Gennaio-marzo 2020. Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net
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Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Gennaio-marzo 2020. Mappa dei giacimenti di ghiaccio d'acqua nel sottosuolo di Marte. Questa raccolta consente l’archiviazione personale di tutte le Flash news comparse sulla homepage del nostro sito nel periodo sopra indicato. Non vi sono ulteriori commenti alle notizie. Sono impaginate in ordine cronologico di uscita. La redazione. Assemblato da Luigi Borghi. Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 1 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net 1/1/2020- Acqua su Marte: novità! Abbiamo finito il 2019 con due notizie interessanti, non possiamo che cominciare il 2020 con una molto promettente per l’esplorazione spaziale. La tanto discussa e più volte indirettamente trovata acqua su Marte sembra sia veramente più accessibile del previsto. In questo articolo di Alive Universe, tratto da uno studio pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, intitolato "Widespread Shallow Water Ice on Mars at High and Mid Latitudes", sembra proprio che si possa trovare nel “cortile davanti all’uscio” della colonia marziana con la paletta e il secchiello. Beh.. non sarà proprio acqua, sarà ghiaccio sporco, ma pur sempre facile da recuperare! È la notizia che potrebbe dare il via ad una vera missione umana sul pianeta rosso. Il ghiaccio d’acqua infatti è l’elemento chiave per generare cibo, acqua potabile, combustibile per i razzi e ossigeno da respirare. Basta solo avere energia (tanta … e questo è un altro elemento critico che si risolverà a mio avviso solo con il nucleare. Ne abbiamo già parlato e ne riparleremo successivamente). Insomma, oltre ai probabili laghi sotterranei, a decine di metri di profondità, dove l’acqua è allo stato liquido (ma certamente non potabile), ora sembra si possa recuperare ghiaccio con mezzi molto meno complicati di una perforatrice (visti anche gli scarsi risultati del lander InSight). Questa novità ora crea anche una profonda discussione tra gli addetti al lavori sulla scelta del luogo di atterraggio del futuro equipaggio: meglio il caldo (si fa per dire) dei tropici marziani (ma poveri di acqua) o sono più adatte le zone settentrionali, con un’atmosfera più densa (ideale per decelerare la nave di arrivo) e ricche di ghiaccio? Staremo a vedere. Eccovi l’articolo: https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1029/2019GL083947 https://aliveuniverse.today/speciale-missioni/marte/4274-marte-acqua-a-portata-di-mano Marte: acqua a portata di mano. Questa mappa mostra il ghiaccio d'acqua nel sottosuolo di Marte: i colori freddi indicano profondità minori (circa 30 centimetri), i colori caldi, profondità maggiori. La zone nere indicano aree piene di regolite e polveri sottili, in cui un veicolo spaziale affonderebbe. La zona incorniciata indica invece il luogo ideale per far atterrare una futura missione con astronauti. Alla mappa, sono stati sovrapposti i siti di atterraggio delle missioni robotiche passate, presenti e future.Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU - Elisabetta Bonora Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 2 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net I futuri astronauti che atterreranno su Marte, potranno trovare un po' d'acqua con un colpo di pala. Una recente mappa mostra, infatti, che in alcuni punti il ghiaccio d'acqua si trova sepolto sotto appena 2,5 centimetri di terreno ed importanti serbatoi entro i 30 centimetri di profondità. Dati alla mano, il team di ricerca ha individuato una grande zona in Arcadia Planitia ideale per lo sbarco di futuri esploratori umani. La ricerca di acqua sul Pianeta Rosso rappresenta una vera e propria caccia al tesoro per la NASA perché è una risorsa indispensabile per pianificare missioni con astronauti. Invece di trasportarla dalla Terra, trovare acqua in loco semplificherebbe notevolmente le operazioni, sia in termini economici che ingegneristici e consentirebbe facilmente di poter accedere ai sui elementi base, idrogeno ed ossigeno, per una serie di attività indispensabili. Ogni missione con equipaggio su Marte deve tenere conto di due requisiti generali: interesse scientifico e praticità. Come spiega la press release, “La maggior parte degli scienziati predilige le medie latitudini settentrionali e meridionali, dove c'è luce solare abbondante e temperature più calde rispetto ai poli. Ma c'è una forte preferenza per l'atterraggio nell'emisfero settentrionale che, generalmente, ha quote topografiche più basse e, quindi, offre più atmosfera per rallentare un veicolo spaziale in fase di atterraggio. Ed ora sappiamo che contiene anche abbondante ghiaccio d'acqua, il che rafforza l'idea di far sbarcare lì una missione con equipaggio". Ma non solo. L'individuazione di acque sotterranee, ghiacciate e non, può costituire un ulteriore passo in avanti nell'individuazione di habitat adatti ad ospitare la vita. Tale aspetto unitamente al problema delle bizzarre fluttuazioni di metano ed all'altrettanto strano andamento delle molecole di ossigeno potrebbe aiutare gli scienziati a ricostruire il puzzle ancora incompreso sull'abitabilità di Marte passata e presente. Ormai grazie a decenni di esplorazione, sappiamo per certo che l'acqua scorreva in passato sul pianeta, creando laghi e fiumi. Oggi però, è completamente sparita dalla vista se non, forse, per qualche fugace apparizione stagionale mai veramente ed unanimemente confermata. L'acqua ancora presente sul pianeta si trova congelata (forse non tutta! N.d.R.) sotto la superficie. Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, intitolato "Widespread Shallow Water Ice on Mars at High and Mid Latitudes", mostra una mappa aggiornata della risorsa basata sui dati rilevati dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) e da Mars Odyssey. In particolare, gli scienziati si sono basati sui dati provenienti da tre strumenti: il Climate Sounder di MRO ed il Thermal Emission Imaging System (THEMIS) di Mars Odyssey, sensibili al calore ed il Gamma Ray Spectrometer (GRS) sempre di Mars Odyssey che può identificare l'acqua ed altri elementi nella regolite marziana. L'autore principale, Sylvain Piqueux del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ha dichiarato nel comunicato stampa: "Stiamo continuando a raccogliere dati sul ghiaccio sepolto su Marte, concentrandoci sui luoghi migliori in cui gli astronauti potranno atterrare". Inoltre, sono stati effettuati controlli incrociati con i dati radar che mostrano i depositi di ghiaccio sotterranei e con immagini che lander, rover ed orbiter hanno fornito nel corso degli anni. Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 3 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Nel 2008, ad esempio, il lander Phoenix catturò immagini del ghiaccio nascosto subito sotto la superficie. (in alto). Altre conferme della presenza di ghiaccio a profondità ridotte arriva dagli impatti meteorici monitorati dalle sonde in orbita. Ne è un esempio il cratere da impatto largo 6 metri, fotografato da MRO nel 2008 e poi nel 2009, a tre mesi distanza. (In basso). Crediti: NASA/JPL- Caltech/University of Arizona/Texas A&M University. Questa analisi è solo un passo verso la comprensione del ghiaccio d'acqua sepolto di Marte. Piqueux sta già pianificando uno studio più completo che tenga conto degli andamenti stagionali, perché la sua accessibilità e abbondanza possono variare nel tempo. Altre informazioni su questo articolo Copyright:© Copyright Alive Universe Commentato da Luigi Borghi. 6/1/2020 – Quando e come la materia inorganica diventa vita? L’abiogenesi è quella branca della scienza che studia il processo naturale con il quale la vita, come semplici composti organici, si origina a partire da materia non vivente. Sulla Terra non è stato un singolo evento ma piuttosto un processo graduale di aumento di complessità del sistema. Un processo che coinvolge la biologia molecolare, la paleontologia e la biochimica che insieme stanno Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 4 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net cercando di dare strumenti all’astrobiologia, cioè il ramo scientifico che si occupa della vita oltre la Terra. La risposta alla “domandina” del titolo di certo sconvolgerebbe, anzi sconvolgerà buona parte del nostro modo di vedere il mondo e l’universo intero. È da molto tempo che la comunità scientifica sta lavorando a questo quesito. Un problema che va ben oltre la teoria dell'evoluzione di Charles Darwin. Un tema intrigante che ho affrontato anche nell’ultimo libro “La grande avventura del quark Q” (http://www.edizioniilfiorino.com/catalogo/scienze-e-varie/0580/la-grande-avventura- del-quark-%E2%80%9Cq%E2%80%9D.htm) e cioè: quando, come e perché una aggregazione di molecole complesse, da materia inerte diventa vita? Nel 1953 un giovane chimico americano, Stanley Miller, propose al suo professore Harold Urey un esperimento per verificare l’ipotesi del biochimico russo Alexander Oparin che la vita, nella fase iniziale del suo processo evolutivo sulla Terra, si sia generata dal mondo inorganico. Fecero quindi un esperimento (di Miller-Urey) che dimostrò per la prima volta che nelle giuste condizioni ambientali (calore e fulmini) le molecole organiche si possono formare spontaneamente a partire da sostanze inorganiche più semplici (idrogeno, ammoniaca, metano e acqua). Ma non era ancora vita! L'astrobiologia è un campo di studio giovane, relativamente parlando, e una delle domande urgenti e non banali che deve affrontare è: come si può definire la vita? E di conseguenza come si definisce l'abitabilità di un pianeta extrasolare? Sembra banale, ma non lo è! Nascere, vivere, alimentarsi, difendersi, riprodursi e morire, sono attitudini che, oltre che nei vegetali sono presenti anche nella vita artificiale di un robot dotato di AI. Non c’è bisogno di andare su un pianeta alieno per scoprire che la vita, anche qui sulla Terra, nel momento in cui riesce a manifestarsi, è poi quasi impossibile da estinguere. Le cinque gradi estinzioni note sul nostro pianeta hanno dimostrato che qualche forma di vita riesce sempre a resistere e ad evolversi. Tutta la “vita” che conosciamo noi è basata sul DNA e sul carbonio: sarà così anche altrove? L’articolo che vi propongo tratto da Smithsonian Magazine, fa il punto ad oggi di questa interessantissima branca della scienza. Eccolo: Fonte:https://www.smithsonianmag.com/science-nature/searching-key-lifes-beginnings-180972759/ Alla ricerca della chiave per l'inizio della vita La rappresentazione della Terra di un artista durante l'Eone Archeano, da 4 a 2,5 miliardi di anni fa, quando la vita consisteva solo di microbi monocellulari senza nucleo (procarioti). Come questi organismi primitivi si siano formati per la prima volta dalle reazioni chimiche rimane uno dei più grandi misteri della scienza. (Peter Sawyer / Smithsonian Institution) Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 5 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Dagli esopianeti alle reazioni chimiche, gli scienziati si avvicinano alla risoluzione del grande mistero di come la vita si forma dalla materia inanimata. Di David W. Brown, SMITHSONIANMAG.COM, 30 LUGLIO 2019. Prima del 1976, quando Viking 1 e 2 diventarono il primo veicolo spaziale ad atterrare e operare con successo sulla superficie di Marte, l'immaginazione globale desiderava disperatamente un pianeta rosso che ospitasse la vita. I lander Viking furono progettati per testare i microbi, ma la vera speranza, sostenuta anche dagli scienziati planetari più navigati, era che la navicella spaziale della NASA avrebbe scoperto una vita complessa su Marte - qualcosa anche di primitivo. Dopo tutto, Marte era la nostra ultima, migliore speranza dopo che gli astronomi (e la navicella spaziale Mariner 2 ) per sempre hanno sconfitto il concetto di dinosauri che calpestavano paludi umide e venusiane. Era Marte o nulla; Mercurio era troppo vicino al sole e, al di là della fascia degli asteroidi, si credeva che vi si trovassero terre senza microbi, giganti gassosi e lune ghiacciate. Oggi gli oceani della luna di Giove Europa sono quelli che erano le paludi di Venere e i canali di Marte per il ventesimo secolo: forse la migliore opzione per annientare la solitudine umana. La prossima nave ammiraglia dei pianeti esterni della NASA, Europa Clipper , tenterà di determinare l'abitabilità della luna ghiacciata. Qualche futuro lander o nuotatore dovrà trovare la vita se è lì. La zona abitabile del sistema solare ora include, potenzialmente, ogni pianeta del sistema solare. Encelado e Titano , orbitando Saturno, sono buoni candidati, così come sono Tritone intorno a Nettuno . Come l'acqua, la vita potrebbe essere ovunque. Eppure, l’abbiamo trovata solo qui, dove pullula, dove è apparentemente indistruttibile, nonostante molteplici eventi a livello di estinzione. Un asteroide si scontra con la Terra e cancella quasi tutto? I microbi ospitano le crepe causate dall'impatto killer e tutto ricomincia. Sulla base del nostro campione di un solo mondo, una volta che la vita inizia, è molto, molto difficile far andare via. E così continuiamo a cercare. L'accendersi della vita dalla mancanza di vita, noto come abiogenesi, è un processo che gli scienziati stanno solo iniziando a capire. Astronomi, biologi, chimici e scienziati planetari lavorano insieme per ricostruire minuziosamente un puzzle che attraversa discipline e oggetti celesti. Ad esempio, le condriti carbonacee - alcune delle rocce più antiche del sistema solare - sono state recentemente scoperte per ospitare l'acido piruvico, che è essenziale per il metabolismo. Quando i condriti piovvero su questo pianeta come meteoriti, potrebbero aver fertilizzato una Terra senza vita. Questa teoria non risponde alla domanda onnicomprensiva, "Da dove veniamo?" Ma rappresenta ancora un altro indizio nella ricerca di come tutto ebbe inizio. L'abiogenesi non richiede nemmeno il DNA - o almeno, non il DNA come esiste in tutte le forme di vita conosciute. Il DNA è composto da quattro basi nucleotidiche, ma all'inizio di quest'anno i genetisti hanno creato un DNA sintetico usando otto basi . (Lo hanno soprannominato hachimoji DNA.) Questo strano codice genetico può formare doppie eliche stabili. Può riprodursi. Può persino mutare. Gli scienziati non hanno creato la vita; hanno tuttavia dimostrato che la nostra concezione della vita è nella migliore delle ipotesi provinciale. “Simile alla Terra” Mentre il lavoro nei laboratori aiuterà a definire come la vita potrebbe nascere dalla materia inanimata, i telescopi spaziali come Keplero , che ha terminato le operazioni lo scorso anno, e TESS , lanciato lo scorso anno, stanno trovando nuovi pianeti da studiare. Questi veicoli spaziali cercano esopianeti usando il metodo del transito, rilevando minime diminuzioni nella luce di una stella mentre un pianeta passa tra di essa e noi. Venticinque anni fa, l'esistenza di pianeti in orbita attorno ad altre stelle era ipotetica. Ora gli esopianeti sono reali come quelli che circondano il Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 6 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net nostro sole. Keplero da solo ha scoperto almeno 2.662 esopianeti. La maggior parte è inospitale per la vita come la conosciamo, anche se una manciata di loro è caratterizzato come "simile alla Terra". "Quando diciamo:" Abbiamo trovato il pianeta più simile alla Terra ", le persone a volte indicano che il raggio è giusto, la massa è giusta e deve trovarsi nella zona abitabile", afferma John Wenz, autore di The Lost Planets , la storia dei primi tentativi di caccia agli esopianeti, che sarà pubblicata alla fine dell'anno da MIT Press. “Ma sappiamo che la maggior parte di quegli esopianeti scoperti sono attorno a stelle nane rosse. Il loro ambiente non è destinato ad essere molto simile alla Terra, e c'è una buona probabilità che molti di loro non abbiano atmosfere.” Non è che la Terra sia il pianeta più speciale di tutto l'universo. Nel nostro sistema solare, Venere si registrerebbe facilmente ai cacciatori di esopianeti alieni come gemello della Terra. Ma i pianeti come la Terra sono più difficili da trovare, sia perché sono più piccoli dei giganti gassosi, sia perché non orbitano attorno alle loro stelle ospiti tanto quanto i pianeti attorno a nane rosse. "Potrebbe essere che i veri pianeti simili alla Terra siano incredibilmente comuni, ma che non abbiamo le risorse da dedicare alla loro ricerca", afferma Wenz. L'esopianeta di Earth 2.0 più promettente trovato finora è Kepler-452b, che è un po' più grande della Terra, con un po' più di massa, e ha una piacevole orbita di 385 giorni attorno a una stella simile al sole. Il problema è che potrebbe non esistere , come suggerito da uno studio dell'anno scorso. Potrebbe essere semplicemente un rumore statistico, poiché il suo rilevamento era ai margini delle capacità di Keplero e il veicolo spaziale è morto prima che fossero condotte ulteriori osservazioni. Una volta lanciato nei primi anni del 2020, il James Webb Space Telescope prenderà di mira molti dei pianeti extrasolari scoperti da Keplero e TESS. Sarà solo in grado di risolvere i mondi distanti in un pixel o due, ma risponderà a domande urgenti nella scienza degli esopianeti, come se un pianeta in orbita attorno a una stella nana rossa possa mantenere la sua atmosfera nonostante i frequenti bagliori ed eruzioni da tali stelle. JWST potrebbe anche presentare prove indirette di oceani alieni. "Non vedrai i continenti", dice Wenz. "[Ma] potresti guardare qualcosa e vedere un punto blu, o il tipo di sfasamento che potresti immaginare da un ciclo di evaporazione continuo." La zona di abiogenesi. Il Catalogo degli esopianeti abitabili elenca attualmente 52 mondi al di fuori del nostro sistema solare che potrebbero sostenere la vita, anche se le notizie potrebbero non essere così elettrizzanti. Essere alla giusta distanza da una stella affinché le temperature superficiali si collochino sopra il gelo e sotto l'ebollizione non è l'unico requisito per la vita, e certamente non è l'unico requisito per iniziare la vita . Secondo Marcos Jusino-Maldonado, un ricercatore dell'Università di Puerto Rico a Mayaguez, la quantità corretta di luce ultravioletta (UV) che colpisce un pianeta dalla sua stella ospite è un modo in cui la vita potrebbe sorgere da molecole organiche in ambienti prebiotici (anche se non l'unico modo). "Per reazioni che consentano la comparsa dell'abiogenesi, un pianeta deve trovarsi all'interno della zona abitabile perché ha bisogno di acqua di superficie liquida", afferma Jusino- Maldonado. "Secondo la teoria della zuppa primordiale, le molecole e l'acqua salata reagiscono e alla fine originano la vita". Ma si ritiene che quelle reazioni scatenino solo in un luogo chiamato zona di abiogenesi. "Questa è l'area critica intorno alla stella in cui le molecole precursori importanti per la vita possono essere prodotte da reazioni fotochimiche". Le radiazioni UV potrebbero essere state la chiave per innescare reazioni che portano alla formazione di elementi costitutivi della vita sulla Terra, come nucleotidi, aminoacidi, lipidi e infine RNA. La ricerca del 2015 ha suggerito che l'idrogeno cianuro - probabilmente portato sulla Terra quando il carbonio nei meteoriti ha reagito con l'azoto nell'atmosfera - avrebbe potuto essere un ingrediente cruciale in queste reazioni guidate dalla luce UV. Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 7 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Per testare ulteriormente la teoria, l'anno scorso, come riportato nelle riviste Science Advances and Chemistry Communications , gli scienziati hanno usato lampade UV per irradiare una miscela di idrogeno solforato e ioni di acido cianidrico. Le risultanti reazioni fotochimiche sono state quindi confrontate con la stessa miscela di sostanze chimiche in assenza di luce UV e i ricercatori hanno scoperto che le radiazioni UV erano necessarie per le reazioni per produrre i precursori dell'RNA necessari per la vita. Affinché la fotochimica UV produca questi elementi costitutivi cellulari, la lunghezza d'onda della luce UV deve essere compresa tra 200 e 280 nanometri. Jusino-Maldonado afferma che nel suo lavoro questo concetto è stato applicato al modello esopianeta abitabile . "Di tutti gli esopianeti abitabili, solo otto di essi si trovano nella zona abitabile e nella zona di abiogenesi." Sebbene tutti e otto si trovino sia in zone abitabili che in zone di abiogenesi, nessuna è particolarmente favorevole alla vita, afferma Jusino-Maldonado. Ognuno degli otto mondi è o una "super-Terra" o un "mini-Nettuno". I candidati più probabili sono Kepler-452b (se esiste) e forse τ Cet e (se il suo raggio è appropriato). Non sono stati ancora scoperti mondi delle dimensioni della Terra sia nelle zone abitabili che in quelle di abiogenesi. Sopra: Un mosaico di Europa, la quarta luna più grande di Giove, fatta di immagini prese dall'astronave Galileo nel 1995 e 1998. Si ritiene che Europa abbia un oceano sotterraneo globale con più acqua della Terra, rendendolo uno dei luoghi più promettenti del sistema solare per gli astrobiologi a cercare la vita. (NASA / JPL- Caltech / SETI Institute) Sotto: Grafico degli esopianeti potenzialmente abitabili. (Abel Mendez / Planetary Habitability Lab / UPR-Arecibo) Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 8 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Standard di impostazione. Mentre la ricerca di un mondo alieno veramente abitabile avanza, gli astrobiologi stanno tentando di creare un quadro per classificare, discutere e studiare questi pianeti. I grandi sforzi scientifici per lavorare richiedono standard di definizione e misurazione. L'astrobiologia è un campo di studio giovane, relativamente parlando, e una delle domande urgenti e non banali che deve affrontare è, come si definisce l'abitabilità? Come definisci la vita? "Lavoro su questo problema da dieci anni", afferma Abel Mendéz, astrobiologo planetario e direttore del Planetary Habitability Laboratory dell'Università di Puerto Rico ad Arecibo. “Sapevo che il problema dell'abitabilità aveva bisogno di lavoro. Tutti avevano a che fare con il modo di definirlo. ” All’inizio di quest'anno, alla 50° conferenza annuale sulla scienza lunare e planetaria a Houston, in Texas, Mendéz ha presentato il suo recente lavoro su un modello di abitabilità della superficie globale applicabile ai pianeti sia nel nostro sistema solare che al di fuori di esso. Dopo aver analizzato la letteratura, si rese conto che gli astrobiologi non erano i primi a incorrere in problemi di definizione, categorizzazione e uniformità in termini di abitabilità. Quarant'anni fa, gli ecologisti stavano affrontando la stessa sfida. "Tutti stavano definendo l'abitabilità come desideravano in diversi documenti", afferma Mendéz. Negli anni '80, gli ecologi si sono uniti per creare una definizione formale. Hanno definito le medie per misurare l'abitabilità, sviluppando un sistema con un intervallo compreso tra 0 e 1, con 0 inabitabile e 1 altamente abitabile. Avere una struttura singolare era fondamentale per il progresso dell'ecologia, ed è stata gravemente carente di astrobiologia, dice Mendéz. La costruzione di un modello di abitabilità per interi pianeti è iniziata con l'identificazione di variabili che possono essere misurate oggi. "Una volta sviluppato un sistema formale, è possibile costruire sistemi da quello e creare una libreria di abitabilità per contesti diversi." Innanzitutto, Mendéz ha dovuto affrontare l'unica misura di idoneità dell'habitat di "1" nell'universo noto. "Se stai proponendo un modello di abitabilità, devi far funzionare la Terra", afferma. Il suo laboratorio ha usato il suo modello per confrontare gli habitat di vari biomi, come deserti, oceani, foreste e tundra. “Se calcoliamo l'abitabilità di una regione — non considerando la vita, ma quanta massa ed energia è disponibile per la vita indipendente — si tratta più di una misurazione ambientale. Correliamo ciò con una misurazione effettiva della produttività biologica in una regione: la nostra verità fondamentale. Questo è il nostro test. ” Quando il suo gruppo ha mappato l'abitabilità ambientale e la produttività biologica, hanno scoperto quelle che Mendéz ha descritto come “ belle correlazioni ”. Oggi, il modello di Mendéz per l'abitabilità prende in considerazione la capacità dei pianeti rocciosi di sostenere le acque superficiali, l'età e il comportamento delle loro stelle, la dinamica orbitale e le forze di marea che agiscono su questi mondi. Il modello considera la massa e l'energia all'interno di un sistema e la percentuale di tale massa ed energia disponibile per una specie o biosfera. (Quella percentuale è la parte più difficile dell'equazione. Non si potrebbe rivendicare, per esempio, il 100% della massa terrestre, disponibile per la vita.) Limitato allo "strato sottile vicino alla superficie di un corpo planetario", il modello fissa l'abitabilità della superficie della Terra a 1. Marte ha un parametro inferiore o uguale a 0,034 e Titano risulta essere inferiore o uguale a 0,000139. Il modello è indipendente dal tipo di vita in esame - animali contro piante, per esempio - e mondi come Europa con "biosfere sottosuolo" non sono ancora stati presi in considerazione. Tali basi sono inestimabili, ma sono ancora limitate nella sua capacità di prevedere l'abitabilità, in parte perché si applica solo alla vita come la conosciamo. Nel 2017, i ricercatori di Cornell hanno pubblicato un documento che rivela prove della molecola di acrilonitrile (vinil cianuro) su Titano, che, ipoteticamente, potrebbe essere la chiave della vita a base di metano in un mondo Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 9 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net privo di ossigeno - una vita davvero aliena, a differenza di qualsiasi altra che abbiamo mai conosciuto. Se la vita dovesse prosperare in un mondo così inospitalmente convenzionale come Titano, e dovremmo trovarlo, Mendez scrive in un estratto descrivendo il suo modello, "Un'anticorrelazione tra misure di abitabilità e biosegnature può essere interpretata come un processo abiotico o come la vita come noi non sappiamo " In ogni caso, la mancanza finora di mondi esteriormente favorevoli alla vita significa che il genere umano deve continuare a migliorare i suoi osservatori e rivolgere gli occhi verso regni remoti. La Via Lattea è una grande galassia, piena di delusioni! Non speriamo più che i marziani scavino dei corsi d'acqua sul pianeta rosso o che dei dinosauri mangino il muschio sugli alberi venusiani, ma sogniamo ancora di vedere nuotare dei calamari attraverso i mari sepolti di Europa e chissà cosa si nasconde nei laghi idrocarburi di Titano. Se anche questi mondi non riusciranno a fornire risultati, la vita oltre la Terra dipenderà dagli esopianeti, che sono appena al di fuori delle nostre capacità di osservazione e molto lontani da casa. Informazioni su David W. Brown David W. Brown è l'autore di One Inch From Earth (Custom House, 2020), su un gruppo di scienziati che ha studiato Europa, aveva bisogno di saperne di più e ha trascorso vent'anni a convincere la NASA a montare una missione di punta lì. Il suo lavoro appare anche sul New York Times , su Scientific American e sull'Atlantico . Commentato da Luigi Borghi. 11/1/2020 – Carpentieri spaziali: meglio se lo lasciamo fare ai robot! Smontare dal costruttore in Italia e riassemblare dal cliente finale a Detroit una grossa macchina automatica, come per esempio un sistema di produzione robottizzato (parlo per esperienza vissuta), sembrerebbe una impresa difficile, ma in realtà basta avere la capacità di rimettere cavi, tubi, bulloni e bit, nello stesso posto dove si trovavano in Italia ed è scontato che, se girava bene tutto in Italia, sarà così anche in USA (considerando ovviamente la diversa fonte di energia). Ma riassemblare nello spazio qualche struttura che è stata collaudato sulla Terra, è tutta un’altra storia. Una storia talmente diversa che a volte non conviene neanche tentare di provare e quindi assemblare sulla Terra qualche cosa che deve funzionare perfettamente nello spazio. Le ragioni sono essenzialmente 4: 1) Nello spazio siamo in condizioni di microgravità (si intende la gravità reciproca dei singoli corpi fluttuanti nello spazio o in caduta libera. Per semplificare potrei dire che “assenza di gravità” ci assomiglia molto), quindi le dinamiche sono completamente diverse. Non esiste il peso, ma solo la massa, una condizione impossibile da realizzare sulla Terra se non per pochi secondi. 2) Nel giro di mezz’ora si passa da +120 gradi centigradi di temperatura a -100 c°. 3) Portare nello spazio attrezzature costa parecchio. Oggi siamo mediamente sopra i 20.000$ al Kg, quindi più leggera è la struttura che bisogna portare in orbita e meno costa. 4) Per le ragioni di cui ai punti precedenti vengono progettate strutture spaziali adatte a gestire le masse in gioco, ma non i pesi, quindi sulla Terra queste strutture sono difficili da collaudare. Poi c’è il problema sicurezza e resistenza allo stress ed alle condizioni ambientali. Un astronauta in carne ed ossa, anche dentro ad una comoda tuta spaziale (si fa per dire), non si trova proprio Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 10 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net a suo agio. Ha delle grosse limitazioni nei movimenti, una autonomia di poche ore ed infine rischia parecchio. Rischia non solo perché può sempre succedere qualche cosa di irrimediabile (uno strappo nella tuta, un micrometerorite, la rottura del sistema di sopravvivenza nello zaino), ma comunque nel periodo che resta fuori in EVA (Extravehicular activity) è sottoposto ad un flusso di radiazioni decisamente superiore alla normale soglia di sopravvivenza dentro alla stazione. Insomma, una bella squadra di robot possono lavorare 24 ore al giorno, senza patire freddo o caldo. Le moderne tecniche di “deep learnig” e di “machine learning” possono permettere all’automazione di fare bene e forse anche meglio degli umani. Ma non pensate a robot antropomorfi o androidi simili a quelli che si vedono nei film di fantascienza o semplicemente nei filmati della Boston Dynamic. No, i robot che assembleranno strutture nello spazio o sulla Luna o su Marte, avranno strutture adatte a ciò che richiede la loro specializzazioni. Quindi potrebbero non assomigliare per nulla ad un qualsiasi tipo di animale. Il “muratore” che costruirà una postazione fissa sulla Luna non avrà l’aspetto umano, bensì quello di una scavatrice che avrà al posto della benna il terminale di una stampante 3D che trasforma la polvere lunare in una miscela simile al cemento. Vi propongo l’articolo che segue che illustra come si sta muovendo la NASA in vista degli impegni con il progetto Artemis. Eccolo: https://www.astronautinews.it/2020/01/sistemi-robotici-modulari-per-la-costruzione-di-strutture- spaziali/ Sistemi robotici modulari per la costruzione di strutture spaziali. DI LUCA FRIGERIO 7 GENNAIO 2020 Il logo del Progetto Assemblers. (C) NASA/Langley Research Center Fin dagli anni ’70 del secolo scorso gli ingegneri hanno iniziato a pensare alla costruzione di grandi strutture nello spazio e a come rendere questi processi veloci, sicuri ed economici. Da allora molti studi sono stati completati, ma con l’avanzare della robotica si è naturalmente pensato di integrare questi due campi di ricerca per realizzare dei robot che fungano da carpentieri spaziali, al fine di costruire autonomamente le strutture del futuro. Oggi pensare a delle schiere di robot al lavoro per assemblare un campo di pannelli solari sulla superficie della Luna è divenuta una visione plausibile grazie al progetto che stanno portando avanti alcuni ingegneri della NASA. Il progetto Assemblers Attualmente i sistemi robotici vengono progettati per eseguire singoli compiti specifici e generano pertanto costi ingegneristici non ricorrenti; tuttavia i nuovi avanzamenti della ricerca hanno portato allo sviluppo di quella che viene definita robotica modulare, che è di fatto un nuovo paradigma in grado di portare a una drastica riduzione dei costi. Il progetto Assemblers, premiato con la Early Career Initiative (ECI) promossa dal Langley Research Center della NASA, mira proprio all’avanzamento della tecnologia robotica, hardware e Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 11 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net software, per consentire processi autonomi di assemblaggio nello spazio – una tecnologia fondamentale per la futura esplorazione umana del Sistema solare, con verosimili applicazioni anche sulla Luna e su Marte. L’ECI consente ai tecnici della NASA di condurre progetti di sviluppo concreti, di fornire tecnologie di trasformazione, di collaborare con innovatori di livello mondiale e di esplorare nuovi approcci alla ricerca e allo sviluppo. «L’obiettivo del progetto Assemblers è di incrementare il livello di maturità della tecnologia dell’assemblaggio autonomo nello spazio tramite i robot modulari, e di sviluppare un prototipo per dei test a terra» ha spiegato James Neilan, principal investigator del progetto. Il prototipo sarà un sistema che utilizza piattaforme modulari da connettere in qualsiasi dimensione per consentire configurazioni multiple destinate all’assemblaggio di componenti nello spazio. vedi filmato: https://youtu.be/_9Bncie6AmM Esso userà un software che consentirà a robot di varie configurazioni e capacità di poter lavorare assieme. Infine, sarà dotato di un componente per il rilevamento degli errori che potrebbe essere utilizzato durante e dopo una fase di costruzione, per identificare e risolvere eventuali problemi. Proseguendo con l’esempio del campo di pannelli solari lunari, questa nuova tecnologia potrebbe sfruttare delle risorse già disponibili. Un sistema riutilizzabile come l’Assemblers ridurrebbe i rischi e diminuirebbe la massa da trasportare sulla Luna perché il sistema sarebbe già in loco; infatti ci sarebbero solo da trasportare le strutture da montare. I robot Assemblers consistono in piattaforme “impilate”, fornite di attuatori in grado di garantire 6 gradi di libertà di movimento fra due basi, e di sensori per fornire feedback sulla posizione dei vari componenti. Il team sta lavorando sugli algoritmi per permettere ai robot di essere in grado di scegliere quante piattaforme impilare e i corretti accessori da usare. Il software sarà inoltre in grado di calcolare le traiettorie in modo da rendere i tragitti sicuri e di identificare e correggere gli eventuali errori durante il processo di costruzione. «Il software è paragonabile al responsabile di un cantiere qui sulla Terra che gestisce i materiali e le persone durante il lavoro. Stiamo cercando di scrivere un software in grado di fare lo stesso con i robot e con gli attrezzi» ha detto Iok Wong, responsabile per l’architettura robotica e per l’integrazione. Il software per la gestione delle attività e la rilevazione degli errori può essere utilizzato anche sulla Terra e non solo per applicazioni spaziali. Per esempio, una sua potenziale applicazione potrebbe essere in agricoltura; la raccolta robotizzata di prodotti agricoli è un processo molto delicato che potrebbe essere rifinito tramite gli avanzamenti dell’apprendimento automatico (machine learning) nell’ambito delle ricerche sull’intelligenza artificiale. Oppure si potrebbero utilizzare i robot per esplorare nuovi ambienti prima dell’invio di esseri umani, sulla Terra e altrove. Il team di ingegneri sta lavorando con diversi partner, inclusi Virginia Tech e Honeybee Robotics. Questi ultimi aggiungeranno degli stagisti ai propri team e collaboreranno con esperti che hanno sviluppato in precedenza hardware e software integrabili nel progetto Assemblers. Il premio ECI fornisce 2,5 milioni di dollari in due anni, per permettere al gruppo di lavoro di riunire in un sistema unitario le parti che sono state in “incubazione” in precedenza, di aggiungere le parti mancanti e di portare questa tecnologia a maturazione. Inoltre, consente ai dipendenti agli inizi della loro carriera di acquisire esperienza utilizzando la metodologia agile, contribuendo così a modificare la gestione dei progetti NASA facendo proseguire il lavoro a piccole ma rapide tappe con brevi soste per le opportune verifiche, invece di fare grandi pause per permettere le revisioni su larga scala. La NASA incoraggia i tecnologi più promettenti selezionando le proposte per l’ECI. Questi progetti sono sostanzialmente delle iniziative autonome e pratiche da parte di piccoli team composti e guidati principalmente da impiegati della NASA agli inizi della propria carriera. Questi team sviluppano tecnologie di trasformazione per le sfide ad alta priorità che l’agenzia sta affrontando nell’ambito dei programmi legati al futuro dell’esplorazione umana, come il Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 12 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net Programma Artemis, che consentirà l’esplorazione sostenibile della Luna e che porterà all’esplorazione umana di Marte. Il finanziamento è fornito dallo Space Technology Mission Directorate della NASA. Il team del Progetto Assemblers © NASA/James Neilan Fonti: NASA; Virginia Tech Department of Mechanical Engineering Commentato da Luigi Borghi. 16/01/2020 – Starlink, Kuiper, OneWeb … la comunità astronomica spera che le nuove megacostellazioni di satelliti per telecomunicazioni intraprendano la via del Lato Oscuro. Per Elon Musk, il 2020 è iniziato col “botto”, infatti il 6 gennaio 2020 la SpaceX ha immesso in orbita 60 satelliti Starlink. Dopo i due lanci di maggio e novembre dello scorso anno, questo è il terzo dispiegamento di massa di questa megacostellazione di satelliti per telecomunicazione posizionata in orbita terrestre bassa. Il progetto prevede 12.000 satelliti operativi entro il 2027. Attualmente è in corso una prima fase comprendente “solo” 1.600 satelliti nei primi anni, necessari per sperimentare e migliorare le tecnologie. Ogni satellite circa 227 kg ed è relativamente “leggero” rispetto ai classici satelliti per telecomunicazioni in modo da permettere di inviarne il maggior numero in un singolo lancio. Per regolare la loro posizione sull’orbita, mantenere l’altitudine prevista ed effettuare le operazioni di de-orbiting, i satelliti Starlink dispongono di propulsori a effetto Hall alimentati a krypton, che ha un costo inferiore di circa il 90% rispetto al classico xenon. Un sistema di navigazione con star-tracker garantisce un preciso puntamento e tutti i satelliti sono in grado di tracciare i detriti in orbita, evitando autonomamente la collisione. Inoltre, il 95% di tutti i componenti brucerà rapidamente nell’atmosfera terrestre alla fine delle operazioni. Il progetto ha lo scopo di creare una rete di connettività globale nelle telecomunicazioni capace di raggiungere ogni punto del nostro pianeta con servizi Internet a banda larga affidabili e convenienti Esiste però un rovescio della medaglia: questa megacostellazione genererebbe un inquinamento elettromagnetico che potrebbe rendere difficili le osservazioni astronomiche in ambito sia radio che ottico Questa moltitudine di satelliti, soprattutto se si considerano tutti i progetti in corso di realizzazione, “Starlink” di SpaceX (12.000 satelliti), “Kuiper” di Amazon (3.250 satelliti), “OneWeb” (650 satelliti), ecc. solleva il problema dell'inquinamento luminoso spaziale del cielo notturno, che si Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 13 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net aggiungerà all'inquinamento luminoso terrestre anche a causa della loro superficie altamente riflettente. Nell’articolo seguente viene riportato quanto emerso durante il 235° Meeting dell’American Astronomical Society (AAS), nel corso di un incontro focalizzato sugli effetti delle megacostellazioni di satelliti sulle osservazioni astronomiche. SpaceX ha dimostrato di essere sensibile al problema ed ha iniziato la sperimentazione di soluzioni per ridurre la luminosità dei satelliti Starlink con il lancio di un prototipo modificato denominato DarkSat. Intraprendere la via del Lato Oscuro sarà sufficiente? Il link dell’articolo: https://spacenews.com/spacex-astronomers-working-to-address-brightness-of-starlink-satellites/ SpaceX, gli astronomi chiedono di risolvere il problema della luminosità dei satelliti Starlink. DI JEFF FOUST 8 GENNAIO 2020 HONOLULU - SpaceX afferma di essersi impegnata a lavorare con la comunità astronomica per affrontare la luminosità dei suoi satelliti Starlink, ma alcuni astronomi rimangono preoccupati per gli effetti dannosi che il sistema Starlink, ma anche altre megacostellazioni, avrà sul loro campo di studi. Nell’ultimo lancio del 6 gennaio uno dei 60 satelliti Starlink presentava un rivestimento sperimentale studiato per ridurne la luminosità. SpaceX ha dichiarato che nelle prossime settimane esaminerà l’efficacia e le prestazioni del satellite prima di decidere come procedere. "Il livello di luminosità e visibilità dei nostri satelliti è stata una sorpresa per noi", ha affermato lo scorso 8 gennaio Patricia Cooper, Vicepresidente per l’area satelliti di SpaceX, durante il 235° Meeting dell’American Astronomical Society (AAS) nel corso di un incontro focalizzato sugli effetti delle megacostellazioni di satelliti sulle osservazioni astronomiche. Inoltre, anche il Presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, nello scorso mese di dicembre ha dichiarato che SpaceX è rimasta sorpresa dalla luminosità riscontrata nei propri satelliti. Patricia Cooper ha dichiarato che la luminosità è influenzata da diversi fattori. I satelliti Starlink inizialmente risultano luminosi quando vengono rilasciati nell’orbita di parcheggio inferiore; durante l’innalzamento all’orbita operativa più alta avviene l’apertura del grande pannello solare che può, a sua volta, influenzarne la luminosità. Una volta raggiunta l'orbita operativa finale di 550 chilometri, la luminosità del veicolo spaziale diminuisce fino a circa una magnitudine cinque, rendendoli visibili ad occhio nudo solo nei cieli notturni più bui. La Vicepresidente ha inoltre dichiarato che la particolare struttura del satellite ha reso difficile determinare con esattezza a priori il motivo per cui il veicolo spaziale rifletta così tanta luce. "Pensiamo che la configurazione delle superfici diffonda e rifletta la luce in modo tale da contribuire in modo significativo", ha affermato. Ciò ha portato allo sviluppo ed alla sperimentazione di un satellite, soprannominato "DarkSat", con superfici ridisegnate in modo da ridurne la riflettività. Un prototipo di DarkSat è stato mandato in orbita con l’ultimo lancio, ma ci vorrà del tempo per verificarne l’efficacia. Patrick Seitzer, un astronomo dell'Università del Michigan che sta studiando gli effetti delle costellazioni satellitari sull'astronomia ottica, ha dichiarato in una successiva conferenza stampa che il satellite probabilmente non raggiungerà la sua orbita operativa fino alla fine di febbraio, ed ha affermato che: "Solo allora potranno iniziare misurazioni serie". Patricia Cooper ha dichiarato che SpaceX avrebbe lavorato rapidamente per ridurre la luminosità dei propri satelliti, ma non ha fornito informazioni sullo stato di sviluppo delle sperimentazioni in corso e dei tempi di realizzazione. Nel frattempo, la società continuerà a lanciare i satelliti Starlink Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 14 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
Raccolta di Flash news dal sito www.ilcosmo.net nella loro configurazione iniziale, progettati per essere operativi per cinque anni: un piano alcuni astronomi hanno criticato durante l'incontro. "Non sappiamo ancora se queste mitigazioni saranno utili ed efficaci", ha detto Patricia Cooper. "Intendiamo lavorare sul problema con rapidità, testando soluzioni, facendo esperienza e sviluppando soluzioni". Jeff Hall, direttore dell'Osservatorio Lowell in Arizona e presidente del comitato dell'AAS, ha dichiarato che SpaceX si è resa disponibile ad incontrare un comitato dell'AAS per discutere le preoccupazioni della comunità astronomica riguardo a Starlink e per esaminare i modi per mitigarle. Tale lavoro ha incluso una mezza dozzina di teleconferenze e l’incontro dell’8 gennaio, durante il meeting dell'AAS. “Non abbiamo dovuto convincere SpaceX in alcun modo. Sono stati molto ricettivi e propositivi ", ha detto. Le discussioni, inizialmente, si sono concentrate sui piani di schieramento dei satelliti Starlink da parte di SpaceX, ma recentemente sono stati più un semplice "tenersi in contatto" mentre SpaceX si preparava a lanciare il suo DarkSat sperimentale. Hall ha aggiunto che è prematuro discutere delle normative sulla luminosità dei satelliti. "La regolamentazione di una situazione da “selvaggio West” è necessaria, ma ci vorrà molto tempo per attuarla", ha detto, mentre il problema posto da Starlink e da altre costellazioni è una questione di breve termine che deve essere affrontata ora. Hall e altri astronomi hanno affermato che anch’essi, come SpaceX, sono rimasti sorpresi dalla luminosità dei satelliti Starlink. "Ciò che ha sorpreso tutti - la comunità astronomica e SpaceX - è stato la luminosità dei loro satelliti", ha affermato l’astronomo Pat Seitzer. "Sapevamo che stavano arrivando queste decine di migliaia di megacostellazioni, ma in base alle dimensioni e alle forme degli oggetti attualmente in orbita, ci si aspettava che risultassero di ottava o nona magnitudine. Non ci aspettavamo magnitudine due o tre. " Sia gli astronomi che SpaceX hanno dichiarato di sperare, come primo passo, di oscurare i satelliti Starlink abbastanza da non essere visibili ad occhio nudo anche nei cieli più bui. Il prossimo passo sarà capire cos'altro si può fare per mitigare i loro effetti sui principali osservatori, in particolare il nuovo LSST (ex Large Synoptic Survey Telescope), ridenominato Osservatorio Vera Rubin, in costruzione in Cile. Gli astronomi hanno affermato che i telescopi a largo campo come LSST, sono particolarmente minacciati da Starlink e da altre megacostellazioni di satelliti. Hall ha dichiarato che il suo comitato dell’American Astronomical Society prevede di iniziare un confronto anche con OneWeb alla fine di questo mese, poco prima che la società inizi lo spiegamento su larga scala della sua costellazione. Sei satelliti di dimostrazione OneWeb sono attualmente in orbita, ad altitudini più elevate di quelli lanciati da SpaceX. Pat Seitzer ha detto che i satelliti sono di magnitudine otto, troppo scuri per essere visti ad occhio nudo, ma in alcuni casi pongono maggiori preoccupazioni per gli astronomi professionisti rispetto ai satelliti Starlink in quanto, alla loro altitudine, possono essere visibili per tutta la notte, piuttosto che solo intorno al tramonto e all'alba. Con SpaceX in procinto di schierare 1.500 satelliti Starlink nel solo 2020 e con OneWeb e altre costellazioni in fase di sviluppo, gli astronomi hanno avvertito che la situazione sta diventando un problema. "La questione delle megacostellazioni e dell'astronomia è una questione seria", ha affermato Pat Seitzer. "Abbiamo poco tempo per affrontare questo problema." Commentato da Roberto Castagnetti Associazione Culturale “Il C.O.S.MO.” (Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena); C.F.:94144450361 pag.: 15 di 54 Questa raccolta, le copie arretrate, i suoi articoli, non possono essere duplicati e commercializzati. È vietata ogni forma di riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta del circolo “Il C.O.S.Mo”. La loro diffusione all’esterno del circolo e’ vietata. Può essere utilizzata solo dai soci per scopi didattici. - Costo: Gratuito sul WEB per i soci .
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