GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE - UNA TECNICA CONTROVERSA: L'ORDINANZA INTERLOCUTORIA CON RINVIO A DATA FISSA

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE    ISSN 0436-0222
        Anno LXVII Fasc. 1 - 2022

          Valeria Marcenò

UNA TECNICA CONTROVERSA:
L'ORDINANZA INTERLOCUTORIA
  CON RINVIO A DATA FISSA

               Estratto
ARTICOLI

              UNA TECNICA CONTROVERSA:
 L’ORDINANZA INTERLOCUTORIA CON RINVIO A DATA FISSA

SOMMARIO: 1. Regola o eccezione? — 2. Le questioni di legittimità costituzionale. — 3. Con
    lo sguardo rivolto all’interno. — 3.1. Delle regolarità. — 3.2. Delle diversità. —
    3.3. Di alcuni nodi non sciolti. — 4. Con lo sguardo rivolto all’esterno. — 4.1. Il
    contesto. — 4.2. Esigenze di collaborazione. — 4.3. Zone franche, rime possibili e
    creazione di nuove fattispecie normative. — 5. Una proposta, in sintesi.

     1. Regola o eccezione?
     Quello che poteva sembrare un caso isolato, non può più dirsi tale.
Quello che alcuni hanno sperato fosse un’eccezione alla regola (1), sta per
divenire regola.
     Nell’arco di tre anni la Corte costituzionale è ricorsa ben tre volte alla
tecnica dell’ordinanza di rinvio. E non è poca cosa se si tiene conto della
delicatezza delle materie affrontate nelle questioni di legittimità e del fatto
che in tutte e tre le circostanze il tempo concesso al legislatore per interve-
nire è stato di circa un anno. In due occasioni il legislatore ha mancato di
intervenire, costringendo la Corte costituzionale a pronunciarsi con una
sentenza di accoglimento; nella terza occasione, l’ultima, si è ancora in
attesa, non essendo al momento decorso il tempo concesso al legislatore (2).
     Nonostante la quantità di commenti che tali pronunce ha ricevuto, la
loro collocazione all’interno del panorama delle tecniche decisorie e la loro
giustificazione (3) sono ancora da definire. Troppi fattori incidono sulla
categorizzazione di tali ordinanze: accanto a costruzioni linguistiche che si

     (1) E. GROSSO, Il rinvio a data fissa nell’ordinanza n. 207/2018. Originale
condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio?, in
Quaderni costituzionali, 2019, n. 3, 533.
     (2) La prima ordinanza di rinvio (n. 97 del 2021) fissava la data della tratta-
zione della questione al 10 maggio 2022. Tale termine è ora ulteriormente rinviato
all’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 (Comunicato del 10 maggio 2022).
     (3) Utilizzo un’espressione presente in un mio precedente commento all’ordi-
nanza n. 207 del 2018, ove affermavo che la tecnica decisoria adottata deve prima
essere compresa, nel senso che devono essere individuati i diversi elementi che la
caratterizzano e le ragioni sottese a quella scelta, e solo dopo valutata la sua
giustificazione, ossia se essa possa essere approvata o disapprovata (L’ordinanza n.
207 del 2018 sul caso Cappato: comprendere per (valutare se) giustificare, in questa
Rivista 2019, 1217 ss.).
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ripetono (e che sembrano dare adito a una tipicità della ordinanza), altre ne
sottolineano le differenze. Diversi sono i nodi che, dal punto di vista del
processo costituzionale e del ruolo della Corte, il ricorso a questo tipo di
ordinanze ha posto, lasciandoli non sciolti.
     Una certa regolarità inizia a scorgersi. Difficile al momento definirla
convincente (4).

      2. Le questioni di legittimità costituzionale.
     Le questioni di legittimità costituzionale che hanno indotto la Corte ad
adottare le ordinanze interlocutorie sono note. Ma può essere utile, anche per
le considerazioni che seguiranno, riprenderle, seppur per sommi capi.
     La prima coppia di decisioni (ordinanza n. 207 del 2018 e sentenza n. 242
del 2019) ha ad oggetto l’art. 580 c.p., nella parte in cui, sanzionando le
condotte di aiuto e di istigazione al suicidio, include anche quelle condotte di
aiuto al suicidio in cui esse, come avvenuto nel caso concreto, non hanno
contribuito a determinare o rafforzare il proposito della vittima. Come si
legge nella ordinanza di rinvio, nonostante la non incompatibilità tout court
della disposizione con la Costituzione, situazioni inimmaginabili al momento
della sua introduzione impongono che ne sia rivista la portata normativa. La
pluralità di principi fondamentali coinvolti e di soluzioni normative possibili
implica che il primo bilanciamento e la prima scelta siano compiuti dal
legislatore, rinviando dunque qualunque decisione all’eventualità in cui il
legislatore non intervenga (o intervenga al di là dei confini dettati dalle
esigenze di rispetto di principi e diritti fondamentali come descritte dalla
pronuncia). Alla scadenza del “mandato a riflettere”, non essendo soprag-
giunta alcuna normativa, né risultando imminente alcuna concreta ipotesi
legislativa, la Corte, ritenendo di non potersi ulteriormente esimere dal
rimuovere il riscontrato vulnus costituzionale, decide nel merito della que-
stione. Il dispositivo contiene un accoglimento della questione nella forma
della additiva di regola: l’art. 580 c.p. è incostituzionale nella parte in cui
non esclude la punibilità di chi — con le modalità previste dagli artt. 1 e 2
della l. n. 219 del 2017 ovvero, per i fatti anteriori alla pubblicazione della
sentenza, con modalità equivalenti — agevola l’esecuzione del proposito di
suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in
vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile,
fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali
condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura

     (4) Il riferimento è ancora a E. GROSSO, Il rinvio a data fissa nell’ordinanza n.
207/2018. Originale condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica
di giudizio?, cit., 533, laddove afferma che «è bene essere molto cauti nell’inferire, da
un singolo comportamento “anomalo”, una nuova regola, in assenza di una convin-
cente “regolarità” che le fornisca sostegno».
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pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico
territorialmente competente.
      La seconda coppia di decisioni (ordinanza n. 132 del 2020 e sentenza n.
150 del 2021) ha ad oggetto gli artt. 13 della l. n. 47 del 1948 Disposizioni
sulla stampa) e 595, terzo comma, c.p., nella parte in cui prevedono la pena
della reclusione — in via cumulativa il primo, in via alternativa il secondo
rispetto alla multa — per chi si sia ritenuto responsabile del delitto di
diffamazione aggravata dall’uso del mezzo della stampa consistente nell’at-
tribuzione di un fatto determinato: una sanzione, sottolinea la Corte nell’or-
dinanza di rinvio, che cristallizza a un tempo ormai passato il delicato
rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero, esigenze della libertà
giornalistica e tutela della reputazione individuale; un rapporto «che non può
[...] essere pensato come fisso e immutabile» (5). Anche in questo caso, la
rideterminazione del bilanciamento tra i principi coinvolti spetta in primo
luogo al legislatore, meglio in grado di disegnare un equilibrato sistema di
tutela dei diritti in gioco, che contempli il ricorso a una combinazione di
rimedi (penalistici, civilistici, disciplinari), «eventualmente sanziona[ndo]
con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale,
assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e
soggettivo» (6). Anche in questo caso, essendo rimasto inascoltato il monito
ad intervenire, la Corte si pronuncia nel merito: con una dichiarazione di
mero accoglimento dell’art. 13 della l. n. 47 del 1948 (7) e con una pronuncia
interpretativa di rigetto dell’art. 595, terzo comma, c.p., facendo così venir
meno la indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva.
      Nella terza circostanza — come detto, non ancora “doppiata” non
essendo scaduto il tempo concesso al legislatore — oggetto della questione di
legittimità costituzionale sono gli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della l. n. 354
del 1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà), nonché l’art. 2 del d.l. n. 152 del 1991
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di
trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con
modificazioni, nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che
possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’erga-
stolo a seguito di reati connessi alla criminalità organizzata che non abbia
collaborato con la giustizia. Ritornato alla Corte il tema dell’ergastolo
ostativo, in linea con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo (8) e con il

     (5) Ord. n. 132 del 2020, punto 7.3. del Considerato in diritto.
     (6) Ord. n. 132 del 2020, punto 8 del Considerato in diritto.
     (7) E, in via consequenziale, l’art. 30, quarto comma, della l. n. 223 del 1990
(Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), che richiama la disposizione
ora dichiarata illegittima.
     (8) Il riferimento è, in particolare, alla sentenza Viola contro Italia (definitiva
dal 7 ottobre 2019), ove la Corte di Strasburgo ha affermato che la previsione di una
pena perpetua non è di per sé stessa contraria alla Convenzione, non costituendo in
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suo stesso precedente (9), l’ordinanza ribadisce che la collaborazione del
condannato non può essere considerata l’unico strumento di dimostrazione
dell’avvenuta rottura con l’ambiente criminale; che si pone come necessaria
«l’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere sia
l’attualità di suoi [dell’ergastolano non collaborante] collegamenti con la
criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino»; e che la
individuazione di tali elementi richiede, in quanto «tipiche scelte di politica
criminale», in prima battuta, una valutazione legislativa. Un accoglimento
immediato delle questioni così come proposte dal giudice rimettente «com-
porterebbe effetti disarmonici sulla complessiva disciplina in esame» (10).

      3. Con lo sguardo rivolto all’interno.
   Ciò che è evidente, dopo tre ordinanze di rinvio, è che si tratta di una
nuova edizione della tecnica della doppia pronuncia (11). Più precisamente,

sé un fatto lesivo della dignità della persona, purché siano previsti in astratto — e,
quindi, realizzabile in concreto — strumenti giuridici utili a interrompere la deten-
zione e a reimmettere i condannati meritevoli nella società.
      (9) Si tratta della sent. n. 253 del 2019, ripetutamente richiamata nell’ordi-
nanza di rinvio, con la quale la Corte ha introdotto la possibilità di concedere
permessi premio ai condannati per reati ostativi anche quando non abbiano colla-
borato con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia
l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino
di tali collegamenti.
      (10) Ord. n. 97 del 2021, punto 10 del Considerato in diritto.
      (11) Affermazione che tuttavia non basta, da sola, a ritenere chiuso il processo
di categorizzazione di questa tecnica. La dottrina, infatti, è ricorsa alle più diverse
formule nel tentativo di connotarla — e, dunque, distinguerla — da altre tecniche,
ponendo con ciascuna di esse in evidenza un aspetto caro all’ideatore della formula.
Accanto alla più nota (dichiarazione di incostituzionalità prospettata), elaborata dal
Presidente Lattanzi (Relazione sulla Giurisprudenza costituzionale dell’anno 2018), si
è, infatti, parlato, ad esempio, di incostituzionalità differita (M. BIGNAMI, Il caso
Cappato alla Corte costituzionale: un’ordinanza ad incostituzionalità differita, in Que-
stione giustizia, 19 novembre 2018); di pronuncia riconducibile alla categoria delle
illegittimità accertate ma non dichiarate (R. PINARDI, Governare il tempo (e i suoi
effetti). Le sentenze di accoglimento nella più recente giurisprudenza costituzionale, in
Quaderni costituzionali, 2022, n. 1, 43 ss.) o accertate ma non dichiarabili (N. ZANON,
I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di alcune recenti tendenze
giurisprudenziali, in Federalismi.it 2021, n. 3, 88); di ordinanza anticipatrice di
incostituzionalità (G. REPETTO, Interventi additivi della Corte costituzionale e ragione-
volezza delle scelte legislative in un’ordinanza anticipatrice di incostituzionalità, in
questa Rivista 2018, 2487; di decisione a due tempi (R. ROMBOLI, Il nuovo tipo di
decisione in due tempi ed il superamento delle “rime obbligate”: la Corte costituzionale
non terza, ma unica camera dei diritti fondamentali?, in Foro it. 2020, I. 2565 ss.). Deve
altresì sottolinearsi che, ancora prima della sua corretta definizione, è stata posta la
questione se essa debba essere considerata una tecnica processuale o una tecnica
decisoria. Su questo aspetto v. F. BIONDI, Il processo costituzionale, in Questione
giustizia 2020, n. 4 («tali decisioni non determinano una vera e propria deroga a regole
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una evoluzione del binomio inammissibilità per discrezionalità del legislato-
re/decisione di accoglimento. La differenza sta nel fatto che, se nel primo
binomio (si badi, comunque non abbandonato) la prima pronuncia si limita
ad ammonire, in modo più o meno veemente, il legislatore affinché inter-
venga, ma la questione rimane inammissibile, nel nuovo binomio la prima
pronuncia, messe sul tavolo le argomentazioni che inducono a ritenere non
più costituzionalmente adeguata la disposizione o il gruppo di disposizioni
oggetto della questione, indica un tempo entro il quale il legislatore è tenuto
a intervenire, allo scadere del quale, in assenza di un provvedimento legi-
slativo, la Corte sarà costretta a dare seguito a quanto anticipato. Per questo
motivo, alla stregua delle richiamate differenze, gran parte della dottrina
sottolinea la natura solo in apparenza processuale ma di fatto sostanziale
dell’ordinanza di rinvio: sotto le sembianze di un atto di “gestione del
processo costituzionale” giace un atto di decisione nel merito (12).

     3.1.   Delle regolarità.
    Vi sono aspetti che ritornano nei tre casi descritti, e che inducono a
riconoscere l’esistenza di alcune regolarità.
     I. In tutte e tre le circostanze si tratta di disposizioni il cui contenuto
normativo deve essere attualizzato: alla luce di «situazioni inimmaginabili
all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua
sfera applicativa dagli sviluppi della scienza e della tecnologia» (13), nel caso
del reato di aiuto al suicidio; «alla luce della rapida evoluzione della tecno-
logia e dei mezzi di comunicazione verificatisi negli ultimi decenni» e della
«copiosa giurisprudenza della Corte Edu» (14), nel caso del reato di diffama-
zione a mezzo stampa; alla luce della necessità costituzionale e convenzio-
nale che la presunzione di pericolosità gravante sul condannato all’ergastolo
per reati di contesto mafioso, introdotta all’indomani delle stragi di mafia dei
primi anni Novanta del secondo scorso, possa essere superata «anche in base
a fattori diversi dalla collaborazione e indicativi del percorso di risocializza-

processuali, bensì costituiscono una nuova tecnica decisoria — sia pure favorita dalla
possibilità, per la Corte, di gestire con una certa autonomia il proprio calendario di
udienza — che incide sul rapporto tra Corte e legislatore»); E. GROSSO, Il rinvio a data
fissa nell’ordinanza n. 207/2018. Originale condotta processuale, nuova regola proces-
suale o innovativa tecnica di giudizio?, cit., passim.
      (12) Evidenziano la natura sostanziale dell’ordinanza, R. DICKMANN, Conside-
razioni sui profili funzionali processuali e “politici” delle ordinanze monitorie di rinvio
della Corte costituzionale, in Federalismi.it 2021, 4, nota 10; A. RUGGERI, Venuto alla
luce alla Consulta l’ircocervo costituzionale (a margine della ordinanza n. 207 del 2018
sul caso Cappato), in Consultaonline 2018/III, 571.
      (13) Ord. n. 207 del 2018, punto 8 del Considerato in diritto.
      (14) «[...] che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’ap-
plicazione di pene detentive, ancorché sospese o in concreto non eseguite, nei
confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui»
(ord. n. 132 del 2020, punto 7.3 del Considerato in diritto).
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zione dell’interessato», nel caso dell’ergastolo ostativo (15). In sostanza, il
bilanciamento tra principi implicito nelle disposizioni censurate è storica-
mente determinato e, in considerazione del nuovo modo di intendere i beni
coinvolti, inadeguato, sproporzionato.
     II. La rimodulazione del bilanciamento implica l’adozione di scelte
normative nuove, che «anzitutto il legislatore è abilitato a compiere» (ord. n.
207 del 2018), su di lui incombendo il compito di «disegnare un equilibrato
sistema di tutela dei diritti in gioco» (ord. n. 132 del 2020), sulla base di «una
più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa» (ord. n. 97
del 2021).
      III. La mera caducazione delle disposizioni censurate sarebbe insuffi-
ciente. Anzi, persino irrimediabilmente rovinosa. Non basterebbe nel caso
Cappato, perché il divieto di aiuto al suicidio «conserva una propria evidente
ragione d’essere» (16), e la sua totale eliminazione lascerebbe prive di disci-
plina legale situazioni che devono comunque essere protette da eventuali
abusi. Non basterebbe nel caso della diffamazione a mezzo stampa, sussi-
stendo il «rischio che, per effetto della stessa pronuncia di illegittimità
costituzionale, si creino lacune di tutela effettiva per i controinteressati in
gioco, seppur essi stessi di centrale rilievo nell’ottica costituzionale» (17). E
non basterebbe nel caso dell’ergastolo ostativo, ove un intervento mera-
mente demolitorio «potrebbe mettere a rischio il complessivo equilibrio della
disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di
sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato
fenomeno della criminalità mafiosa» (18). Una declaratoria di mera incosti-
tuzionalità non basterebbe perché, in tutti e tre i casi, le disposizioni
censurate non sono — come si esprime la Corte — incostituzionali di per sé.
Il reato di aiuto al suicidio, la previsione della pena detentiva nel reato di
diffamazione a mezzo stampa, la presunzione di permanente pericolosità del
condannato all’ergastolo in assenza di collaborazione non sono incostituzio-
nali nella loro interezza; mantengono, al contrario, una loro ragione d’essere
all’interno dell’ordinamento giuridico purché — ed è questo il punto su cui
è necessario intervenire — depurati della loro generalità (nel senso che
includono situazioni che dovrebbero essere escluse, nel caso dell’aiuto al
suicidio) o assolutezza (nel senso che non sono circoscritte a quelle che la
Corte chiama «ipotesi di eccezionale gravità» nel caso della diffamazione a
mezzo stampa, e nel senso che rappresentano l’unica strada percorribile, dal

     (15) Ord. n. 97 del 2021, punto 8 del Considerato in diritto.
     (16) «Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che
attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che
decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano
interferenze di ogni genere» (ord. n. 207 del 2018, punto 6 del Considerato in diritto).
     (17) Ord. n. 132 del 2020, punto 8 del Considerato in diritto.
     (18) Ord. n. 97 del 2021, punto 9 del Considerato in diritto.
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detenuto condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizio-
nale).
     IV. Compito “naturale” della Corte è quello di «verificare la compati-
bilità di scelte già compiute dal legislatore, nell’esercizio della propria
discrezionalità politica» (ord. n. 207 del 2018); un controllo necessariamente
ex post (ord. n. 97 del 2021), su sollecitazione dei giudici comuni, perché la
Corte, a differenza delle possibilità d’intervento di cui dispone il legislatore,
«sconta necessariamente la limitatezza degli orizzonti del devolutum e dei
rimedi a sua disposizione, che segnano il confine dei suoi poteri decisori» (ord.
n. 132 del 2020). Ma, la accertata violazione dei principi costituzionali nei
singoli casi non può attendere i consueti tempi e modi di un mero monito a
provvedere. È, pertanto, invocato lo spirito di leale e dialettica collabora-
zione istituzionale tra Parlamento e Corte costituzionale. Uno spirito, però,
che non si limita a un ammonimento, ma che “pungola” il legislatore affinché
assuma le opportune riflessioni e decisioni; affinché non lasci cadere nel
vuoto proposte di legge già in corso di esame davanti alle Camere.
     V. Il giudizio costituzionale è rinviato a una nuova udienza, a data
fissa, per la «trattazione delle questioni di legittimità costituzionale» (così si
legge nei dispositivi delle ordinanze). Udienza nella quale le questioni
saranno nuovamente discusse. Il giudizio a quo è sospeso. Gli altri giudici
sono invitati a valutare se, alla luce di quanto indicato nella ordinanza di
rinvio, possano essere sollevate analoghe questioni, così da evitare l’appli-
cazione della norma di dubbia legittimità costituzionale.

    3.2.   Delle diversità.
    Accanto a certe regolarità sono però riscontrabili alcune diversità.
Quelle diversità che alimentano, o comunque certamente non contribuiscono
a contenere, le perplessità di parte della dottrina, e che rendono più arduo
descrivere tali ordinanze in termini di categoria decisoria unitaria.
     I. L’ambito materiale in cui la Corte ha finora adottato questa tecnica
è quello del diritto penale. Si ha a che fare, dunque, con scelte di politica
criminale. Tuttavia, tra la prima ordinanza e le altre due si scorge una
differenza. La necessità di attualizzazione delle disposizioni censurate ha
radici diverse. Nella questione sull’aiuto al suicidio non si pone tanto
l’esigenza di rivedere l’entità della sanzione o la punibilità della stessa
condotta (19), quanto quella di colmare un vuoto legislativo in un ambito
eticamente sensibile. Esigenza che non si riscontra nelle altre due questioni.

     (19) O meglio, questo tipo di richiesta era contenuto nella seconda questione
proposta dal giudice rimettente, considerata dalla Corte costituzionale in rapporto di
subordinazione rispetto alla prima («Appare, infatti, evidente che le censure relative
alla misura della pena hanno un senso solo in quanto le condotte avute di mira restino
penalmente rilevanti: il che presuppone il mancato accoglimento delle questioni
intese a ridefinire i confini applicativi della fattispecie criminosa»).
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Non è forse un caso che solo nella prima ordinanza, e non più nelle altre,
siano esplicitate le ragioni della inadeguatezza del ricorso alla pronuncia di
inammissibilità: «per le peculiari caratteristiche del caso e per la rilevanza
dei valori da esso coinvolti». Inadeguatezza rispetto al caso di specie,
dunque, non impossibilità in assoluto.
      II. Accanto alla mappatura dei beni costituzionali coinvolti e reputati
lesi, la Corte suggerisce possibili interventi legislativi. Il dettaglio che carat-
terizza il suggerimento contenuto nella prima ordinanza viene però stempe-
rando in quelli delineati nelle ordinanze successive. Nell’ordinanza interlo-
cutoria sull’aiuto al suicidio la Corte dava, infatti, precise indicazioni sulle
possibili linee di intervento del legislatore, suggerendo persino una modifica
della legge n. 219 del 2017. Simili «eccessi di motivazione» (20) non com-
paiono, invece, nelle ordinanze successive, nelle quali si limita a suggerire la
possibilità di ricorrere a sanzioni penali non detentive, a rimedi civilistici e
in genere riparatori adeguati, a misure di carattere disciplinare, nel caso del
reato di diffamazione a mezzo stampa; o a evidenziare la sussistenza di una
pluralità di soluzioni idonee a consentire il superamento della assolutezza
della presunzione di pericolosità sociale del condannato all’ergastolo che non
collabora.
     III. Come detto, nelle ordinanze interlocutorie la Corte afferma l’in-
sufficienza o l’inadeguatezza del ricorso a una pronuncia di accoglimento
puro, e da qui giustifica il rinvio della trattazione. Le decisioni finora
adottate a seguito del mancato intervento legislativo hanno, però, poi
assunto le più diverse forme. Nel caso dell’aiuto al suicidio, la Corte si è
pronunciata con una sentenza additiva di regola, colmando una lacuna,
disciplinando un caso nuovo, non previsto dall’ordinamento giuridico. Nel
caso della diffamazione a mezzo stampa, una disposizione (art. 13, l. n. 47 del
1948) è stata dichiarata incostituzionale nella sua interezza; un’altra (art.
595, terzo comma, c.p.), interpretata in modo costituzionalmente e conven-
zionalmente conforme (21). Nel caso dell’ergastolo ostativo, ad oggi si assiste

      (20) Sia consentito rinviare a V. MARCENÒ, L’ordinanza n. 207 del 2018 sul caso
Cappato: comprendere per (valutare se) giustificare, cit., 1226. V. anche M. MASSA, La
terza incostituzionalità «prospettata» e la questione dell’ergastolo ostativo, in Nomos. Le
attualità del diritto 2021, n. 2, 3.
      (21) È interessante notare che la Corte opera, nella sentenza di merito, una
attenta scomposizione dell’oggetto delle questioni: l’art. 13 è dichiarato incostituzio-
nale, ma da tale dichiarazione non discende alcun vuoto di tutela al diritto alla
reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, poiché il
diritto continua a essere protetto dalla permanenza, nell’ordinamento, dell’art. 595
c.p.; quest’ultimo, però, deve essere inteso dal giudice penale nel senso che «dovrà
optare per l’ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto,
dal punto di vista oggettivo e soggettivo [...]; mentre dovrà limitarsi all’applicazione
della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, in tutte
le altre ipotesi» (sent. n. 150 del 2021, punto 6.3 del Considerato in diritto.). Sembre-
rebbe qui configurarsi una sentenza interpretativa di rigetto con regola.
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alla concessione di un ulteriore rinvio, «in considerazione dello stato di
avanzamento dell’iter di formazione della legge», «per consentire al Parla-
mento di completare i propri lavori» (22).
     Diversità, quelle descritte, che incidono sul tentativo di categorizza-
zione del binomio di nuova introduzione. Particolarmente laddove si rico-
nosca alla categorizzazione delle tecniche decisorie un compito che non si
esaurisce nella descrizione delle possibili decisioni cui la Corte può attingere,
ma che mira, attraverso questa, al conseguimento di una certa prevedibilità
delle pronunce stesse.
     La diversità delle esigenze che spiegano l’attualizzazione delle disposi-
zioni censurate, per quanto queste ultime tutte appartenenti al diritto
penale, impedisce al momento l’individuazione di un filo che le accomuni dal
punto di vista materiale. La specifica giustificazione posta alla base della
decisione sull’aiuto al suicidio, infatti, aveva indotto parte della dottrina a
suggerire che il rinvio a data fissa potesse ritenersi perlomeno circoscritto alle
sole questioni eticamente sensibili, così circoscrivendone ma al contempo
spiegandone l’utilizzo (23). Limitazione che non è avvenuta, come eviden-
ziato sia dagli altri due casi in cui la Corte ha adottato la tecnica del rinvio
a data fissa, sia dal fatto che, negli stessi anni, in casi eticamente sensibili la
Corte ha preferito utilizzare la tecnica della doppia pronuncia più consueta
(inammissibilità per discrezionalità/accoglimento) (24).
     La diversità dello spettro di suggerimenti forniti (e poi recepiti nei
provvedimenti definitivi) certamente dipende da un fisiologico affinamento
della tecnica: il dettaglio che caratterizza i primi suggerimenti ha lasciato lo
spazio a indicazioni più ampie, in consonanza con il riconoscimento di una
pluralità di soluzioni possibili e della necessità che la discrezionalità del
legislatore sia comunque salvaguardata (almeno, in prima battuta). Ma allo
stesso tempo non consente ancora di enucleare una vera e propria tipicità
nelle indicazioni, che oscillano dalla enunciazione dei principi costituzionali
coinvolti fino alla enucleazione delle possibili regole da applicare.
     Anche la diversità nelle decisioni assunte a seguito del mancato inter-
vento legislativo non offre spunti per una categorizzazione: perché all’ordi-
nanza di rinvio non segue necessariamente una declaratoria di incostituzio-
nalità (additiva o di mero accoglimento), ma può seguire un dispositivo
diverso, come dimostrato dalla varietà di dispositivi contenuti nelle pro-
nunce che doppiano l’ordinanza, nonché dalla decisione, assunta dalla Corte
in occasione della discussione fissata per la questione sull’ergastolo ostativo,

     (22) Comunicato del 10 maggio 2022.
     (23) E. GROSSO, Il rinvio a data fissa nell’ordinanza n. 207/2018. Originale
condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio?, cit.,
540.
     (24) Il riferimento è alle decisioni sul patronimico (sent. n. 61 del 2006, cui ha
fatto seguito una dichiarazione di incostituzionalità con la sent. n. 286 del 2016), sulla
procreazione medicalmente assistita da parte di coppie dello stesso sesso (sent. n. 32
del 2021) e sulla maternità surrogata (sent. n. 33 del 2021).
506                                     Articoli

di ulteriormente prorogare il termine concesso al legislatore per intervenire.
Il che può sollevare problemi di ambiguità (o arbitrarietà?) del criterio con
il quale la Corte sceglie quale tipologia di doppia pronuncia adottare.
Ambiguità forse ancora più evidente laddove rinvia la discussione per
l’inadeguatezza della mera dichiarazione di illegittimità per poi, riscontrata
l’inerzia del legislatore, adottarla (25).

      3.3.   Di alcuni nodi non sciolti.
     Vi sono poi alcuni nodi che, pur discussi dalla dottrina, sembrano ancora
irrisolti, non essendo state elaborate risposte unanimi. Nodi che possono
sintetizzarsi con tre parole chiave: I. il motivo; II. il tempo; III. i vincoli.
     I. Il motivo. Come risulta in particolare dalla prima ordinanza di
rinvio, una delle ragioni che ha indotto la Corte a escludere l’utilizzo del più
classico modello della inammissibilità con monito — e a ricorrere alla «tattica
decisoria del rinvio» (26) — risiede nel fatto che il primo lascia in vita — e,
dunque, suscettibile di ulteriori applicazioni — una disposizione quanto-
meno ritenuta di dubbia legittimità, così generando una attenuazione del
compito della Corte di — per usare una formula ormai consueta nei com-
menti alla tecnica del rinvio — «rendere giustizia costituzionale» (27). La
riportata spiegazione, tuttavia, solo in apparenza risulta chiarificatrice e
definitiva, poiché lascia avvolta nella incertezza un’altra questione fonda-
mentale ai fini di una categorizzazione delle tecniche decisorie: quali sono le

      (25) Con riferimento alla declaratoria di incostituzionalità contenuta nella
sent. n. 150 del 2021, ove la Corte combina l’adozione di una incostituzionalità secca
con un rigetto interpretativo, v. i commenti di R. PINARDI, Governare il tempo (e i suoi
effetti), cit., 53 (secondo il quale la Corte dimostra, «per tabulas, che per rispondere,
un anno prima, alle doglianze sollevate dal giudice rimettente non era affatto
necessario scomodare una tecnica decisoria tanto peculiare quanto discussa come
quella utilizzata, per la prima volta, con l’ord. n. 207/2018») e G. ZAMPETTI, La
“pronuncia doppia” nell’unico giudizio: i tempi della Corte e la discrezionalità del
legislatore, in questa Rivista 2021, 1585 (secondo il quale la lucida operazione
condotta in seconda battuta evidenzia, «l’inerzia della Corte più che quella del
legislatore: è la prima infatti a trascurare la possibilità di utilizzare tempestivamente
i propri poteri definitori per fornire una soluzione di merito volta a chiudere il
giudizio di costituzionalità»).
      (26) Così M. MASSA, La terza incostituzionalità «prospettata» e la questione
dell’ergastolo ostativo, cit., 9.
      (27) La formula si deve a G. SILVESTRI, Del rendere giustizia costituzionale, in
Questione giustizia 2020, n. 4, 31ss. («Se i giudici comuni hanno il dovere di “rendere
giustizia”, individuando la norma applicabile al caso concreto, traendola dalle leggi
in vigore, anche combinando tra loro frammenti di norme con tecniche di composi-
zione sistematica alla luce dei principi costituzionali, la Corte costituzionale ha il
medesimo dovere di “rendere giustizia” (costituzionale) fornendo al giudice a quo, su
sua richiesta, ciò che a questo manca per dare una risposta adeguata (alla Costitu-
zione) alle parti che attendono la sua decisione»).
Valeria Marcenò                                   507

circostanze dinanzi alle quali la Corte adotta le une, e quali le circostanze
dinanzi alle quali adotta le altre.
     II. Il tempo. Il tempo rappresenta un aspetto delicato in questo tipo di
tecnica decisoria. Un ulteriore difetto delle sentenze di inammissibilità con
monito sta nel fatto che esse rendono incerto il se e il quando la Corte potrà
tornare a pronunciarsi sulla medesima questione di legittimità costituzio-
nale, dovendo attendere che quest’ultima sia nuovamente sollevata. Il che,
come sottolinea la Corte, può «sopravvenire anche a notevole distanza di
tempo dalla pronuncia della prima sentenza di inammissibilità» (28). La
Corte, dunque, non può controllare i tempi entro i quali intervenire per
sanzionare l’eventuale inerzia del legislatore (29). Le ordinanze di rinvio a
data certa consentono, invece, che questo limite sia superato (30). Tuttavia,
pongono un problema diverso. Alla luce delle ordinanze fino a qui adottate
il tempo concesso al legislatore coincide più o meno in una annualità (31). Al
di là dell’assenza oggettiva di una spiegazione sulla durata temporale del
rinvio (perché un anno, e non di più o di meno), la fissazione di una nuova
udienza per la trattazione genera una sorta di annacquamento tra la gestione
dei tempi del processo costituzionale e la gestione dei tempi della decisione
politica: la Corte, attraverso i suoi strumenti, anche interlocutori, prende
tempo per l’assunzione della decisione costituzionale, ma impone un tempo
per l’assunzione della decisione politica. Un tempo ritenuto apoditticamente
congruo dalla stessa Corte, che non spiega le ragioni alla base della asserita
congruità (32).
     Tenuto conto della delicatezza delle questioni di legittimità, o meglio
della elevata politicità delle scelte implicate (a maggior ragione, trattandosi
di questioni di politica criminale), non ci si può non domandare se il tempo

     (28) Ord. n. 207 del 2018, punto 11 del Considerato in diritto.
     (29) E. GROSSO, Il rinvio a data fissa nell’ordinanza n. 207/2018. Originale
condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio?, cit.,
538.
     (30) Non è una novità che la Corte veda negli effetti temporali delle sentenze
di accoglimento come descritti in Costituzione ed elaborati dalla dottrina tradizionale
un limite al suo compito di garantire la effettiva tutela dei principi costituzionali.
Dinanzi alla inadeguatezza di una mera declaratoria di incostituzionalità, «una
proficua dinamica istituzionale dovrebbe consentire ad un tempo che la Corte possa
governare — limitandoli, posponendoli, sospendendoli o circoscrivendoli — gli effetti
delle proprie decisioni, sapendo, allo stesso tempo, che presto interverrà il legislatore
a rimediare al vizio ravvisato con i più flessibili strumenti che esso ha a disposizione»
(M. CARTABIA, L’attività della Corte costituzionale nel 2019, relazione della Presidente
della Corte costituzionale, 28 aprile 2020, 13).
     (31) Solo nel caso Cappato il tempo concesso fu di dieci mesi.
     (32) Si veda, ad esempio, il punto 11 della ordinanza n. 97 del 2021, ove si
concede al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia»; o quanto
anticipato nel Comunicato del 10 maggio 2022 con cui la Corte ha deciso di concedere
un ulteriore rinvio nel caso dell’ergastolo ostativo: un rinvio che può essere però
concesso «in tempi contenuti».
508                                    Articoli

concesso possa essere di per sé stesso sufficiente; e, forse, ancora prima, se su
temi controversi quali quelli affrontati sia davvero possibile stimare un
tempo entro cui è doveroso intervenire.
     III. I vincoli. Quanto appena detto si pone in stretta connessione con
un altro nodo: quali vincoli sorgono a seguito di una ordinanza di rinvio nei
confronti dei soggetti coinvolti: il legislatore, i giudici comuni, ma anche la
stessa Corte costituzionale.
     L’ordinanza prevede il rinvio ad altra udienza della trattazione delle
questioni di legittimità. Alcuni commentatori sottolineano che non si tratti
di un vero e proprio rinvio della trattazione: il fatto che la Corte abbia
indicato nella ordinanza di rinvio in maniera approfondita (e non succinta,
come ci si attenderebbe dal tipo di provvedimento adottato) le motivazioni
che stanno alla base della illegittimità della norma censurata implica che la
trattazione si è già conclusa (33). Ragionare in questi termini conduce
inevitabilmente a ritenere non solo che il dispositivo è impreciso, essendo la
questione inequivocabilmente risolta nel senso della incostituzionalità, ma
anche che, in caso di mancato intervento legislativo nel tempo concesso, la
decisione della Corte non può che essere di accoglimento. Ma è davvero così?
Davvero con una ordinanza di rinvio la Corte si auto-vincola a adottare una
declaratoria di incostituzionalità?
     Per quanto riguarda il legislatore, non può negarsi che questa interlo-
cuzione (o collaborazione, se si vuole usare la formula presente nelle ordi-
nanze), pur avendo una accezione intrinsecamente positiva e dialettica,
tende a trasformarsi in un’accezione negativa e direttiva; tende ad assumere
le sembianze di una minaccia (34): perché dalle ordinanze di rinvio certa-
mente sorge un vincolo ad adottare una scelta legislativa (anche se, come è
stato detto, senza voler così assolvere un legislatore inerte, anche non
decidere è una decisione politica, piaccia o non piaccia (35)), pena l’inter-
vento della decisione costituzionale. Ciò che non è definita è la latitudine del
vincolo dal punto di vista contenutistico, i margini di discrezionalità che
rimangono al legislatore dopo un’ordinanza interlocutoria, soprattutto
quando — come avvenuto nel caso Cappato — le indicazioni suggerite
appaiono stringenti. La natura collaborativa di questa tecnica, infatti,
sembra subire un affievolimento quando la Corte afferma, nelle ordinanze,
che nella nuova udienza «potrà essere valutata l’eventuale sopravvenienza di
una legge che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di
tutela» (ord. n. 207 del 2018), di «una disciplina in linea con i principi
costituzionali e convenzionali [...] illustrati» (ord. n. 132 del 2020), spettando

     (33) R. PINARDI, La Corte ricorre nuovamente alla discussa tecnica decisionale
inaugurata col caso Cappato, in Forum di Quaderni costituzionali, 2020, n. 3, 105.
     (34) N. ZANON, I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di
alcune recenti tendenze giurisprudenziali, cit., 92.
     (35) N. ZANON, I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di
alcune recenti tendenze giurisprudenziali, cit., 93.
Valeria Marcenò                               509

ad essa il compito di «verificare ex post la conformità a Costituzione delle
decisioni effettivamente assunte» (ord. n. 97 del 2021): come a dire, che nella
udienza fissata per la trattazione la soluzione normativa nel frattempo
approvata dal legislatore può essere oggetto di controllo di legittimità
direttamente, senza attendere l’incidentalità (e quindi l’applicazione della
stessa nei giudizi a quibus) e utilizzando come parametro le argomentazioni
addotte nella ordinanza di rinvio.
     Infine, per quanto riguarda i giudici, mentre è netto il vincolo che sorge
nei confronti del giudice rimettente (il cui giudizio è sospeso), più difficile da
descrivere è quello che sorge nei confronti degli altri giudici. In tutte e tre le
ordinanze, infatti, la Corte invita i giudici che dovessero trovarsi a dare
applicazione nei loro giudizi alle disposizioni censurate a, valutate la rile-
vanza e la non manifesta infondatezza, sollevare la questione di legittimità
costituzionale. L’intento è esplicito: evitare medio tempore l’applicazione
delle disposizioni censurate. E in effetti i giudici, ritenuta la rilevanza della
questione per il proprio giudizio, avrebbero difficoltà, dopo l’ordinanza di
rinvio, ad argomentare la non manifesta infondatezza della questione.
Tuttavia, questo è (e non può che essere) un mero invito, non potendosi
ritenere il potere interpretativo degli altri giudici esaurito. Quale è, dunque,
il comportamento (costituzionalmente) corretto che gli altri giudici dovreb-
bero tenere? Sono liberi di interpretare la disposizione censurata in modo
diverso da come suggerito dalla Corte (del resto la Corte ha dato —
soprattutto negli ultimi due casi — delle mere indicazioni rivolgendosi al
legislatore)? Possono dare in qualche misura applicazione alla disposizione
censurata (in fondo essa mantiene, anche al dire della Corte, una certa
ragionevolezza nel sistema normativo e l’ordinanza di rinvio non ha ancora
le forme di un decisum)? Oltre a sollevare la questione, determinando una
sospensione tipicamente prevista per il giudizio in via incidentale, possono
ricorrere a quella che è chiamata la sospensione impropria? Ma, soprattutto,
possono, in attesa dell’intervento del legislatore o della decisione costituzio-
nale che “doppia” l’ordinanza, interpretare la disposizione censurata con-
formemente a quanto argomentato nel rinvio (36)?

    4. Con lo sguardo rivolto all’esterno.
    La nuova versione della tecnica della doppia pronuncia non può essere
compresa guardando solo alla ordinanza di rinvio e al suo contenuto. Se si
vuole provare a intendere la portata delle recenti scelte della Corte costitu-
zionale, tentare di razionalizzarle ed eventualmente prospettare possibili
soluzioni ai nodi rimasti insoluti, è necessario volgere lo sguardo al più ampio
e complesso rivolgimento che sta connotando la giurisprudenza costituzio-
nale degli ultimi anni, e collocare quella tecnica all’interno di questo rivol-
gimento.

    (36) Il caso per ultimo descritto non è meramente ipotetico. Si consideri il
punto 6.3. del Considerato in diritto della sentenza n. 150/2021.
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      4.1.   Il contesto.
      Contesto (37): una parola di cui la dottrina fa ormai un uso eccessivo
quando guarda alla Corte costituzionale e alla sua giurisprudenza; ma che,
per quanto insufficiente da solo a giustificare le scelte della Corte costitu-
zionale, certo non può essere ignorato.
      L’ordinanza di rinvio a data fissa è inventata (38) da una Corte che
avverte l’esigenza di aprirsi alla società civile (39); di rendere una giustizia
costituzionale più ricca (40); di non rimanere inerte dinanzi al «moltiplicarsi
di pretese che chiedono di essere ricondotte a diritti fondamentali e che sono
avvertite — a torto o a ragione — come irrinunciabili e non procrastina-
bili» (41). Una Corte che reputa lo strumentario da lei stessa elaborato (e
dalla dottrina sistematizzato) non più adeguato alla realtà e alle esigenze
attuali della giustizia costituzionale. Una Corte che, pur nella consapevo-
lezza dell’esistenza di un limite ontologico alla giustizia costituzionale — la
discrezionalità del legislatore —, rivela attraverso le sue decisioni più recenti

      (37) Doveroso il riferimento a D. TEGA, La corte nel contesto. Percorsi di
ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bologna 2020, non per il
fortunato titolo, ma per il completo lavoro di analisi svolto sulle effervescenze della
recente giurisprudenza costituzionale. Ma anche a M. RUOTOLO, L’evoluzione delle
tecniche decisorie della Corte costituzionale nel giudizio in via incidentale. Per un
inquadramento dell’ord. n. 207 del 2018 in un nuovo contesto giurisprudenziale, in
Rivista AIC 2019, n. 2, 644ss.
      (38) Nel significato utilizzato da P. GROSSI, L’invenzione del diritto, Bari-Roma
2017, X e XV, con riferimento al diritto ma certamente adattabile anche alla
giustizia costituzionale («percepito cioè non come qualcosa che si crea [...], ma come
qualcosa che si deve cercare e trovare (secondo il significato dello invenire latino)
nelle radici di una civiltà, nel profondo della sua storia, nella identità più gelosa di
una coscienza collettiva»; «da scoprire nelle radicazioni riposte di un contesto storico,
da leggere, da trascrivere in un testo (ovviamente, senza l’illusione che in quel testo
lo si possa indefinitamente cristallizzare»).
      (39) Ne sono strumento i comunicati stampa, volti a far sì che le decisioni
costituzionali raggiungano non solo gli operatori del diritto e gli specialisti, ma anche
il pubblico generale; i “viaggi”, nelle scuole, nelle carceri, per raggiungere i giovani e
incontrare la realtà dei detenuti; i podcast, attraverso i quali i giudici costituzionali
si confrontano con il mondo della cultura, delle scienze e delle arti; ma anche le
modifiche apportate alle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzio-
nale, che — introdotto l’istituto degli amici curiae, la possibilità di ascoltare esperti
di altre discipline, e la procedimentalizzazione dell’intervento di terzi — mirano
certamente a una più ampia partecipazione al processo costituzionale.
      (40) L’atteggiamento meno formalistico circa il controllo sulla rilevanza della
questione o sul tentativo della interpretazione conforme, ad esempio, ha certamente
allentato le strette maglie della inammissibilità, consentendo l’«aumento delle rispo-
ste nel merito da parte della Corte alla domanda di giustizia costituzionale presente
nella società e nelle aule giudiziarie» (M. Cartabia, L’attività della Corte costituzionale
nel 2019, cit., 5; analogo è il tenore delle Relazioni annuali dei Presidenti Giancarlo
Coraggio e Giuliano Amato).
      (41) G. CORAGGIO, Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2020, 15.
Valeria Marcenò                                      511

una nuova e diversa sensibilità: di fronte a vizi accertati di incostituziona-
lità, non può più esimersi dal decidere nel merito. Una Corte, dunque, che —
forse all’inizio non intenzionalmente (42), ma via via sempre più consape-
volmente, volutamente, forse sfacciatamente — abbandona una costruzione
teorica che, per quanto il frutto di una evidente finzione retorica, aveva una
intrinseca «forza eloquente» (43), per approdare ad altre più morbide, più
malleabili, più duttili nelle sue stesse mani. È l’ormai noto ridimensiona-
mento della dottrina delle rime obbligate a favore della dottrina delle rime
possibili (44) (o, come si esprime la Corte nella sua giurisprudenza, «delle
grandezze esistenti»).
      All’attivismo della Corte la dottrina ha reagito, svolgendo il compito che
le è proprio. Si è parlato di abulia del legislatore (45), astenia delle istitu-
zioni (46), apatia costituzionale (47) per descrivere il male di cui il Parla-
mento è da tempo affetto: la ormai cronica incapacità di svolgere la funzione
legislativa di cui è titolare e, dunque, di adottare scelte normative. Un male
che, verrebbe da dire, infetta la discrezionalità del legislatore quale limite
all’intervento manipolativo della Corte. Alcuni studiosi hanno posto l’ac-
cento sulla inevitabilità della funzione supplente della Corte, ritenendo che
se non intervenisse, sarebbe lei stessa «ad abdicare al ruolo per il quale è
istituita: garantire la preminenza della Costituzione nei confronti delle leggi
e di qualsiasi atto autoritativo» (48). Altri, al contrario, pur riconoscendo
l’inerzia del legislatore, hanno sottolineato l’esorbitanza del giudice delle

     (42) Il riferimento è alla sent. n. 236 del 2016, in materia di previsioni
sanzionatorie relative al reato di alterazione di stato, con la quale la Corte ha esteso
la sanzione prevista per la fattispecie contemplata nel primo comma dell’art. 576 c.p.
alla fattispecie prevista al suo secondo comma. A questa pronuncia, in cui il caso
concreto ha assunto un ruolo fondamentale ai fini della decisione, può forse attri-
buirsi l’avvio, non pienamente consapevole (come si dice nel testo), del processo
descritto.
     (43) N. ZANON, I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di
alcune recenti tendenze giurisprudenziali, cit., 90 («Se ci si riflette, la finzione delle rime
obbligate, che discenderebbero dalla stessa Costituzione, aveva almeno dalla sua la
forza indiscutibile dell’argomento tranchant e definitivo: è la Costituzione stessa a
volere così»).
     (44) La formula si deve a S. LEONE, La Corte costituzionale censura la pena
accessoria fissa per il reato di bancarotta fraudolenta. Una decisione a «rime possibili»,
in Quaderni costituzionali, 2019, n. 1, 183ss.
     (45) R. BIN, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un
recente scritto di Andrea Morrone, in Quaderni costituzionali 2019, n. 4, 760.
     (46) M. MASSA, Corte costituzionale e minimalismo, in Questione Giustizia 2020,
n. 4, 59.
     (47) M. RUOTOLO, Corte costituzionale e legislatore, in Diritto e società 2020, n. 1,
71.
     (48) M. RUOTOLO, L’evoluzione delle tecniche decisorie della Corte costituzionale
nel giudizio in via incidentale. Per un inquadramento dell’ord. n. 207 del 2018 in un
nuovo contesto giurisprudenziale, cit., 664. Non è, dunque, tanto della Corte di cui
bisognerebbe occuparsi, quanto del Parlamento: perché fintanto che quest’ultimo
512                                      Articoli

leggi, l’essere ormai giunti «al punto di massima espansione della forza
normativa della giurisprudenza» (49). Due atteggiamenti (l’uno difensivo,
l’altro accusatorio) che sottendono due contrapposte visioni della Corte:
come giudice dei diritti, il primo, in un contesto di «ansia di giustizia, legata
al senso di solidarietà verso ogni persona umana» (50); e come controllore
della legge, il secondo, «nella parte in cui la tutela del diritti non è sufficien-
temente assicurata» (51).

      4.2.   Esigenze di collaborazione.
    La nuova linea di sviluppo avviata con le ordinanze di rinvio è, come si
è detto, ispirata dalla volontà di rafforzare il dialogo con i destinatari delle
pronunce costituzionali (legislatore e giudici comuni), senza rinunciare alla
funzione di garante della Costituzione.

non sarà curato, non ci sarà altra scelta per la Corte se non quella di intervenire. Solo
curando il legislatore, rendendolo di nuovo capace di reale mediazione politica, la
Corte potrà tornare nel suo alveo naturale.
      (49) A. MORRONE, Finale di partita. Cosa davvero vuole la Corte costituzionale con
l’ord. n. 97 del 2021 sull’ergastolo ostativo, in Consultaonline 2021, fasc. II, 391. Ma già
in ID., Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte
costituzionale, in Quaderni costituzionali 2019, 251ss. L’A. collega la censura verso
questa eccessiva forza espansiva della giurisprudenza costituzionale a un problema di
anacronismo legislativo, ossia al fatto che la legge n. 87 del 1953, rimasto immutato,
non si giustifica più rispetto alle riscritture puntuali ad opera della Corte costituzio-
nale. Su quest’ultimo tema, ma in una prospettiva diversa, v. anche R. BIN, Sul ruolo
della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea
Morrone, cit., 759 («che la Corte talvolta cerchi qualche soluzione, almeno nei casi più
urgenti, può non piacere (e non piace neppure a me), ma non mi sembra sintomo di
“suprematismo”, cioè di un progetto di estensione dei propri confini») e M. RUOTOLO,
Corte costituzionale e legislatore, cit., 69. (l’esigenza di rendere giustizia costituzio-
nale «ben può legittimare non solo letture evolutive delle regole del processo costi-
tuzionale, come senz’altro accaduto nel recente periodo, ma anche l’ideazione di
tecniche decisorie più efficaci»).
      (50) G. SILVESTRI, Del rendere giustizia costituzionale, cit., 40 («La funzione della
Corte non è quindi quella di operare un confronto astratto e accademico tra due
norme, ma quella di risolvere un problema concreto di costituzionalità, vale a dire
introdurre nell’ordinamento una nuova disciplina di una fattispecie o per ablazione
radicale di una norma esistente — e conseguente espansione di altre norme del
contesto — o per ablazione parziale e sua trasformazione da come è a come deve
essere [...]»).
      (51) R. BIN, Il giudice, in BioLaw Journal - Rivista di BioDiritto, Special Issue,
2019, n. 2, 188-189 («La ricca tipologia di pronunce che la Corte ha elaborato per
assicurare questo risultato [tutela dei diritti] è notissima, ma resta evidente che, nel
modello costituzionale, ciò non trasforma la Corte costituzionale nel “giudice dei
diritti” [...]. Il compito di tutelare i diritti resta saldamente attribuito al giudice
ordinario, mentre la Corte costituzionale interviene per aiutare il giudice a smussare
la legislazione ordinaria in modo che possa essere applicata senza disapplicare la
Costituzione»).
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