Giovanni Battista Ferrari

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Giovanni Battista Ferrari
BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI GENOVA – PERCORSI TEMATICI

                        UNIVERSALITAS & PERVASIVITAS
                        IL COSTITUIRSI E DIFFONDERSI DELLA   S.J. E SUOI ECHI (1540 - 1773)
                        di A. Pisani

                        Schede autori Attività missionaria

Giovanni Battista Ferrari
Nacque a Siena: la sua data di
nascita oscilla, nelle fonti, tra il 1582
ed il 1585. Nei vari documenti che lo
riguardano, contenuti nei Catalogi
dell'Archivum Romanum Societatis
Iesu, viene più volte citata una
precisa data di nascita, il 1º maggio
1585; questa è, però, smentita da
altri nei quali, calcolando l'età, la
data viene spostata al 1582 o al
1584.

Il F. giunse a Roma ed entrò nella
Compagnia di Gesù il 24 apr. 1602;
divenne professo il 30 maggio 1621.
Dopo i primi quattro anni di
teologia, studiò filosofia con
Giuseppe Agostini tra il 1606 ed il
1611 al Collegio Romano, dove nel
1608 già insegnava umanità. Oltre a
seguire i corsi normali, studiò siriaco
al collegio maronita con Pietro
Metoscita         negli anni 1615-16.
Dal 1612 al 1616 insegnò
grammatica agli studenti di primo
anno del collegio maronita, dove fu
prefetto di studi dal 1616 al 1619.
Nel 1618 divenne insegnante di
ebraico al Collegio Romano, carica
che mantenne per ben ventotto anni,
fino al 1647; nel frattempo, tra il 1615 ed il 1622, continuava a insegnare grammatica e lettere nello
stesso istituto. I giudizi di valore dei Catalogi dell'Archivum Romanum Societatis Iesu lo stimano,
fino al 1625, appena sufficiente nel suo insegnamento. Negli anni successivi, invece, la sua attività
didattica venne valutata in maniera più positiva, ed il F. continuò ad alternare l'insegnamento di
grammatica e lettere a quello di ebraico sia al Collegio Romano sia a quello maronita, dove nel
1628 era ancora prefetto di studi. Dalle varie notizie dell'Archivum Romanum Societatis Iesu si
ricava anche che il F. non godeva di buona salute ed era di tendenza malinconica o flemmatica.

Le fonti accennano a una sua notevole erudizione teologica, alla quale si accompagnava una intensa
attività di oratore e predicatore, che trovò espressione in numerose pubblicazioni delle sue prediche.
La sua conoscenza delle lingue orientali, in particolare quella araba, venne tenuta nella dovuta
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                       UNIVERSALITAS & PERVASIVITAS
                       IL COSTITUIRSI E DIFFONDERSI DELLA   S.J. E SUOI ECHI (1540 - 1773)
                       di A. Pisani

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considerazione, tanto che fu chiamato a far parte della congregazione cardinalizia nominata da
Urbano VIII per la traduzione della Bibbia in lingua araba. Ma presto il vero interesse del F.,
l'orticoltura e la botanica, prese il sovravvento, ed egli fece di questa passione, che coltivava
assiduamente, il centro dei suoi interessi, alimentato da una conoscenza profonda di tutta la
letteratura botanica dall'antichità ai suoi giorni.

Il F., come narra nel suo De florum cultura, conosceva bene i giardini romani, che visitava
annotando accuratamente le specie di piante insolite, e aveva accesso nella società romana erudita
dell'epoca, soprattutto quella interessata all'architettura e alle scienze naturali. Legato alla cerchia
dei Barberini, al cardinale Francesco soprattutto, che aveva un giardino di piante rare, conosceva
personaggi importanti dei mondo artistico contemporaneo ed era legatissimo a Cassiano Dal
Pozzo, nella cospicua biblioteca e nel famoso "Museo cartaceo" del quale aveva libero accesso e col
quale mantenne una intensa corrispondenza erudita dal 1632 al 1654, coinvolgendolo nelle sue due
più importanti imprese editoriali; attraverso Cassiano, aveva contatti con Federico Cesi ed i primi
Lincei; fu inoltre in rapporti con Cl. Fabri de Peiresc e con quei pittori ed incisori che adornarono
di incisioni le sue opere maggiori.

Alcune fonti genericamente elogiative affermano che il F. si distinse per lo spirito e per la varietà
delle sue conoscenze; i giudizi dei suoi confratelli su di lui, invece, a parte le suddette valutazioni
sullo studio e sull'insegnamento, non furono sempre benevoli. Sicuramente il F. godeva
dell'amicizia del preposito generale Muzio Vitelleschi e dei vari Famiano Strada, Vincenzo
Guinigi, Terenzio Alciati; tuttavia nell'Archivum Romanum Societatis Iesu, Censurae librorum
1650-1654, n. 668, ff. 327-334, dopo alcuni brevi giudizi positivi di vari gesuiti su opere del F., è
contenuto (ff. 333 s.) un lungo giudizio pesantemente critico dell'intera sua opera da parte di Luigi
Spinola (al secolo Ottavio, genovese, professore al Collegio Romano e confessore di Clemente IX),
datato 28 sett. 1650. Il confratello, dopo averlo giudicato "aut prae adulescentia immaturum, aut
prae senio iam deficiens ...", elenca le opere del F., che proprio in quell'anno era tornato nella città
natale, non salvandone nessuna e accusandolo di volta in volta di mancanza d'ingegno, di
presunzione, di scarso decoro religioso, di mediocrità, di continuo autoincensamento, di sterilità;
pone poi in dubbio le sue qualità (la perizia nella lingua ebraica) e finisce per concludere che tanta
fatica nel produrre opere così numerose era stata male collocata.

A parte la pubblicistica erudita, dove forse i giudizi dello Spinola, pur se eccessivamente malevoli,
trovano qualche giustificazione nello stile a volte fastidiosamente pletorico del F., il confratello non
poteva valutare appieno, e anzi, in chiave di austerità religiosa e scientifica postgalileiana, era
portato a giudicare in termini severamente negativi il F. come uno degli epigoni, anche se non il
maggiore, di quell'importante movimento culturale facente capo a Cassiano Dal Pozzo che, nella
prima metà del Seicento, poneva grande attenzione allo studio dell'antichità e delle scienze naturali
e che fu alla base della nascita dell'Accademia dei Lincei e all'origine delle grandi collezioni
museali. Non era quindi in grado, lo Spinola, di apprezzare la partecipazione del F. all'impulso che
quella corrente, partendo da una riconsiderazione dell'antico e dall'osservazione e dallo studio della
natura, seppe dare all'arte, alla scienza ed alla cultura contemporanee.
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                      IL COSTITUIRSI E DIFFONDERSI DELLA   S.J. E SUOI ECHI (1540 - 1773)
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Il F. alternò a volumi impegnativi la pubblicazione di alcuni saggi d'occasione: nel 1612 componeva
e pubblicava a Roma una Laudatto Marsilis Cagnati medici praestantissimi, in eius funere habita.
Il codice Barb. lat. 1953 della Biblioteca ap. Vaticana contiene la tragedia Remus captivus,
composta dal F. e rappresentata, a quanto si deduce dal codice, nel 1614. La composizione è
conservata anche nel Barb. lat. 1695, accompagnata da una lettera al cardinale Maffeo Barberini
sulla tragedia, in una scrittura molto particolare e molto bella che è eguale a quella di un altro
codice vaticano, il Barb. lat. 1749, cc. 159-165v, contenente Aetas florea, sive Oratio I. B. Ferrarii
de laudibus virorum principium qui, sedente Urbano VIII, Romae florebant, che nel primo foglio
porta in margine disegni di fiori ed api, opera probabilmente di uno scriba barberiniano. La scrittura
è la stessa che si incontra ancora nel commento sovrastante alcune incisioni del De florum cultura.

Il F. pubblicò poi due orazioni sull'avvento dello Spirito Santo del riminese Gerolamo Sabbatini
(nel 1617) e di Giulio Gabrielli romano (1622), entrambi facenti parte del Seminario romano. Nel
1622 dette alle stampe a Roma il Nomenclator Syriacus, un dizionario che aveva lo scopo principale
di spiegare i termini siriaci della Bibbia.

Non mancarono le accuse di incompetenza linguistica. Tuttavia, nella prefazione all'opera il F.
afferma di essere stato aiutato da Isaac Sciadrense, un maronita, che era stato suo allievo al Collegio
Romano ed era professore di siriaco, e dal suo antico maestro e allora collega di insegnamento
Pietro Metoscita; aggiunge poi di avere attinto per le parole tradotte a manoscritti del collegio
maronita di Roma, della Biblioteca ap. Vaticana e della Biblioteca Medicea di Firenze.

Nel 1623 pubblicava a Roma De Christi liberationis obitu, oratio, ristampata sempre a Roma nel
1641 e a Neuburg nel 1724, in un'antologia di cinquanta orazioni sulla morte di Cristo tenute da
gesuiti.

Nel 1625 il F. dava alle stampe un discorso sull'avvento dello Spirito Santo, dedicato a Urbano VIII,
tenuto da Giuseppe Zato, fiorentino, convittore del Seminario romano. Nello stesso anno pubblicava
a Lione le Orationes XXV, dedicate al cardinale Alessandro Orsini, con frontespizio inciso da
Federico Greuter su disegno dei Domenichino; la stessa opera, insieme con altri nove discorsi, fu
edita a Milano nel 1627, a Roma nello stesso anno con altri tre e, quindi, a Colonia, a cura di
Bernhard Rottendorf.

Quest'ultima edizione venne replicata, sempre a Colonia, con frontespizio inciso da Peter Troschel,
nel 1650. Una "quarta" edizione dell'opera fu stampata a Roma da Pietro Antonio Facciotti nel 1635
e da quest'ultimo dedicata al card. Francesco Barberini, con frontespizio inciso da Francesco Cimi,
su disegno di Francesco Romanelli, con approvazione di Muzio Vitelleschi, generale dei gesuiti.
Seguirono un'edizione di Venezia del 1644, una del 1653 senza indicazione di luogo, due di Londra
del 1657 e del 1668, ed infine una ristampa dell'edizione di Colonia (Vilnac 1730). Nelle Orationes
ilF. inizia a palesare il suo evidente interesse per piante e fiori, con un breve excursus su ville e
giardini romani; ad esso alterna alcuni panegirici di santi e quattro orazioni sulla lingua e lo stile
letterario ebraico.
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Nel 1633 il F. pubblicò a Roma, grazie anche all'assistenza economica e al mecenatismo del card.
Francesco Barberini, il De florum cultura, opera sontuosa corredata da quarantasei incisioni, i cui
rami furono disegnati da Pietro da Cortona, Guido Reni, Andrea Sacchi, ricordati nella prefazione,
ed incisi da Federico Greuter e Claude Mellan; Anna Maria Vaiani, nota per essere stata una
corrispondente di Galileo, delineó ed incise una tavola.

I progetti di giardini incisi (pp. 25-37) sono sormontati da una spiegazione, nella quale si ritrova lo
stesso italico particolannente bello e curato che s'incontra nel manoscritto vaticano del F. già
ricordato. Altre incisioni, tutte di ottima qualità, riguardano utensili di giardinaggio, fiori, bulbi,
vasi. L'opera, stampata da Stefano Paolini, è dedicata al card. Francesco Barberini. Una nuova
edizione con differenti illustrazioni fu curata da Berliard Rottendorff, medico dell'elettore di
Colonia, ad Amsterdam nel 1646; sempre ad Amsterdam sarà realizzata la nuova edizione del 1664.
Ludovico Aureli ne eseguì una traduzione italiana che fu pubblicata a Roma nel 1638, uguale nelle
incisioni all'edizione del 1633, dedicata ad Anna Colonna.

Nell'opera s'incontrano inoltre brevi descrizioni dei giardini più importanti conosciuti dal F. e di
piante di recente introduzione che si trovavano in tali giardini, mai prima trattate (per indicare la
corretta coltivazione di alcune piante americane il F. si avvalse dei consigli di due proprietari di
giardini romani: Tranquillo Romauli, specialmente, e Giovan Battista Martelletti, che aveva un
giardino al Gianicolo); vengono offerti inoltre consigli ed accorgimenti per la composizione di
mazzi, ceste e vasi di fiori per l'ornamento di interni, e per la conservazione di fiori recisi durante
lunghi viaggi.

Certamente alcune ricette suggerite sono fantasiose e inapplicabili; un grande sforzo prestò invece il
F. al sistema di classificazione delle piante descritte. Le incisioni riguardanti piante e fiori erano
ricavate da disegni che provenivano dal "Museo cartaceo" di Cassiano Dal Pozzo, che il F. non
cessa di lodare e ringraziare; il gesuita inserisce nell'opera anche un'occasionale lode di Fabri de
Peiresc, che pure si interessava di fiori. A riconoscimento dei suoi meriti nel campo della botanica
Linneo dedicherà al F. una pianta di origine sudafricana, che chiamò Ferraria.

Nel 1646, sempre a Roma, a spese dell'editore Hermann Scheus e per il tipografo Vitale Mascardi,
il F. pubblicò una seconda opera di carattere botanico, un cospicuo volume sulla coltura degli
agrumi, sotto il titolo mitologico Hesperides, sive De malorum aurerum cultura et usu libri IV.

L'opera è un saggio di tassonomia e'classificazione degli agrumi (divisi in limoni, aranci e agrumi
inalfarmati, cioè "mala citrea"), sulla loro origine, terminologia e coltivazione, sui luoghi di
diffusione in Europa e nel mondo, ricca di richiami mitologici, ma anche di note importanti dal
punto di vista etnografico; ad essa il F. lavorò più di dieci anni. La sua vicenda editoriale è descritta
nelle Notizie diverse di Cassiano Dal Pozzo contenute nel codice 39 della Biblioteca Corsiniana, dal
quale emerge la considerevole parte avuta da Cassiano nella progettazione e preparazione
dell'opera, e nel quale, al f. 1, è riportato il contratto con l'editore, Hermann Scheus, per la
pubblicazione.
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Il volume è ricco di incisioni eseguite sulla base di disegni dei più celebri maestri contemporanei da
C. Bloemaert, Claude Goyrand, Camillo Cungi, Federico Greuter e Dominique Barrière, tavole
incise incluse nell'opera e delineate da François Perrier, Nicolas Poussin, Pietro Paolo Ubaldini,
Francesco Albani, Andrea Sacchi, Francesco Romanelli, Filippo Gagliardi, Guido Reni, Domenico
Zampieri (Domenichino), Giovanni Lanfranco, Girolamo Rainaldi e raffiguranti scene mitologiche,
sculture, bassorilievi, serre (quali le. orangeries presenti nel giardino del cardinale Carlo Pio, in
quello Aldobrandini, in quello del cardinale Marcello Lante ed in quello del duca di Parma).
L'antiporta è incisa da F. Greuter su disegno di Pietro da Cortona. Non firmate risultano invece le
incisioni raffiguranti fiori, piante (le varie specie di agrumi) e arnesi da innesto, di cui si ipotizza la
probabile parziale attribuzione a Vincenzo Leonardi e Domenico Bonavena. Qua e là ricorrono
citazioni di illustri botanici dell'epoca e dei loro esperimenti.

A fornire al F. molte notizie e tutte le immagini fu Cassiano Dal Pozzo: non si va lontano dal vero
dicendo che Cassiano fu il vero editore scientifico dell'opera; oltre a fornire il materiale per le
incisioni, egli curò i rapporti, anche economici, con l'editore Scheus e con gli artisti che
disegnarono le tavole. Per compilare l'opera, il F. si avvalse anche dei consigli di Pietro Della Valle.
Nel gennaio 1642 il F. inviò al Poussin, tramite Cassiano, il frontespizio delle Hesperides,
composto da Pietro da Cortona, e quattro fogli di disegni rappresentanti agrumi, nella speranza di
ottenere il permesso di una dedica a Luigi XIII, re di Francia, alla quale sarebbe dovuto
corrispondere un premio in denaro. Poussin si adoperò vanamente per l'una cosa e l'altra, e il F.
attese inutilmente finche, nel 1646, il libro fu pubblicato a Roma senza la dedica né la somma
sperata. H. Grube pubblicò un riassunto dell'opera, sotto il titolo Analysis mali citrei compendiosa,
Copenhagen 1688.

Sempre nel 1646 il F. pubblicò a Siena Collocutiones, ristampata nel 1652, con dedica ai suoi
compagni dell'Accademia degli Intronati.

L'opera contiene insieme con vari saggi su giochi militari, sul pugilato senese, sul calcio fiorentino,
sull'etnografia ebraica e sull'attività teatrale dei gesuiti a Roma, le due tragedie scritte dal F., Remus
captivus, pp. 126-198, e Romulus fundator, pp. 199-24. L'opera è costruita in forma di
conversazione tra il F. e Cassiano Dal Pozzo, del quale si ricordano frequentemente la biblioteca e
le numerose informazioni offerte al Ferrari. Si può dire che ancora una volta egli dà soltanto (e non
esita a riconoscerlo) forma letteraria a notizie e dati ricavati quasi esclusivamente da Cassiano. Per
il saggio sul calcio fiorentino, Florentinum harpastum, sive Calcis ludus, a fornire informazioni ai
due viaggiatori fu Giovanni Battista Doni.

In collaborazione con Sebastiano Conti il F. compose inoltre i Fasti Senenses, editi dopo la sua
morte nel i 660, con una dedica al papa Alessandro VII. I due autori firmarono l'opera con i nomi di
Amenus il primo e Compositus l'altro, assunti nell'Accademia degli Intronati. Tra le censurae
librorum dell'Archivum Romanum Societatis Iesu, Fondo Gesuitico 666, c. 318, si accenna a
un'altra orazione del F. intitolata De Lauretana domo.

Dopo aver pubblicato le Hesperides, la salute del F., già cagionevole, peggiorò. Ritiratosi nel 1647
nel collegio gesuitico di Tivoli, nel 1649 passò a Frascati per tornare definitivamente nel 1650 nella
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sua città natale, dove mantenne ancora per qualche anno la sua attività accademica (le Collocutiones
furono ristampate in questo periodo) e la sua corrispondenza erudita, soprattutto con Cassiano Dal
Pozzo.
Morì a Siena il 1º febbr. 1655.

Fonti e Bibl.: Documenti bibliografici e censure sul F. sono contenuti nell'Archivum Romanum
Societatis Iesu; la corrispondenza tra lui e Cassiano Dal Pozzo dal 1632 al 1654 è conservata
all'Accademia nazionale dei Lincei, Archivio dal Pozzo, Lettere di varii letterati a Cassiano dal
Pozzo, VI (4), cc. 332-438, e VIII, cc. 82, 84. Documenti di pagamento per artisti e incisori delle
tavole del De florum cultura sitrovano alla Biblioteca ap. Vaticana, Archivio Barberini,
Computisteria 49-50, e Giustificazione.
Si veda inoltre: L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, I, Siena 1824, p. 287; M. J.
Dumesnil, Histoire des plus célèbres amateurs italiens et de leurs relations avec les artistes, Paris
1853, pp. 483 ss.; G. Lumbroso, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo.... in Misc. di storia
italiana, XIII (1874), pp. 152, 163 s., 258 ss.; L. Quarré-Reybourbon, Les bouquets et l'assemblage
artistique des fleurs au XVIIº siècle, Lille 1897, pp. 6-11; R. G. Villoslada, Storia del Collegio
Romano, Roma 1954, p. 326; S. Martini, Nel tricentenario di G. B. F. (1584-1655), precursore
della citrografia e della pomologia, in Riv. della ortoflorofrutticultura, (1955), pp. 293 s.; G. B. F.
Einer der bedeutendsten Vorläufer der Pomologie, in Schweizer Garten, XXV (1955), pp. 348 s.;
G. Masson, Italian gardens, London 1961, pp. 182-185; S. Coggiatti, Giardinaggio a Roma nel
'600, in Strenna dei romanisti, XXXIX (1978), pp. 96-101; I. Belli Barsali, Una fonte per i giardini
del Seicento: il trattato di G. B. F., in Ilgiardino storico ital., Firenze 1981, pp. 222-234; D.
Freedberg, From Hebrew and gardens to oranges and lemons: G. B. F. and Cassiano dal Pozzo, in
Cassiano dal Pozzo, Roma 1989, pp. 37-72; Id., Cassiano, natural historian, in Il Museo cartaceo
di Cassiano dal Pozzo. Cassiano naturalista, s.l. 1989, p. 13; Id., Cassiano dal Pozzo's drawings on
citrus fruits, ibid., pp. 16-36; S. Schütze, Die Cappella Filomarino in Ss. Apostoli. Ein Beitrag zur
Entstehung und Deutung von Borrominis Projekt in Neapel, in Römisches Jahrbuch der Bibliothera
Hertziana, XXV (1989), p. 317; J. M. Merz, Pietro da Cortona: der Aufstieg zum führenden Maler
im barocken Rom, Tübingen 1991, pp. 326 ss.; A. Nicolò, Ilcarteggio di Cassiano dal Pozzo,
Firenze 1991, pp. 24 s.; D. Freedberg, F. on the classification of Oranges and Lemons, in
Documentary Culture: Florence and Rome from grand-duke Ferdinand I to pope Alexander VII,
(Villa Spellman Colloquia, 3), Bologna 1992; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de
Jésus, III, coll. 676-679; V, col. 1061; IX, coll. 331 s.; Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XVI, coll.
1217 ss.

Cfr.: voce Giovanni Battista Ferrari stilata da Massimo Ceresa per il Dizionario Biografico
degli Italiani
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Il Seicento, il “gran secolo”, è stato il secolo dello stupore, della meraviglia, della stravaganza; ha
visto il sorgere di un nuovo paradigma scientifico e culturale, non più organicistico ed olistico, ma
meccanicistico e tendenzialmente materialista; ha assistito all’affermarsi dell’assolutismo, ma anche
della monarchia parlamentare; ha salutato i fasti del cattolicesimo tridentino, il rinnovato fervore
                                                                       missionario, ma anche la
                                                                       silenziosa e capillare diffusione
                                                                       di società segrete volte alla
                                                                       radicale       scristianizzazione
                                                                       dell’Europa.

                                                                       Il Seicento, inoltre, insieme al
                                                                       Settecento, ha visto, per usare
                                                                       l’espressione       di     Serge
                                                                       Latouche,          l’”invenzione
                                                                       dell’economia”, nel senso che
                                                                       nel corso di esso si sono
                                                                       affermati i tre capisaldi del
                                                                       moderno              assolutismo
                                                                       dell’economia su ogni altra
                                                                       sfera della vita pubblica e
                                                                       privata:          l’immaginario
                                                                       economico, l’utilitarismo e il
                                                                       mercato; e, con esso, la
                                                                       superiorità dell’Europa sul
                                                                       resto del mondo, e quella
                                                                       dell’Europa nord-occidentale,
                                                                       che puta sul grande commercio
                                                                       e sulle banche, sul resto del
                                                                       continente, che, invece, attua
                                                                       un vero e proprio ritorno al
                                                                       feudalesimo.
                                                                       Pienamente               conscio
                                                                       dell’importanza dell’economia
                                                                       è, fra i pensatori politici
                                                                       seicenteschi, Giovanni Botero
                                                                       (1544-1617), che, scrivendo i
                                                                       dieci libri del suo trattato
«Della ragion di Stato», volle essere l’anti-Machiavelli, ma che, ironia della sorte (o ambiguità del
suo pensiero), è passato alla storia come il teorico di quella cinica e prepotente “ragion di Stato” in
nome della quale si direbbe che qualsiasi cosa, anche la più turpe, e magari commessa a danno degli
stessi cittadini, diventi lecita e possa trovare giustificazione.

L’ossessione della predestinazione pungola, nel Seicento, il cittadino nord-europeo ad accumulare
indizi circa il proprio destino dopo la morte: per dirla con Max Weber, lo spirito del capitalismo
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                       IL COSTITUIRSI E DIFFONDERSI DELLA   S.J. E SUOI ECHI (1540 - 1773)
                       di A. Pisani

                       Schede autori Attività missionaria

permea tutta l’etica protestante (e viceversa); mentre il senso del peccato e, contemporaneamente, il
senso della tragica labilità delle cose, attanaglia l’uomo sud-europeo: l’uno e l’altro profondamente
angosciati e propensi a sfogare le proprie inquietudini attraverso un attivismo e un dinamismo senza
precedenti, spesso colorati di utilitarismo.

Nel Seicento l’atmosfera è statura di sensualità: perfino le estasi dei santi e delle sante, come si vede
nella scultura di Lorenzo Bernini, sembrano delle estasi sessuali; le descrizioni della flora e della
fauna esotiche di un Daniello Bartoli (nella «Istoria della Compagnia di Gesù») sono talmente
vivide e corpose, che sembra quasi di vedere, di toccare, di odorare le creature ed i paesaggi esotici
rappresentati con straordinario sfarzo linguistica.

La sensualità, faccia nascosta - ma neppure tanto - della religiosità esasperata, fa capolino
dappertutto, anche dove meno ci si aspetterebbe d’incontrarla: una donna indemoniata che viene
sottoposta, in chiesa, al rito dell’esorcismo, rivela, nella poesia di Claudio Achillini, una dimensione
conturbante di erotismo, quale difficilmente si troverebbe in tante donne stilizzate e più o meno
angelicate della tradizione stilnovista e petrarchesca.
Il Seicento è anche il secolo della botanica, che sviluppa e porta a maturazione gli stimoli del
grande Andrea Cesalpino (Arezzo, 1519-Roma, 1603), il quale, al principio del secolo, nel 1603,
con il suo «De plantis», aveva studiato e perfezionato un nuovo schema di classificazione del
mondo vegetale.
Giungono, dalle terre e dai mari più lontani, esemplari di piante tropicali; si costruiscono e si
ingrandiscono orti botanici, giardini, labirinti vegetali, ora per amore della scienza, ora per la gioia
della vista e del’olfatto, ora per il capriccio e la stravaganza di qualche ricco signore, di qualche
spirito bizzarro.
La flora esotica (ma anche la fauna, l’abbigliamento, l’architettura esotiche), specialmente se
“strana” e vagamente mostruosa, sollecita la fantasia, accende l’immaginazione nella direzione
della meraviglia, in quella strana e ambigua regione dello spirito ove il bello confina col deforme ed
il sublime trapassa nell’orrido; un sentore di “serre calde” (come dirà, due secoli dopo, Maurice
Maeterlinck), un compiacimento di ciò che fermenta, che si espande fuori della norma, che
trascolora dall’affascinante al pauroso, si diffonde e soppianta il gusto delle cose ordinate, levigate,
armoniose, come lo era il classico giardino all’italiana.
Questa sensualità, che non è necessariamente sinonimo di erotismo, investe ogni aspetto della vita e
della cultura; nella pittura, ad esempio, si manifesta nell’immagine di un uomo del popolo che
mangia con voluttà, seduto a tavola, servendosi generose cucchiaiate di cibo («Il mangiafagioli» di
Annibale Carracci), oppure nel fasto delle pieghe e nel trionfo coloristico delle vesti delle figure
umane, sia nei soggetti sacri che in quelli profani (come nei personaggi femminili del corteo
dell’«Aurora» di Guido Reni).
Il gusto della corposità, del colore, delle forme ricercate e inusuali, invade anche l’ambito del
mercato librario: il libro seicentesco, con le sue grandi illustrazioni a vivaci colori, curatissime fin
nei particolari e sempre caratterizzate dalla sensualità e dall’anticlassicismo, si insinua fin nei
trattati botanici, sforzandosi di riprodurre e trasferire sulla carta le forme e le varietà dei giardini,
degli erbari, dei vivai e quasi, se ciò fosse possibile, di farne sentire il profumo, sì da avvolgere
interamente il lettore nella loro atmosfera ricca di aromi.
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Fra i botanici del Seicento spicca, quale interessante figura di poligrafo e linguista, il gesuita
toscano Giovan Battista Ferrari (nato a Siena nel 1584 e morto, sempre nella sua città, nel 1655), il
quale fu, oltre che un valente grecista e latinista, anche un insigne orientalista, che scrisse un
vocabolario di latino-siriaco e tenne la cattedra di ebraico presso il Collegio Romano, per ben
ventotto                                                                                          anni.
Pur non avendo la sbalorditiva varietà d’interessi di un altro famoso gesuita del suo tempo, il
tedesco, ma trapiantato a Roma, Athanasisu Kircher (1602-1680), Ferrari nondimeno padroneggiò
con grande competenza almeno due ambiti culturali: l’antico ebraico e la botanica; ma è in
quest’ultimo che ci ha lasciato due opere veramente pregevoli e così rappresentative della curiosità
e del gusto estetico seicentesco: «De florum cultura», in quattro libri, del 1633, tradotta e stampata
in      italiano      cinque     anni       dopo;       e      le     «Hesperides»,      del     1646.
Quanto al contenuto, il pregio principale dell’opera è quello di aver tracciato una interessante storia
della botanica e del giardinaggio, con una particolare attenzione per le specie esotiche; per quanto
riguarda l’apparato iconografico - quattordici tavole incise su rame e perfettamente curate dal punto
di vista scientifico, per un totale di ottanta immagini di piante e frutti - sono una vera festa per
l’occhio del lettore.
Le splendide illustrazioni, in effetti, sono il risultato della collaborazione di alcuni fra i maggiori
artisti dell’epoca: i disegni sono opera di Guido Reni, Pietro da Cortona, Nicholas Poussin,
Giovanni Lanfranco e Andrea Sacchi, mentre le incisioni sono dovute a Johann Friedrich Greuter,
Anna Maria Vaiana e Claudio Mellan, Cornelis Bloemaert.
Così la figura e l’opera di Giovan Battista Ferrari vengono delineate da Massimiliano Rossi (in:
Folco Zanobini, «Il presente della memoria», Editrice Bulgarini, Firenze, 1990, vol. 2, p. 546):

«Possiamo considerare tra le opere più preziose dell’editoria seicentesca i due trattati di botanica,
giardinaggio e floricoltura del Padre gesuita Giovan Battista Ferrari, la “De Florum Cultura” del
1633 e le “Hesperides, sive de malorum aureorum cultura et usu” del 1646.
Il Ferrari iniziò la sua formalistica a Siena, ove era nato nel 1584, ma appena ventenne, terminati gli
studi, si trasferì a Roma, dove gi fu affidata la cattedra di ebraico al Collegio Romano. Fu umanista,
orientalista, letterato, pubblicò opere a carattere religioso, tragedie, opuscoli su aspetti vari del
costume del tempo e coltivò, inoltre, per tutta la sua vita, gli studi botanici.
Il trattato sui fiori (che fu anche tradotto in italiano nel 1646 [sic], col titolo: “La Flora, ovvero la
cultura dei fiori” si caratterizza per lo stretto rapporto fra il testo, che denota una circostanziata
osservazione botanica, e le illustrazioni delle specie floreali: quattordici tavole incise su rame.
Le essenze vegetali sono rappresentate recise, mentre un cartiglio su cui è apposto il nome
scientifico si snoda intorno allo stelo. Sebbene le illustrazioni si caratterizzino per la loro
scrupolosità scientifica, l’artista è riuscito a giocare con linee e forme, rendendo l’immagine
pienamente godibile anche dal punto di vista estetico. La descrizione dell’ibisco è particolarmente
minuziosa ed è arricchita dalla rappresentazione grafica del seme visto al microscopio: prima
immagine stampata di un vegetale osservato con lo strumento che proprio intorno al 1626 iniziava
ad essere usato nella cerchia degli Accademici Lincei.
Il testo non si limita alla didascalia scientifica ma si dilunga nella progettazione di giardini, di
labirinti vegetali, di aiuole a forma di stella, cerchio, ottagono, svelando “segreti” per la tintura dei
fiori e “artifici” per ottenere “fiori crespi” o di dimensioni e fogge strane e bizzarre. Il successivo
trattato del Ferrari risulta una esauriente indagine sugli agrumi, in cui l’autore si sofferma sulla
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classificazione e descrizione delle specie e sulle regole per la loro sistemazione nei giardini.
Nelle ottanta immagini gli agrumi sono rappresentati a piena pagina, con il peduncolo ancora
attaccato al ramo, la foglia ben visibile e il consueto cartiglio a nastro. L’incisore è riuscito a
ricreare superfici corrugate o piene di protuberanze, talora invece ha voluto suggerire la levigatezza
e la lucentezza dei frutti.
Il gusto per la rarità, per la stravaganza rintracciabile in natura coinvolge il naturalista senese che
indugia compiaciuto nella descrizione di frutti mostruosi. Ricordiamo, a questo proposito, che le
anomalie naturali erano spesso ottenute a bella posta con sofisticati procedimenti ed isolate
sull’albero quasi come pezzi da collezione.
I due trattati, come le analoghe opere contemporanee di scienze naturali e di giardinaggio, si
propongono come strumenti di “diletto”, secondo il principio di un apprendimento facile e
piacevole proprio della poetica barocca.
Una complessa attitudine intellettuale oscillante tra curiosità scientifica e gusto per la “meraviglia”
naturalistica comune a scienziati letterati contemporanei come Francesco Redi e Lorenzo
Magalotti.»

Gran secolo davvero, il Seicento, nel bene come nel male, nelle sue luci sfarzose come nelle sue
ombre inquietanti; secolo di trapasso e perciò di crisi, ma anche di laboriosa e ardita
sperimentazione, di affannosa ricerca d nuovi punti d’appoggio, di nuove strade da battere, di nuove
certezze in cui credere.
L’uomo seicentesco ha scoperto che il mondo è molto più grande di quello che si era per l’innanzi
creduto; che è molto più misterioso, molto più problematico, molto più contraddittorio: o, per dir
meglio, è lui che incomincia a vederlo così, dopo che le sue antiche sicurezze sono state scalzate,
una dopo l’altra, dal progresso inarrestabile (ma è vero progresso?) della scienza, della tecnica,
dell’economia, della finanza, del “libero pensiero”; dopo che il fiducioso movimento del
Rinascimento si è spento e nuove inquietudini, nuove insoddisfazioni, nuove curiosità lo hanno
sospinto lontano dai vecchi lidi, alla ricerca di qualcosa che lui stesso non saprebbe definire.
Così, tra fremiti di ribellione, come in molta parte della lirica marinista, e inattese nostalgie
classiciste, come nella pittura di Claude Lorrain e Nicholas Poussin, c’è spazio anche per i dotti e
pur affascinanti trattati di botanica di Giovan Battista Ferrari, orientalista di professione e
naturalista a tempo perso, che uniscono l’acribia scientifica dello studioso e il vigoroso senso
estetico di un gruppo di eminenti pittori ed incisori, fra i maggiori del tempo.
Anche se non viaggiò in paesi lontani, Ferrari si fece una eccellente cultura floristica occupandosi
dei giardini privati del cardinale Francesco Barberini, gli Horti Barberini, in una Roma che, del
resto, conservava fin nel suo cuore più antico ampi squarci di verde “selvatico” (si pensi che, ancora
nella prima metà dell’Ottocento, il Foro Romano era noto come Campo Vaccino e utilizzato per il
pascolo delle mucche); pur entro spazi ristretti, l’uomo seicentesco sognava orizzonti sconfinati…

Cfr.: Botanica e barocco: il caso di Giovan Battista Ferrari, gesuita, di Francesco Lamendola
creato: 01/12/2011, tratto da: Arianna Editrice [scheda fonte]
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