Fecondazione assistita, biodiritto e dignità della persona.

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Fecondazione assistita, biodiritto e dignità della persona.
di Vincenzina MAIO

1.Premessa 2. La fecondazione assistita: aspetti generali. 2.1 . L’evoluzione giuridica. 3. Biodiritto e tutela
della persona. 4. Conclusioni.

       1. Premessa.

Fecondazione eterologa, procreazione assistita, eutanasia, clonazione terapeutica, eugenetica, mappatura
del genoma, ogm, sono tutte possibilità per l’uomo contemporaneo che pongono urgentemente a
confronto sviluppi scientifici con questioni di coscienza etica e di regolamentazione normativa.
In che misura e con quali coordinate il diritto può fare chiarezza in una dimensione quale quella morale,
ritenuta spesso soggettiva, intima, confine stesso tra ciò che è bene e male, un confine inafferrabile e
sfuggente in relazione al punto di osservazione?
In prima battuta si potrebbe rispondere che se il diritto non può codificare le coscienze, certo può ( anzi
deve) porre delle basi condivise all’agire sociale, arrivando a toccare nodi tanto delicati quanto fondanti
quali i diritti inviolabili dell’uomo, la libertà, la dignità e lo sviluppo della persona, la tutela della salute, nel
difficile equilibrio di indipendenza e sovranità di ordini distinti: Stato, religione, ricerca scientifica. Si
potrebbe anche tentare una risposta affermando che il biodiritto è oggi il ramo che si occupa,
specificatamente, delle implicazioni giuridiche di questioni bioetiche.
Ma entrambe sono risposte intrinsecamente non soddisfacenti perché mancano, come per la domanda, di
un lessico rigoroso, univoco e trasparente.
Cosa intendiamo quando ci riferiamo ai “diritti dell’uomo”?
Il giurista cattolico sa che non può impegnarsi a difendere i diritti umani, la persona, il bene comune, i
valori, se prima non assume l’impegno di “una durissima battaglia ideale per rimettere in chiaro cosa
davvero siano i diritti dell’uomo, cosa sia la persona, cosa sia il bene comune, cosa siano i valori”.1
Ne era ben consapevole il Cadinale Sgreccia quando, riferendosi al concetto di “persona” ha dovuto
utilizzare l’espressione “personalismo ontologicamente fondato” perché, diversamente, qualsiasi altro
riferimento non meglio determinato alla persona sarebbe stato privo di ogni contenuto.2
Infatti, è da tempo che i bioeticisti laici con soddisfazione definiscono la loro bioetica come personalistica,
dando però a questo termine una valenza profondamente ambigua: se persone sono solo i soggetti
“autonomi”, è facile far scivolare in una triste parentesi la vita prenatale, la vita infantile, la vita degli
handicappati, in quanto vite di individui umani non persone perché carenti di autonomia .
Né possiamo illuderci che il ricorso alla categoria del biodiritto sia accettabile e risolutivo.
Sul punto si tornerà nel prosieguo; giovi ora solo anticipare che i tentativi, intrapresi da più parti, per
introdurre il termine biodiritto come necessario pendant del termine bioetica si sono rivelati, di fatto,

1
    D’AGOSTINO F., Dalla bioetica al biodiritto (e alla biopolitica), in http://www.cattolici-liberali.com
2
    SGRECCIA E., Manuale di Bioetica, vol. I, Vita e Pensiero, 2007.

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fallimentari forse perché ancorati all’ “idea giuspositivistica secondo cui il diritto verrebbe dopo e come tale
possederebbe uno statuto debole e secondario”.3
Con i limiti e gli auspici appena esposti, proviamo a ripercorrere l’evoluzione della fecondazione assistita
nel panorama giuridico italiano, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza
comunitaria .

     2.    La fecondazione assistita : aspetti generali.

Con l'entrata in vigore della legge 19 febbraio 2004, n. 40 la procreazione medicalmente assistita (pma) ha
fatto ingresso nel panorama giuridico italiano, portando con sé le difficoltà insite nella regolamentazione di
quanto più intimo vi è nell’essere umano: la procreazione.
In realtà il suo intervento si è limitato a circoscrivere entro determinati limiti, e in presenza di determinati
requisiti soggettivi, l’accesso di una coppia a tali tecniche, che già da anni venivano praticate anche in Italia
in assenza di ogni regola specifica.
Del resto l’alternativa di un intervento di mero divieto non era perseguibile a fronte della rapida evoluzione
e dei progressi della ricerca in campo biomedico.
La legge introduce una serie di limiti alla procreazione assistita che rispondono positivamente alla tutela del
concepito, riconosciuto come soggetto e non mero oggetto delle tecniche ivi previste, e al principio di
precauzione nel delicatissimo settore dell’origine della vita umana: tutela destinata tuttavia ad arrestarsi,
per quanto riguarda l’aspettativa di vita degli embrioni già prodotti, di fronte alla volontà della donna di
rinunciare all’impianto, per l’impossibilità di imporre coercitivamente un atto che incide sui più delicati
diritti della personalità.
Come evidenziato da attenta dottrina4 “l'equiparazione ai fini della tutela agli "altri soggetti" coinvolti nel
procedimento è anzi a tal punto voluta dal legislatore da essere consacrata nella lett. dell'art. 1, l. n.
40/2004” .
La chiave di lettura sembra considerare l’embrione come fornito di una propria distinta individualità, frutto
della          “separazione         biologica”         del       suo        destino           della      madre.
Tuttavia, alla positiva dichiarazione di intenti fa da pendant , da un lato, una incoerenza intrinseca della
legge - tra cui, in particolare, quella derivante dalla prevista possibilità per la coppia di essere informata
sullo       stato     di     salute      degli     embrioni      prodotti      in      vitro -,     e   dall’atro
l’esistenza di una legge, la n. 194/78, che delimita il "diritto a nascere" , associata ad una giurisprudenza

3
  D’AGOSTINO F., Dalla bioetica al biodiritto (e alla biopolitica), cit.
4
  STANZIONE P., Costituzione, diritto civile e soggetti deboli, in www.personaedanno.it. Magistralmente l’Autore osserva che “la
procreazione medicalmente assistita è, infatti, tematica che più di ogni altra "mette a dura prova" le tradizionali categorie
civilistiche: talune di esse sopravvivono esigendo alcuni adattamenti - si pensi al negozio giuridico di natura personale o alla revoca
del consenso prestato -; altre si ritrovano nella pratica e giuridica impossibilità di essere utilizzate - si ponga mente all'esecuzione
forzata di trasferire l'embrione nel grembo della donna non più consenziente -; altre ancora, come il diritto soggettivo, che già in
crisi in diversi settori del diritto civile, qui vede decretata la proprio scomparsa. Tant'è che il legislatore della natività avrebbe dovuto
preferire a tale ultima nozione, l'altra, più appropriata di "interesse esistenziale", vuoi per connotare la posizione giuridica della
madre, vuoi per ridefinire quella nascente dell'embrione. A tale categoria, del resto, ricorre la giurisprudenza nelle occasioni in cui si
pronuncia sul loro (possibile) confliggere, che essa compone nell'ottica di un bilanciamento in cui l'interesse "a venire al mondo" del
nascituro si ritrae al cospetto di quello alla tutela del benessere fisio-psichico della madre (art. 32 cost.)”.

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che non solo guarda il nascituro dalla sola ottica risarcitoria, quanto gravemente legittima “il diritto
all’aborto” alimentando la pericolosa sacca risarcitoria del danno da nascita indesiderata5.
  La legge n. 40 del 2004 si occupa di due grandi questioni, che incidono sulle origini e sulle modalità di
trasmissione della vita umana: la disciplina delle tecniche di procreazione medicalmente assistita e i limiti
alla sperimentazione sugli embrioni umani. Nell’affrontare queste delicate problematiche il legislatore ha
mirato a contemperare una serie di diritti e interessi costituzionalmente rilevanti e reciprocamente
implicati, sfuggendo a facili semplificazioni e a letture superficiali di questioni estremamente complesse.
In questa prospettiva il fondamentale criterio ermeneutico adottato e formalmente enunciato dal
legislatore è quello della tutela dei  (art. 1,
comma 1, l. n. 40/2004).
 Il primo interesse a venire in considerazione, e che costituisce in qualche modo l’oggetto stesso della legge,
è il diritto alla procreazione, prima della coppia, poi della donna in stato di gravidanza.
Esso risulta in qualche modo tutelato a livello costituzionale sia attraverso l’art. 2, che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e lo sviluppo della sua personalità, di cui la genitorialità è parte
costitutiva, sia attraverso una serie di disposizioni che richiamano i diritti della famiglia come  (art. 29), l’impegno della Repubblica di agevolarne con apposite
provvidenze la formazione  e di proteggere la
maternità e l’infanzia (art. 31). È stato peraltro osservato che 6.
La considerazione di tali aspetti ha indotto innanzitutto il legislatore - applicando un criterio di precauzione
nella delicatissima materia dell’origine della vita umana - a consentire l’accesso alle tecniche di
procreazione assistita solo al fine di rimuovere un ostacolo al processo riproduttivo naturale, destinato poi
a riprendere naturalmente il suo corso con l’impianto dell’embrione fecondato in vitro nell’utero materno.

5
  Da ultimo, Cass. civ.,III, 2.10.2012 n. 16754, in www.dirittoegiustizia.it. Il caso è uno tra i tanti : una donna, appena consapevole
del proprio stato di gravidanza, si era rivolta ad un ginecologo chiedendo di essere sottoposta a tutti gli accertamenti necessari ad
escludere malformazioni del feto, prospettandogli (è quanto si legge nel fatto) che la nascita di un bimbo sano era la “condizione
imprescindibile” per la prosecuzione della gravidanza. Il medico aveva fatto eseguire alla gestante il solo "Tritest", omettendo di
prescrivere accertamenti più specifici al fine di escludere alterazioni cromosomiche del feto;- Che nel settembre del 1996 era nata
la piccola Marta, affetta da sindrome di Dawn. Di qui ben 76 pagine di motivazione per giustificare la condanna del ginecologo,
condensate nel seguente principio di diritto :” «Risponde di inadempimento rispetto alla richiesta di diagnosi da malformazione,
funzionale all’interruzione di gravidanza, il medico che non provvede ad una completa informazione circa le possibilità di indagini
diagnostiche più o meno rischiose, più o meno invasive, nonché circa le percentuali di false negatività offerte dal test prescelto, onde
consentire                    alla                 gestante                  una                    decisione                 consapevole.
La responsabilità sanitaria per omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita indesiderata, va estesa, oltre che nei
confronti della madre nella qualità di parte contrattuale, anche al padre, nonché ai fratelli e alle sorelle del neonato che rientrano a
pieno titolo fra i soggetti protetti dal rapporto intercorrente tra il medico e la gestante nei cui confronti la prestazione è dovuta».
Non è questa la sede per commentare la richiamata giurisprudenza, ma è necessario evidenziare che la pronuncia ignora
completamente il concepito senza neppure il coraggio di scrivere, a chiare lettere, “diritto di aborto”, “diritto di
autodeterminazione della madre” , “diritto del feto solo al momento della nascita”, “concepiti solo oggetto di tutela e non
soggetto di diritti”.
6
    L. VIOLINI, La fecondazione medicalmente assistita, in www.laprocreazioneassistita.it, 10.

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La procreazione medicalmente assistita è infatti concepita dal legislatore unicamente come strumento per
la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana, qualora non vi siano
altri metodi terapeutici efficaci per rimuoverne le cause (art. 1, comma 1-2) 7.
Il legislatore non ha inteso disciplinare il ricorso a queste tecniche come una libera alternativa alla
procreazione naturale che ha determinato fino ad oggi la stessa evoluzione della specie mediante un
meccanismo di severa selezione biologica, il cui funzionamento resta in larga misura tuttora oscuro alla
scienza; né come strumento per consentire a soggetti portatori di patologie geneticamente trasmissibili di
procreare figli sani mediante un intervento sul patrimonio genetico trasmesso, che aprirebbe
sostanzialmente la strada a pratiche di tipo eugenetico, espressamente vietate dalla stessa legge (art. 13,
comma 3, lett. b) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ma soltanto come
un’opportunità offerta a determinate coppie per rimuovere un ostacolo alle loro autonome potenzialità
riproduttive 8.
Tuttavia, non può disconoscersi che la legge n. 40 consente, mediante l’applicazione delle tecniche ivi
previste, la scissione tra l’atto sessuale e la procreazione, che risulta in contrasto con la morale naturale e il
magistero della Chiesa cattolica9. Infatti, la fecondazione extracorporea non si limita a spezzare quella legge
di natura che fa discendere la vita dell’uomo dall’unione del corpo maschile con quello femminile, ma
tende a mettere in discussione anche quella concezione antropologica della persona che ne individua
l’origine in un atto di amore, di reciproca donazione tra l’uomo e la donna, che ripetono e prolungano con il
proprio gesto l’atto divino della creazione.
Disancorata la valutazione del legislatore dal fondamentale presupposto della legge morale naturale
razionale , ecco che emerge prepotente il pericolo di deriva del diritto dall’integrità genetica originaria di
ogni essere umano.
Il legislatore della legge n.40 sembra consapevole dei rischi a catena prodotti dalla procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo (frantumazione del carattere paritario della relazione genitoriale
insidiando la stessa unità della coppia, che comporta l’assurda conseguenza di scaricare sul figlio i principali
costi e sacrifici di carattere psicologico-affettivo e giuridico di una scelta derivante dalla soddisfazione di un
mero desiderio di coppia collocabile in una dimensione priva di alcuna tutela costituzionale) e si sforza di
porvi un argine vietando espressamente l’intervento di un donatore di gameti esterno alla coppia ( art. 4,
comma 3) 10.

2.1 L’evoluzione giuridica.
7
  Quanto la PMA sia assimilabile ad una terapia è davvero molto discutibile per il semplice motivo che la terapia tende
ad una guarigione; nel caso della procreazione medicalmente assistita, il problema disfunzionale che occasiona
l’utilizzo non viene eliminato.
8
  La fecondazione extracorporea omologa è stata definita come una sorta di protesi dell’apparato riproduttivo:
don Luigi Verzé, fondatore dell’Istituto Istituto San Raffaele di Milano, nel corso di un’intervista definiva la
fecondazione omologa come  , cfr. Corriere della Sera, 2 febbraio
2005, 11.
La definizione non appare condivisibile alla luce dell’unità dell’atto sessuale.
9
   Cfr. SGRECCIA E. –DI PIETRO M.L., Procreazione artificiale, in Nuovo Dizionario di Teologia morale, a cura di F.
Compagnoni, G. Piana, S. Privitera, Cinisello Balsamo, 1990, 1003 ss.
10
   Quanto lo sforzo sia contrastato dal diritto vivente è dato evidenziato nel paragrafo seguente.

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Con il referendum del 2005 la legge n. 40/2004 sembrava definitivamente 'consolidata': sembrava cioè
destinata a non conoscere mutamenti significativi in tempi brevi.
 In realtà, le “conquiste” di quanti erano favorevoli alla legge, quantomeno come male minore, si
sarebbero rivelate, ben presto, solo apparenti: nel volgere di circa sette anni, attraverso una sorta di
lunga e forzata marcia del capostipite di tutti i diritti figli del relativismo etico, il diritto di
“autodeterminazione”, - le ragioni della fecondazione assistita avrebbero dimostrato una capacità di
resistenza, e di riaffermazione, superiore a qualsiasi nefasta attesa.11
Ma, si sa, in Italia dove non arriva il legislatore, interviene, in supplenza, la magistratura.
Un primo gruppo di interventi della magistratura ordinaria e amministrativa ha avuto per oggetto il tema
della diagnosi genetica preimpianto e, in alcuni casi, il giudice a quo ha sollevato questione di
costituzionalità delle relative disposizioni. 12
Ne sono seguiti tre pronunciamenti della Corte Costituzionale.
Con la prima decisione di inammissibilità (ordinanza n. 369/2006)13 , la Corte Costituzionale ha lasciato
obliquamente intendere di non aver voluto dichiarare incostituzionale la l. 40/2004. Con la seconda
decisione (sentenza n. 151/20099)14 , la Corte ha mutilato gravemente15 la normativa impugnata
annullando sia la regola stabilita nell'art. 14, comma 2, nella parte in cui limitava a tre la generazione del
numero di embrioni da trasferirsi in un solo contesto; sia il comma 3 dell'art. 14, nella parte in cui non
prevedeva che il trasferimento degli embrioni da realizzare non appena possibile avvenisse senza
pregiudizio della salute della donna.
La Corte, poi, è intervenuta con l'ordinanza n. 97 del 201016, che, ritenendo manifestamente inammissibili
le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Milano (ord. 6 marzo 2009 n. 235 e ord. 10 marzo 2009 n.
236), ha lasciato inalterata la disciplina precedente così come modificata dalla decisione 151/2009.
Una seconda linea demolitrice della l. 40/2004, avente ad oggetto il tema della fecondazione artificiale
eterologa esplicitamente vietata dall' art. 4, comma 3, ha avuto come protagoniste le ordinanze di

11
   L'esito del referendum del 2005 fu letto in maniera diversa dalle opposte parti che si erano fronteggiate nella campagna
referendaria. Camillo Ruini, all'epoca presidente della CEI, aveva visto nel referendum la prova che « i valori cristiani sono
profondamente radicati nella società italiana ». Emilio Dolcini osserva, in senso contrario, che “ i fautori della legge - tali in ragione
o di una qualche consapevolezza dei suoi contenuti, oppure, almeno, di un'adesione incondizionata alle indicazioni dell'autorità
ecclesiastica - erano in definitiva una minoranza, forse una sparuta minoranza”, cfr. DOLCINI E., La lunga marcia della fecondazione
assistita, in Riv. It., dir. e proc. pen., Giuffrè, 2011, 02,428.
12
   Trib. Catania ord. 3 maggio 2004; Trib. Catania ord. 28 maggio 2004; Trib. Cagliari ord. 16 luglio 2005; Trib. Cagliari sent. 22
settembre 2007; Trib. Firenze ord. 17 dicembre 2007; Trib. Firenze ord. 12 luglio 2008; Trib. Firenze ord. 26 agosto 2008; Trib.
Milano ord. 6 marzo 2009 n. 235; Trib. Milano ord. 6 marzo 2009 n. 236; le sentenze sono consultabili in www.dejure.it
La giurisprudenza amministrativa ha avuto per oggetto le linee guida emanate con il Decreto del 21 luglio 2004, ma a tema era
sostanzialmente la questione della diagnosi preimpianto: Tar Lazio, sez. IIIter, 9 maggio 2005 n. 3452; Tar Lazio, sez. IIIter, 23
maggio 4047; Cons. Stato, sez. V, 19 dicembre 2006-28 marzo 2007 n. 1437; Tar Lazio, sez. IIIquater, 31 ottobre-21 gennaio 2008 n.
398 (quest'ultima decisione riguardava anche la l. 40/2004), in www.dejure.it
13
   Corte cost. ord. (24 ottobre) 9 novembre 2006 n. 369, in Giur. cost., 2006, 6, 3831-3837.
14
   Corte cost. sent. 1 aprile (8 maggio) 2009 n. 151, ampiamente commentata in www.giurcost.org/decisioni/index.html.
15
   Si veda il commento di CASINI C., CASINI M., DI PIETRO M.L., TRAISCI E., La Corte Costituzionale e la decostruzione della legge
sulla procreazione medicalmente assistita, in Medicina e morale, 2009, 3, 439-459
16
   Corte cost. ord. 8-12 marzo 2010 n. 97, in Gazzetta Ufficiale 17 marzo 2010

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rimessione       alla    Corte      Costituzionale   emesse        da    Tribunale Catania ,     21/10/2010,
                                                                17
Tribunale Firenze , 13/09/2010 e Tribunale di Milano, 2.2.2011 .
Le ordinanze recepiscono le conclusioni, le argomentazioni e l'interpretazione degli artt. 8 e 14 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali (CEDU) offerte dalla Corte
europea dei diritti dell'uomo nella decisione relativa al caso S.H. et al. vs. Austria (1 aprile 2010). In
particolare, le ordinanze estendono alla normativa italiana le valutazioni riguardanti la normativa austriaca;
concordano nel ritenere che sebbene il Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009) consenta l'adesione
dell'Unione Europea al sistema CEDU, le procedure per tale adesione devono ancora essere attuate e
pertanto non è utilizzabile lo strumento della disapplicazione della norma interna ritenuta in contrasto con
la norma sovranazionale; ritengono, tuttavia, sulla base dell'orientamento più volte indicato dalla Corte
Costituzionale (e ampiamente riportato nelle ordinanze), che il giudice debba, in prima battuta,
interpretare le norme interne in modo conforme alla/e disposizione/i CEDU e solo successivamente
sollecitare l'intervento della Corte Costituzionale in riferimento al primo comma dell'art. 117 Cost. nei
termini in cui risulta modificato dalla l. 3/2001.

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 depositata il 7 giugno 2012,          restituiva gli atti ai giudici
rimettenti per valutare la questione alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo del 3 novembre 2011 (S.H. e altri contro Austria), sulla stessa tematica18.
Secondo i giudici di Strasburgo il divieto di ricorrere a tecniche di fecondazione eterologa nei Paesi europei
non vìola «l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione dei diritti
dell’uomo», dovendosi riconoscere a ogni Paese dell’Unione Europea la discrezionalità nel regolare la
materia con la conseguenza che la legge austriaca non lede di per sé i diritti delle coppie19. Il punto
significativo è che i giudici di Firenze, Catania e Milano avevano investito la Consulta basandosi proprio sulla
sentenza di primo grado della Corte europea, nella quale si condannava l’Austria per il suo divieto di
fecondazione eterologa.
Ma la marcia demolitrice della l. 40/2004 entra in una stagione ancora più viva con il primo caso di ricorso
alla Corte di Strasburgo di una coppia fertile affetta da una malattia genetica, che chiede di accedere alla

17
   Cfr., CASINI M., La dimenticanza del diritto alla famiglia del figlio concepito con le tecniche di Pma sotto il profilo dell'unitarietà
delle figure genitoriali, in Dir. famiglia 2011, 1, 73.
Le tre ordinanze sollevano questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della
legge 19 febbraio 2004, n. 40 .
18
   La pronuncia italiana è stata salutata con favore. Il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini, in una dichiarazione
pubblicata dal quotidiano Avvenire del 22.5.2012, si dichiarava «soddisfatto» della decisone della Corte perché si allinea con la
sentenza della Grande Chambre. Il plenum di Strasburgo, spiega Casini, «nega che il divieto di eterologa vìoli i diritti umani, e di
conseguenza lascia liberi gli Stati di decidere sulle modalità della fecondazione artificiale. E questo legittima le scelte che in Italia
erano state fatte con la legge 40». Ed ancora, «la fecondazione eterologa nel nostro Paese resta vietata e probabilmente in via
definitiva».Il bilanciamento tra i vari interessi in gioco, di competenza esclusiva del legislatore (principio che la Consulta ha
implicitamente accettato), come evidenzia il presidente di Mpv, «non può dimenticare l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del
fanciullo, secondo cui l’interesse del minore deve avere precedenza rispetto ai desideri degli adulti», dunque «gli Stati devono dare
ai bambini il meglio di se stessi», in www.avvenire.it .
19
   La Corte europea aveva di fatto legittimato il no al ricorso alla donazione di ovuli e sperma in vitro per avere un figlio stabilito da
un Tribunale austriaco, impedendo così a due coppie il ricorso a tecniche di fecondazione eterologa, cioè con un donatore esterno
alla coppia. In Austria infatti la normativa sulla fecondazione assistita consente solo la donazione di gamete maschile in vivo, e non
in vitro, e vieta la donazione di gamete femminile.

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procreazione assistita e poi alla diagnosi pre-impianto, ritenendo la legge 40 discriminante rispetto alle
coppie sterili e a quelle in cui l'uomo ha una malattia sessualmente trasmissibile20.
La Corte di Strasburgo si è espressa il 28 agosto scorso (ricorrenti Costa-Pavan) stabilendo che il divieto
previsto dalla legge italiana viola il diritto alla vita privata e familiare dei due ricorrenti, sancendo che lo
Stato italiano deve versare quindicimila euro per i danni morali subiti, oltre a garantire il rimborso delle
spese legali.
A ben vedere, si tratta dunque di un doppio passaggio contro la legge 40: da un lato si vorrebbe che anche
le coppie non sterili possano vedersi riconosciuto il diritto ad utilizzare la fecondazione, dall’altro viene
deciso che è lecito eliminare gli embrioni una volta identificati come portatori di malattie genetiche.
Al punto 60, la sentenza della Corte parla di una incoerenza della legislazione italiana, che con la legge 194
permette l’aborto terapeutico (quando cioè una malattia riscontrata nel feto mette a repentaglio la salute
fisica e psichica della donna), mentre con la legge 40 impedisce che con la procreazione artificiale si possa
procedere alla scelta dell’embrione sano.
L’impianto motivazionale della Corte è tutto, ossessivamente, incentrato sul diritto della coppia, mentre
colpisce spiacevolmente l’assenza di ogni valutazione sullo status dell’embrione, soprattutto quando la
mancanza proviene da un organismo che dovrebbe difendere i diritti umani ma si dimentica del più debole
tra gli uomini. 21
La sentenza ha affondato il coltello nella “piaga” della diagnosi pre-natale in un momento storico in cui si
sono susseguite allarmanti notizie non solo sull’aumento esponenziale della crioconservazione di embrioni
ma, soprattutto, sul tragico esito di questa conservazione. 22

3. Biodiritto e tutela della persona.

La persona umana è il baricentro del nostro ordinamento contenuto nell'art. 2 della Costituzione , che
esprime il nesso necessario tra uomo e soggettività giuridica
Invero, in modo magistrale l'art. 2 Cost. lega i diritti fondamentali dell'uomo ai doveri inderogabili di
solidarietà e sottolinea il valore delle formazioni sociali dove il singolo svolge la sua personalità . Inoltre
l'art. 3 dopo aver ripreso il principio di uguaglianza in senso formale, aggiunge l'importante innovazione che

20
     La coppia Costa-Pavan nel 2006 aveva già avuto un bambino con la fibrosi cistica. Quattro anni dopo, seconda gravidanza,
diagnosi prenatale e aborto, in accordo alla legge 194, una volta scoperto che anche quel figlio era malato. Alla coppia era stato
impedito di accedere alla fecondazione assistita, in base all’articolo 1 della legge 40, che prevede tale possibilità solo per le coppie
sterili.
21
    Immediata la reazione del Governo Italiano per il tramite del ministro della Salute, Balduzzi ha dichiarato "di proporre al governo
il ricorso contro la sentenza della Corte europea" perché in quella sentenza "si ravvisano passaggi che possono dare luogo a
interpretazioni preoccupanti" anche se di per se la sentenza non obbliga lo Stato italiano a cambiare la legge ma solo a risarcire i
ricorrenti, in www.avvenire.it del 29.12.2012.
22
    Secondo la relazione del Ministero della Salute al Parlamento per il 2010, anno in cui per la prima volta in tutti i dodici mesi, è
stata vigente la sentenza della Corte costituzionale del 2009 che ha aperto le maglie alla crioconservazione, vi è stato
l’impressionante aumento del numero degli embrioni crioconservati (più che raddoppiati), mentre è triplicata la cifra dei cicli che
utilizzano il loro scongelamento, superando in percentuale l’uso della tecnica che si serve degli ovociti crioconservati, in
www.avvenire.it del 2.4.2012.
 Il 27 aprile scorso, presso il centro di procreazione medicalmente assistita dell'ospedale San Filippo Neri., si verificava un 'incidente
che determinava la distruzione di 94 embrioni, di 130 ovociti e di 5 campioni di liquido seminale.

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assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto il pieno sviluppo della
persona umana
Già da queste prime note normative emerge evidente che l'essere umano, anziché mero soggetto chiuso
nella sua attualità, è concepito come soggetto capace di sviluppo e perciò come persona aperta e sempre
dischiusa ad altro. Conseguentemente il soggetto-persona è portatore di valore in ogni fase della sua
vicenda umana, altrimenti non si spiegherebbe il compito assegnato alla Repubblica di promuoverne i
fattori di sviluppo.
Sennonchè, la modernità esibisce la sua potenzialità di emarginazione, oltre che sul piano strettamente
sociale, anche per effetto dei progressi delle biotecnologie che offrono gli strumenti per operare sul bios,
ossia sul sostrato biologico della persona umana, e ciò anche prima della nascita quando la vita umana è al
suo inizio.
 Di qui una questione bioantropologica, dato che l'invasione da parte della tecnica dei territori del bios
umano offre una inquietante possibilità di reificazione dell'uomo stesso il quale può diventare a sua volta
prodotto, anziché produttore, oggetto anziché soggetto 23 .
Si apre, insomma, un capitolo nuovo nella questione della tutela dello sviluppo della persona umana.
L'insieme dei problemi giuridici posti dalle nuove frontiere biotecnologiche viene da qualche tempo
compendiato nel c.d. biodiritto che, sulle orme di quanto è avvenuto nella filosofia pratica con la c.d.
bioetica, si va affermando quale nuova specialità giuridica24
Il biodiritto affronta le questioni che le biotecnologie propongono soprattutto sul terreno del diritto di
famiglia.
È facile rilevare, infatti, che gran parte delle tematiche biogiuridiche sono inerenti proprio al diritto di
famiglia e in particolare alla disciplina della filiazione, in conseguenza della messa a punto di tecniche
nell'ambito della fase prenatale nella quale, in passato, vigeva il dominio della necessità naturale25.
La dottrina che evidenzia tale collegamento ripercorre opinioni varie che muovono dall’idea di un diritto
soggettivo sulla procreazione, che contemplerebbe allo stesso tempo la facoltà di far nascere e la facoltà di
abortire, e sono capaci di ricondurre questo diritto, in modo del tutto paradossale, alla tutela costituzionale
della famiglia: il diritto di farsi una famiglia implicherebbe anche quello di non farsela e quindi il diritto di
interrompere una gravidanza26

23
  Cfr. SACCO R., Antropologia giuridica, Bologna 2007, p.13 e ss. Si pensi alla selezione degli embrioni degni di essere impiantati in
seguito a una diagnosi preimpianto, alla possibilità di interventi c.d. positivi (non semplicemente terapeutici) sul patrimonio
genetico, alla sperimentazione su embrioni e la produzione di embrioni ibridi e chimere interspecie e alla clonazione.
24
   Senza pretesa di esaustività, cfr. STANZIONE P.-SCIANCALEPORE G., Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio
2004 n. 40, Milano, 2004; D’AGOSTINO F.-PALAZZANI L., Bioetica. Nozioni fondamentali, Brescia, 2007, spec. il capitolo Dalla
bioetica al biodiritto, 62 s.; RODOTA’ S.- ZATTI P., Trattato di Biodiritto, Milano, 2011.
25
  Cfr., NICOLUSSI A., Lo sviluppo della persona umana come valore costituzionale e il cosidetto biodiritto, in Europa e
dir. priv. 2009, 01, 1.
26
   Cfr. NICOLUSSI A., Lo sviluppo della persona umana come valore costituzionale e il cosidetto biodiritto, cit. L’Autore cita F.
Caggia - A. Zoppini, sub art. 29, Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti, I (Torino 2006), 603
dove si riecheggia la triplice articolazione dell'individualismo libertario - «libertà» di abortire, di divorziare e di convivere - proposta
da M. Rheinstein, Marriage Stability. Divorce and Law (Amsterdam-New York-Oxford) 1972.

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Il diritto italiano è, al momento, ancora in controtendenza rispetto a quei paesi europei in cui è ammessa
la diagnosi preimpianto e la selezione di embrioni con predisposizione a malattie genetiche; in alcuni di essi
è addirittura consentito scegliere il sesso dell'embrione da impiantare o selezionare un figlio per sopperire
a difetti genetici di fratelli27 .
Nel bel paese l'evoluzione, in senso, personalista nel rapporto genitori-figli trova riscontro nel testo dell'art.
147 c.c. : i matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole
tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. La norma è chiara
espressione della conquista dell'idea di figlio come persona, della quale dev'essere valorizzata l'autonomia
e perciò lo sviluppo della propria personalità , secondo un concetto di educazione che rispetta e valorizza la
dignità umana del figlio. Il riferimento alla naturalità implica, infatti, rispetto verso l'autenticità del figlio,
accettazione della sua persona come è e, perciò, ispira una relazione educativa improntata a favorire lo
sviluppo della sua personalità come unica e irripetibile. Ma il riferimento alla naturalità si rivela importante
non solo sul piano educativo: con i progressi delle biotecnologie sarebbe buon criterio ordinante anche
nella fase embrionale e fetale del figlio, atteso che il principio di rispetto della sua natura implica,
giocoforza, il ripudio di pratiche eugenetiche o, quando diventassero possibili, interventi sul patrimonio
genetico non terapeutici ma manipolativi 28.
Pare, allora, evidente che la pretesa di legittimare interventi modificativi o addirittura soppressivi nelle fasi
prenatali si pone in contrasto, oltre che con l'art. 2 Cost., col principio secondo cui nel nostro ordinamento
il rapporto di filiazione, con la conseguente responsabilità, si costituisce già dal concepimento (arg. ex art.
320 e 254 c.c.), perché introdurrebbe un artificiale differimento alla nascita dello stesso rapporto di
filiazione per lasciar spazio, prima della nascita, a un rapporto di tipo proprietario. Inoltre, tale pretesa
finisce per eludere il principio del rispetto della naturalità anche dopo la nascita: infatti come potrebbe
giustificarsi l'obbligo di rispetto della naturalità del figlio dopo la nascita ove, prima di essa, i genitori
avessero già potere di operare addirittura nelle selezioni eugenetiche ed eventualmente incidere sullo
stesso patrimonio genetico dell'embrione?
Da questo punto di vista l'ordinamento italiano evita la “privatizzazione”29 - per così dire - solo a metà.
La legge n. 40 del 2004 si limita a prevedere il divieto di ogni diagnosi preimpianto che non sia funzionale
alla salute dell'embrione, e quindi il divieto di diagnosi preimpianto per finalità di selezione degli embrioni
in relazione alla possibilità di malattie ereditarie, senza accompagnarlo con provvidenze per chi si trova a
sostenere tali scelte.
Le norme cui più direttamente viene fatto riferimento sono l'art. 13 e l'art. 14 entrambe contenute nel capo
VI intitolato Misure di tutela dell'embrione.
L'art. 13, in particolare, dopo aver stabilito al primo comma il divieto di qualsiasi sperimentazione su
ciascun embrione umano, al co. 2 prevede che la ricerca clinica e sperimentale sull'embrione umano è
consentita solo per finalità di tutela della salute e dello sviluppo dell'embrione stesso, precludendo

27
  Tra i più recenti, si pensi al caso croato: la Croazia , nel luglio scorso, una nuova versione della legga sulla fecondazione
medicalmente assistita, considerata una tra le più liberali e permissive in Europa, perché permette il congelamento non solamente
dei gameti maschili e femminili, come consentiva la vecchia legge, ma anche di embrioni; cfr. www.avvenire.it del 12.7.2012
28
     Cfr., NICOLUSSI A.., Eugenetica e diritto , in Humanitas, 2004, 4, pp. 808-840.
29
     L’espressione è utilizzata da NICOLUSSI A., Lo sviluppo della persona umana come valore costituzionale e il cosidetto biodiritto, cit .

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sperimentazioni distruttive per finalità esterne all'embrione. Inoltre al co. 3, lett. b) stabilisce il divieto di
ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero di interventi che, attraverso
tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad
alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminare caratteristiche
genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del
presente articolo. 30
L'art. 14, l. 40/2004 stabilisce, poi, che è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo
restando quanto previsto dalla l. 22 maggio 1978 n. 194.
La disciplina degli artt. 13 e 14, così sommariamente riferita, va letta alla luce della norma principio
contenuta nell'art. 1 secondo cui la stessa legge assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il
concepito.
 In altre parole, è la legge stessa a procedere dall'idea che non si debba assolutizzare il punto di vista della
tutela dell'embrione, ma integrarla con la tutela dei beni degli altri soggetti che nella procreazione assistita
sono direttamente coinvolti. In quest'ottica la l. 40 - nonostante l'asprezza ideologica del dibattito che ha
suscitato - si pone in linea con quanto già affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 27 del 18
febbraio 1975, sulla illegittimità della previgente disciplina dell'aborto. Così infatti si legge in quella
sentenza: «Ritiene la Corte che la tutela del concepito - che già viene in rilievo nel diritto civile (artt. 320,
339, 687 c.c.) - abbia fondamento costituzionale. L'art. 31, secondo comma, della Costituzione impone
espressamente la “protezione della maternità” e, più in generale, l'art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie,
la situazione giuridica del concepito».31
La Corte costituzionale non nega, dunque, la qualità di essere umano al concepito, sia pure con le
particolari caratteristiche sue proprie. Negarla significherebbe, infatti, introdurre un criterio arbitrario di
definizione della natura umana contrastante con la concezione dinamica dell'essere umano accolta dalla
nostra Costituzione quale «soggetto capace di sviluppo». Riconosciuta allora la qualità di essere umano al
concepito, la sua dignità implica soggettività giuridica anche prima della nascita, in quanto tra soggetto e
oggetto tertium non datur. Improponibile sarebbe pertanto la considerazione del concepito alla stregua di
una res suscettibile di essere oggetto di diritti in capo ad altri.
La soggettività impone il riconoscimento dei diritti inviolabili, pur col prudenziale bilanciamento cui essi
sono sottoposti nell'argomentazione costituzionale in rapporto alle singole circostanze in cui possono
collidere con altri valori costituzionali .32

30
  Il divieto di ogni forma di diagnosi preimpianto a fini eugenetici è confermato altresì nelle prime linee guida e nelle seconde emanate dal
Ministero della salute ; cfr. LINEE GUIDA CONTENENTI LE INDICAZIONI DELLE PROCEDURE E DELLE TECNICHE DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE
ASSISTITA, Allegato, in www.salute.gov.it
31
     Cfr., Corte Costituzionale, sent. 18.2.1975 n. 27, in www.dejure.it
32
   Per una più ampia considerazione dell’importanza dell’argomento, si rinvia a NICOLUSSI A., Eugenetica e diritto cit., 837. L’autore, acutamente,
osserva che per negare soggettività al concepito prima della nascita ci si accontenta spesso di una lettura settoriale, non sistematica, dell'art. 1 c.c. È
una lettura angusta che ignora la Costituzione (ad es., art. 2) e le altre norme dello stesso codice civile che presuppongono fin dal concepimento
l'esistenza di un rapporto di filiazione. Se invece si tiene conto della distinzione fra diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali, risulta chiaro che
l'art. 1 si riferisce solo ai diritti patrimoniali, con riguardo ai quali opportunamente tale norma prevede che la loro definitiva entrata nella sfera
giuridica della persona umana avviene alla nascita.

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Da questo punto di vista la collisione con altri valori può essere valutata secondo due ordini.
Il primo inerisce al confronto con gli interessi della collettività, i quali però non giustificano il sacrificio dei
diritti umani per ragioni di sfruttamento economico e nemmeno ai fini della sperimentazione scientifica ove
questa implichi la distruzione o la lesione della integrità dell'embrione. La dignità umana impone di
considerare l'essere umano come fine e mai, neppure nell'interesse della collettività, come mezzo (cfr. art.
13 l. 40/2004)33.
Riguardo invece alla possibile collisione con i diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nella procreazione
medicalmente assistita, come in particolare la salute e la vita della madre, nel corpo della quale
necessariamente l'embrione deve svilupparsi fino alla nascita, le «caratteristiche sue proprie» del concepito
secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale fanno sì che la collisione debba essere risolta
differentemente rispetto a come essa lo sarebbe se avvenisse tra due persone già nate e non legate fra loro
da quel particolare rapporto fra madre e feto.34
Sulla base di questa premessa la Corte ammette la possibilità di bilanciare il valore della vita del feto con
quello della vita della madre, asserendo però, contraddittoriamente con il riconoscimento della qualità di
uomo del feto, che quest'ultimo non sarebbe ancora persona. In realtà, poiché l'art. 2 Cost. parla di diritti
inviolabili dell'uomo senza distinzioni, non sarebbe giustificata una discriminazione a danno del concepito
sulla base di una sua presunta dignità inferiore, la quale impedirebbe di riconoscere in lui la qualità di
persona. Ciò che invece non può essere obliterato sono i «vincoli naturali»35 del feto con la madre i quali
caratterizzano il modo d'essere di questo rapporto rispetto alla situazione in cui possono a venirsi a trovare
due qualsiasi passanti e che potrebbe inquadrarsi come uno stato di necessità.
È la particolare intimità fisica tra madre e feto e la dipendenza di quest'ultimo dal corpo della madre a
rendere la situazione peculiare e a far orientare in modo altrettanto particolare il bilanciamento fra beni in
eventuale collisione. Tale particolarità, in altri termini, sembra suggerire una soluzione diversa sia da quella
che non sa riconoscere l'umanità del feto e, in nome di una c.d. libertà di scelta procreativa, priva la donna
stessa del suo rapporto con l'essere umano che cresce in lei, sia quella che equipara la madre e il feto a due
qualsiasi passanti occasionalmente in stato di necessità.
Di qui l'esigenza di interpretare in modo meno rigido il bilanciamento tra vita del feto e vita della madre,
oppure di ammettere che il diritto non possa esigere dalla madre un grave sacrificio della salute come
secondo la giurisprudenza costituzionale italiana.
Occorre avvertire però che, purtroppo, questa seconda soluzione è fortemente indebolita per via della
banalizzazione che, nel nostro tempo, il concetto di salute subisce accreditando interpretazioni ipocrite.

33
   Una declinazione di questo principio - sul piano internazionale - si trova nell'art. 18 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (c.d.
Convenzione di Oviedo) il quale, dopo aver stabilito il principio che impone una garanzia di protezione adeguata dell'embrione (co. 1), vieta la
creazione di embrioni umani a fini di ricerca (co. 2).

34
   Cfr., Corte cost. , sentenza 18-2-1975 n. 27,cit., che, dopo aver riconosciuto che il concepito è uomo, prosegue con «l'ulteriore considerazione che
l'interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di
conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione. Ed è proprio in questo il
vizio di legittimità costituzionale, che, ad avviso della Corte, inficia l'attuale disciplina penale dell'aborto».

35
     Cfr., D’AGOSTINO F., Parole di bioetica (Torino 2004), 267.

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A ciò si aggiunga la supervalutazione del cd. diritto di autodeterminazione.
Dobbiamo prendere atto che l’ autodeterminazione è una delle parole magiche che, di quando in quando,
ricorrono per rappresentare un problema o la sua soluzione, e che finiscono con l'essere usate anche
quando ciò che con esse si descrive è il suo contrario.36
Come acutamente è stato osservato, l’autodeterminazione appartiene ontologicamente all’essere umano,
sicchè “per comprendere fino in fondo il principio di autodeterminazione, soprattutto nelle sue valenze
giuridiche…..è indispensabile un’antropologia”37. Ma, nel pensiero contemporaneo sembra quasi un
percorso obbligato spogliarsi dell’antropologia come di un inutile peso, con la pesante conseguenza di
utilizzare il vocabolo autodeterminazione in senso ambiguo, relativistico, come oggetto di contese
ideologico-politiche.
La necessità di bilanciamento di valori è alla base anche dell’art. 14 l. 40/2004, il cui co. 1 dispone che è
vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla l. 22-5-
1978 n. 194 e, il co. 2, che qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave
e documentata causa di forza maggiore non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la
crioconservazione degli embrioni (...) .
Tra i due diritti fondamentali, la tutela della salute della madre e l'integrità della vita del concepito, la legge
italiana continua perciò a far prevalere la salute della madre dal corpo della quale il nascituro dipende («la
donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità
comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica»: art. 4 l. 194/1978). Perciò in funzione
della alternativa fra la possibilità di vita autonoma e l'impossibilità di vita autonoma si gioca la riduzione di
capacità giuridica del feto il cui diritto a vivere soccombe di fronte al serio pericolo per la salute della
madre. 38Quando invece il corpo della donna non è più condizione necessaria per la sopravvivenza del feto,
il bilanciamento si sposta a favore del feto e l'art. 7, co. 3, l. 194/1978 prevede che «quando sussiste la
possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui

36
     Emblematica è la sentenza sul caso Englaro. Dopo avere affermato che «il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace [...] non
trasferisce sul tutore un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e completa incoscienza» (n. 7.3), e dopo avere
continuato che «al giudice non può essere richiesto di ordinare il distacco del sondino naso gastrico [...] che in sé non costituisce oggettivamente
una forma di accanimento terapeutico, e che rappresenta piuttosto, un presidio proporzionato», la Corte ha ritenuto che «l'intervento del giudice
[...] si estrinseca nell'autorizzare o meno la scelta compiuta dal tutore» (n. 8). Cfr. Cassazione civile, III, sentenza n. 21748/07 in www.dejure.it .
Pare potersi affermare che i Supremi giudici hanno preferito l'incoerenza all'esercizio diretto ed esplicito del potere loro conferito dalla
Costituzione, scegliendo il doppio schermo della volontà del tutore e della volontà presunta della paziente, ricavata dal «suo modo di concepire,
prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona» (n. 8). In tal modo la Suprema Corte, in assenza di una norma di legge e
senza neanche l'intervento della Corte costituzionale, ha esteso il potere di rappresentanza degli incapaci al diritto personalissimo alla vita,
arrogandosi in proprio il metro della «dignità della persona» , che costituisce il nucleo del principio personalistico su cui si fonda l'intera
Costituzione.
37
   Cfr., D’AGOSTINO F., Introduzione ai lavori: paranoie della modernità, in Autodeterminazione. Un diritto di spessore costituzionale? Atti del
Convegno Nazionale dell’U.G.C.I. , Pavia, 5-7 dicembre 2009, Quaderni di Justitia, Giuffrè 2012, pag. 1 e ss.
38
    E’ stato giustamente osservato che , pur tenendo conto della differenza tra il requisito del serio pericolo per la salute della madre previsto
dall'art. 4 e il requisito del grave pericolo per la salute della madre previsto dall'art. 5, non si può giungere a una banalizzazione del requisito del
pericolo per la salute della madre, pena altrimenti la vanificazione dello stesso bilanciamento operato dalla Corte costituzionale. Il pericolo per la
salute della madre, insomma, deve essere serio a tal punto da giustificare addirittura il sacrificio della vita del feto.Cfr., NICOLUSSI A., Lo sviluppo
della persona umana come valore costituzionale e il cosidetto biodiritto, cit .

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alla lett. a) dell'art. 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare
la vita del feto» .39
Questa soluzione normativa del conflitto tra il bene della vita del feto e quello della salute della madre può
essere spiegata sul riflesso del principio secondo cui il corpo della donna madre non può essere visto come
mero strumento per la procreazione; onde la considerazione della madre come persona implica
l'inesigibilità - dal punto di vista strettamente giuridico - della prosecuzione della gravidanza quando essa
comporti un grave sacrificio della sua salute. Purtroppo questo riconoscimento della dignità della donna è
avvenuto solo sotto il profilo negativo mettendo in relazione conflittuale il nascituro con la madre, senza
che ciò avvenisse in un contesto positivo di valorizzazione sociale della maternità come peraltro è imposto
dalla stessa Costituzione (artt. 2, 3, 31 e 37 Cost.), con conseguente astrattezza della pretesa di sganciare la
questione bioantropologica dalla questione sociale.
Del resto, obliterare questa prospettiva generale comporta un ulteriore problema che rischia di vanificare la
stessa tecnica del bilanciamento, mediante la quale in un ordinamento pluralista si cerca di trovare delle
soluzioni ragionevoli ai conflitti tra valori. Tale problema si può comprendere soltanto se si considerano,
opportunamente, le conseguenze del fatto che nella cultura contemporanea è frequentemente negata la
possibilità di stabilire una definizione oggettiva e intersoggettiva delle categorie fondamentali utilizzate nel
discorso giuridico la quale consenta di determinarne quantomeno un essenziale nesso comune.
Nel nostro caso la categoria in questione è quella della salute, la quale è sempre più sottoposta a un
processo di soggettivizzazione che la riduce a una variabile dipendente dalla percezione che ciascuno ha di
sé.40
Ora, la salute, intesa in questo modo, non si presta più a fungere da termine alternativo in relazione al
quale condurre il bilanciamento con il diritto del concepito a nascere. Il bilanciamento implica infatti il
confronto tra due valori oggettivi, altrimenti il valore oggettivo finisce per essere sempre subordinato alla
valutazione soggettiva del portatore dell'interesse in collisione. In altre parole, la salute della madre viene
reputata seriamente in pericolo ogni volta che quest'ultima semplicemente avverta come lesiva del suo
stesso benessere la gravidanza o la nascita di un figlio malato, onde il riferimento alla salute soggettivizzata
si risolve ancora una volta in definitiva in un veicolo di privatizzazione della questione.
Questa tendenza, per vero, riecheggia con una certa ipocrisia nella legge sulla interruzione della gravidanza
- richiamata anche dalla l. 40/2004 - quando tra i fattori che possono comportare un serio pericolo per la
salute della madre vengono indicate «le condizioni economiche, o sociali o familiari, o le circostanze in cui è
avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito».
Ma è la pratica applicazione della legge, com'è noto, ad aver radicalizzato questi spunti offerti dal testo
normativo, da una parte rimettendo alla valutazione soggettiva della madre la questione del serio pericolo
per la salute e dall'altra togliendo al medico la responsabilità di avallare questa autovalutazione.
Tale pratica applicazione è in grave contrasto, oltre che con la logica del bilanciamento adottata dalla legge,
anche con quanto precisato nella sentenza della Corte costituzionale del 1975 da cui la legge ha preso

39
 Il principio che si ricava dall'art. 7, co. 3, l. 194/1978 è stato richiamato nel parere su I grandi prematuri espresso dal Comitato nazionale per la
bioetica leggibile sul sito http://www.governo.it/bioetica/pareri.html.
40
  Si pensi alla Costituzione dell'Organizzazione mondiale della sanità secondo cui la salute sarebbe «lo stato di completo benessere fisico, mentale
e sociale» cui si è aggiunto alla fine degli anni ottanta l'aggettivo «spirituale».

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spunto: «Va peraltro precisato che l'esenzione da ogni pena di chi, ricorrendo i predetti presupposti, abbia
procurato l'aborto e della donna che vi abbia consentito non esclude affatto, già de jure condito, che
l'intervento debba essere operato in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto. Ma
ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che
l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe
derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad
una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla».

       3. Conclusioni.

Il mito dell'uomo nuovo nella versione eugenetica non ha portato, finora, molto di buono nella modernità,
con tutta la sua pericolosa volontà di potenza e l'ingenua pretesa di rendere infinito il finito e l'infinito
come assenza totale di confini alle possibilità del fare. Così inteso, questo è un mito dell'uomo vecchio.
L'Uomo nuovo, come ci ha insegnato S. Paolo, non è il prodotto di una selezione, ma è «tutto in tutti».41
L’evoluzione giuridica e sociale della pma, per come brevemente ripercorsa, mostra che questa tecnica
procreativa mira a divenire un metodo utilizzato da chiunque avanzi l'interesse individuale ad un figlio e ad
una discendenza.
I rischi del divenire sono enormi.
La procreazione artificiale, distaccata dalla sessualità, trasforma radicalmente la nostra concezione
multisecolare della filiazione. Il nato non è più esclusivamente concepito nel ventre della madre e i genitori
possono essere meno di due o più di due, non necessariamente un padre e una madre secondo ruoli
tradizionali.
Di qui l’inquietante interrogativo: la discendenza biologica cessa di essere il criterio dominante per fondare
la filiazione? .
Con ciò l'idea che la c.d. famiglia tradizionale non sia l'unico modello da realizzare.
In discussione è il legame “concepimento-filiazione”.
Nella cultura odierna sono diventate oggetto di dibattito nuove situazioni ed altre che apparivano
scontate: in specie nell'ambito della PMA con donatori/datori di gameti (c.d. PMA eterologa), emerge il
problema dell'informazione da dare al bambino sulla modalità del suo concepimento e il diritto di
quest'ultimo di conoscere le proprie origini. Ciò implica altre problematiche bioetiche e giuridiche connesse
alle diverse persone coinvolte in questo percorso e che conducono alla necessità di conciliare diritti e
interessi contrapposti: quelli della famiglia c.d. sociale portata a conservare il “segreto” e a tutelare la
propria privacy familiare, del nato di conoscere attraverso le origini biologiche la propria storia e, infine, di
coloro che cedono i gameti, generalmente propensi a conservare l'anonimato anagrafico e a non essere
coinvolti in alcuna responsabilità in merito alla vicenda familiare altrui.

41
     Cfr., 1° Cor., 9,22.

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