Giannone, Antonio Lucio (a cura di), Vittorio Bodini fra Sud ed Europa (1914-2014). Atti del Convegno Internazionale di Studi. Lecce, Bari 3-4 ...
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RESEÑAS Cuadernos de Filología Italiana ISSN: 1133-9527 http://dx.doi.org/10.5209/cfit.69127 Giannone, Antonio Lucio (a cura di), Vittorio Bodini fra Sud ed Europa (1914-2014). Atti del Convegno Internazionale di Studi. Lecce, Bari 3-4 dicembre 2014, Nardò (Lecce), Besa, 2017, 2 tomi, 722 pp. «Il Sud ci fu padre / e nostra madre l’Europa». Questi versi di Vittorio Bodini, tratti da Dopo la luna del 1956, hanno ispirato il titolo del convegno internazionale celebrato, in occasione del centenario della nascita, nel dicembre 2014 a Lecce e Bari e poi del pon- deroso volume che ne raccoglie gli atti, pubblicato dall’editore pugliese Besa nel 2017. Come spiega il curatore Antonio Lucio Giannone nella Prefazione, sono questi, infatti, i due poli geografici, culturali, esistenziali che hanno segnato la personalità multifor- me di Vittorio Bodini (Bari 1914 – Roma 1970), poeta, narratore, ispanista, traduttore, saggista militante. Eppure quella di Bodini è ancora una figura poco conosciuta e poco studiata, vittima – sottolinea ancora Giannone – di un’ingiusta “dimenticanza” dovuta certo alla morte prematura, o al fatto che una parte importante della sua opera, quella in prosa, sia rimasta a lungo dispersa in sedi editoriali di difficile accesso. Ma anche a un fraintendimento a cui non si sono sottratti nemmeno alcuni critici prestigiosi: il presunto regionalismo della produzione letteraria di questo autore, che invece, muovendo dal Sud del Sud, il suo Salento, e con un occhio di riguardo all’amata Spagna (nella quale lo scrittore passa tre anni, dal ’46 al ’49, intensi e seminali), ha saputo dialogare con il cuo- re stesso, con le inquietudini più urgenti della cultura europea del secondo dopoguerra. D’altronde, come ben dice Valter Leonardo Puccetti nel suo saggio, «come ogni vero artista Bodini onora la sua terra trascendendola, universalizzandone i segni» (p. 147). Per molti Bodini è stato soprattutto lo studioso del Barocco e del surrealismo spagnoli e lo straordinario traduttore, tra gli altri, di Cervantes e Lorca. Da qualche anno però, anche grazie al lavoro meritorio di uno studioso come Giannone, che in questo prosegue l’opera di chi lo ha preceduto nell’ateneo salentino (Ennio Bonea e Aldo Vallone, in primis), iniziative di ricerca (svolte anche intorno al ricco Archivio Bodini conservato presso quella stessa università) e proposte editoriali, non solo accademiche – la collana dedicata “Bodiniana”, in cui è inserito questo volume –, si propongono di ricollocare lo scrittore leccese nella posizione che gli spetta, di diritto, nel panorama letterario del Novecento italiano, e dunque europeo. Il libro che qui ci occupa, per la quantità e qualità dei contributi raccolti, rappre- senterà senz’altro un punto di riferimento per chiunque voglia accostarsi alla figura di Bodini. In tal senso, esso idealmente riprende e amplia – con una continuità con- fermata anche dalla presenza di alcuni nomi di “bodiniani” di lungo corso, accanto ai quali troviamo quelli di più giovani e non meno agguerriti studiosi – il discorso cominciato, ormai più di trent’anni fa, da un’altra preziosa raccolta di atti, curata da Macrì, Bonea e Valli, dal titolo Le terre di Carlo V. Studi su V. Bodini. In questa sede vorremmo dar conto di ognuno dei 35 saggi contenuti nei due tomi che conformano il volume, sebbene lo si debba fare, obbligatoriamente, con estrema inclemenza compendiaria. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 327 QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 327 29/10/20 11:21
328 Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 Come già in occasione del triplice convegno bodiniano dell’Ottanta, anche nelle giornate leccesi del centenario è stato dato ampio spazio, com’è naturale, all’opera poetica. Il primo contributo, a firma di Giulio Ferroni, partendo dal dato ormai acqui- sito di una ininterrotta disponibilità alla sperimentazione della poesia bodiniana, si sofferma sull’alternanza tematica di luce e buio; sulla natura particolare della «noia» leccese, lontana dalle malinconie leopardiane e baudelairiane; sulla «disapprova- zione dell’esistere», destinata a mettere in discussione la consistenza del sé, nonché quella della parola e del dire. Stefano Giovannuzzi indaga, tra le raccolte La luna dei Borboni (1952) e Metamor (1967), la particolarità del «secondo Novecento» di Bo- dini, il quale muovendo dall’ermetismo trova nel surrealismo spagnolo gli strumenti «per disarticolare e ricomporre la rappresentazione del reale» (p. 39); interessanti le rispondenze con le esperienze coeve di Fortini, Zanzotto, Sereni, e con le note rifles- sioni vittoriniane su Industria e letteratura. Enrico Testa propone una prima, preliminare disanima della lingua poetica di Bo- dini, dal livello superficiale del lessico, in cui convivono la letterarietà più aulica e i termini appartenenti «al registro del parlato nelle sue varie iridescenze» (p. 59), alle risorse retoriche (metafora e similitudine, innanzitutto), al piano più propriamente testuale, l’analisi del quale rivela come «le ragioni o le pulsioni della frammenta- zione si scontrano con quelle del “legato”, il discontinuo si innesta sul continuo» (p. 67). Il saggio di Giannone, contravvenendo apparentemente al suo titolo-citazione, Mobili prospettive della poesia bodiniana, traccia un percorso lungo gli scritti sag- gistici pubblicati da Bodini tra il 1941 e il 1953, ovvero dopo il ritorno a Lecce da Firenze e prima della fondazione della rivista «L’esperienza poetica»: è la cronaca intellettuale e letteraria di una graduale apertura del poeta e del critico (le due figure non sono mai separate) al reale, alla polis, vicina alle posizioni che in quegli anni andava assumendo, tra gli altri, Montale. Segue la raffinatissima, e quasi per iniziati, ricognizione di Grammatica e topoi di un immaginario poetico tracciata, a partire dal “verso” e con dovizia di citazio- ni, rimandi e suggestioni, da Anna Dolfi; con un approdo sicuro: Bodini ha saputo registrare, «oltre ogni precedente surrealismo e ogni suggestione espressionista, il suono oltre il senso, dopo la scoperta esistenza dell’inesistenza, annichilente, del senso oltre il suono» (p. 104). Più circoscritto è l’oggetto dell’intervento di Dario Tomasello, che dopo aver ricordato la nota polemica scoppiata, dalle pagine de L’esperienza poetica a quelle di Letteratura, tra i vecchi sodali Bodini e Macrì, si sofferma su due recensioni che un quasi esordiente Giovanni Giudici pubblica nella prima rivista, a voler timidamente «negoziare un proprio statuto poetico», di qua o di là dalla «poesia post-ermetica o di quarta generazione, in seno alla quale Giudici non sarebbe comparso direttamente» (p. 113). Maria Teresa Pano rievoca «un’amicizia al veleno», quella tra Bodini e il corregionale Giacinto Spagnoletti: a partire dallo scambio epistolare tra i due, riferibile agli anni 1941-47, si arriva alla fatale rottura del 1953 provocata da una dura recensione del critico tarantino alla Luna dei Borboni cui sarebbe seguita la reazione, invero esagerata (ma in linea con una certa immagine tramandata di uomo dal carattere umorale e “saturnino”), di Bodini, il quale arrivò persino a mettere in atto una sorta di spedizione punitiva da Lecce a Milano, per prendersi la soddisfazione di schiaffeggiare, in pubblico, l’ex amico. Antonio Prete interviene sulla poesia bodiniana individuando tre nuclei-movi- menti: la funzione della luce, solare e lunare; la lontananza, ovvero l’orizzonte entro QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 328 29/10/20 11:21
Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 329 il quale la poesia si dà come riconoscimento; la traduzione intesa come esperienza di un incontro. Il bel contributo di Valter Leonardo Puccetti si appunta in particolare sulla raccolta Metamor, pubblicata nel 1967, interrogandosi sulla natura di un pos- sibile surrealismo bodiniano che, senza dimenticare il «piano della libertà umana e sociale» rivendicato in sede critica per i surrealisti spagnoli, esibisce con forza, nei suoi «materiali più compositi», il valore feticistico delle immagini (già rilevato da Adorno nei surrealisti francesi) e una retorica che diventa essa stessa materia del po- etare, per mezzo di un linguaggio indurito e straniante (Blanchot). Simone Giorgino raccoglie idealmente il testimone scrivendo di quello che avrebbe dovuto essere il frutto maturo della nuova stagione poetica bodiniana aperta da Metamor, ovvero la raccolta su cui lo scrittore stava lavorando negli ultimi anni della sua vita (uno dei titoli provvisori era proprio Metamor II): se da una parte il lavoro sui documenti dell’Archivio Bodini mette in rilievo alcune questioni filologiche non risolte dall’e- dizione di Macrì, dall’altra la lettura dello studioso conferma l’importanza della po- esia surrealista spagnola sull’ultimo Bodini, intento peraltro a sottolineare un certo «distacco dalla “dimora salentina”». Altri interventi della parte leccese del convegno hanno affrontato questioni più generali o settori diversi della produzione bodiniana. Andrea Battistini torna sul «de- mone gnoseologico» del barocco nella riflessione culturale, letteraria e antropologica dello scrittore: barocco come sinonimo di modernità, quindi ancora una volta in una dimensione che, se pure può partire ad esempio dall’horror vacui dell’architettura leccese, resta eminentemente europea. Ritroviamo il barocco, assieme al surrealismo europeo e alla riflessione sulle avanguardie e neoavanguardie letterarie (tutti mo- menti di «rivolta»), anche nel puntuale intervento di Fabio Moliterni, il quale mette a dialogo due personalità polimorfe di critici militanti, Bodini e Anceschi, entrambi fautori, con strategie diverse (non mancarono le polemiche, ad esempio intorno alla Linea lombarda individuata dal milanese) ma convergenti, di una controspinta alla crisi dell’ermetismo e del linguaggio lirico tradizionale in nome di un’idea di lette- ratura «aperta»; in appendice all’articolo si riportano anche alcune brevi lettere di Bodini ad Anceschi. Si occupa invece della prosa bodiniana Giuseppe Bonifacino, con un accento particolare sulla presenza del «nero senza forma della morte» in una parte dei rac- conti, dalle prime prove degli anni Quaranta (La coscienza d’Antina, Restauri) ai capolavori (Il Sei-dita, Il duello del contino Danilo), nonché in alcuni dei reportage dalla Spagna: se la morte diventa «il tempo» della prosa di Bodini, la specificità di quest’ultima sta anche nell’embricazione del «piano del reale, del suo logos, con la coltre madreporica di un’eccitata immaginazione fantastica» (p. 253). Anna Lucia Denitto allarga la visuale occupandosi degli articoli di tematica spagnola – dedicati, «in un gioco di specchi tra Italia e Spagna», a temi come l’esilio, la persecuzione degli oppositori politici, le nuove generazioni di poeti – che Bodini pubblica su Il Mondo di Pannunzio negli anni Sessanta, in un torno di tempo in cui prende avvio «quel lento ma profondo processo di delegittimazione culturale e di perdita del pro- getto politico di Franco» (p. 260). Restiamo in ambito “politico” anche con l’articolo di Franco Martina, nel quale si ricorda l’amicizia tra Bodini e Tommaso Fiore, «fon- data su un serrato confronto dialettico all’interno di un universo di ideali condivisi» (p. 275), con uno sguardo attento a mettere in evidenza in quale modo per lo scrittore leccese la scelta di una «terza via» riguardasse tanto la dimensione della politica quanto quella della poetica. QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 329 29/10/20 11:21
330 Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 Ettore Catalano passa in rassegna gli editoriali firmati da Bodini con lo pseudo- nimo L’Alcalde per la rubrica fissa «Saletta» de L’esperienza poetica: dopo aver ricordato l’importante lavoro della studiosa Armida Marasco, l’autore mette in evi- denza quanto in questi interventi, spesso punteggiati da un’ironia che arriva fino al sarcasmo, la vis polemica bodiniana sia al servizio di un tentativo di ripensamento radicale della tradizione lirica italiana, oltre «la falsa alternativa fra Ermetismo e Neorealismo marxista» (ancora la terza via di cui sopra), come scriveva il poeta nel primo e programmatico editoriale. Di taglio decisamente filologico – anzi con una vera e propria rivendicazione dell’importanza preliminare di un approccio ec- todico alla poesia bodiniana, troppo poco praticato –, ma all’insegna di una filolo- gia “carettiana” come tiene a specificare l’autore, è il contributo di Antonio Marzo. Ricostruendo l’iter testuale che va dalla prima raccolta d’autore, Un monaco vola tra gli alberi (1949), a La luna dei Borboni e Altre poesie (1962), lo studioso dimostra come questa sia in realtà «[l’]ultima e definitiva forma» che «assorbe e supera in sé tutte le fasi precedenti» di un lavoro di lunga durata e complessamente stratificato. Compiamo un ulteriore salto esegetico, che ci dice anche della polimorfia della figura di scrittore e intellettuale di cui ci occupiamo, con il saggio di Sonia Schilardi, dedicato ai “cromatismi” in Bodini, esperto di pittura e «critico d’arte autodidatta» (ma sappiamo che si cimentò anche nella tecnica grafica): diversi gli approcci possi- bili, dalla comparazione tra testo letterario e testo pittorico alla ricerca dell’influenza di artisti ammirati, all’esplorazione dell’uso dei colori nella produzione in versi e in prosa; e allora, ad esempio, il verde è «il colore principe della letteratura ispanica» (p. 327), ovviamente attraverso il magistero del poeta «più cromatico che il mondo conosca», come lo stesso Bodini definiva Lorca. Gli ultimi due capitoli si muovono in territori latamente filosofici: il lungo saggio di Carlo Alberto Augieri invita il let- tore a un tour de force ermeneutico che sembra assumere, metodologicamente, una delle responsabilità ivi attribuite al poeta: «alleggerire la lingua nel suo sovrapporsi convenzionale ed abitudinario alle cose» (p. 368); Giovanni Invitto compie invece un rapido travelling diacronico sull’opera poetica bodiniana in cerca delle tracce di una eventuale filosofia-esistenza «impastata» col verso. Il secondo tomo dà conto delle sessioni del convegno svoltesi nell’ateneo barese, nelle quali è stato concesso ampio spazio al Bodini ispanista. Il primo capitolo, affi- dato alla specialista Laura Dolfi, passando in rassegna le numerose e varie traduzioni e soffermandosi su alcuni luoghi significativi della poesia e della prosa di ispirazione spagnola, fornisce una visione generale dell’intenso lavoro e della relazione varia e veramente passionale che Bodini intrattenne con il paese che ebbe a definire «la mia seconda patria, forse la prima in un certo senso». Seguono due interventi di grande interesse sul Bodini traduttore-interprete for- se meno conosciuto, riscoperto grazie ai materiali conservati nel citato Archivio di Lecce, qui riprodotti in appendice ai rispettivi capitoli. Giuseppe Mazzocchi com- menta finemente la traiettoria del Bodini studioso e traduttore dell’amato Góngora, in particolare quello più «popolare»: si riportano, corredate di un apparato filologi- co essenziale ma che ci permette di seguire il lavoro in fieri sul testo, le splendide versioni di quindici componimenti del grande cordovano. Anche Paolo Pintacuda documenta il lavoro del traduttore-esegeta Bodini, questa volta esercitato sull’opera di un poeta quasi misconosciuto in Italia e solo apparentemente “minore” quale fu Manuel Machado: si tratta di 14 liriche che, corredate di un abbozzo di saggio, erano QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 330 29/10/20 11:21
Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 331 destinate all’antologia della poesia spagnola del Novecento progettata con Macrì e mai realizzata; il lettore può finalmente leggere queste traduzioni guidato dalla me- ticolosa analisi dello studioso. Ines Ravasini si concentra ancora sullo studioso di cose spagnole, ma rilevan- do – sulla base di tre esempi tra i moltissimi possibili, due dei quali estratti da testi inediti – un aspetto solo apparentemente secondario, ovvero l’uso di immagini e metafore pittoriche nella scrittura saggistica di Bodini: lungi dall’essere meri inserti ecfrastici, esse sono piuttosto rivelatrici di un percorso critico (e allora, ad esempio, il Tirano Banderas di Valle-Inclán può dialogare con la pittura di Picasso…), nonché «strumento di indagine», «tassello di una strategia argomentativa che sorregge l’in- terpretazione» (p. 504). Paola Laskaris ricostruisce, riportando ampi stralci e tradu- zioni, le non molte tappe della ricezione dell’opera poetica bodiniana in Spagna (e in Argentina), ricezione indubbiamente «ridotta, frammentaria e discontinua, rispetto a quella ampiamente riconosciutagli come critico» (p. 550). Dal precoce interesse della rivista Entregas de poesía di Juan Ramón Masoliver, negli anni Quaranta, alle iniziative e ai progetti con gli amici Juan Goytisolo e Rafael Alberti che si interrom- peranno a causa della morte precoce del salentino, a emergere è anche la «mesurada prudenza» mostrata dall’ispanista verso la traduzione e diffusione dei propri versi in una lingua tanto amata eppure, si spinge a ipotizzare la studiosa, forse «estranea» – perché tendenzialmente più «neutra» dell’italiano – alle modulazioni, soprattutto di natura lessicale, esibite dalla poesia di Bodini. Da parte sua, Nancy De Benedetto traccia, sulla base del lavoro svolto sui due archivi Bodini ed Einaudi, il rapporto ventennale che Bodini, in qualità di ispanista e traduttore, intrattenne con la casa editrice torinese. È un capitolo importante della storia editoriale e culturale del secondo Novecento, giacché egli fu certamente tra i protagonisti di una vera e propria riscoperta della letteratura spagnola, soprattutto il Siglo de oro e la poesia novecentesca. Un lungo sodalizio di cui possiamo ricordare almeno due pietre miliari: le traduzioni del Teatro lorchiano e del Quijote. L’ultima parte del volume accoglie contributi eterogenei quanto all’argomento. Rita Martinelli rievoca, attraverso i suoi ricordi personali e di studiosa in formazione – intrecciandoli con alcune citazioni di quel breve e illuminante scritto bodiniano che è Un saggio di critica subacquea –, la lezione di un «maestro», pur precisando che forse la definizione non sarebbe piaciuta a Bodini: attingendo ad appunti, bozze di lavori, e alla tesi di laurea, l’autrice delinea la figura di un professore e di un intellet- tuale fuori dal comune, mosso dalla stessa «curiosidad che attribuiva a Cervantes» (p. 575); appassionato, rigorosissimo, “temuto” dagli studenti, ma eccezionalmente generoso. Anche il brevissimo intervento di Francesco Tateo si muove sulla scia del- la memoria, in questo caso il ricordo di una piccola rivista, «dall’ingenuo e risonante titolo di Criterion», e degli studenti dell’università barese che la animavano, entu- siasti di pubblicare quale autentica primizia un racconto di Bodini, Il confratello, appena premiato a un concorso letterario. Mario Sechi torna alla militanza critica spesa da Bodini sulle pagine de L’espe- rienza poetica mettendo in rilievo alcuni caratteri costitutivi di questa «rivista di transizione» che seppe inserirsi, dal Sud, nel complesso e ormai policentrico panora- ma letterario degli anni Cinquanta: la tendenza a superare i confini – o a sfilacciare i perimetri – delle tendenze e dei movimenti, peraltro muovendo da un ripensamento generale e problematizzante di un’intera fase della storia, non solo letteraria, ita- liana; la propensione allo sperimentalismo contro ogni deriva “novecentistica”, in QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 331 29/10/20 11:21
332 Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 consonanza con le posizioni della pasoliniana Officina; il confronto e la conver- genza con il lavoro svolto in quegli anni da Luciano Anceschi, come già rilevato da Moliterni. Rimaniamo nell’ambito della rivista bodiniana anche con l’intervento di Daniele Maria Pegorari, il quale si sofferma su alcune delle «articolazioni editoriali» non necessariamente in linea con il furore militante e «anticlassicista» del direttore, e ricorda i nomi più notevoli tra i poeti pubblicati nei sei fascicoli de L’esperien- za poetica (Piccolo, Sinisgalli, Caproni, Zanzotto, Pasolini, per limitarci a pochi esempi), i quali delineano un’ideale antologia della poesia degli anni Cinquanta, più «documentazione» di un panorama variegato che non attestazione di «un movimento poetico» o tendenza ancora tutta da verificare, come peraltro specificava lo stesso di- rettore nel suo secondo editoriale, significativamente consacrato a una poesia «fuori dalla serra». Con il saggio di Giulia Dell’Aquila ci spostiamo decisamente verso un altro ver- sante dell’ingegno multiplo di Bodini, quello di occasionale ma competentissimo critico d’arte e talent scout (oltre che disegnatore egli stesso, come già ricordato): la studiosa si concentra in particolare sui rapporti, spesso amicali, con i pittori dell’a- rea barese, molti dei quali gravitavano intorno all’ambiente della galleria-caffè “Il Sottano”. Maria Dimauro torna alla poesia bodiniana, più in particolare all’impor- tante «laboratorio» compositivo rappresentato dalle prime tre sezioni degli Appunti di poesie, residue e sparse (ma in realtà, precisa subito la studiosa, non si tratta affatto di “scarti”, giacché in Bodini vi è un «rifrangersi costante del gioco tra edito e inedito»), che coprono un periodo di sette anni (1939-46) fondamentale per la “prima fase” della produzione del poeta, e tre «dimore» (Firenze, Lecce, Roma): essi restituiscono «la ricerca affannosa di una forma-verità da adeguare al reale, in un tempo ‘in ombra’ della poesia che dal 1941 al 1952 non conosce edizioni o redazioni ‘ufficiali’» (p. 648). L’interessante e ben documentato saggio di Salvatore Francesco Lattarulo ci dà invece l’occasione di approfondire un altro côté della scrittura di Bodini, finora poco investigato, ovvero la sua relazione con la scrittura giornalistica, da reporter sui ge- neris, un mestiere a cui venne iniziato in giovanissima età dal nonno materno Pietro Marti: se le corrispondenze madrilene che comporranno il Corriere spagnolo sono giustamente celebri (ma nel saggio si documenta come Bodini si vide rifiutare la pubblicazione da due importanti testate), Lattarulo si sofferma su alcuni pezzi che Bodini dedica alla sua terra nei primi anni Cinquanta, come l’inchiesta sui tumulti dell’Arneo, il cui primo articolo, dal titolo L’aeroplano fa la guerra ai contadini, «meriterebbe di essere letto e studiato nelle odierne scuole di giornalismo» (p. 673). Chiudono questo secondo tomo i contributi di due scrittori pugliesi in omag- gio al grande conterraneo. Il poeta Lino Angiuli precisa «modi e tempi» del lascito bodiniano nei suoi confronti: «due mondi, due vite, due sensibilità s’incontrano e s’incrociano all’insegna dell’attrazione creativa» (p. 694). Il compianto Alessandro Leogrande si sofferma invece su alcuni nuclei o momenti dell’attività scrittoria e intellettuale di Bodini: ancora i reportage salentini e quelli spagnoli; il sodalizio «mediterraneo» con Sciascia; la relazione dialettica tra politica e poesia, tra sguardo metafisico e asperità del mondo, nella consapevolezza – condivisa con l’amico Al- berti – che «nel mondo non vi sono soltanto i fiori ma anche spade, e il poeta non può occuparsi solo dei primi». Queste parole, che lo scrittore leccese dedicava all’autore di Entre el clavel y la espada, ma che parlano certo di lui, e di noi, precisa Leogran- de, ci sembrano perfette per concludere questa nostra panoramica su un volume che QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 332 29/10/20 11:21
Reseñas. Cuad. filol. ital. 27, 2020: 313-349 333 ha il merito di aver «rimesso in circolazione» il nome e l’opera di Bodini – come dice ancora Giannone nella «Prefazione» –, e di averlo fatto nel migliore dei modi: con il rigore e la passione della ricerca. Paolino Nappi Universidad Complutense de Madrid pnappi@ucm.es QUINTAS_CuadernosDeFilologíaItaliana27.indd 333 29/10/20 11:21
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