DISAMINA DEI METODI DI CALCOLO DELLO HOME RANGE
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Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE BIOLOGICHE DISAMINA DEI METODI DI CALCOLO DELLO HOME RANGE: IL CASO DELLA VOLPE, Vulpes vulpes (L. 1768) E DELLA FAINA, Martes foina (Erxleben 1777) Relatori: Prof. SANDRO LOVARI Prof. DANILO MAINARDI Tesi di Laurea di: FILIPPO BASSIGNANI ANNO ACCADEMICO 1990-1991 1
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ INDICE 1. INTRODUZIONE 1.1. Carnivori 1.2. Volpe rossa 1.2.1. Principali dati biologici 1.2.2. Alimentazione 1.2.3. Aspetti comportamentali 1.3. Faina 1.3.1. Principali dati biologici 1.3.2. Aspetti comportamentali 1.3.3. Alimentazione 1.4. HomeRange 1.5. Autocorrelazione 1.6. Centri di attività e core areas 1.7. Rilevamento dei dati 1.7.1. Osservazione diretta 1.7.2. Trappolaggio a vivo (live trapping) 1.7.3. Marcatura con esche colorate 1.7.4. Uso dei dati dimensionali 1.7.5. Osservazione di individui marcati con pigmenti fluorescenti 1.7.6. Studio delle impronte lasciate sul substrato 1.7.7. Studio delle marcature territoriali 1.7.8. Radio tracking 2
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1.8. Metodi di rappresentazione dello home range 1.8.1. Metodi geometrici 1.8.1.1. Minimum convex polygon 1.8.1.2. Poligono concavo 1.8.1.3. 95% Minimum convex polygon (Poligono convesso 95%) 1.8.2. Metodi statistici 1.8.2.1. Ellissi 1.8.2.2. Media armonica 1.9. Considerazioni sui problemi teorici e pratici dello studio dello home range 2. SCOPI DELLA TESI 3. AREA DI STUDIO 4. MATERIALI E METODI 4.1 Statistica 5. RISULTATI 5.1 Home range 5.1.1. Animale a 5.1.2. Animale b 5.1.3. Animale c 5.1.4. Animale a (tab. n. 3) 5.1.4.1. Poligono concavo 5.1.4.2. Poligono convesso 100% 5.1.4.3. Poligono convesso 95% 3
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 5.1.4.4. Media armonica 5.1.4.5. Ellissi 5.1.5. Animale b (tab. n. 4) 5.1.5.1. Poligono concavo 5.1.5.2. Poligono convesso 100% 5.1.5.3. Poligono convesso 95% 5.1.5.4. Media armonica 5.1.5.5. Ellissi 5.1.6. Animale c (tab. n. 5) 5.1.6.1. Poligono concavo 5.1.6.2. Poligono convesso 100% 5.1.6.3. Poligono convesso 95% 5.1.6.4. Media armonica 5.1.6.5. Ellissi 5.2. Core areas 5.2.1. Animale a 5.2.2. Animale b 5.2.3. Animale c 6. DISCUSSIONE 6.1. Home range 6.2. Core areas 7. CONCLUSIONI 8. BIBLIOGRAFIA 4
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1. INTRODUZIONE 1.1. Carnivori (Ordine Carnivora) L’ordine dei carnivori è caratterizzato da una grande variabilità morfologica, ecologica e comportamentale. I carnivori vivono, infatti, in ogni tipo di ambiente, dal mare ai deserti, dalle foreste equatoriali alla tundra, dal pack artico ai parchi cittadini; persino i centri urbani sono stati colonizzati da due delle specie più adattabili di quest’ordine: la volpe rossa, Vulpes vulpes (L. 1756) e la faina, Martes faina (Erxieben 1777). La taglia dei carnivori va dagli 800 Kg dell’orso polare, Ursus maritimus, ai 100 g della donnola, Mustela nivalis. Come è lecito aspettarsi , anche gli home ranges dei carnivori hanno dimensioni variabilissime: dai 10 ha della donnola ai 200.000 ha del licaone, Lycaon pictus (da alcuni considerato alla stregua di una specie erratica). Per quanto concerne l’organizzazione sociale, esiste un’ampia gamma di comportamenti ricollegabili ai seguenti modelli: a) specie tendenzialmente solitarie che incontrano i conspecifici nel periodo riproduttivo; b) specie che vivono solitamente in gruppo, cooperando nella difesa del territorio e nell’approvvigionamento del cibo. La dieta, l’organizzazione sociale, le modalità di dispersione e l’ampiezza dello home range possono variare in modo considerevole all’interno di una stessa specie in relazione ai parametri ambientali (p. es. Geist 1971, Jarman 1974, Macdonaid 1983). Dal punto di vista tassonomico possiamo considerare caratteri distintivi di quest’ordine alcune caratteristiche del cranio quali: 1) la bulla timpanica molto sviluppata a causa della dilatazione delle ossa timpaniche; 2) il grande arco zigomatico; 3) la lunga fossa temporale. Anche la dentatura presenta delle caratteristiche diverse da quelle degli altri ordini: piccoli incisivi disposti secondo la formula 3/3; canini ben sviluppati e acuminati disposti nella formula 1/1; il quarto premolare superiore (P4) e il primo molare inferiore (MI), detti denti “ferini”, sono caratterizzati da grandi cuspidi affilate, evolutesi in quest’ordine in risposta alla necessità di smembrare le prede di cui si nutrono. 1.2. Volpe rossa, Vulpes vulpes (L.1758) 1.2.1.Principali dati biologici L’areale specifico è attualmente forse il più grande del regno animale dopo quello dell’uomo, comprendendo originariamente tutta la regione Paleartica. Oggi, a causa delle introduzioni fatte dall’uomo è presente in Nord-America, Australia, Nuova Zelanda e altre isole dell’Oceania. In questa immensa area ha colonizzato con successo ogni tipo di habitat. Macdonald (1987) osserva che i limiti nord e sud dell’areale specifico non sembrano determinati da fattori climatici, per es., la temperatura, ma dalla disponibilità di risorse. Nella tundra per esempio la scarsità di tali risorse rende vincente nella competizione interspecifica la volpe polare Alopex lagopus, che essendo di dimensioni minori e più adattata a quelle condizioni di vita, ha minori necessità alimentari. Quest’ultima sembra invece sfavorita a latitudini inferiori nelle quali, non essendovi pesanti limiti di disponibilità alimentari, risulta vincente la specie di dimensioni maggiori. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per i limiti meridionali dell’areale specifico, poiché, le zone aride, come deserti e steppe, sono di per sé una barriera e sono “occupate” dalle volpi che a tali ambienti sono più adattate come il fennec, Vulpes zerda e il corsac, Vulpes corsac. Come accade m molte specie a ampia diffusione, alcune misure 5
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ biometriche variano ampiamente da zona a zona dell’areale specifico. Le dimensioni qui riportate si riferiscono alla zona in cui si è svolta la ricerca (vedi Area di Studio). Il peso di una femmina (N=18) solitamente si aggira sui 4 Kg, il maschio (N=11) è in genere il 15 più pesante. La lunghezza del corpo dalla punta del naso alla base della coda è di circa 60 cm per la femmina e poco di più per il maschio, mentre la coda misura 45 cm circa. L’altezza alla spalla è di circa 40 cm. Il 42 denti sono suddivisi in: 3 incisivi, 1 canino, 4 premolari, 2 e 3 molari (rispettivamente nella mascella e nella mandibola), per ogni emiarcata dentaria. Pertanto, la formula dentaria è 3/3; 1/1; 4/4; 2/3. La lunghezza media dei canini superiori è circa 1,5 cm., quelli inferiori sono appena più corti; il loro stato di consunzione e le condizioni generali della dentatura possono indicare la classe d’età di un individuo (si può cioè dedurre se è giovane, adulto o vecchio), mentre asportando e sezionando il primo premolare superiore, che è uno dei denti meno utilizzati, si può conoscere l’età con una certa precisione considerando che il numero di cerchi di deposizione dello smalto corrisponde all’incirca al numero di anni di vita (tale tecnica è generalmente valida per tutti gli erbivori e carnivori selvatici). In cattività la durata della vita si aggira sui 13 anni, mentre in libertà si ha una variabilità estrema, in dipendenza di vari fattori, il principale dei quali è la pressione venatoria: comunque si pensa che difficilmente superi i 6 anni, anche nelle migliori condizioni di vita. La maturità sessuale viene raggiunta all’età di 9 - 10 mesi. Il periodo degli accoppiamenti è in Gennaio/ Febbraio alle latitudini medie, posticipato alle latitudini elevate e anticipato in quelle meridionali. Il peso alla nascita è di circa 100 g. II numero massimo di feti trovati in una femmina è 12, ma solitamente la cucciolata è di 4 piccoli con una variabilità molto elevata (raramente 1 solo cucciolo) in dipendenza da età, status sociale, disponibilità di risorse alimentari, ecc. La gestazione dura circa 53 giorni e il parto può avvenire in tane appositamente scavate, oppure trovate abbandonate da altre specie, in tronchi cavi, o addirittura in scantinati (volpi “urbane” in Gran Bretagna). Spesso non viene usata alcuna tana, usando come rifugio un posto riparato come una zona circondata da cespugli o nel folto di una macchia. Dall’ampiezza dell’areale specifico e dalle caratteristiche della dentatura (il numero e la forma dei denti sono quelli di un ipotetico “modello base” di carnivoro) si comprende che la caratteristica saliente di questa specie è la grande adattabilità. Questa l’ha portata a colonizzare una grande varietà di ambienti tra cui quelli particolarmente difficili come la tundra, il deserto e le aree rurali e urbane nelle quali la presenza dell’uomo è particolarmente condizionante e incompatibile con la maggior parte delle specie selvatiche. E’ anzi logico pensare che l’intervento umano l’abbia favorita eliminando alcuni suoi competitori (p. es. il gatto selvatico) e predatori (p. es. il lupo e la lince) che meno di lei erano compatibili con l’antropizzazione. Col termine volpe, contrariamente a quanto viene creduto dalla gente comune, non si indica solamente la volpe rossa, ma, ci si riferisce ai mèmbri più piccoli della famiglia dei canidi, facenti capo ai seguenti generi:Vulpes, distribuito in tutto il regno Olartico e nella regione etiopica del regno paleotropicale (introduzioni dell’uomo escluse), comprendente 12 specie; Alopex, con la sola specie A. lagopus cioè la volpe polare, particolarmente affine al genere Vulpes, dal quale è tradizionalmente tenuta separata per differenze negli indici craniometrici e morfologici, presumibilmente dovute a adattamento al clima polare; Dusicyon, comprendente 7 specie a diffusione neotropicale; Otocyon, con 1 specie della regione Etiopica. Tra tutte queste specie la volpe rossa è una delle più grandi e delle più atipiche dal momento che le altre mostrano specializzazioni ecologiche e comportamentali piuttosto spinte con adattamenti a habitat ben precisi (Macdonald 1987). Le sue caratteristiche di specie tipicamente “euri”, che ne determinano l’adattabilità e plasticità comportamentale, creano forti differenze adattative tra le popolazioni e, entro le stesse, tra gli individui. Questo significa che ogni studio deve essere collegato alla popolazione su cui è stato compiuto evitando generalizzazioni, o peggio, la applicazione di informazioni riferibili a equilibri ecologici diversi che inficerebbero qualsiasi ricerca, sia scientifica sia direttamente gestionale. Esempi della specificità dei risultati dei vari studi sono forniti dalle ricerche su alimentazione, comportamento sociale, e sullo home range (spazio vitale). 6
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1.2.2. Alimentazione Numerosi studi sono stati fatti sull’argomento in Europa (p.es.Englund 1965 in Svezia; Goszczynski 1974 e 1986 in Polonia; Reynoids 1986 in Francia ; Macdonald 1987 in Inghilterra,) e in Italia (per un riepilogo dei vari lavori si veda p.es Prigioni & Tacchi 1991). Come rilevato da Lucherini, Lovari e Crema (in stampa), da un’analisi generale dei risultati dei lavori citati appare che, nel Nord Europa, i vertebrati (in particolare micromammiferi, lagomorfi e uccelli) rappresentano l’alimento principale, mentre in zone mediterranee assumono rilevanza fondamentale i frutti e gli invertebrati (in particolare insetti). Gli stessi autori deducono che questa tendenza sia attribuibile alle caratteristiche delle diverse aree di studio, in particolare alle condizioni climatiche. Questo appare confermato anche dai numerosi studi condotti entro il territorio italiano. Infatti, come si può osservare dalla tabella n. 1 tra zone diverse della nostra penisola esistono differenze nella dieta della volpe che suggeriscono una correlazione tra variabili ambientali come il clima, le attività umane, le disponibilità di risorse alimentari ecc. Appare infatti logico che una specie eurifaga e adattabile come la volpe, adotti un comportamento opportunistico utilizzando di luogo in luogo le risorse alimentari più disponibili e modulando la dieta anche in relazione alle differenti disponibilità stagionali. E’ rilevante, in particolare, l’uso di risorse vegetali che in tutta Italia rappresentano una parte importante della dieta, mentre gli insetti sembrano diventare una delle principali categorie alimentari dove le condizioni ambientali (in particolare la temperatura e altre componenti climatiche) siano loro favorevoli. Tab. n. 1 dieta della volpe rossa in diverse zone italiane (gli studi citati sono tratti da Hystrix n. 3, 1991) AREA DI COMPONENTI PRINCIPALI DELLA DIETA AUTORE STUDIO Provincia di Galliformi, lagomorfi Prigioni Alessandria Albese (CU) Animali domestici, frutti e altri vegetali, roditori, insettivori, Debernardi et al. lagomorfi, uccelli, insetti Valle del Ticino Gen. Rattus, rallidi, fasianidi, anatidi, passeriformi, rosacee, Prigioni & berberidacee Tacchi Alpi Orobie Micromammiferi (gen. Clethrionomys e Microtus), frutta, Cantini altri vegetali (overlap con dieta faina 0,868) Appennino Rosacee, ortotteri, coleotteri, roditori, insettivori Rosa et al. settentrionale Marche Micromammiferi, rifiuti, vegetali Pandolfi settentrionali Parco della Maremma Lovari et al. a) Ecotone costiero Bacche di ginepro, coleotteri, ortotteri b) Area rurale Frutta (uva in particolare) insetti c) Pineta Bacche di ginepro, carogne Appennino Roditori, rifiuti, carogne (in proporzione più elevata che in Boldreghini & centrale altri paesi europei), frutti Pandolfi Sicilia Artropodi, frutta, micromammiferi, uccelli, lagomorfi Fais et al. 7
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1.2.3. Aspetti comportamentali La rapida propagazione della rabbia silvestre (zoonosi virale altamente contagiosa) di cui la volpe è uno dei principali vettori (Macdonald 1980) è stata uno degli stimoli principali che hanno portato all’intensificazione delle ricerche sulla biologia e in particolare sul comportamento di questa specie. Fondamentale importanza anche ai fini della lotta alla suddetta malattia, riveste la conoscenza dettagliata del comportamento sociale e territoriale che concorre pesantemente a determinare la distribuzione e gli spostamenti delle popolazioni di volpi. Questa specie veniva tradizionalmente considerata territoriale e tendenzialmente solitaria. In realtà ulteriori studi hanno dimostrato per essa una socialità plastica, talora molto sviluppata e articolata. Macdonald (1987), uno dei maggiori esperti mondiali sull’argomento, schematicamente la considera una specie a sistema riproduttivo momogamo, con tendenza alla poliginia, che in alcuni casi può vivere in gruppi che annoverano sino a un massimo di 6 individui (tipicamente 1 maschio con un numero di femmine variabile da 1 a 5). Le categorie di femmine adulte che si possono individuare secondo Emlen (1982) sono: 1) femmina che si riproduce e alleva da sola i suoi piccoli; 2) femmina dominante (chiamata femmina alfa; spesso la più anziana del gruppo) che si riproduce e alleva i piccoli aiutata da femmine subordinate non riproduttive dette helpers (di solito giovani consanguinee della femmina alfa) 3) femmina che si riproduce coadiuvata da 1 o più femmine adulte in stato potenzialmente riproduttivo, che hanno perso i loro cuccioli per riassorbimento fetale, aborto, o altre cause (p.es. imperizia dovuta a inesperienza) 4) due femmine che allevano collettivamente le rispettive cucciolate in una tana comune. I vantaggi che la femmina riproduttrice riceve dall’aiuto delle compagne non riproduttrici sono molteplici e facilmente immaginabili (più cure, cibo, protezione per i propri piccoli, più tempo a disposizione per le proprie necessità, possibilità di adozione dei propri figli in caso di morte, ecc. Emlen 1982; Macdonald 1983 e 1987). La condizione di helper d’altro canto presenta i seguenti vantaggi (Emlen 1982): 1) essere tollerate in un territorio favorevole perché conosciuto; 2) subentrare più facilmente al posto della femmina dominante (l’unica che si riproduce con successo all’intemo del gruppo); 3) favorire il proprio genoma aiutando dei parenti (fitness inclusiva), evitando i rischi della dispersione, della conquista di un territorio e dell’allevamento di cuccioli in condizioni di inesperienza. Le femmine, come abbiamo visto, possono separarsi oppure no dal gruppo famigliare originario. I maschi, invece, una volta prossimi alla maturità sessuale vengono costretti alla dispersione dal maschio dominante che tende e “monopolizzare” le femmine. Questa tendenza alla poliginia è forse causata dal fatto che il maschio fa un investimento parentale minore della femmina (cioè investe meno energie di una femmina in ogni singola cucciolata) e può quindi massimizzare la fìtness accoppiandosi col maggior numero possibile di femmine e lottando per allontanare da esse gli altri maschi (Trivers 1972). La disponibilità di cibo, intesa come quantità e distribuzione delle risorse alimentari, è uno dei fattori che influenzano il comportamento della volpe in modo più profondo, investendo vari aspetti etologici e ecologici. In particolare appare evidente come la selezione dell’habitat e l’attività svolta in esso siano correlate alle caratteristiche delle risorse lì disponibili (Lovari et al. 1991). Inoltre, poiché questi sono i fattori che prevalentemente determinano le dimensioni dei territori e quindi la distribuzione spaziale degli individui (Macdonald 1983), anche le relazioni sociali risultano da essi influenzate. Infatti, dove le risorse sono abbondanti e concentrate i territori sono particolarmente piccoli. Ciò favorisce le interazioni tra individui, tanto che le femmine subordinate subiscono la soppressione endocrina provvisoria del comportamento riproduttivo causata dai frequenti contatti sociali che queste hanno con la femmina dominante (Macdonald 1980 e 1981). Von Schantz (1981, 1984) studiò il caso in cui le 8
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ risorse alimentari erano disperse su vaste aree. In questo caso i tenitori erano estesi e le femmine subordinate occupavano quelli di dimensioni minori e più sfavoriti ma potevano evitare gli stressanti incontri con la dominante. In questo modo esse riuscivano a riprodursi, anche se poi le condizioni sfavorevoli non consentivano loro di allevare con successo i loro piccoli. Questo scarso successo riproduttivo era controbilanciato dal vantaggio di essere favorite nell’occupazione dei territori ottimali in caso di morte della femmina alfa. E’ infrequente che due femmine usino una tana in comune e per ora soni ) sconosciuti i motivi che possono determinare tale comportamento ma Macdonald (1987) suggerisce che in questo caso si hanno vantaggi nell’adozione in caso di morte di una delle madri e nell’aiuto alla sorveglianza dei piccoli, oltre alla possibilità di usufruire entrambe dell’aiuto del maschi) che, in caso di tane separate, collaborerebbe con una sola femmina (pur avendole fecondate entrambe). Probabilmente quanto detto da Macdonald è valido quando le condizioni di disponibilità delle varie risorse non costringe gli individui a stare separati e le due femmine sono unite da stretti rapporti di parentela. A differenza di molte altre specie di canidi, nella volpe non è stato riscontrato alcun tipo di collaborazione tra adulti nel procurarsi il cibo. Macdonald (1979) ha invece osservato una madre insegnare al proprio piccoli) la tecnica per estrarre dal terreno i lombrichi senza spezzarli, attuando una trasmissione culturale di informazioni. E’ quindi ipotizzabile che una specie dal comportamento così largamente influenzato da quanto appreso con l’esperienza individuale e, in misura minore, attraverso la trasmissione culturale, si procuri le necessarie risorse alimentari in due modi: uno grazie all’apprendimento che l’individuo fa delle risorse più facilmente sfruttabili nell’ambiente che frequenta; l’altro tramite le preferenze alimentari che gli sono state trasmesse culturalmente dalla madre e dalle helpers. Per quanto riguarda le interazioni con l’uomo, si può dire che sia sempre esistito un rapporto di competizione sancito dalla tradizionale inclusione di questa specie tra i cosiddetti “nocivi” (termine fortunatamente caduto in disuso). Questo, come abbiamo visto, non ha certo impedito alle popolazioni di volpi di prosperare e talora di espandersi anche se, con l’intento dichiarato di prevenire e limitare la diffusione della rabbia silvestre, sono state fatte dai cacciatori delle vere e proprie stragi (Cassola 1991). A questo proposito va notato come le campagne di abbattimento incontrollato si rivelino per lo più inefficaci e sovente non modifichino la densità delle popolazioni volpine, alterandone però la struttura per età. Una interessante ipotesi per spiegare tale fenomeno è stata formulata da Macdonald (1987) il quale evidenzia come una alta pressione venatoria, in un ambiente ricco di risorse che consenta elevate densità di popolazione, si limiti a trasformare la socialità e l’età media degli individui senza modificarne profondamente il loro numero. Infatti dove la caccia è intensa e non selettiva, gli individui non fanno in tempo a raggiungere le età avanzate che determinano lo status dominante. In questo modo le giovani femmine che in condizioni normali non si riprodurrebbero (rimarrebbero nel |territorio della madre, la femmina dominante, in qualità di helpers) non incontrano nessun ostacolo sociale alle loro capacità riproduttive, compensando e talora superando le perdite dovute agli abbattimenti. In una società così destrutturata si indeboliscono i legami tra gli individui e il territorio favorendo l’insediamento dei giovani in dispersione che occuperanno facilmente i posti lasciati liberi dagli esemplari abbattuti, accelerando quei processi di emigrazione e immigrazione che sono veicolo di espansione della rabbia. Recenti ricerche fatte per contrastare questa zoonosi (in Italia per es. Giovannini & Prosperi 1991) indicano l’efficacia dei metodi di immunizzazione orale tramite esche contenenti un vaccino eventualmente coadiuvate da abbattimenti controllati e selettivi. Una importantissima fonte di informazioni sulla biologia di un animale è lo studio del suo home range o area vitale (vedere paragrafo 1.4). Come accennato in precedenza (paragrafo 1.2.3 pag. 8) la volpe è considerato animale che difende lo home range dai conspecifici dello stesso sesso, rientrando nella categoria di specie territoriali nelle quali si ha coincidenza tra concetto di territorio e quello di home range. Il territorio viene marcato dal possessore con urina e/o feci e i secreti ghiandolari, scegliendo in 9
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ particolare luoghi ben visibili e possibilmente sopraelevati in modo che l’odore si espanda più facilmente. Di solito le marcature avvengono su sassi, cespugli, incroci di sentieri. Le ghiandole utilizzate sono quelle anali (un paio a destra e un paio a sinistra dell’orifìzio anale) e quella sopracaudale (posta dorsalmente alla base della coda, segnalata da un ciuffo di peli scuri). La dimensione degli home range è correlata alla ricchezza trofica dei diversi ambienti. Quando questi sono troficamente poveri come il deserto o la tundra, lo home range può avere un’ampiezza media di 5000 ha e 3000 ha rispettivamente (Macdonald 1987), mentre, in ambiente suburbano particolarmente ricco di rifiuti e altre risorse alimentari (p. es. ratti), può esse e di soli 40 ha (Macdonald 1987). La tabella n. 2 fornisce un quadro riassunta o delle dimensioni medie dello home range della volpe, rilevati da vari autori in diversi ambienti. Le differenze dimensionali sono state rilevate anche all’intemo dello stesso ecosistema ed in questo caso esse vanno imputate al tipo di dispersione spazio-temporale delle risorse (Macdonald 1981). Infine bisogna tenere presente che, come avviene di solito nei carnivori, il territorio del maschio è molto più grande di quello della femmina. Questo avviene perché nella maggioranza delle specie appartenenti a quest’ordine c’è la tendenza alla poliginia e le femmine sono per il maschio una risorsa da contenere nel territorio. Esso però dovrà essere sufficientemente ampio da consentire ad ognuna di avere a sua volta un area esclusiva che ne consenta il sostentamento (Macdonald 1983). 10
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ Tab. n. 2 – Dimensioni degli home ranges di volpe rossa rilevati in habita differenti (tratto da Lovari et al. 1991). ________________________________________________________________________________ Home range (ha) Habitat Autore ________________________________________________________________________________ 0040 Sub-urbano Macdonald (1987); 0101 Urbano Harris (1980); Voigt & Macdonald (1984); Kolb (1986); 0131 Rurale Lovari et al. (1991); 0213 Ecotone costiero Lovari et al. (1991); 0290 Zona umida Reynolds (1986); 0330 Pineta mediterranea Lovari et al. (1991); 0650 Taiga Lindstrom (1986); 0850 Prato alpino Macdonald et al. (1980); 3000 Tundra Jones & Theberge(1982); 5000 Deserto Macdonald (1987); ________________________________________________________________________________ 1.3. Faina, Martes foina (Erxieben 1777) 1.3.1. Principali dati biologici La faina Martes foina (Erxieben 1777) fa parte della famiglia dei mustelidi (Mustelidae) del genere Martes, carnivori di forma sottile e allungata, di lunghezza variabile dai 50 cm a 100 cm (coda compresa) e con un peso variabile dai 700 g a 3000 g. I mèmbri di questo genere hanno arti corti con 5 dita, pelo folto e lungo di colore marrone scuro con una macchia golare di dimensioni variabili, di colore biancastro nella faina e tendente al giallo o all’arancio nelle martore (Martes martes). Come tutti i mèmbri della famiglia dei mustelidi sono provvisti di una grande sacca anale. Il genere Martes ha la seguente formula dentaria: I 3/3; C 1/1; PM 4/4; M 1/2 (totale 38 denti). Esso viene distinto dal genere Mustela per la presenza di 4 premolari per ogni emimascella; per avere una piccola ma definita cuspide metaconide sul dente ferino mandibolare (MI); per il rostrum più lungo, il meato uditivo più breve e per il processo paraoccipitale ben distinguibile. L’areale su cui è distribuito è rappresentato dall’intero regno Olartico e dalle foreste pluviali del Sud-Est asiatico (regione indiana del regno Paleotropicale). La faina fa proprie, accentuandole, tutte le caratteristiche di adattabilità delle specie appartenenti al genere Martes, tra le quali è una delle più diffuse e sicuramente la più abile a colonizzare zone antropizzate anche pesantemente. Essa può infatti sopravvivere agevolmente in ambienti rurali, nei parchi cittadini e persino nei centri storici urbani. Questa specie in molte zone è simpatica della martora, ma il suo areale specifico è più esteso a Sud e a Est, mentre quello della martora è più esteso a Nord. Tale areale comprende l’Eurasia, dalla penisola iberica alla Mongolia e dalla Russia meridionale in Kashmir (India settentrionale), comprende inoltre le isole mediterranee di Ibiza, Creta e Rodi. La presenza della faina in Europa risale a tempi evolutivamente assai recenti, dato che i primi reperti sicuramente ascrivibili a questa specie, trovati in Ungheria, vengono datati al postglaciale (Olocene). I reperti fossili tuttavia sono di diffìcile identificazione a causa della grande rassomiglianza con quelli 11
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ della martora. In ogni caso si ipotizza che il luogo di origine di questa specie sia il medio oriente poiché è qui che sono stati rinvenuti i fossili più antichi, risalenti al Pleistocene inferiore. 1.3.2. Aspetti comportamentali Dal punto di vista tassonomico la faina è stata oggetto di numerosi studi, ma le conoscenze sulla sua etologia e sulla sua ecologia sono tuttora piuttosto scarse. Autori che in Italia godono di una grande considerazione (per es. Toschi 1965) si limitano a fare riferimenti alle credenze popolari e descrivono questa specie come un animale di “istinti sanguinari, che fa strage di animali domestici quando entra nei chiusi” e che “uccide anche se non affamata, attaccando le vittime alla nuca o alla gola e producendo una ferita dalla quale sugge il sangue, senza che l’intero corpo venga divorato”. L’organizzazione sociale della faina tende ad uniformarsi al modello tipico della famiglia dei mustelidi definito territorialità intrasessuale (Powell 1979). Secondo tale modello i maschi e le femmine escludono rispettivamente altri maschi e altre femmine dal loro territorio; tra maschi e femmine è invece comune una sovrapposizione territoriale più o meno ampia, che non raramente porta il territorio di un maschio a contenere quello di una o più femmine. Un tale comportamento territoriale dimostra che nei mustelidi il concetto di homo range (vedere paragrafo 1.4) coincide con quello di territorio (per una sua definizione precisa si rimanda alparagrafo 1.4). Per quanto riguarda i ritmi di attività, è stato osservato che questa specie mostra di essere attiva preferenzialmente in ore crepuscolari e notturne. La riproduzione avviene con accoppiamenti attuati preferenzialmente a metà estate. L’ovulo fecondato, dopo alcune divisioni cellulari, entra in diapausa e rimane in questo stato, per circa 8 mesi, dopodiché riprende La segmentazione e il differenziamento cellulare che porteranno alla nascita dei piccoli dopo un periodo di 28-30 giorni. Le dimensioni della cucciolata vanno da 1 a 5 piccoli con una media di 2,7. Il parto avviene tra la fine di Marzo e gli inizi di Aprile e i piccoli vengono allattati per circa 2 mesi. All’età di 3 mesi raggiungono le dimensioni dell’adulto. L’età in cui i giovani si allontanano dallo home range della madre è molto variabile poiché dipende da vari parametri ambientali, tra i quali uno dei più importanti è l’organizzazione spaziale dei conspecifici abitanti le aree adiacenti. Solitamente la dispersione avviene a un’età compresa tra 5 mesi e 1 anno. 1.3.3. Alimentazione Lo spettro trofico della faina indica che anche questa specie, oltre alla già citata volpe, può essere considerata un generalista alimentare. Infatti la sua dieta è caratterizzata da una notevole polifagia e da una netta variazione stagionale nello sfruttamento delle varie risorse alimentari. Una eccezione a quanto detto è stata documentata da Romanowski (1989) che descrive come in ambiente urbano, in Polonia, questi animali fossero divenuti specialisti nella caccia agli uccelli urbani (columbiformi e passeriformi). In questo caso non si verifìcavano variazioni significative tra le diete delle diverse stagioni dato e la disponibilità della risorsa rappresentata dagli uccelli viventi in città non variava. In generale la dieta della faina è influenzata dalla disponibilità dei vari alimenti nelle diverse stagioni. Gli studi sull’argomento effettuati in Italia (p. es Cantini 1991 in Posillico, tesi di laurea in preparazione, anche se scarsi e condotti su campioni limitati, confermano la tendenza alla eurifagia. Nessuna ricerca, finora, ha preso in considerazione l’analisi delle disponibilità alimentari nell’area di studio, quindi, pur sapendo che la faina si nutre delle risorse alimentari più varie quali: micromammiferi, uccelli, rettili, anfibi, uova, frutta, animali domestici, carogne e rifiuti e nonostante la sua dieta mostri variazioni stagionali pronunciate, non è ancora stata provai l’esistenza di una correlazione tra il cibo consumato e la sua disponibilità stagionale. 12
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1.4. Home Range II concetto di home range, traducibile in area familiare o area vitale, è stato definito e rielaborato da diversi autori. Tutti però hanno fatto un riferimento più o meno diretto alla definizione originaria di Burt (1943) che definisce lo home range come “l’area in cui un individuo svolge le sue normali attività”, puntualizzando in tal modo come esso fosse un concetto diverso dal territorio che veniva definito da Noble (1939) come ogni area attivamente difesa. Va precisato che sarebbe più corretto usare il termine porzione di spazio) invece di area (e questo vale anche per la definizione di territorio), dato che in realtà gli animali vivono in uno spazio tridimensionale che può comprendere parte del sottosuolo e dello spazio aereo. Inoltre, è difficile definire cosa sia una “normale attività”, anche se l’autore nella stessa pubblicazione fa riferimento alla ricerca di cibo e alle attività riproduttive, ma queste considerazioni verranno riprese in seguito. Per ora è importante dire che effettivamente ogni animale ha una regione preferita (in modo più o meno stabile nel tempo) all’interno dello spazio che è alla sua portata locomotoria, quindi si può dire che praticamente ogni animale abbia uno home range, mentre non tutti gli animali hanno un territorio. In particolare tra i mammiferi ci sono specie non territoriali, specie che difendono solo una parte della loro area familiare (magari in prossimità della tana o le cosiddette arene-lek a scopo riproduttivo) e specie (la grande maggioranza) che la difendono interamente, in modo più o meno stabile nel tempo. Tra queste ultime vanno considerate le due specie oggetto di questa ricerca, per le quali è quindi lecito dire che c’è completa coincidenza tra il territorio e lo home range. Da quanto detto finora, si può dedurre quanto possa essere importante per la conoscenza della biologia di una specie, e in particolare della ecologia e del comportamento, lo studio del suo home range. Le dimensioni e la forma dell’area vitale, il modo in cui viene utilizzato sono le informazioni base di numerosissimi studi su: 1) selezione dell’habitat; 2) quantità e dispersione (cioè disponibilità) delle risorse che esso offre; 3) comportamento alimentare; 4) modelli di attività; 5) distribuzione spaziale degli individui, dalla quale dipendono i rapporti ecologici tra le specie, i rapporti sociali entro la specie e la densità delle popolazioni (Harris et al. 1990). Dimensioni, forma e modo di utilizzo sono a loro volta profondamente collegati alle condizioni ambientali in cui si è svolta la ricerca, alla collocazione geografica dell’area di studio, al periodo di studio, all’età, sesso e status sociali dell’animale o degli animali studiati (Harris et al. 1990). Molto importante è infine il fatto che, col progredire delle conoscenze, si sono sviluppate diverse tecniche di rilevamento dei dati (per es. la radio telemetria) che hanno favorito un parallelo sviluppo di metodologie per la loro analisi. Tali metodologie di analisi, e in misura minore anche le tecniche di rilevamento, devono essere precisate e descritte poiché hanno grande influenza sulla interpretazione finale dei risultati. Addirittura il loro uso ha consentito a alcuni autori di ridefinire in modo probabilistico il concetto di home range, che diviene “la più piccola regione avente, in un dato tempo, una data probabilità di contenere una localizzazione dell’animale” (p.es. Jennrich & Tumer 1969). 1.5. Autocorrelazione I metodi statistici di analisi dello home range si basano sul presupposto dell’indipendenza dei rilevamenti che consentono di localizzare la posizione di un animale. Questa condizione si verifica quando la localizzazione effettuata al tempo t+k non è funzione di quella effettuata al tempo t (Swihart & Slade 1985). Se i rilevamenti sono separati da lunghi intervalli di tempo e non si osservano particolari ritmicità nei movimenti, sarà corretto considerarli indipendenti tra loro (Swihart & Slade 1985). La tecnica del radio tracking (radio telemetria, vedere paragrafo 1.7.8) consente di ottenere numerosissimi rilevamenti della posizione dell’animale (detti in questo caso fixes) separati da intervalli di tempo piccolissimi. In tal caso i fixes saranno non indipendenti, presentando quella che si definisce 13
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ autocorrelazione (Swihart & Slade 1985). Essa influenzerà i risultati di stima dello home range ottenuti tramite qualsiasi modello statistico. In particolare il calcolo delle dimensioni risulterà sottostimato in misura dipendente dal grado di autocorrelazione dei fixes (Swihart & Slade 1985). Il maggiore problema che emerge da tutte queste considerazioni è l’estrema difficoltà di avere informazioni quantitativamente precise del livello di autocorrelazione e degli intervalli temporali che consentano di considerare i fixes non autocorrelati. Swihart & Slade (1985) ipotizzarono che i fixes dovessero essere separati da intervalli di tempo uguali al tempo impiegato dall’animale per attraversare il proprio home range, senza specificare però a quale velocità, in quali condizioni ambientali (se l’animale attraversa la propria area vitale sprofondando nella neve o aprendosi un varco tra la vegetazione più fitta, impiegherà molto più tempo di quanto non avvenga in altre condizioni) e, soprattutto, presupponendo di conoscere già quelle dimensioni dello home range che dovrebbero essere determinate proprio dall’analisi dei fixes. Nel caso specifico della volpe, gli stessi autori calcolarono il tempo di indipendenza tra i fixes in 120 minuti (Swihart & Slade 1985), ma altri indicarono tempi differenti (p. es. Hofer 1986 considerò sufficienti 30 minuti). Solitamente i ricercatori presuppongono l’assenza di autocorrelazione nei loro dati, ma non effettuano tests che lo provino, anche perché la maggioranza degli studi finora pubblicati utilizza solamente il metodo del “minimo poligono convesso” che, non essendo un metodo statistico, non necessita di dati indipendenti (Harris 1990). A conclusione di quanto detto finora occorre ricordare che: a) tra i metodi statistici di analisi dello home range, quello della Media Armonica (vedere Metodi di rappresentazione dello home range, paragrafo 1.8) sembra essere quello meno influenzato dagli effetti dell’autocorrelazione (Andersen & Rongstad 1989); b) per le specie a alta mobilità, il tempo di indipendenza tra i rilevamenti tende ad essere così basso che questi possono essere considerati comunquc privi di autocorrelazione (Andersen & Rongstad 1989). In specie in cui questi assunti non siano applicabili è invece consigliabile utilizzare metodi non statistici per la misura dello home range (Swihart & Slade 1985). 1.6. Centri di attività e core areas Il centro di attività, definito da Hayne (1949) come il centro geografico dei punti di cattura, viene determinato facendo la media aritmetica delle coordinate cartesiane delle localizzazioni dell’animale (Koeppl et al. 1985). Le localizzazioni, nello studio di Hayne sopra citato, sono i punti di cattura ottenuti con la tecnica del live trapping, ma possono essere trattati allo stesso modo anche i fixes (vedere paragrafo 1.7.8) ottenuti col radio tracking. La definizione di Hayne porta alla rappresentazione dell’insieme delle localizzazioni di un animale in un unico punto, al quale è però scorretto assegnare un significato biologico per due motivi. Il primo è che l’unica informazione che viene considerata riguardo all’animale, è la sua posizione. Il secondo è che la media aritmetica per sua natura subisce profondamente l’influenza dei valori estremi, in questo caso rappresentati dalle localizzazioni periferiche. Molti ricercatori (per esempio Nelson & Mech 1981), anche per ovviare a questo inconveniente, procedevano alla eliminazione dei dati che, secondo la loro esperienza, avrebbero potuto sovrainfluenzare la media, considerando così, in modo assolutamente non formalizzato, quello che può essere definito il modello di uso dello spazio dell’animale (Samuel & Garton 1985). Questa selezione soggettiva dei dati può portare all’eliminazione di localizzazioni periferiche che, pur potendo rendere irrealistiche le medie, sono comunque informazioni significative (per es. possono rappresentare una escursione esplorativa dell’animale al di fuori dei confini del suo home range). Da quanto detto sinora si intuisce come i ricercatori siano sempre stati molto interessati alla comprensione dell’uso dello spazio da parte degli animali. Particolarmente utile a tal fine è risultata la tecnica del radio tracking (vedere paragrafo 1.7.8). Essa ha consentito di ottenere dati in quantità nettamente superiore a quanto avveniva prima del suo uso. Questo ha agevolato la loro elaborazione statistica, che a sua volta 14
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ ha portato alla costruzione di un modello di uso dello spazio chiamato da Van Winkle (1975) utilization distribution (U.D.), traducibile in “distribuzione dell’uso (dello spazio)”. La U.D., secondo la definizione data dall’autore ora citato, è la frequenza di distribuzione dei punti di localizzazione (detti fixes nel caso essi siano ottenuti col radio- tracking) di un animale in un periodo di tempo. In parole più semplici è la rappresentazione della probabilità di trovare un animale in ogni punto dello spazio. Essa permette di costruire un modello di home range e di assegnare a , ogni punto dello stesso il valore proporzionale del tempo trascorsovi dall’animale. Si rappresentano cioè la porzione di spazio usata abitualmente (lo home . range appunto) e una o più porzioni di spazio usate più intensamente (quelle in cui l’animale ha trascorso più tempo o, cosa equivalente, quelle in cui l’animale è stato rilevato con maggior frequenza). Queste ultime, prima che fosse definita formalmente la U.D., costituirono la base concettuale per la definizione di core area coniata da Kaufmann (1962). Essa, infatti, è la parte di home range contenente i rifugi e le risorse più sfruttate. Si comprende come tale concetto sia molto più rappresentativo delle problematiche biologiche di un animale di quanto non sia il centro di attività inteso secondo la definizione di Hayne. Come esempio di ciò si può citare lo studio di Harris et al. (1990) che dimostra come nei maschi di muntjac (Muntiacus muntjac), si riscontrassero parziali sovrapposizioni tra gli home range, ma non tra le core areas. Questo significa che questi animali tolleravano i conspecifici del loro sesso entro la loro area vitale, ma difendevano all’interno di essa le aree più importanti, nelle quali probabilmente erano concentrate le risorse più ambite (per es. cibo o femmine), facendo coincidere in questo caso il concetto di core area e di territorio. Da tutto ciò, si comprende come la core area sia immaginabile come una parte di home range che ne riassume molte delle caratteristiche più importanti. E’ quindi comprensibile come le assunzioni teoriche e le metodologie impiegate per il suo studio siano quelle proprie dell’analisi statistica dello home range (Harris et al. 1990). In particolare i maggiori consensi sono stati raccolti dalla tecnica della Media armonica (vedere paragrafo 1.8.2.2). Questo metodo, applicato da Spencer & Barret (1984) in una ricerca su alcune specie di carnivori, ha consentito la determinazione e la rappresentazione delle aree in cui si concentravano la maggior parte delle localizzazioni (chiamate dagli autori centri di attività). Il tipo di distribuzione assunto da queste localizzazioni, solitamente, non impedisce una rappresentazione realistica di queste aree di maggior uso. Gli autori però avvertono che, se i fixes risultano spaziati in modo lineare o troppo irregolare, anche la tecnica della media armonica può rivelarsi scarsamente efficace. A conclusione di quanto detto su l’centri di attività” e core area, va notato che in molte pubblicazioni non si considerano le definizioni di Hayne (1949) e di Kaufmann (1962). Per esempio Dixon & Chapman (1980), Spencer & Barret (1984) e Harris et al. (1990), definiscono centro di attività la zona con la , maggior densità di localizzazioni dell’animale. 1.7. Rilevamento dei dati Nello studio dello home range, o del territorio nel caso in cui i due termini coincidano, la prima fase consiste nel rilevamento dei dati di individuazione dell’animale. Questa fase si attua sul campo e consiste fondamentalmente in un’indagine di movimenti che permetta di ottenere una serie di localizzazioni. A tale scopo è possibile usare diverse tecniche che qui verranno elencate e brevemente descritte. 1.7.1. Osservazione diretta L’osservazione diretta è il mezzo ideale per la raccolta di qualsiasi informazione descrittiva su una specie particolarmente proficua quando è usata per studiare animali che vivono in branco e quando viene abbinata a altre tecniche come la marcatura con esche . colorate (vedere paragrafo 1.7.3) o il radio tracking (vedere paragrafo1.7.8). Nel caso in cui esista un territorio, questo può essere 15
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ individuato principalmente con l’osservazione diretta dei comportamenti di difesa territoriale. Sono relativamente poche le specie di mammiferi che in questo modo possono essere studiate in libertà, poiché molte hanno abitudini elusive e vivono in ambienti sfavorevoli al ricercatore. Particolarmente interessanti sono le recenti tecniche che permettono l’osservazione notturna degli animali grazie all’uso di strumenti ottici in grado di rilevare le radiazioni elettromagnetiche alla lunghezza d’onda dell’infrarosso. In questo modo si potranno ottenere dati sulle numerosissime specie di mammiferi ad abitudini totalmente o parzialmente notturne (purché si trovino in ambiente aperto). 1.7.2. Trappolaggio a vivo (live trapping) Il trappolaggio a vivo consiste nel disseminare un’area di trappole che non uccidano l’animale catturato e constatare in quali di esse e con quale frequenza l avvengano le catture. Ogni luogo di cattura è un punto in cui si è rilevata con certezza la presenza dell’animale, cioè è un punto-posizione. Dal complesso di questi sarà possibile costruire un modello di home range. Questo metodo è il primo che è stato usato, ma presenta inconvenienti quali la difficoltà di cattura di molte specie e in particolare dei grandi mammiferi, la scarsa quantità di dati ottenibili e alla impossibilità di dimostrare che un animale è stato solamente nei punti di cattura. Infine va ricordata la pesante alterazione del comportamento naturale che la presenza delle trappole e le attività dei ricercatori sovente inducono negli animali. Ciononostante questo è a tutt’oggi il mezzo più indicato per studiare nel loro ambiente i micromammiferi, che per le loro dimensioni sono difficilmente osservabili. 1.7.3. Marcatura con esche colorate Questo metodo descritto da Kruuk (p. es. 1989) si basa sull’abitudine di alcune specie di mammiferi a defecare in latrine facilmente individuabili, prevalentemente situate ai confini dello home range. Consiste nell’indurre l’animale a mangiare pezzetti di plastica colorata mischiandoli opportunamente a un’esca. La plastica passa indigerita per l’apparato digerente dell’animale e viene deposta con gli escrementi nelle latrine, dove è facilmente visibile. In questo modo, mettendo le esche nei pressi della tana e usando pezzetti di plastica di colore diverso per ogni sistema di tane, si possono conoscere le latrine usate per la del imitazione dei rispettivi home range. Queste infatti conterranno pezzetti di plastica di un solo colore se delimitano i confini con una zona libera, mentre conterranno pezzetti di plastica di due colori diversi se delimitano il confine con una zona occupata da conspecifici. In ogni caso sarà possibile il collegamento non ambiguo di ogni latrina al suo proprietario. 1.7.4. Uso dei dati dimensionali Questo metodo presuppone una relazione funzionale esatta tra la massa di un determinato taxon animale, per esempio una specie, e le dimensioni del suo home range (p. es. Harestad & Bunnell 1979. in Fattorini & Lovari 1991) Un modello deterministico di questo tipo, a prescindere dal tipo di relazione, implica che due animali per il solo fatto di avere lo stesso peso corporeo, abbiano lo home range di uguale superficie. Esso è inefficace, poiché anche all’interno di una stessa specie (e quindi a maggior ragione in specie differenti) la dimensione dello home range dipende, in misura diversa da caso a caso, da variabili che possono essere, per es., la disponibilità di risorse alimentari, la qualità degli habitat e i fattori sociali. Tutte le variabili non possono essere inserite nel modello poiché esso diverrebbe troppo complesso e inutilizzabile, soprattutto perché il numero di variabili che possono avere influenza sul modello è spesso molto elevato. Il problema può essere parzialmente risolto costruendo un modello stocastico che consideri solo poche variabili fondamentali e raggruppi l’effetto delle altre in un’unica componente detta componente erratica o casuale. Anche qui occorre rilevare l’estrema difficoltà nel definire quali variabili siano fondamentali, ed il loro livello di importanza, soprattutto nelle specie euri (in queste infatti è maggiore l’effetto delle condizioni ambientali e delle differenze individuali) (Fattorini & Lovari 1991). 16
Bassignani F. 1992. Disamina dei metodi di calcolo dello home range: il caso della volpe e della faina __________________________________________________________________________________ 1.7.5. Osservazione di individui marcati con pigmenti fluorescenti Questa tecnica, usata per la prima volta in studi sulle api alla fine degli anni quaranta è stata poi utilizzata proficuamente negli studi sullo home range dei micromammiferi. Molte specie ad abitudini notturne, vivono anche in ambienti aperti. In questo caso, tramite la marcatura con pigmenti fluorescenti, gli individui diventano facilmente localizzabili permettendo una registrazione dei dati sufficientemente valida per consentire una stima accurata dello home range. Questo metodo è stato definito da Mullican (1988) “adatto a fornire risultati soddisfacenti, semplice da attuare e molto economico”. Purtroppo come è stato detto la sua applicabilità negli studi sui mammiferi è limitata a quelle specie che si muovono di notte in ambienti aperti. 1.7.6. Studio delle impronte lasciate sul substrato E’ un metodo poco usato perché necessita di un substrato adatto e presenta li inconveniente di essere inefficace nel caso in cui le impronte siano lasciate da più individui inidentificabili. Inoltre le tracce lasciate possono essere molto facilmente cancellate e rese illeggibili dal calpestio e dagli agenti atmosferici con eccessiva facilità. 1.7.7. Studio delle marcature territoriali Questo metodo è stato usato per studiare lo home range delle iene macchiate (Crocuta crocuta). Gli appartenenti alla famiglia degli ienidi, infatti, usano lasciare delle piccole, ma facilmente individuabili, deposizioni di secreto delle ghiandole anali sopra cespugli e steli d’erba. Tali messaggi sono disseminati allo scopo di delimitare il territorio (che in queste specie coincide con lo home range). 1.7.8. Radio tracking Il radio tracking, che può essere tradotto in “rilevamento radio- telemetrico” (o più semplicemente radio-telemetria), consiste nel localizzare e seguire i movimenti di un animale al quale è stata applicata una radio trasmittente solitamente posta in un apposito collare detto radio-collare. Questo metodo è da oltre 25 anni uno dei più usati e dei più produttivi. Col progredire delle tecnologie infatti si sono ampliate le sue modalità di impiego nello studio dei più svariati aspetti della biologia degli animali studiati nel loro ambiente, al punto che oggi si possono fare ricerche sulla fisiologia di un animale selvatico grazie a particolari apparecchiature telemetriche in grado di trasmettere dati sugli organi interni. Per esempio è possibile la trasmissione della temperatura, del battito cardiaco, della pressione arteriosa e persino dell’emissione di urina (oggetto di studio in quanto è un comportamento di marcatura territoriale). A tale proposito può essere interessante citare lo studio di Ruff (1969) sullo scoiattolo Spermophilus armatus nel quale una trasmittente rilevava l’incremento di battito cardiaco (indice di tensione nervosa) nell’individuo che si allontanava dal suo centro di attività (vedi pag 30). Harris et al. (1990) ritengono che dalle sue prime utilizzazioni fatte agli inizi degli anni sessanta, il radio tracking abbia trasformato gli studi eco- etologici di campo, fornendo numerose e importanti soluzioni a svariati problemi biologici e consentendo, grazie alla quantità e qualità di dati che permetteva di ottenere, di trattare lo home range non solo come un concetto, ma anche come un’entità quantificabile e trattabile in modo statistico. Nello stesso articolo si rileva come ancor’oggi, nella stragrande maggioranza degli studi, non siano totalmente sfruttate le possibilità offerte da tale metodo, che tra l’altro può essere utilizzato in modo proficuo assieme all’osservazione diretta o a altre tecniche di rilevamento dati. Si può forse dire che l’unico vero inconveniente del radio tracking sia il prezzo relativamente elevato della strumentazione necessaria (anche se, in relazione ai costi di microscopi elettronici, spettrofotometri e altri strumenti di ricerca zoologica, queste apparecchiature telemetriche sono in realtà molto economiche). Perchè i dati ottenibili dall’animale dotato di radio-collare siano il 17
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