Hasta Diego siempre, 1960 -2020 - New Media Press

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Hasta Diego siempre, 1960 -2020 - New Media Press
Hasta Diego                   siempre,              1960
-2020.
25 Novembre, nello stesso giorno che aveva visto la morte del
suo amico Fidel Castro, Diego Armando Maradona lascia il suo
pubblico, la sua Napoli, l’Argentina. Il suo cuore stanco,
provato da farmaci ed eccessi si ferma. Diego lascia trofei,
lascia una vita vissuta intensamente, percorsa sempre sulla
corsia di sorpasso. Genio e sregolatezza, poesia e follia,
eccessi, amici fedeli e amici meno raccomandabili, una marea
di amori. Diego lascia una città, che si raccoglie incredula
in cori e preghiere, in dediche, candele e sciarpe lasciate
lungo il perimetro dello Stadio San Paolo di Napoli, e nei
vicoli accanto al murales del quartiere Montecalvario.

Il Re è morto. Nulla nel mondo del calcio, della tifoseria
calcistica, nulla nei discorsi dei suoi fan, nulla nello sport
sarà più uguale.

“Napoli città anarchica ha avuto Maradona in dono dall’America
del sud, a contropartita dei milioni di emigranti salpati dal
molo Beverello per Rio De La Plata. Napoli ha avuto i carati
preziosi dei suoi piedi a titolo di restituzione. Maradona le
assomigliava. Come lui, la città poi si è lasciata andare,
sazia del trionfo, che dev’essere breve, se no opprime. È il
trionfo breve a restare perfetto nella memoria; non le dozzine
di scudetti, ma il paio.” questo scriveva di lui Erri De Luca
Città anarchica, che gli assomiglia: Diego è entrato dalla
porta principale nelle pieghe sottili, nelle case, nei cuori.
Diego che nasceva dal popolo, a Napoli aveva trovato il suo
secondo popolo. Il suo vero campo di calcio erano i vicoli e
le case della gente. Città che lo ha accolto come una madre
accoglie un figlio, senza mai giudizi, poggiando un velo sui
difetti, tanti, e adorandone le virtù, infinite, mostrate con
sfrontatezza, vanto e semplicità sul campo di pallone e nella
vita di tutti i giorni.
Vittorio Sgarbi intervistato nel giorno della morte, lo
paragona a Caravaggio, pittore maledetto, geniale e irruento,
anche lui accolto senza filtri dalla città. Che diviene
napoletano nell’immaginario collettivo pur non essendo nato a
Napoli.
Vola via la vita, resta immutato il mito. Per le strade di
Napoli restano i murales, osannati, le parole, i cori; alle
finestre si appendono bandiere azzurre, l’azzurro del Napoli
come quello dell’Argentina. Un solo popolo ora. Si parla di
lui come fosse ancora vivo, come fosse uno di famiglia, un
parente che se n’è andato, un amico. Di Diego si parla al
presente come se, anche negli anni più duri, fosse sempre al
suo posto, ed ancora è là. Si discute di lutto cittadino,
forse lo stadio San Paolo di Napoli verrà intitolato a Diego
Armando Maradona e intanto, l’Argentina si chiude in un
ricordo di tre giorni, passano le immagini dei funerali
privati, e delle lunghe file in pellegrinaggio per le strade
di Buenos Aires.
Per l’ultimo addio a Diego (di) D10’s. Un Dio pagano. Un Re
tra i Re.
IL LIBRO
Gli scatti del fotoreporter Sergio Siano, negli anni Ottanta
fotografo a bordo campo allo stadio San Paolo, ci consegnano
una narrazione quasi filmica del calcio negli anni di
Maradona.

IntraMoenia edizioni – Napoli
Addio DIEGO, dio del Calcio
Muore all’età di 60 anni il grande Diego Armando Maradona, el
pibe de oro, per molti il più grande calciatore di tutti i
tempi, il mito, una leggenda.

A dare la notizia, il quotidiano argentino il Clarin e la
CNN. Riuscito il recente intervento alla testa. Oggi, mentre
era nell’ abitazione di Buenos Aires, Diego è stato però colto
da un arresto cardiaco che lo ha stroncato. Con lui il Napoli
vinse due scudetti; l’Argentina i Mondiali del 1986.

Se ne va in questo dannato 2020, Diego Armando Maradona: il
Pibe   de   Oro    è  stato   stroncato    da   un   arresto
cardiorespiratorio. Aveva appena compiuto 60 anni. La notizia
ha lasciato senza fiato il mondo del calcio, la sua Argentina
e l’Italia intera,

soprattutto Napoli della quale era stato sovrano in campo dal
1984 al 1991.

Si era sentito male nel giorno del suo sessantesimo
compleanno, venerdì 30 ottobre, ed era stato ricoverato in una
clinica a La Plata, poi trasferito alla Olivos di Buenos
Aires. La notizia aveva lasciato sgomenti i tifosi argentini,
tanto che l’ambulanza era stata scortata da un corteo di mezzi
delle forze dell’ordine, mentre i tifosi, con fumogeni
azzurri, continuavano a giungere all’ingresso, dove sono
rimasti per giorni, in supporto del mito del calcio.

Martedì 3 novembre aveva subito un intervento al cervello per
rimuovere un ematoma subdurale (coagulo di sangue), causato da
un colpo di testa contro il pavimento. Non uno dei suoi
eccezionali contro un pallone.

Operazione tecnicamente riuscita. Era stato infatti dimesso
dall’ospedale di Buenos Aires pochi giorni fa, visto che stava
meglio, e trasferito per la seconda fase del recupero, in
un’abitazione privata nel Nordelta, centro residenziale alle
porte di Buenos Aires, come concordato tra lo staff medico e
la famiglia di Maradona: le figlie e le sorelle insieme all’ex
fidanzata Veronica Ojeda.

Le improvvise complicazioni lo hanno portato alla morte:
fatale è stato un arresto cardiaco sopraggiunto nella giornata
di oggi, 25 novembre, alle ore 12 circa locali – le ore 16 in
Italia – mentre si trovava nella sua abitazione a Tigre,
seguito 24 ore su 24 da un’equipe medica di altissimo livello.
I sanitari che erano con lui hanno cercato di rianimarlo, e
nel frattempo erano in arrivo le ambulanze, su segnalazione
immediata. Ma, quando sono giunte era purtroppo già troppo
tardi: Diego si era già spento.

I suoi sessant’anni erano stati celebrati da tutto il mondo
del calcio, con onori, un’infinità di telefonate e messaggi
auguri, incominciando da tantissimi campioni di ogni sport, di
ieri e di oggi.

Diego Armando Maradona è stato il più grande calciatore di
tutti i tempi, ha vinto i Mondiali con l’Argentina nel 1986 –
con cui ha disputato anche la finale di Italia ’90 – due
scudetti con il Napoli – 1987 e 1990 – ed è stato uno dei
campioni più amati in assoluto.

Una storia disseminata di successi, tra trofei vinti e gol
memorabili: in Argentina-Inghilterra alla Mano de Dios, il gol
del secolo segnato pochi minuti dopo, quando scartò sette
giocatori inglesi prima di battere Shilton.

In squadra pure con il Barcellona e il Siviglia, e in
Argentina con il Boca Juniors e l’Argentinos Juniors.

Quattro Mondiali con la nazionale argentina, della quale è
stato poi allenatore nel 2010, nominato a furor di popolo:
Maradona la portò ai quarti di finale in Sudafrica, quando
l’Albiceleste venne eliminata dalla Germania, e poi Diego fu
esonerato.

In Argentina sono stati proclamati tre giorni di lutto
cittadino.

Napoli è in lacrime per la perdita del suo idolo e verrà
proclamato il lutto cittadino per onorare la memoria del Pibe
de Oro, come anticipato dall’assessore allo Sport del Comune
di Napoli, Ciro Borriello:

Parole di cordoglio da parte del sindaco Luigi De Magistris,
appena appresa la terribile notizia della fine di Maradona:
“una notizia tragica in un anno pessimo. Maradona è Napoli e
l’amore di Napoli e dei napoletani è viscerale. Oggi per
Napoli è una giornata tristissima. L’abbraccio di tutti i
napoletani per la famiglia, nella consapevolezza che
quest’amore non finirà mai. È stato un amore vero e grande”.

Il Comune partenopeo pensa di intitolare il San Paolo a
Maradona, su proposta del presidente della commissione Sport,
Carmine Sgambati.

Lascia tanti ricordi, una vita di cui la prima parte è stata
costellata da successi, ai limiti dell’incredibile, fino al
1994, quando il mito, ai mondiali americani, venne trovato
positivo all’antidoping.

Poi, la seconda parte, altalenante ma mai più sfolgorante.

… e tanti figli. Ufficialmente, Dalma Nerea e Gianinna Dinorah
avute dalla prima moglie Claudia Villafane; una bambina di
nome Jana, avuta da Valeria Sabalaìn. Diego Fernando –
l’ultimo – da Veronica Ojeda. Ma soprattutto Diego junior –
identico a papà da giovane – finalmente riconosciuto dopo anni
e anni di pene e di battaglie da parte della mamma, la bella e
combattiva napoletana Cristiana Sinagra, che ebbe col
campionissimo una storia d’amore. Un amore da Diego di fatto
rinnegato con protratti rifiuti a riconoscere un figlio senza
dubbi suo: bastava guardarlo quel ragazzo, per rivedere in lui
Maradona giovanissimo!

Una vicenda triste che gettò un’ombra mai più dissipata sulla
figura del campionissimo: il pubblico, nonostante lo amasse,
restò turbato dalla sua ostinazione a non voler riconoscere il
figlio, finché il test del DNA non confermò ciò che tutti
sapevano e soprattutto vedevano: un figlio uguale al padre. Un
figlio che non poteva più rifiutare.

Ma a lui si può perdonare tutto, proprio tutto, scandali,
colpi di testa e debolezze inclusi. Diego Armando Maradona,
giocatore immenso e unico, praticamente una divinità, anche
sulla via del declino.

Un gitano vagabondo, dalla prima squalifica per doping che ha
segnato per sempre la sua esistenza,      prima costellata di
sfolgoranti successi e incredibili eccessi.

Da allora, tutto cambia. Nel 1994, ancora sotto squalifica, è
a guida della squadra argentina Textil Mandiyù, poi dell’Al-
Wasli (Dubai), del Fujarah (Emirati Arabi), dei Dorados
(Messico). Poi il ritorno in Argentina, alla guida del
Gimnasia La Plata. La presidenza onoraria del club bielorusso,
la Dinamo Brest.

Gli incontri con Fidel Castro, Chavez, Menem, da un lato.
Dall’altro, bulimia, alcol, depressione. Comunque la forza di
rialzarsi, ogni volta. Finché il cuore non ce l’ha fatta più.

Una vita a cicli, dei quali il primo è rimasto drammaticamente
unico e irripetibile. Una leggenda. E leggenda rimane,
comunque.

Addio Diego. Ci hai fatto sognare davvero.

                                             Teresa Lucianelli
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