-
docco venivano spesso programmate eleganti rappresentazioni in lingua latina.
    Tra i miei professori salesiani ritengo doveroso ricordare Giuseppe Gentile,
amabile interprete della lirica greca, Ferruccio Gastaldelli, esperto di lettera-
tura medievale, Vincenzo Loi, professore di letteratura cristiana antica, Dario
Composta, cultore delle civiltà antiche orientali; Roberto Iacoangeli, esperto
di metrica latina e greca e Calogero Riggi, guida alla interpretazione di autori
greci, classici e cristiani.

   4. Ci può raccontare del suo percorso universitario? Sappiamo che lei è
stato uno dei primi studenti del PIAL. Chi sono stati i suoi professori a quel
tempo? Come avvenivano le lezioni? Quali furono secondo lei i tempi aurei del
PIAL e come lo può descrivere a noi? E i primi alunni?

   Cleto: L’inserimento degli studi universitari nella mia vita è stato procurato
da situazioni del tutto impreviste. Dall’anno 1958 fino al 1965 avevo svolto la
mia attività di docente negli Istituti salesiani di Cairo prima, e di Alessandria
d’Egitto poi. A conclusione dell’anno scolastico 1964-1965, ricevetti l’ordine
di ritornare in Italia per frequentare corsi universitari presso il recentemente
eretto Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. Il titolo conseguito avrebbe
permesso di svolgere in seguito una regolare docenza anche nei Licei statali.
228   José Luiz Lima de Mendonça

Così avvenne che, dopo quattordici anni trascorsi nel Medio Oriente e dedicati
specialmente allo studio della lingua araba, raggiungessi la città di Roma per
sedermi sui banchi universitari, giovincello di trentaquattro anni! Avevo conti-
nuato a praticare l’insegnamento del latino, ma la lingua classica greca era stata
riposta nel dimenticatoio. Un nuovo stile di vita, del tutto opposto al preceden-
te, ricco di emozioni, di vittorie e anche di difficoltà, almeno all’inizio.
    Il corso iniziale al Pontificio Istituto enumerava 27 studenti, provenienti da
varie nazioni: dal Canada (don Parai…), dagli USA (prof. Lang…), dall’Argen-
tina (il salesiano Buccolini Alessandro), dalla Spagna (i salesiani Echave Ni-
cola e Perez Antonio); altri sacerdoti provenivano dalla periferia di Roma (don
Vicinanza); dal Nord Italia (don Alborali . . .), altri dal Nord Europa (Polonia).
Un sacerdote molto simpatico giunse anche dal Venezuela (don Valcanera). I
corsi erano frequentati anche da alcuni laici. Avevamo tutti una età. . . canonica
(almeno trentenni!): del resto la cultura impartita era ad alto livello.
    Decano dell’incipiente Istituto fu costituito don A. Stickler (poi cardinale),
che svolgeva anche il compito di Magnifico Rettore dell’Università. I professori,
oltre ai salesiani sopra ricordati, erano stati scelti con diligente e sagace selezio-
ne tra coloro che avevano accettato di svolgere le lezioni in lingua latina. Avven-
ne così che arrivò il rifiuto della espertissima archeologa Margherita Guarducci,
del prof. Benedetto Riposati dell’Università cattolica di Milano e del prof. Carlo
Del Grande, dell’Università di Napoli. I singoli professori impartivano le lezioni
seguendo le loro dispense preparate integralmente in lingua latina.
    Alcuni docenti, con estrema cortesia, ci concedevano i loro appunti che do-
vevano poi essere integrati; altri, come il prof. Simonetti Manlio, permettevano
di ricuperare l’esposizione orale per mezzo di un rudimentale magnetofono,
dal quale il testo veniva poi riprodotto e ciclostilato per tutti gli altri. Il giorno
di sabato era considerato giornata regolare di lezione. Un unico sciopero degli
alunni organizzato per ottenere giorno di vacanza il sabato 25 marzo, festa na-
zionale in Spagna per la ricorrenza dell’Annunciazione, fu duramente represso.
    Come validissimi fautori dell’eleganza stilistica latina apprezzammo subito
l’ab. Carlo Egger, i proff. Luigi Traglia, Giovanni B. Pighi, Ettore Paratore ed
Aristìde Colonna; valido interprete di archeologia il prof. Paolo Künzle; ac-
curato indagatore di dialettologia greca il prof. Giorgio Santha. Meravigliosa
l’indagine sul diritto romano guidata da mons. Renato Pozzi, il quale elegan-
temente restituiva sempre il compenso ricevuto per l’insegnamento. La moglie
del prof. Pighi seguiva le lezioni del marito in fondo all’aula, lavorando a ma-
glia per i nipotini, invidiata emula delle migliori antiche matrone romane.
Intervista a Cleto Pavanetto   229

    Incredibile disponibilità all’eloquio latino rivelò il gesuita Emilio Sprin-
ghetti, docente di storia romana e chiarissimo cultore dell’umanesimo europeo.
Le lezioni di letteratura latina classica del prof. Virgilio Paladini erano ascoltate
come narrazione di un interessante romanzo; l’esposizione della storia delle
regioni dei Greci e dei Romani da parte di mons. Giuseppe Granéris rivelava a
noi studenti lo spiritualismo che aveva animato le più antiche credenze religio-
se relative al mito di Orfeo, ai misteri Eleusini, al culto della Gran Madre e di
Mitra. L’insegnamento della epigrafia veniva svolto dal prof. Guido Barbieri,
ordinario presso l’Università i Napoli, validissima guida ai siti archeologici di
Roma antica e della città di Pompei.
    Successivamente vennero convocati altri professori e tra questi: il prof. Mir
Giuseppe, per le lezioni di composizione latina; il prof. Alessandro Pratesi, per
storia della tradizione e critica del testo; il prof. Elio Pasoli, interprete dello stile
sallustiano, ed il prof. Antonio Quacquarelli, apprezzata guida alla comprensio-
ne dello stile dei principali autori cristiani. Le lezioni di didattica delle lingue
classiche erano impartite dai salesiani Lorenzo Titone e Germano Proverbio.
    La Segreteria di Stato della Città del Vaticano si era impegnata fin dall’ini-
zio a sostenere anche economicamente il nascente Istituto di Alta Latinità, con-
sapevole che da esso avrebbe potuto ricavare ottimi collaboratori per il buon
andamento dei suoi uffici. La Congregazione per l’Educazione Cattolica, dopo
accurate osservazioni, approvò gli Statuti del nuovo Istituto e dopo qualche
anno lo elevò al grado di Facoltà presso la Pontificia Università Salesiana.

   5. Poi lei è diventato professore. Quale cattedra ricopriva? Cosa può dirci
dei suoi anni di insegnamento?

   Cleto: A conclusione dei quattro anni di studi universitari, nell’ottobre
dell’anno 1969, mi presentai per la laurea in filologia classica greca, proponen-
do la tesi dal titolo:
   De carmine quod inscribitur Μεγάλαι Ηόιαι Hesiodo adsignato: relatori i
proff. A. Colonna, L. Traglia e R. Iacoangeli.
   Conclusa l’attività universitaria, non mi restava che rientrare nella mia
Ispettoria del Medio Oriente. Ebbi subito l’incarico di docente di Lettere latine
e di coordinatore degli studi presso il Liceo parificato di Beyrouth (Libano).
   Il complesso scolastico italo-libanese comprendeva anche la scuola primaria
francese-araba ed enumerava più di mille alunni. Le classi delle scuole medie
e del liceo scientifico accoglievano indifferentemente elementi maschili e fem-
230   José Luiz Lima de Mendonça

minili, provenienti per lo più da famiglie di diplomatici o militari in servizio
statale nel Medio Oriente e negli Emirati del Golfo.
    L’ambiente era particolarmente delicato, anche perché rappresentava il pri-
mo esperimento di scuola mista in un Istituto religioso, e la maggior parte de-
gli studenti della scuola media e liceale esibiva un comportamento piuttosto
libero, favorito certamente dalla benestante situazione familiare. Il tutto però
anche quell’anno si svolse regolarmente, con totale soddisfazione di docenti e
discenti.
    Mi raggiunse, il 17 marzo 1970, lo strano imperativo di ritornare in Ita-
lia: ero stato segnalato come eventuale collaboratore nella sezione latina della
Segreteria di Stato, in Vaticano: un avvenimento fuori da tutti i miei schemi.
Ottenni di concludere l’anno scolastico, poi, volente o nolente, salii sul battello
e ritornai in Italia per stabilirmi a Roma. Venni a sapere che il titolo conseguito
presso l’Istituto di Alta Latinità mi aveva aperto le porte per svolgere un impe-
gno nella Città del Vaticano.
    I primi due anni in Segreteria di Stato, pur con qualche nostalgia, trascorsero
abbastanza serenamente. La mia residenza era fissata presso l’Università Sale-
siana, presso la quale, dall’anno accademico 1972 e fino all’anno 1975 mi fu
affidato anche l’impegno di guidare gli alunni nella retroversione di testi greci
in latino, e la supplenza del prof. di grammatica storica della lingua greca. Sot-
tolineo che con l’ordine di venire in Italia non era minimamente connesso un
mio contributo nell’Istituto di Latinità. In seguito, dall’anno 1974 fui richiesto
come docente di greco neotestamentario e di latino iniziale presso l’Università
Urbaniana (fino al 1994).
    Dal gennaio 1975 e fino al 1979 dovetti trasferire la mia residenza presso
la casa della tipografia vaticana, perché il Sostituto della Segreteria di Stato,
mons. Giovanni Benelli, mi aveva chiesto come suo segretario particolare. Era
la prima volta che ad un membro di famiglia religiosa veniva affidata simile
responsabilità. Era mio compito introdurre le personalità che, specialmente al
sabato, venivano a colloquio con i responsabili della Segreteria di Stato, col-
laborare per il disbrigo delle chiamate dai vari apparecchi telefonici, e segna-
lare particolari situazioni dalle ore 8 a.m. fino alle ore 14, quando, ricuperati
gli elaborati delle due principali sezioni della Segreteria di Stato, li trasferivo
nell’appartamento del Santo Padre.
    Nell’anno 1976, dopo un fattivo colloquio tra il Rettor Maggiore don Luigi
Ricceri ed il Sostituto Benelli, ricevetti il pieno incarico di docente presso l’U-
niversità Salesiana, con l’impegno del corso di Istituzioni di lingua e letteratura
Intervista a Cleto Pavanetto   231

greca, accompagnato da uno studio monografico ed un seminario di ricerca
filologica. Nel contempo continuavo la mia regolare attività in Vaticano.

   6. A un certo punto lei è stato invitato in Vaticano per la sezione Latinitas
della Segreteria di Stato come latinista. Come avvenne questo fatto? In cosa
consisteva il suo lavoro?

    Cleto: Seguì, il 24 maggio 1996, la mia nomina a capo-ufficio per la sezione
latina della Segreteria di Stato. La collaborazione con i colleghi non era sempre
delle migliori, a causa del carattere piuttosto indipendente di qualche collabo-
ratore: nonostante tutto si lavorava intensamente. Il lavoro dava poca tregua:
ricordo che avvenne di dover continuare la revisione di un testo latino fino alle
due di notte, perché il documento doveva essere presentato alla Sala Stampa
alle 11 a.m. del giorno successivo. A seguito poi di uno svarione sfuggito nel
documento di condanna di mons. Lefebvre si diffuse un’ondata di critiche da
parte della stampa laica.
    Come latinista della Segreteria di Stato dovetti rappresentare il Vaticano ai
Colloqui dell’Unione Latina prima presso L’Università degli Studi di Trieste ed
in seguito in Belgio, a Bruxelles, dove mi occorse l’obbligo di preparare notte-
tempo la traduzione del testo latino in lingua francese!
    Partecipai, come latinista salesiano, al Convegno Internazionale di Latino
a Madrid e a quello di Seghedin in Ungheria, e quattro volte portai il mio con-
tributo ai Corsi intensivi di latino nel Wyoming (USA). Presso la Cancelleria
Apostolica, continuando l’iniziativa dell’ab. Carlo Egger, tenevo corsi trime-
strali di lingua latina, in seguito alla mia nomina a Presidente dell’Opus Fun-
datum Latinitas (1998-2008). In quegli stessi anni, su richiesta del card. Gro-
cholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, svolgevo
annuali Lezioni magistrali di latino presso il Collegio Europeo di Parma.

   7. Secondo lei, quali sono le competenze che deve avere un latinista?

    Cleto: Non credo di poter indicare in modo assoluto le competenze proprie
di un “Latinista”. La lingua latina ha tante e tali sfaccettature che non possono
essere supportate da una sola persona. Occorrono alla mente i nomi di tanti
illustri professori che hanno goduto della mia più alta stima per la loro compe-
tenza nella disciplina trattata: ognuno di loro manifestava eleganza e sfumature
diverse. Il campo letterario latino oltre che vasto è anche molto complesso:
232        José Luiz Lima de Mendonça

richiede perfetta dizione, esige eleganza di pronuncia, chiara percezione delle
vocali lunghe e brevi, opportune pause di senso compiuto, comprensione del
fondamentale significato della parola e, soprattutto per la poesia, enunciazione
chiara e solenne. È una lingua che ama la concretezza di concetti, e proprio per
questo, quando deve esprimere idee astratte, filosofiche o teologiche, preferisce
ricorrere a voci derivate dalla lingua greca.
    Un buon latinista cerca di evitare quella improvvisazione che è propria dei
parolai. Si pensi alla prosa ‘nuda’ ma perfetta di Giulio Cesare; alla lunga e
faticosa elaborazione dell’Eneide di Virgilio, all’umile dichiarazione del poeta
Orazio, il quale, come ape industriosa, con molta fatica, riusciva a proporre
carmi latini.16
    Con particolare arguzia il prof. Pighi traccia la profonda fatica del vero la-
tinista: «Potest, qui scribit, si quid obstat moratur obscuratur, caput scabere,
stilum vertere, calamum in parietem conicere, ambulatum ire; non potest, qui
loquitur, praesertim coram auditoribus; si vocabulum non suppetit, si memoria
aliquid dubitat, si structurae nodus tardius solvitur, quid restat nisi rubor et
fuga? Nam raris verbis, longis silentiis orationem contexere, id est aut impu-
dentis aut stulti hominis».17
    Il vero latinista evita parole obsolete, antiquate e neologismi inutili: nuovi
vocaboli sono accettati quando si tratta di cose nuove, oppure quando sono
utili, servono per chiarificare concetti o vengono posti come ornamento di un
discorso.18 Non si possono introdurre a proprio arbitrio. Del resto molto oppor-
tunamente ammonisce ancora Orazio:
    «[…] Licuit semperque licebit
    signatum praesente nota producere nomen.
    Ut silvae foliis pronos mutantur in annos,
    prima cadunt: ita verborum vetus interit aetas,
    et iuvenum ritu florent modo nata vigentque...».19

       Q. Orazio F., Carmi IV, 2, 28-31.
      16

       G.B. Pighi, De libro Aeneidos VI, p. 3: «Chi si mette a scrivere, in mancanza di idee
      17

o in caso di mente annebbiata, può grattarsi la testa, lasciare la penna o buttarla contro la
parete e poi andare a camminare; invece chi parla, specialmente davanti al pubblico, se gli
mancano le parole, se la memoria non lo aiuta, se un problema sintattico è risolto solo dopo,
cosa gli resta se non il vergognarsi e fuggire? adoperare parole inusuali oppure fare lunghe
pause nel discorso è proprio dell’uomo svergognato e stolto» (La traduzione è del curatore).
    18
       Cf. Cicerone, 3 De Or., 38, 152.
    19
       Q. Orazio F., Ars Poetica, 58-62: «[…] fu lecito e sempre lo sarà coniare parole nuove
Intervista a Cleto Pavanetto   233

   8. Può riassumere in breve cosa era l’Opus Fundatum Latinitas? Sappiamo
che, con grande competenza e capacità organizzativa, lei, che nel frattempo
ne era diventato anche presidente, ha organizzato varie edizioni del Certamen
Vaticanum per la promozione e per la diffusione della lingua latina. Può rac-
contare cosa ha significato per il latino il Certamen?

    Cleto: Per ovviare al progressivo disinteresse per lo studio delle lingue clas-
siche ed impedire che simile situazione coinvolgesse anche la formazione cul-
turale del clero, Papa Paolo VI il 30 giugno dell’anno 1976 emise il chirografo
Pontificio Romani Sermonis, col quale creò la Fondazione Latinitas, assegnan-
dole i seguenti obiettivi:
    1) Favorire lo studio della lingua latina, della letteratura classica e cristiana,
del latino medioevale e del latino recente;
    2) Sviluppare l’uso e l’incremento della lingua latina con la pubblicazione
di testi scritti in latino, pertinenti anche al linguaggio ecclesiastico e curiale.
    Tra le principali attività venivano elencate:
    • La rivista Latinitas, fondata nell’anno 1953. Redatta completamente in
lingua latina: esce quattro volte l’anno. Tratta argomenti culturali di letteratura,
di filologia, di storia, di scienze ed altre discipline. Particolare risalto viene dato
al Diarium Latinum, che sviluppa argomenti di attualità con stile giornalistico;
    • il Certamen Vaticanum, concorso internazionale di poesia e prosa in lingua
latina. I vincitori vengono premiati verso la fine di ogni anno civile;
    • l’organizzazione di Corsi intensivi di lingua latina per sviluppare il collo-
quio in lingua latina, secondo il così detto “metodo natura”;
    • la realizzazione di Congressi, Conferenze e Discussioni aventi come tema
dominante la cultura latina;
    • la divulgazione del Lexicon recentis Latinitatis, prestigioso dizionario re-
cante oltre 15.000 neologismi, risultato della collaborazione di esperti collabo-
ratori di tutto il mondo.
    I Corsi avevano luogo al primo piano del palazzo della Cancelleria Apostoli-
ca, presso la quale venivano anche consegnati i premi ai vincitori del Certamen
Vaticanum durante una festa-cerimonia allietata da uno spettacolo teatrale in

informate del presente; come gli alberi che con lo scorrere del tempo cambiano le foglie, fa-
cendo cadere quelle più vecchie, così il tempo fa morire le parole obsolete; in questo modo,
fioriscono e prendono il sopravvento quelle appena nate con il vigore della loro gioventù»
(La traduzione è del curatore).
234   José Luiz Lima de Mendonça

musica. Questo avvenne fino all’anno 2008, quando quella sede fu adibita ad
altro scopo e il materiale di Latinitas fu trasferito presso Via della Conciliazione.
    In seguito, col Motu Proprio Lingua Latina, di Sua Santità papa Benedetto
XVI del 10 novembre 2012, fu annullato il chirografo Romani Sermonis di papa
Paolo VI e l’Ente andò a confluire nella Pontificia Academīa Latinitatis, che fa
capo al Pontificio Consiglio della Cultura: provvede semplicemente a qualche
pubblicazione periodica. Le varie attività previste dalla Fondazione Latinitas
hanno cessato di esistere.
    Come presidente dell’Opus Fundatum Latinitas, ho continuato l’edizione
del Certamen Vaticanum già avviato dai miei predecessori, curando un po’ di
più la coreografia del medesimo. Con l’aiuto della dott.ssa Paola Sarcina e la
collaborazione di un suo gruppo artistico, siamo riusciti a preparare delle ope-
rette musicali, interpretando testi classici, tra i quali Le Baccanti di Euripide,
una operetta musicata dal giovane Mozart e l’Edipo re di Sofocle: il tutto inter-
pretato con musica classica adattata al testo. In un caso particolare, una parte
del dramma venne riprodotta anche da Tg Rai 3, e la stampa romana diede
abbondante spazio alla descrizione del Dies Festus Latinitatis celebratus apud
Curiam Riariam. L’ampia aula magna della Cancelleria Apostolica risultava
gremita di cultori di lettere classiche, giunti anche da regioni lontane.
    Durante l’intermezzo della recita venivano consegnati i diplomi, convalidati
dalla Segreteria di Stato del Vaticano, a coloro che avevano partecipato ai Cor-
si intensivi di latino. Seguiva un opportuno rinfresco offerto dalla fondazione
Latinitas, durante il quale venivano scambiati pareri e giudizi relativi special-
mente alla manifestazione canora.
    È opportuno sottolineare che quell’evento contribuiva a rendere più simpa-
tica la lingua e a procurare nuovi iscritti ai corsi intensivi. In particolare poi,
coloro che già frequentavano lettere classiche, potevano approfondire maggior-
mente la loro conoscenza del patrimonio latino.

    9. Ci può dire qualcosa sulla rivista Latinitas, di cui lei è stato curatore
insieme ad altri insigni latinisti? Qual è la sua importanza per la divulgazione
e la promozione della lingua latina?

   Cleto: La rivista Latinitas è stata emessa la prima volta nell’anno 1953,
per iniziativa di alcuni illustri studiosi, tra i quali figuravano l’Em.mo card.
Antonio Bacci, il card. Pericle Felici, i monsignori Del Ton Giuseppe, Zannoni
Guglielmo e Mariucci Tommaso, autore di una pregiata raccolta di neologi-
Intervista a Cleto Pavanetto   235

smi. A costoro si aggiunse ben presto l’abate Carlo Egger, purista della corretta
enunciazione dei termini latini.
    La rivista, oltre a cercar di ridestare l’attenzione su di una lingua ricca di
umanità e principale patrimonio culturale del continente europeo, si proponeva
di dimostrare che anche le ultime scoperte dell’ingegno umano potevano tro-
vare una loro classificazione in lingua latina, che veniva poi recepita a livello
internazionale. Del resto la via era già stata tracciata da molti cultori delle “hu-
manae litterae” e dai migliori personaggi del Rinascimento europeo.
    Alla sua redazione collaboravano illustri professori dall’Europa e dagli Stati
Uniti. Abbastanza spesso era necessario proporre la denominazione latina ap-
propriata per una città costituita nuova diocesi; altre volte la descrizione di un
evento particolare che rivestiva importanza a livello internazionale.

    10. Come ultimo, vorremo sapere cosa pensa sia importante per il futuro
della lingua latina in Chiesa. Cosa dobbiamo ancora fare per mantenere viva
la memoria e il patrimonio immane di cui sono testimoni gli scritti dei Padri e
i documenti della Chiesa?

    Cleto: Nel mese di marzo del 1950, per la prima volta riuscii ad entrare nella
basilica di S. Pietro in Roma e partecipare ad una solenne celebrazione. Il luogo
sacro era stipato di gente. Ricordo ancora con nostalgia la commozione che mi
pervase quando in quel sacro tempio si diffusero le parole del Credo cantato in
latino gregoriano. Voci possenti, profonde e giovanili, esprimevano all’unisono
le principali verità della fede in pieno accordo: era l’entusiasta soddisfazione di
sentirsi figli prediletti della Chiesa universale.
    Sant’Agostino ricordava con nostalgia i canti che avevano inebriato il suo
cuore mentre assisteva alle cerimonie sacre nella chiesa milanese. Senza voler
disprezzare la validità della musica polifonica, penso che un ritorno alla glo-
riosa musica gregoriana, potrebbe diventare, specialmente per i ministri della
Chiesa, anche un incentivo a riprendere uno studio più approfondito della lin-
gua latina. Ci fu un tempo in cui il popolino ignorava quasi completamente la
lingua dei nostri padri, ma le chiese erano sempre affollate e risuonavano di
canti latini: certo, allora, le parole pronunciate avevano ben poco della lingua
vera.
    Senza dubbio, nei comuni rapporti sociali, nella compra e vendita di tanti
prodotti che le nuove invenzioni esibiscono nei mercati nazionali ed interna-
zionali, nel linguaggio amichevole e familiare, non è affatto logico ricorrere
236     José Luiz Lima de Mendonça

ad una terminologia latina: ma è certamente logico e motivo di giusto orgoglio
riandare con la memoria a quelle valide premesse della cultura antica che sono
diventate colonne fondanti di tante conquiste moderne.
   Per coloro poi che sono chiamati a svolgere un servizio ministeriale religio-
so è particolarmente fondamentale risalire alle sorgenti del loro ‘credo’, rive-
dere e rendere proprio il pensiero dei Padri della Chiesa e le direttive pastorali
con una riflessione personale, attingere, sia pure da un testo corredato da op-
portuna fedele traduzione in lingua nazionale propria, quegli insegnamenti che
devono stare alla base della loro attività ecclesiale. Si eviterebbe l’aridità di
tanti sermoni, che danno l’idea di semplici parole accostate. “Nemo dat quod
non habet”.
   È questo l’auspicio che vorrei trasmettere alle future generazioni. Il cuore
dell’uomo è un grande mistero, ma la sua mente e la sua intelligenza possono
spaziare oltre i confini del visibile e raggiungere quelle finalità e quelle mete
che il buon Dio ha creduto opportuno affidargli quando ha determinato il suo
ingresso nel mondo.

                                     * * *

Pubblicazioni di Cleto Pavanetto

Libri

De Hesiodeo poematio, quod ‘Megalai Eoiai’ inscribitur [Excerptum e disser-
   tatione ad Lauream], Elettrongraf, Roma 1983, pp. 32.
Euripidis Bacchae. Graecus textus, Latina et Italica e Graeco sermone traslatio,
   criticae animadversiones (in collaborazione con Letizia Greco), LEV, Città
   del Vaticano 1994, pp. 264.
Graecarum Litterarum classicarum Institutiones, pars prior, LAS, Roma 1984,
   pp. 156; altera editio ampliata et revisa, LAS, Roma 1996, pp. 240.
Graecarum Litterarum Classicarum Institutiones, pars altera, LAS, Roma
   1986, pp. 172; altera editio, aucta et emendata, LAS, Roma 1997, pp. 260.
Elementa linguae et grammaticae Latinae, Abilgraf, Roma 1982, pp. 122. VII
   editio, aucta et emendata, LAS, Roma 2009, pp. 298.
Le leggi delle dodici tavole, LAS, Roma 2014, pp. 100.
Romanorum litterae et opera aetatis nostrae gentes erudiunt, LAS, Roma
   2018, pp. 194.
Intervista a Cleto Pavanetto   237

Libri curati

R. Pozzi, Institutiones iuris Romani (cura et studio Cl. Pavanetto editae), LEV,
   Città del Vaticano 1999, pp. 166.
Th. Ciresola, Narrationes (cura et studio Cl. Pavanetto ed.), Elettrongraf,
   Roma 2000, pp. 254.
Aem. Springhetti, Litterae Latinae Humanisticae (cura et studio Cl. Pavanetto
   publici iuris actae), Elettrongraf, Roma 2007, pp. 196.
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