I 20 autori disneyani più importanti di sempre - afNews

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I 20 autori disneyani più importanti di sempre

Menzione speciale: Silvia Ziche (1967-)

Unica persona di sesso femminile, tra gli autori disneyani di ieri e di oggi, ad aver
raggiunto una certa fama, la vicentina Silvia Ziche merita, solo per questo, una
menzione speciale in questa elaborata classifica. Allieva di Giovan Battista Carpi,
lavora a Topolino dal 1991, ed è diventata un simbolo, nel bene e nel male, del “nuovo
corso” disneyano; autrice eclettica, pienamente capace di scrivere da sé le sue storie,
collabora anche ad altre riviste (Linus, Donna Moderna) per le quali ha creato altri
personaggi, il più famoso dei quali è Lucrezia, ragioniera immersa in una normalità
molto paperinesca e sempre alla ricerca di un nuovo amore.
Silvia Ziche è famosa soprattutto per le due grandi saghe “Papernovela” (181 pagine,
1996) e “Topokolossal” (200 pagine, 1997), dallo spunto classico e non così banale,
con Paperi e Topi che si trasformano in attori di “serial” televisivi: i tempi sono
cambiati ed è ormai la televisione, non più il cinema, a comparire sempre più spesso
nelle storie disneyane, così come vedremo anche in un’altra famosa parodia della stessa
autrice, “Paperina di Rivondosa” (2005). Tuttavia la trama delle due saghe è debole,
troppo semplice, con personaggi annacquati e poco incisivi, anche se in linea col nuovo

 Il “fronte” del volume “a specchio”: Papernovela.   Il “retro” del volume a specchio: Topokolossal.
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corso disneyano, che sempre più, col passare degli anni, mostra una tendenza a
semplificare le sceneggiature e a rivolgersi ad un pubblico di lettori sempre più giovani
(incurante del fatto che proprio questi giovani leggono sempre di meno, come tutti
ormai sanno benissimo).
Le due storie, ristampate di recente dalla Panini in uno speciale volume “a specchio”
(da un lato si legge la Papernovela, dall’altro il Topokolossal), restano comunque
emblematiche di questo nuovo corso disneyano, e delle potenzialità, probabilmente mai
sfruttate a dovere, della loro autrice.

Menzione speciale: Alessandro Sisti (1960-)

Nato nei pressi di Pavia ma cresciuto a Genova, Alessandro Sisti fa parte di quella
schiera di autori che negli anni ’80 contribuiscono al rilancio della scuola italiana, un
                                                   po’ in crisi alla fine degli anni ’70
                                                   dopo l’addio di Rodolfo Cimino,
                                                   Pier Lorenzo De Vita e Giampaolo
                                                   Barosso, il lento declino di Guido
                                                   Martina, il diradarsi delle storie di
                                                   mostri sacri come Luciano Bottaro
                                                   e lo stesso Romano Scarpa.
                                                            Sisti, con autori come Bruno Sarda
                                                            e Massimo De Vita, si mette in luce
                                                            nel corso degli anni ’80 scrivendo
                                                            alcune storie di buon livello (per
                                                            esempio, “Topolino e la guerra dei
                                                            mondi” (1987), parodia del famoso
                                                            romanzo di H.G. Wells), ma merita
                                                            la menzione speciale per essere
                                                            stato il principale sceneggiatore, a
                                                            partire dal 1996, delle celebri
                                                            PKNA (vale a dire “PaperiniK New
                                                            Adventures”): una serie del tutto
                                                            scollegata dalle storie principali e
                                                            che per quasi 10 anni rimodella il
                                                            personaggio di Paperinik (da tutti
                                                            ormai chiamato “PK” o “PiKappa”)
                                                            trasformandolo in un supereroe
Prima apparizione della malevola AI chiamata “Due”, tra i   “classico” di stampo Marvel, che
principali antagonisti della serie (PKNA #2).               non ha più nulla a che fare col
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vecchio Paperino e con i personaggi che lo accompagnavano, ma in compenso deve
affrontare nemici ben più pericolosi e organizzati dei “soliti” Rockerduck o Banda
Bassotti.
Serie tanto innovativa quanto poco disneyana, PKNA rappresenta in ogni caso uno dei
tentativi più interessanti – di certo più delle celebrate “grandi parodie” – di immergere
un’icona come Paperino/Paperinik in una realtà e in un genere di avventure
completamente diverse da quelle alle quali i canoni barksiano prima e martiniano poi
avevano abituato i lettori. Esaltata da molti di loro, denigrata da altri (tra cui il grande
Massimo De Vita, sicuramente il miglior disegnatore ad essersi occupato di Paperinik,
intervistato nel 2020: https://www.ventennipaperoni.com/2020/06/14/massimo-de-
vita-intervista), la serie resta comunque uno dei migliori esempi della fantasia e della
bravura degli sceneggiatori che lavorano con i personaggi disneyani. E per quanto Sisti
sia stato validamente affiancato da altri “pezzi grossi” come Tito Faraci e Francesco
Artibani, e da disegnatori come Claudio Sciarrone e Corrado Mastantuono, il merito
del successo di questa serie è principalmente suo.

Menzione speciale: Bruno Sarda (1954-)

Forse il migliore, tra gli sceneggiatori che negli anni ’80 stavano riportando Topolino
ai livelli di un tempo, il torinese Bruno Sarda è conosciuto soprattutto per la grandiosa
saga della “Pietra Zodiacale” (12 puntate all’inizio del 1990) e per la creazione del
                                                            personaggio di Indiana Pipps (nel
                                                            1988), ultimo di una lunga serie di
                                                            strampalati cugini di Pippo e
                                                            chiara parodia di un Indiana Jones
                                                            allora al massimo della sua fama.
                                                            Sorretto spesso dai disegni di un
                                                            Massimo De Vita al meglio delle
                                                            sue capacità, appassionato di
                                                            fantaarcheologia (come Martin
                                                            Mystere, altra ispirazione per
                                                            Indiana Pipps), Bruno Sarda ha
                                                            saputo scrivere anche parodie di
                                                            buon livello, come “I promessi
                                                            topi” (1989, disegni di Franco
                                                            Valussi) o “3 paperi e un bebè”
                                                            (pure 1989, disegni di Massimo
                                                            De Vita), eccellendo specialmente
 Topi (con Gambadilegno), Paperi, i professori Marlin e
 Zapotec: tutti riuniti per ricomporre la Pietra Zodiacale. nelle storie con i Topi.
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Purtroppo Sarda, autore che
                                                           eccelle in trame complesse,
                                                           è fra coloro che hanno
                                                           maggiormente risentito del
                                                           nuovo corso disneyano, che
                                                           a partire dalla metà degli
                                                           anni ’90 ha reso sempre più
                                                           banali le sceneggiature, e
                                                           dopo soli dieci anni di una
                                                           carriera fra le più brillanti
 Indiana Pipps e Topolino progettano una spedizione.
                                                           ha finito per tirare i remi in
barca, limitandosi a storie brevi o con protagonista il sempreverde Indiana Pipps, le
uniche che ancora incontrano il gradimento indiscusso dei lettori.

Menzione speciale: Paul Murry (1911-1989)

Quando il poeta latino Orazio coniò il termine “aurea mediocritas” non poteva certo
immaginare che oltre 2000 anni dopo avrebbe potuto definire, meglio di ogni altro, il
lavoro del disegnatore americano Paul Murry, originario del Missouri e che, come
molti altri della sua epoca (Carl Barks fra tutti), dopo aver iniziato una carriera come
animatore alla Walt Disney dovette adattarsi al meno prestigioso (agli occhi di Walt) e
meno pagato lavoro di fumettista, per via dei tagli imposti dalla guerra (e dalla nota
tendenza dell’azienda a risparmiare sui compensi elargiti ai suoi dipendenti).
“Aurea mediocritas”, nel significato che gli aveva dato Orazio, non è un termine
negativo, ma indica piuttosto il buono che viene dalla “via di mezzo”, dalla capacità di
accontentarsi senza rischiare troppo nel tentativo di raggiungere l’eccellenza. Murry,
disegnatore appena passabile, riesce infatti, in circa 30 anni di carriera tra gli anni ’50
e gli anni ‘80, a ritagliarsi un suo spazio fra gli autori disneyani, grazie alla
riconoscibilità del suo tratto e alle trame “noir” di quasi tutte le sue storie (in genere
scritte da Carl Fallberg, anche lui proveniente dall’animazione), in cui Topolino e
Pippo affrontano criminali di ogni genere oltre ai “soliti” Gambadilegno e Macchia
Nera, in una continua riproposta, sia pure in tono molto minore, del “Topolino
detective” che Merrill De Maris aveva portato ai vertici alla fine degli anni ’30.
Su Topolino le storie disegnate da Murry – centinaia – sono state spesso proposte nella
parte centrale dell’albo, a far da tramite tra la prima e l’ultima (sempre storie di alto
livello, ad opera di autori italiani), sino a diventare, specialmente negli anni ’60, una
presenza costante, quasi rassicurante con le sue trame e i suoi cattivi sempre uguali,
sempre minacciosi, armati e pericolosi (almeno in apparenza), ma alla fine sempre
sconfitti. Mai un capolavoro, ma neanche un passo falso, come nella vera “aurea
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L’inconfondibile stile di Paul Murry: cattivi dai musi lunghi, barbe folte, pistole spianate.

mediocritas”, e come ancora oggi, a quarant’anni dalle sue ultime storie, possono
confermare i suoi non pochi estimatori.

20° posto: Marco Rota (1942-)

Quando Internet ancora non era diventato un fenomeno di massa, erano gli “esperti” a
dettare legge su qualsiasi cosa avesse un valore artistico: libri, film, canzoni, fumetti.
È così che il milanese Marco Rota, direttore artistico della Mondadori dal 1974 al 1988
e copertinista di Topolino, diventa uno dei più importanti autori disneyani, accostato
tranquillamente a Carl Barks (del quale imita lo stile, sia narrativo che grafico, pur
senza riprendere le sue storie come invece farà in seguito Don Rosa), e al quale è
dedicato un intero paragrafo del celebre volume “I Disney italiani” (del 1990), laddove
altri autori di un certo peso (come Giorgio Bordini, Guido Scala, i fratelli Barosso e
persino Rodolfo Cimino) non arrivano a tanto.
L’importanza di Marco Rota, con l’avvento del nuovo corso disneyano, nonché quello
di Internet col conseguente declino degli “esperti”, sostituiti dalla massa dei lettori,
sarà molto ridimensionata; né l’autore milanese sarà aiutato dal fatto di aver realizzato
poche storie, spesso su sceneggiatura non sua, e in prevalenza per l’Almanacco
Topolino o per il mercato danese.
Cosa ha nuociuto a Marco Rota? Paradossalmente, proprio l’essersi rifatto allo stile di
Barks, le cui storie erano apertamente ispirate dal classico “way of life” all’americana
(per esempio: le avversità uniscono le famiglie). Dopo decenni di “canone martiniano”
le storie disneyane riflettono ormai il “way of life” all’italiana (per esempio: le
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avversità dividono le
                                                                 famiglie),    e    l’autore
                                                                 milanese si trova ad essere
                                                                 “fuori moda”, per trame,
                                                                 dialoghi, ritmo e infine
                                                                 anche per stile grafico,
                                                                 quando alla fine degli anni
                                                                 ’80 il tratto gommoso e
                                                                 dinamico, reso celebre da
                                                                 Giorgio Cavazzano, ha il
                                                                 sopravvento. Forse anche
                                                                 per questo Rota “emigra”
                                                                 in Danimarca alla fine
Paperi e paesaggi tipicamente barksiani.                         degli anni ’90, diradando

sempre più la sua collaborazione con le
riviste italiane; ma questo nulla toglie ai suoi
meriti, dato che essere fuori moda non è
certo una colpa – anzi, spesso è vero il
contrario. E infatti molte delle sue storie,
specialmente le prime da lui sceneggiate,
sono ancora oggi dei piccoli capolavori
(“Zio Paperone e il deposito oceanico
(1974), “Paperino pendolare” (1977), “Le
avventure di Mac Paperin” (1980)) e
resisteranno egregiamente al tempo che
passa, diversamente da tante altre che al
momento “vanno di moda”.                         Paperone, ancora tra paesaggi barksiani.

18° e 19° posto: Tito Faraci (1965-) e Francesco Artibani (1968-)

È tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 che si afferma la coppia di
sceneggiatori formata dal milanese Luca (Tito) Faraci e dal romano Francesco
Artibani: forse gli unici, tra le “nuove leve” arrivate ad occuparsi dei personaggi
disneyani, ad avere realizzato storie di un certo valore nonostante il nuovo corso e i
limiti da questo imposti alle sceneggiature. Non è certo un caso che il lavoro più
importante dei due autori – citati in coppia proprio per averlo realizzato
congiuntamente – è quel “Mickey Mouse Mystery Magazine” (MMMM) che si stacca
dal resto della produzione disneyana sfuggendo alle troppe censure e cercando il
consenso di un parco di lettori – per una volta – veramente maturo.
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Faraci, autore quanto mai poliedrico, capace anche di scrivere per la Bonelli e persino
per la Marvel, è già affermato quando approda alla Disney nel 1996, dove si mette
subito in mostra scrivendo qualche storia per le già citate PKNA e arrivando, già nel
2000, a vedere pubblicato un volume speciale, Topolino Noir, che ne raccoglie le storie
migliori (tra le quali va almeno segnalata “Topolino e il fiume del tempo” (1998), con
disegni di Corrado Mastantuono, e dove già si riscontra la collaborazione con Artibani).
                                         Artibani, autore meno poliedrico ma non per
                                         questo meno bravo, si afferma nello stesso
                                         periodo, spaziando tra storie sia di Topi che
                                         di Paperi e anche qualche parodia (“Miseria e
                                         Nobiltà” (1993), disegnata da Cavazzano): è
                                         forse il solo sceneggiatore ancora capace, al
                                         giorno d’oggi, di scrivere storie lunghe e
                                         complesse (a volte troppo), con trame non
                                         banali e con personaggi ben caratterizzati (per
                                         esempio “Zio Paperone e l’ultima avventura”
                                         (2013), di ben 126 pagine, con disegni di
I due nemici, sempre più spesso in buoni Alessandro Perina).
rapporti, in “Topolino e il fiume del tempo”

 In “Zio Paperone e l’ultima avventura” tutti i suoi nemici si coalizzano contro di lui.
Dopo aver scritto a sua volta qualche episodio delle PKNA, Artibani, insieme a Faraci,
dà vita alle già citate MMMM, il tentativo più riuscito, dai tempi di Bill Walsh, di
rinnovare in qualche modo il Grande Topo. I due autori intuiscono infatti cosa bisogna
fare per svecchiare un personaggio che ne ha un gran bisogno, vale a dire immergerlo
in situazioni diverse dalle solite cercando di non snaturarlo: la stessa intuizione che
aveva avuto Bill Walsh, dall’esito tuttavia non così buono perché l’autore americano
aveva anche voluto modificare alcuni aspetti del Topo, trasformandolo da eroe attivo
e propositivo in un personaggio esitante e spesso passivo, se non bisognoso di aiuto.
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Purtroppo analogo errore compiono Faraci e Artibani: se l’ambientazione nuova – la
città di Anderville, dove agiscono criminali realistici, spietati e bene organizzati, e dove
Topolino non può contare su nessun amico, neanche sul commissario di polizia –
funziona alla grande, anche stavolta il Topo perde qualcosa dei suoi tratti distintivi,
diventando, in omaggio ai grandi detective del noir americano, un personaggio
malinconico e rassegnato, e non più ottimista e risoluto come era sempre stato.
                                                         Se Topolino fosse rimasto il
                                                         personaggio classico, non
                                                         necessariamente quello di
                                                         Floyd Gottfredson e dei suoi
                                                         sceneggiatori, ma almeno
                                                         quello di Romano Scarpa, le
                                                         MMMM avrebbero avuto un
                                                         successo strepitoso e avrebbero
                                                         rilanciato il Topo (a fumetti) in
                                                         Italia e in tutto il mondo; ma col
                                                         protagonista ridotto a fare la
                                                         controfigura di Philip Marlowe
                                                         e Sam Spade la serie annaspa
                                                         sin dall’inizio, per finire chiusa
Ad Anderville: Topolino a cena con Patty Ballestreros.   bruscamente dopo 12 numeri,
quasi fosse un comune serial televisivo con gli ascolti in calo. Ed è un peccato, perché
il Topo, anche reso malinconico, resta pur sempre un bel personaggio: l’ambientazione
realistica prende il lettore molto più di quanto possa fare una storia ambientata a
Topolinia, e i personaggi, sia i numerosi cattivi, che i pochi buoni (memorabile
soprattutto la coraggiosa poliziotta Patty Ballestreros) non fanno rimpiangere gli usati
e abusati Pippo, Gambadilegno, Basettoni e così via.

17° posto: Giovan Battista Carpi (1927-1999)

Tra i disegnatori più prolifici del vasto mondo disneyano, il genovese Giovan Battista
Carpi fa parte del nucleo storico dei cosiddetti “disney italiani”, quel gruppo di autori
che negli anni ’50 diedero nuova vita ai personaggi, a volte seguendo il solco tracciato
da Barks e Gottfredson, a volte allontanandosene. Senza di loro, e dopo il declino,
iniziato nella seconda metà degli anni ‘50, dei due mostri sacri americani, forse oggi
non ci sarebbero più fumetti con protagonisti Topolino e Paperino.
Carpi è stato quasi solamente un disegnatore, dal tratto semplice e piacevole anche se
meno espressivo rispetto a quello offerto dai vari Scarpa, De Vita o Cavazzano; tuttavia
è dalla sua collaborazione con i migliori sceneggiatori – Guido Martina su tutti – che
I 20 autori disneyani più importanti di sempre - afNews
sono nate alcune delle storie più famose mai lette su Topolino. Dal 1953 – quando
inizia la sua collaborazione con la rivista – sino alla sua morte, sono state quasi 300 le
storie da lui disegnate. Suo è il primissimo Paperinik (“Paperinik il diabolico
vendicatore” (1969)), suoi i disegni di buona parte delle due grandi saghe “Storia e
                                                             gloria della dinastia dei
                                                             paperi” (1970) e “Il segreto
                                                             del     totem      decapitato”
                                                             (1973), come pure quelli di
                                                             alcune tra le più celebri
                                                             parodie, per esempio – per
                                                             citarne solo due tra le
                                                             migliori – “Paperino e il
                                                             vento del Sud” (1982) o
                                                             “Paperino e il re del fiume
 Per la prima volta, Paperino diventa Paperinik.             d’oro” (1961): tutte storie
sceneggiate da Guido Martina, del quale è stato forse il disegnatore preferito. Come se
non bastasse, nell’ultima fase della sua carriera Carpi inizia a scriversi da solo le storie,
realizzando alcune parodie davvero buone, come “Il mistero dei candelabri” (1989,
parodia de I Miserabili) o “Guerra e Pace” (1986).
E ancora: Carpi è stato il
direttore dell’Accademia
Disney, creata nel 1988
allo scopo di formare
nuovi autori (non solo
disegnatori), è stato colui
che ha illustrato tutti i
manuali delle Giovani
Marmotte usciti in Italia,
ed infine è stato uno dei
due disegnatori (l’altro Paper Butler e Paperella O’Hara ne “Il vento del Sud”.
era Scarpa) presentati al pubblico in una trasmissione televisiva del 1968, quando
ancora erano in pochissimi a sapere che non era Walt Disney in persona (peraltro morto
da poco) a disegnare le sue storie.
Basta e avanza per fare di lui uno dei massimi autori disneyani di tutti i tempi!
I 20 autori disneyani più importanti di sempre - afNews
15° e 16° posto: Giorgio Pezzin (1949-) e Giorgio Cavazzano (1947-)

Entrambi nati a Venezia, entrambi allievi di Romano Scarpa, del quale inchiostrano i
disegni all’inizio della loro carriera, è nel corso degli anni ’70, e poi soprattutto negli
anni ’80, quando i fumetti disneyani tornano a grandi livelli, che i due autori si
affermano, diventando forse i migliori – con Massimo De Vita – a realizzare in quel
periodo storie per “Topolino”.
Citati insieme perché le loro storie migliori sono senza dubbio quelle nate dalla loro
amicizia e collaborazione, ognuno dei “due Giorgi” ha pure realizzato, insieme ad altri
autori, una interminabile serie di capolavori che arriva sino agli anni ’90 e, nel caso di
Cavazzano, ancora in attività, sino ai giorni nostri (mentre Pezzin cessa la sua
                                                   collaborazione con Topolino, forse
                                                   perché insoddisfatto del nuovo corso
                                                   disneyano, agli inizi degli anni
                                                   2000).
                                                         Pezzin, dotato di un umorismo
                                                         raffinato e a volte surreale (non
                                                         casualmente è il solo autore, a parte
                                                         il suo creatore Dick Kinney, a saper
                                                         gestire al meglio il personaggio di
                                                         Paperoga), è infatti il principale
                                                         sceneggiatore della serie sulla
                                                         “macchina del tempo”, disegnata
                                                         quasi sempre da Massimo De Vita, e
                                                         che vede in azione Topolino e Pippo,
Topolino, Pippo e il professor Zapotec, da “L’Atlantide, inviati nelle epoche più remote dai
continente perduto” (disegno di Massimo De Vita).
                                                         professori Marlin (inventore della
macchina) e Zapotec (fantaarcheologo). “Topolino e l’Atlantide, continente perduto”
                                    e “Topolino e l’intruso spazio-temporale” (entrambe
                                    del 1987) sono due tra le storie migliori del ciclo.
                                    Notevole anche la lunghissima “La guarnigione
                                    segreta” (1991, sempre con disegni di Massimo De
                                    Vita), che fa parte della grande saga de “I signori della
                                    galassia”. Tra una storia disneyana e l’altra Pezzin
                                    scrive anche per la Bonelli e per il Giornalino,
                                    mostrandosi autore completo, sia pure senza mai
                                    rinunciare al suo umorismo.
                                   Cavazzano, invece, disegna alcune tra le migliori storie
Paperino e la sua amata Reginella. di Rodolfo Cimino, delle cui sceneggiature è forse il
migliore interprete alla pari con
                                                       Romano Scarpa (tra le migliori
                                                       quelle del ciclo di Reginella e la
                                                       famosa serie dei “Racconti intorno
                                                       al fuoco”). Realizza la storia di
                                                       esordio delle già citate MMMM
                                                       (“Anderville”, 1999), e illustra le
                                                       storie migliori di autori come
                                                       Silvano Mezzavilla (“Il mistero
“Il mistero della voce spezzata”: lo stile “gommoso” e
                                                       della voce spezzata”, 1991), Tito
dinamico di Giorgio Cavazzano.
                                                       Faraci (a parte “Anderville”, “La
vera storia di Novecento”, 2008), e
Casty (“Topolino e il colosso di
Rodi”, 2005), prima che questi inizi
a disegnare in proprio. Né va
scordato che a partire dalla metà
degli anni ’70 il suo stile grafico,
inizialmente identico a quello del
suo mentore Scarpa, diventa
progressivamente “gommoso” e
iperdinamico, evolvendosi sino al
raggiungimento di effetti quasi
tridimensionali, e diventando infine
lo stile adottato da quasi tutti i
nuovi disegnatori che dagli anni ’80
approdano su “Topolino” (fra tutti
Corrado Mastantuono e Claudio
Sciarrone).
Anche Cavazzano non si è limitato
a disegnare personaggi disneyani
(vanno ricordati Altai e Jonson, su
testi di Tiziano Sclavi, pubblicati
sul Corriere dei Ragazzi), ma è
soprattutto dalla sua collaborazione
con Pezzin che, sin dagli anni ’70, è
nato un capolavoro dopo l’altro: tra
questi si possono citare la lunga
storia “Zio Paperone e gli icebergs
volanti” (1975), come pure “Zio MMMM: Topolino disegnato da Cavazzano (in alto), da
Paperone e l’acqua concentrata” Sciarrone (al centro), da Mastantuono (in basso).
(1977), oltre a quelle
                                                                    con protagonista il già
                                                                    citato Paperoga, come
                                                                    “Paperoga e il peso della
                                                                    gloria” (1975), o anche
                                                                    “Paperoga e l’isola a
                                                                    motore” (1976).
                                                                        Purtroppo la libertà
                                                                        creativa loro concessa
“Paperoga e il peso della gloria”: a metà degli anni ’70 è già visibile negli anni ’70 – quando
l’evoluzione dello stile grafico di Cavazzano.                          ancora non si parlava di
                                                                        “politically correct” e
una certa dose di violenza veniva tollerata – calerà progressivamente negli anni
successivi, ed entrambi gli autori, pur continuando a realizzare insieme storie di alto
livello, non riusciranno più a ritrovare gli spunti veramente geniali dei loro inizi.

14° posto: Rodolfo Cimino (1927-2012)

Anche lui esponente di quella scuola veneziana che fa capo a Romano Scarpa (del
quale, come quasi tutti i suoi allievi – Pezzin, Cavazzano, Luciano Capitanio, Luciano
Gatto – ha inchiostrato le storie nella prima fase della sua carriera) Rodolfo Cimino
sceglie, nel 1961, la via della sceneggiatura, che nel giro di 15 anni lo porta a scrivere
circa 300 storie che ruotano quasi tutte intorno a un solo tema: la famiglia dei Paperi a
caccia di qualche tesoro. Illustrate principalmente da due mostri sacri come Scarpa e
Cavazzano, le storie di Cimino seguono un canovaccio ricorrente, con Paperone che
scopre casualmente l’esistenza di un tesoro (o anche di un oggetto, una formula o
qualcosa di analogo, purché possa accrescere la sua ricchezza) e quindi, a bordo di
strani veicoli, costringe i nipoti ad accompagnarlo in luoghi lontani e misteriosi alla
sua ricerca. Nonostante i veicoli si rivelino ben presto inadeguati allo scopo per cui
sono stati costruiti (vale a dire superare le molte avversità che si incontreranno nel
viaggio), i Paperi raggiungono infine il luogo in cui si trova il tesoro, che risulta però
custodito da un popolo indigeno, saggio e poco propenso a privarsene: dopo molte
trattative, prove da superare e, se necessario, colpi bassi, Paperone riesce comunque ad
impadronirsene, ma alla fine scopre di non poterlo sfruttare come sperava (ci sono
sempre delle controindicazioni inaspettate) e deve tornarsene a casa a mani vuote.
Per quanto, a prima vista, le storie di Cimino sembrino un’infinita ripetizione della
stessa trama, quello che le rende affascinanti è invece l’infinita serie di varianti che
l’autore riesce ad introdurvi, rendendole tutte ben distinguibili l’una dall’altra, e
ostentando spesso una fantasia mai uguagliata da nessun altro sceneggiatore disneyano:
che dire di trovate come “L’elmo del comando” (1973, disegni di Scarpa), che
schiaffeggia il suo possessore se costui non legifera facendo il bene del popolo? O delle
“Patate autosbuccianti” (1969, ancora disegni di Scarpa), che si sbucciano da sole
quando vedono avvicinarsi una lama? Ognuna delle sue storie è un piccolo gioiello, ed
è un peccato che l’importanza di Rodolfo Cimino (al quale non è riservato neanche un
paragrafo nel già citato libro sui disney italiani) sia stata riconosciuta solo in epoca
recente (e non da tutti).
                                                                   Eppure non sono queste le
                                                                   sue storie migliori: lo sono,
                                                                   senza alcun dubbio, quelle
                                                                   che narrano l’impossibile
                                                                   storia d’amore tra Paperino
                                                                   e una graziosa papera
                                                                   aliena chiamata Reginella
                                                                   (soprattutto le prime due,
                                                                   del 1972 e 1974, illustrate
                                                                   da Cavazzano) e la celebre
                                                                   serie di “racconti intorno al
                                                                   fuoco”, anch’essi disegnati
                                                                   spesso da Cavazzano e
                                                                   scritti tra il 1990 e il 1995
                                                                   durante la sua “seconda
                                                                   vita” disneyana: Cimino
                                                                   tenta infatti, nel 1976, la
                                                                   carriera politica nel PSI
                                                                   dell’allora neosegretario
 Il mitico “elmo del comando”: sarebbe bello se esistesse davvero! Bettino Craxi, finendo però
coinvolto nel “solito” scandalo una decina di anni dopo. Avendo avuto almeno la
dignità di abbandonare la politica, diversamente da molti altri suoi colleghi, Cimino
viene riaccolto “trionfalmente” dalla Mondadori e ricomincia la sua attività di
sceneggiatore; ma, forse amareggiato da quanto gli è accaduto, non riesce più a
ritrovare, nelle storie centrate sulle cacce al tesoro, il ritmo e la fantasia di un tempo –
pur con qualche notevole eccezione (come “I tapirlonghi fiutatori”, 1988). I già citati
“racconti intorno al fuoco”, invece, riflettono probabilmente il suo lato malinconico e
disilluso dopo l’esperienza politica, tanto è vero che non hanno sempre un lieto fine
(certamente non uno classico), e infatti devono basarsi su personaggi non disneyani, le
cui avventure sono narrate da Nonna Papera agli altri componenti della famiglia.
Insomma, Cimino non è lo sceneggiatore più bravo, neanche tra gli autori italiani, ma
è tuttavia tra quei pochissimi che hanno forgiato il cosiddetto “canone”, rifacendosi a
quello di Guido Martina pur smussandone gli aspetti più discutibili.
Anzi, si può quasi dire
                                                                         che il “canone”, oggi,
                                                                         almeno per quanto
                                                                         riguarda i Paperi (dei
                                                                         Topi Cimino ha scritto
                                                                         pochissime storie), è
                                                                         quello da lui creato
                                                                         nelle centinaia di storie
                                                                         tutte uguali solo in
                                                                         apparenza, forgiando a
 Nonna Papera racconta “Martin il marinaio e le perle nere del Pacifico” poco a poco il carattere
                                                                         dei personaggi, i loro
ideali, i loro pregi, i loro difetti, persino i loro amori, il tutto accompagnato da un
caratteristico linguaggio colto, a volte astruso – senza mai diventare pedante – ed oggi
purtroppo improponibile. Non poco!

12° e 13° posto: Carlo Chendi (1933-) e Luciano Bottaro (1931-2006)

Trasferitosi negli anni ’40 a Rapallo, il ferrarese Carlo Chendi vi conosce Luciano
Bottaro, disegnatore dal talento eccezionale, col quale forma un sodalizio artistico
destinato a durare più di 30 anni e che porterà alla creazione di molte tra le più
importanti storie disneyane realizzate in Italia. Si parla in particolare delle cosiddette
“Grandi Parodie”, inizialmente parodie a fumetti (quasi sempre con protagonisti i
Paperi) dei più famosi classici della letteratura, in seguito parodie di celebri film e oggi
di serial televisivi e trasmissioni di successo. L’ideatore di queste parodie, nate nel
1949 con “L’Inferno di Topolino”, è indubbiamente Guido Martina, inizialmente il
solo a scriverle; ma ben presto viene affiancato da Chendi e da Bottaro, quasi sempre
in coppia (motivo per il quale vengono citati insieme), e con risultati ben superiori. I
due autori, che fanno parte del nucleo storico degli autori italiani, cioè quelli che hanno
                                                              iniziato la carriera disneyana
                                                              negli anni ’50, sono infatti dotati
                                                              di un umorismo raffinato e
                                                              talvolta surreale, che manca un
                                                              po’ nelle storie di Martina,
                                                              autore che tende a prendersi un
                                                              po’ troppo sul serio e a trasporre
                                                              i classici nel fumetto invece di
                                                              parodiarli, non riuscendo così a
                                                              sfruttare pienamente la propria
Umorismo surreale, quasi jacovittiano, ne “Il dottor Paperus” straordinaria creatività.
Ma quegli stessi classici sui quali
                                                         Martina ha studiato, sono stati
                                                         invece fonte di divertimento per
                                                         il più giovane Carlo Chendi,
                                                         cresciuto durante la guerra e
                                                         ovviamente privo di ogni altro
                                                         svago. Chendi riesce quindi a
                                                         prenderli meno seriamente e a
                                                         farne delle vere parodie: nascono
                                                         così “Il dottor Paperus” (1958),
                                                         “Paperino e l’isola del tesoro”
                                                         (1959), “Paperino il Paladino”
                                                         (1960), “Paperin babà” (1961), e
                                                         ancora “Paperin furioso” (1966),
                                                         scritta dallo stesso Bottaro, che a
                                                         sua volta disegna molte parodie
                                                         ideate da Martina, tra le quali
                                                         “Paperiade” (1959) e “El Kid
                                                         Pampeador” (1959), riuscendo
                                                         ad aggiungervi un pizzico di
                                                         umorismo “chendiano”.
                                                           Naturalmente la carriera di
                                                           Chendi e di Bottaro non si limita
                                                           ad alcune parodie: insieme i due
                                                           autori realizzano molti altri
Lo “splash panel” della “Paperiade”: gli endecasillabi di capolavori, come “Paperino e il
Martina si accompagnano agli splendidi disegni di Bottaro.
                                                           razzo interplanetario” (1960, un
po’ seguito, un po’ parodia della celebre saga a fumetti – non disneyana – degli anni
’30 “Saturno contro la
Terra”), o “Pippo e la
fattucchiera” (1960, col
recupero del personaggio
della strega Nocciola); con
i disegni di Carpi Chendi
realizza parodie più mirate
come “Paperino missione
Bob Fingher” (1966, tra le
prime cinematografiche),
ma ha modo di mostrare il Paperino in “missione Bob Fingher”, parodia di “Goldfinger”, alle
suo talento anche in storie prese con una scarpa – non più un cappello – dal bordo tagliente!
dalla trama più abituale come “Paperino e il premio di bontà” (1962, disegni di Scarpa),
mentre Bottaro, oltre a disegnare anche per altri autori, scrive qualche storia da solo e
lavora spesso per altre riviste (Corriere dei Ragazzi, Giornalino) creando molti altri
personaggi (fra quelli di maggior successo, i Postorici) e diradando ben presto la sua
pur ottima produzione disneyana sino ad abbandonarla del tutto negli anni ’80.
                                                           Valutandole a posteriori, non c’è
                                                           dubbio sul fatto che se le Grandi
                                                           Parodie sono diventate così famose,
                                                           il merito è proprio della coppia
                                                           Chendi-Bottaro. Meritano tutta
                                                           questa fama, le Grandi Parodie?
                                                           Sono stati scritti molti saggi su
                                                           queste storie particolari (l’ultimo è
                                                           del 2014), e non è raro che ne
                                                           parlino persino i quotidiani,
                                                           specialmente se la parodia si
                                                           riferisce a qualcosa che va di moda
                                                           al momento. Certo, Chendi e
                                                           Bottaro sarebbero stati tra i
                                                           grandissimi in ogni caso, ma la loro
L’ironia di Chendi e Bottaro in “Pippo e la fattucchiera”. fama è legata a doppio filo a questo
genere di storie. Finché saranno considerate dei capolavori (come è ancora oggi) la loro
fama non si estinguerà.

11° posto: Bill Walsh (1913-1975)

Topolino è tra i personaggi (non solo disneyani) che più hanno risentito dello scoppio
della seconda guerra mondiale: l’arrivo dei nazisti, capaci di pianificare e realizzare
genocidi, l’uso massiccio dei bombardamenti a tappeto, le continue stragi di militari e
civili e infine l’uso delle armi atomiche, tutto questo rende ben presto obsolete, persino
ridicole, le avventure del Topo in un mondo dove i cattivi sono pochi, ed
essenzialmente limitati a personaggi come Gambadilegno e Macchia Nera (anche se
ancora non annacquati come le loro versioni odierne), e i “buoni” vincono con relativa
facilità e senza spargimenti di sangue.
I problemi del Topo, già evidenti nelle ultime storie (tra il 1940 e il 1942) del grande
Merrill De Maris, si accentuano quando quest’ultimo, per motivi di salute, cede il
compito di scrivere nuove storie al neo assunto Bill Walsh, nato a New York ma
trasferitosi in California per fare l’addetto stampa dei divi di Hollywood. La capacità
di Walsh di improvvisare battute gli procura il posto di sceneggiatore delle strisce di
Topolino all’inizio del 1943, e già l’anno successivo sono evidenti i cambiamenti
apportati alle sue avventure. Walsh, infatti, comprende che non è più possibile
immergere il Topo in ambientazioni tipiche degli anni ’30, come giungle esotiche o
regni da operetta, né sono più credibili i “cattivi gentili”, come Giuseppe Tubi o lo
stesso Gambadilegno. Elementi da thriller, poi da gotico/horror (“La casa misteriosa”),

“Le meraviglie del domani”: il momento in cui Topolino abbandona per sempre i calzoncini corti.
quindi fantascientifici (“Le meraviglie del domani” e l’intero ciclo con Eta Beta),
entrano progressivamente nelle avventure di Topolino, alle quali Walsh aggiunge
anche un umorismo sottile e vagamente surreale (evidente ogni volta che viene
coinvolto Eta Beta, ma presente anche in seguito – per esempio in “Pippo a Hollywood”
o nella storia successiva, “Lo spettro fallito” (entrambe del 1951).
                                                                         Riesce, il tentativo di
                                                                         svecchiare il Topo? Di
                                                                         solito si preferisce non
                                                                         sbilanciarsi con una
                                                                         risposta precisa a una
                                                                         domanda così difficile,
                                                                         evidenziando invece
                                                                         come Bill Walsh sia
                                                                         colui che ha inventato
                                                                         lo straordinario Eta
                                                                         Beta, personaggio dal
La spia poeta, che parla sempre in rima (ben tradotto da Guido Martina). valore indiscusso, e sul
quale tutti concordano: le avventure in cui compare rappresentano il punto più alto
delle storie scritte da Walsh. Sono anzi in molti a rimpiangere la scomparsa di questo
personaggio folle ma simpatico e dotato di strani poteri, nel luglio del 1950 –
fortunatamente ci penserà Guido Martina a recuperarlo cinque anni dopo – dopo una
serie di avventure tra le quali si fatica a scegliere la migliore (forse “Eta Beta e la spia
poeta”, del 1948, eccezionale per suspence, colpi di scena, umorismo nero e soprattutto
per la presenza di un cattivo (la “spia poeta”, appunto) enormemente carismatico che
– caso rarissimo nei fumetti disneyani – fa davvero una brutta fine).
                                                              Ma se davvero si volesse
                                                              rispondere alla domanda
                                                              iniziale difficilmente la
                                                              risposta sarebbe positiva.
                                                              Walsh, pur avendo capito
                                                              che il segreto per far
                                                              ritrovare il successo a
                                                              Topolino consisteva nel
                                                              cambiare le situazioni che
                                                              si trovava ad affrontare,
                                                              commette l’errore di
                                                              modificarne il carattere,
Il primo (1947) e l’ultimo (1950) Eta Beta.
                                                              trasformandolo da eroe
                                                              ottimista e propositivo in
spettatore passivo e spesso bisognoso di aiuto, che gli viene dato da quelli che
dovrebbero essere i suoi comprimari e che invece gli rubano la scena (Pippo e
soprattutto Eta Beta). Quando si vede Topolino in grave pericolo che – spesso e
volentieri – chiama disperatamente in suo aiuto Eta Beta non si può non rimpiangere il
vecchio personaggio, che sarebbe riuscito, sempre e comunque, a trovare una via
d’uscita da ogni situazione, per quanto disperata. Ed è Walsh che sostituisce i famosi
pantaloncini corti con normali vestiti (ne “Le meraviglie del domani”, 1944)
imborghesendo il Topo anche nell’aspetto esteriore. Insomma Walsh, pur essendo
riuscito a rilanciare il personaggio in una fase di declino, è anche colui che ne causa
una crisi irreversibile (soprattutto dopo averlo fatto diventare la spalla di Eta Beta) e
alla quale nessun autore venuto dopo di lui riuscirà più a rimediare completamente:
Scarpa, Casty, anche De Vita e Martina, dovranno accettare un Topolino imborghesito,
un personaggio che, anche se tornato stabilmente al centro delle sue avventure, è ormai
troppo lontano da quello che, negli anni ’30, era probabilmente il miglior personaggio
di tutto l’universo fumettistico (e non solo disneyano).
Sarebbe cambiato qualcosa se le avventure di Topolino fossero continuate dopo il 1955
quando, con una delle decisioni più stupide e odiose del mondo fumettistico, fu deciso
di far diventare “autoconclusive” le sue strisce? Non lo sapremo mai. Bill Walsh,
comunque, riuscì brillantemente a riciclarsi, rispolverando i suoi trascorsi nel mondo
del cinema e diventando tra i maggiori produttori dei lungometraggi disneyani non
animati (tra i quali “Mary Poppins”) e di molti serial televisivi.

10° posto: Guido Martina (1906-1991)

Se poca è l’importanza avuta da Guido Martina nel mondo dei Topi, esclusa la prima
Grande Parodia, “L’inferno di Topolino” e la celebre “Il ritorno di Macchia Nera”
(1955, disegni di Scarpa), col recupero di ben due personaggi ormai dimenticati come
Eta Beta e Macchia Nera, enorme è quella che ha avuto nel mondo dei Paperi, del quale
ha riscritto il “canone” dopo Carl Barks e prima di Rodolfo Cimino, tra i pochissimi
autori ad averlo fatto. In altre parole, se noi oggi leggiamo un certo tipo di storie con
Paperino, Zio Paperone eccetera, parte del merito è anche sua, ancora oggi a 30 anni
dalla morte.
Tanto per essere chiari, il “canone”, sempre ideato da un autore “maggiore”, stabilisce
quali siano le principali caratteristiche di un personaggio, inducendo così gli autori
“minori” ad adeguarvisi, ed evitando in questo modo che nascano contraddizioni. Può
essere interessante mettere a confronto i canoni, sia quello di Paperino che quello di
Zio Paperone, per capire come si siano evoluti nei quattro autori più importanti:
 PAPERINO                 Taliaferro     Barks (Scarpa)      Martina      Cimino
 Irascibilità             Alta           Bassa               Media        Medio-bassa
 Rapporto con i parenti   Mediocre       Buono               Pessimo      Discreto
 Spirito avventuroso      Basso          Discreto            Basso        Accettabile
 Intelligenza             Medio-bassa    Media               Media        Media
 Coraggio                 Basso          Medio               Basso        Medio
 Ottimismo                Discreto       Buono               Basso        Passabile
 ZIO PAPERONE             Barks (Scarpa)    Martina       Cimino          Rosa
 Avarizia                 Media             Alta          Alta            Medio-bassa
 Rapporto con i parenti   Buono             Pessimo       Discreto        Buono
 Spirito avventuroso      Alto              Medio-alto    Alto            Medio-alto
 Intelligenza             Media             Media         Media           Alta
 Altruismo                Alto              Basso         Medio-basso     Medio-alto
 Ottimismo                Alto              Medio-alto    Medio           Medio-basso
Come si può vedere, Guido Martina modifica drasticamente il “canone” barksiano,
specialmente per quanto riguarda Paperino, che diventa quasi un personaggio negativo;
analoga trasformazione subisce Paperone, anche se già con Barks mostrava talvolta
aspetti discutibili. Martina ne accentua però, in maniera esasperata, l’avarizia e
l’egoismo, finendo per renderlo spesso una figura odiosa, senza che per questo
atteggiamenti analoghi da parte del nipote, e talvolta persino dei tre nipotini, vengano
giustificati. Martina, piemontese, primo e più anziano tra gli autori italiani, è infatti
cresciuto in epoca fascista e ha vissuto pienamente la dittatura e poi la guerra. Questo,
se da un lato ne ha fatto un uomo “d’altri tempi”, colto, brillante, in grado di scrivere
qualunque cosa su qualunque argomento, anche in versi, dall’altro lo ha reso un autore
cinico e disilluso, che vede nel mondo solo individui in feroce competizione tra di loro.
                                                            Se Rockerduck è un vero criminale,
                                                            se Paperone pensa solo a truffare il
                                                            prossimo, se Qui, Quo e Qua sono
                                                            saccenti, Gastone insopportabile e
                                                            Paperino collerico e divorato dal
                                                            rancore, questo è Martina.
                                                              Ben diverso il punto di vista di un
                                                              Cimino, autore nato 22 anni dopo,
                                                              e che vede nel mondo la continua
                                                              ricerca di un equilibrio tra gli
                                                              egoismi individuali e i bisogni
                                                              collettivi. Questo non significa,
                                                              tuttavia, che il “canone” ciminiano
                                                              sia migliore di quello martiniano: i
Topolino, Eta Beta e Flip ne “Il ritorno di Macchia Nera”.
                                                              due autori si limitano a trasporre
nei Paperi le loro diverse visioni
del mondo, ed entrambe sono
pienamente valide, almeno se
espresse in modo convincente.
E quella di Martina lo è a tal
punto che Cimino, come ben si
vede dalle tabelle precedenti,
non è riuscito – o non ha voluto
– tornare al “canone” barksiano,
limitandosi a un compromesso
tra due punti di vista fra loro
quasi inconciliabili: quello
solare di Carl Barks, spinto
dall’ottimismo e dal “way of
life” americano, e quello di
Guido Martina, pessimista e
sarcastico all’estremo, a volte
palesemente “italiano”.                 I rapporti tra Paperino e zio Paperone ai minimi storici, anche
                                        grazie a un linguaggio molto ricercato ma suggestivo.
Martina, detto il “professore” perché, dopo aver conseguito la laurea in Lettere, lo era
diventato per davvero, è stato un autore poliedrico, instancabile, autore di centinaia di
sceneggiature, inventore delle “Grandi Parodie”, attivo sui Paperi come sui Topi (ma,
come già si era accennato, senza riuscire a scrivere su di loro storie altrettanto buone),
ideatore di Paperinik, creatore anche di personaggi non disneyani (Pecos Bill, versione
a fumetti, su tutti), ancora in attività pochi giorni prima di morire. Senza la sua
sterminata mole di sceneggiature forse “Topolino” non uscirebbe, ancora oggi, nelle
edicole. Ognuna di queste sceneggiature brilla per una struttura rigorosa e sempre
pregevole, priva di cedimenti e di punti morti, per i frequenti colpi di scena e per la
caratterizzazione dei personaggi e dell’ambientazione (che sia o no una parodia), al
punto che trovare un autore in grado di imitarne lo stile non è facile. Anche se
l’interpretazione che lui ha dato dei Paperi, così negativa e così particolare, può non
piacere, non si può negare che ancora oggi sia quella più conosciuta e più seguita, e
questo a dispetto della censura sempre crescente che a partire dagli anni ’80 ha finito
per stroncare la creatività di questo autore (peraltro ormai anziano), accusato di inserire
troppa violenza, troppo cinismo, persino troppa crudeltà nelle sue storie. Accuse
fondate: ma che meraviglia, ancora oggi, nel rendersi conto di quanto la cultura “alta”
di un professore di Lettere possa andare d’accordo con quella, in apparenza “bassa”, di
una storia a fumetti destinata ai più giovani!

9° posto: Ted Osborne (1900-1968)

I primi anni delle strisce di Topolino, sino al 1932, sono abbastanza caotici: il disegno
di Floyd Gottfredson non è ancora maturo, le sue sceneggiature, che spesso si rifanno
a qualche “cartoon” del Topo, alternano storie buone (per esempio, quella col Bel
Gagà, 1930) ad altre meno buone o addirittura che si limitano ad una serie di gag in
rapida successione (per esempio “Topolino nell’alta società”, 1931). I rari interventi
dello stesso Walt Disney (i primi tempi) o dell’animatore Webb Smith (gli ultimi
tempi) sono poco incisivi. La situazione cambia con l’arrivo di Ted Osborne, anche lui
emigrato (come Walsh) dall’Oklahoma in California per lavorare in qualche stazione
radiofonica: assunto da Walt Disney per scrivere i testi di una trasmissione dedicata al
Topo, diventa, nel 1933, lo sceneggiatore delle strisce disegnate da Gottfredson. Il salto
di qualità è enorme, immediato, e Topolino diventa una leggenda anche nel mondo del
fumetto, grazie all’abilità di Osborne che lo trasforma da “piccoletto alle prese col
mondo”, come era stato nei cartoon, a Grande Eroe in grado di affrontare e risolvere
ogni problema e di cavarsela nelle situazioni più difficili. L’America, infatti, in piena
Depressione, ha un disperato bisogno di eroi, e sono quelli gli anni in cui, nel mondo a
fumetti, spuntano come funghi: nel 1929 nasce Buck Rogers, nel 1931 Dick Tracy, nel
1933 Brick Bradford, nel 1934 l’agente segreto X9, Terry, Mandrake, Flash Gordon,
nel 1936 L’Ombra. Il Topo avventuroso nasce, tra il 1933 e il 1934, con storie come
“Topolino eroe dell’aria” (1933) o “Il bandito Pipistrello” (1934); il talento di Osborne,
già notevole in partenza, si affina sempre più col passare degli anni, andando di pari
passo con l’evoluzione del disegno di Gottfredson, e le avventure del Topo finiscono
per spaziare in ogni campo: gangsterismo (“Topolino giornalista”, 1935), giungle
esotiche (“Topolino e i pirati”, 1937), pirati (“Il misterioso S, flagello dei mari”, 1935),
fantascienza (“Il mistero dell’uomo nuvola”, 1936), regni da operetta (“Topolino sosia
di Re Sorcio”, 1937), fantasmi (“Nella casa dei fantasmi”, 1936). A partire dal 1935

La famosa scena in cui Topolino e Minni, tornando a casa dopo l’avventura con Re Sorcio, sostano
in albergo: i poco attenti Piero Zanotto e Franco Fossati, nel saggio del 1980 “Topolino”, si
convinsero che questa fosse la stanza della coppia con tanto di “lettone”, e non della sola Minni!
i capolavori si succedono uno dietro l’altro, senza interruzioni o cedimenti, in una serie
senza eguali nel mondo del fumetto: i migliori sono probabilmente “Topolino sosia di
re Sorcio”, ultima storia scritta da Osborne, e “Il mistero dell’uomo nuvola”, famosa,
oltre che per aver introdotto il personaggio del professor Enigm, per aver previsto, con
molti anni di anticipo, i pericoli delle armi atomiche.
                                                       Poi la serie termina: all’inizio del
                                                       1938 Osborne, diventato troppo
                                                       bravo, viene chiamato a occuparsi
                                                       della sceneggiatura di Bambi, lascia
                                                       Topolino in mano ad altri e, una volta
                                                       terminato il lavoro per l’animazione,
                                                       non ritrova più il suo posto, ormai
                                                       stabilmente occupato dal suo
                                                       successore Merrill De Maris. Lascia
                                                       così la Walt Disney per dedicarsi alla
                                                       fotografia mentre il Topo continua
                                                       senza di lui, e così anche Paperino…
Topolino, Pippo e il dottor Enigm.                     ma questa è un’altra storia.
8° posto: Merrill De Maris (1898-1948)

Uno dei motivi per cui la Walt Disney ha raggiunto un successo planetario sta anche
nell’abilità dello stesso Walt nello scegliersi i collaboratori (peraltro sempre
sottopagati). Solo così si spiega come mai Topolino, dopo l’abbandono di Ted Osborne
e l’arrivo del nuovo sceneggiatore, sia riuscito a prolungare almeno sino allo scoppio
della guerra la sua incredibile serie di capolavori.
Merrill De Maris, ennesimo immigrato in California in cerca di fortuna, era uno
scrittore che aveva già lavorato saltuariamente, nel 1933, alle strisce del Topo, anche
se alla fine gli venne preferito Osborne. Particolarmente bravo a scrivere i testi delle
strisce quotidiane (vi traspone anche molte Silly Symphonies, e i lungometraggi

Due componenti della banda dei piombatori (vale a dire idraulici) alle prese con l’ignaro Topolino.
Biancaneve, Pinocchio e Bambi), De Maris cambia nuovamente le caratteristiche del
Topo, forse intuendo che il tempo delle Grandi Avventure volge al termine, e che dopo
la migliore di tutte, quella con Re Sorcio, non si potrà più migliorare. È così che
Topolino, pur restando lo stesso di prima, diventa un detective coinvolto nei misteri
più strani e spesso inquietanti. Arriva così un’altra serie di capolavori, con la creazione
di “cattivi” come Giuseppe Tubi (“La banda dei piombatori”, 1938), lo Splendente (“Il
mistero delle collane”, 1942) e soprattutto Macchia Nera (“Il mistero di Macchia

La famosa, terrificante prima apparizione di Macchia Nera.
Nera”, 1939), di gran lunga l’avversario più temibile mai incontrato dal Topo, al punto
che la storia in cui compare è considerata il punto più alto mai raggiunto dalle strisce
quotidiane disegnate da Floyd Gottfredson: questo significa, per buona parte degli
“esperti” e degli stessi lettori, che questa avventura con Macchia Nera potrebbe essere
la migliore storia a fumetti di tutti i tempi.

Il confronto decisivo fra Pippo e lo Splendente, ne “Il mistero delle collane”.
Sarà davvero così? Impossibile rispondere. Ma la storia con Macchia Nera è
indubbiamente la migliore storia in assoluto con protagonista il Topo, talmente in grado
di terrorizzare i lettori anche a distanza di molti anni dalla sua prima pubblicazione, da
venire continuamente censurata nelle ristampe successive; il personaggio di Macchia
Nera, con la sua crudeltà raffinata e la sua spietatezza fece una tale impressione da
                           venire abbandonato per sempre, ed è solo grazie all’intuizione
                           di Guido Martina che poté essere ripreso a distanza di 16 anni
                           (per finire purtroppo annacquato una storia dopo l’altra, non
                           essendo certo un “cattivo” facile da utilizzare nella sua
                           versione originale). Oppure si può dar credito alla versione
                           “buonista”, che sdrammatizza la questione e sostiene che
                           l’abbandono del personaggio fu dovuto alla sua somiglianza
                           (voluta) con lo stesso Walt Disney.
                            Nel già citato saggio del 1980 Franco Fossati critica
Da un fandom disneyano: aspramente la trasformazione di Topolino da “avventuriero” a
un accostamento tra Walt
Disney e Macchia Nera. “detective”. Ma nel 1980 non era semplice distinguere fra di
                        loro i molti sceneggiatori e disegnatori, tanto più che Fossati,
pur lavorando già alla Mondadori, non era ancora entrato a far parte della redazione
dei periodici Disney: il risultato fu quello di fare di tutte le erbe il classico fascio,
avendo sott’occhio solo la massa di storie prodotte nel dopoguerra da tutti gli autori
disneyani, italiani e americani, che invariabilmente proponevano sempre e solo un
Topolino detective, assistito da un Pippo sempre più stupido e dai soliti Basettoni e
Manetta, un Topolino in perenne lotta con Gambadilegno e lo stesso Macchia Nera, e
questo in decine, centinaia di storie tutte uguali e spesso monotone e prevedibili. Il
punto è che i tempi di Bill Walsh erano ormai lontani (le sue storie terminano nel 1955)
e così pure quelli di Romano Scarpa (che dopo il 1964 scrive poche storie col Topo), e
leggere una storia in cui Topolino non facesse il detective, al limite anche una vecchia
storia, era allora più difficile che vincere al Totocalcio, e l’idea sbagliata che si era fatto
Fossati poteva essere giustificata.
Nel corso della sua purtroppo breve carriera di sceneggiatore, Merrill De Maris ha
anche creato (ne “La banda dei piombatori”) i personaggi del commissario Basettoni e
dell’ispettore Manetta (in realtà è un “detective”, carica che da noi non esiste), come
pure del “cattivo gentile” Giuseppe Tubi; in seguito crea anche Bubbo (rivale in amore
di Topolino, nella storia “Topolino e l’illusionista”, 1941) e il professor Ossivecchi
(nella magnifica storia, stavolta nuovamente di stampo avventuroso, “Topolino all’età
della pietra”, 1940). Sinché alla fine del 1942, per motivi di salute, De Maris lascia la
Walt Disney: morirà pochi anni dopo, dimenticato da tutti, il più grande e allo stesso
tempo il meno conosciuto tra gli sceneggiatori delle strisce quotidiane di Topolino.
E stavolta, per il Topo, il declino inizierà davvero.

7° posto: Casty (1967-)

Dopo una decina di anni passati a sceneggiare Lupo Alberto, e poi (dal 2003) anche
Topolino, Andrea Castellani detto Casty, friulano, scopre nel 2005 di saper disegnare,
                                            e di saperlo fare come il suo idolo Romano
                                            Scarpa: è come se il maestro veneziano,
                                            morto pochi mesi prima, nel mese di
                                            aprile, si fosse reincarnato nel suo collega,
                                            dal momento che ogni storia scritta e
                                            disegnata da Casty sembra, in tutto e per
                                            tutto, una storia scarpiana di medio livello.
                                          Come un simile miracolo sia stato
                                          possibile rimarrà probabilmente un
                                          mistero; sta di fatto che ad oggi Casty è
                                          ormai la “punta di diamante” degli autori
                                          disneyani, ultimo e unico superstite di una
                                          serie iniziata nel lontano 1930 con Walt
“Topolino e l’impero sottozero”: Topolino
                                          Disney e Ub Iwerks, e che ha prodotto
insegna ad Atomino Bip-Bip a… pattinare!  un’infinità di capolavori, buona parte dei
“Tutto questo accadrà ieri”: un cast di tutto rispetto e un Gambadilegno minaccioso come un tempo.
quali realizzata da autori italiani. Unico ad avere il talento per sfuggire al nuovo corso
disneyano, alle censure sempre in agguato e al politically correct ormai imperante,
Casty (che a differenza di Scarpa si dedica solo ai Topi) costruisce ognuna delle sue
storie con la stessa struttura usata dal maestro veneziano, le stesse pause, gli stessi colpi
di scena, lo stesso tipo di dialoghi (magari rimodernati), usando spesso gli stessi
comprimari (Atomino Bip-Bip su tutti) pur non disdegnando di servirsi anche di quelli
altrui (Zapotec, per esempio) e talvolta creandone di suoi. Non si possono non ricordare
storie come “Topolino e l’impero sottozero” (2015), “Tutto questo accadrà ieri” (2015)
e soprattutto “Topolino e il mondo che verrà” (2008), che segna il memorabile ritorno
della Spia Poeta a 60 anni dalla sua prima apparizione.
                                                                        Anche se una quindicina
                                                                        di anni di attività, con un
                                                                        centinaio di store al suo
                                                                        attivo, non sono ancora
                                                                        sufficienti né per poter
                                                                        esprimere un giudizio
                                                                        definitivo su questo
                                                                        autore, né per valutarne
                                                                        l’importanza nel mondo
Eta Beta e Topolino incontrano nuovamente la Spia Poeta: anche fumettistico, è probabile
Casty sa scrivere in versi, sia pure non ai livelli di Walsh e Martina.
                                                                        che il solo fatto di essere
riuscito ad affermarsi e aver trovato un suo stile, oggi, nel momento di massima crisi
delle pubblicazioni disneyane, basterà ampiamente per fare di lui un maestro per le
generazioni future. Persino nei lontani anni ’50 o ’60, quando la Mondadori e Mario
Gentilini davano massima libertà creativa a tutti, e i “maestri” abbondavano, Casty
avrebbe occupato un posto al sole, forse secondo al solo Scarpa. Purtroppo proprio il
fatto di imitare troppo l’autore veneziano costituisce il suo limite più grande: nessuna
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