CORSO DI LAUREA IN INFORMAZIONE, MEDIA, PUBBLICITÀ - ANELLI ANGELO Tesi di laurea di: Anelli Angelo Website

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CORSO DI LAUREA IN INFORMAZIONE, MEDIA, PUBBLICITÀ.

       Brand Management: FCA e la gestione della
       comunicazione commerciale dei suoi brand.

                                             Tesi di laurea di:
                                              ANELLI ANGELO

                                                        1
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Indice
1. Il brand.                                                                                            5
  1.1. Perché investire nella creazione di un brand.                                                    5
  1.2 Definizione di brand e descrizione dei suoi aspetti principali.                                   6
  1.3. Differenza tra la marca e il marchio e definizione di marchio.                                   9
  1.4. Brand Strategy.                                                                                 11
     1.4.1. Brand Identity.                                                                            12
     1.4.2. Brand Image.                                                                               14
     1.4.3. Brand Equity.                                                                              14
  1.5. Brand Corporate, Brand Portfolio e gestione di essi.                                            15
2. Case study, FCA e il management dei suoi brand.                                                     19
  2.1. Introduzione alla corporate FCA.                                                                19
  2.2. Storia e cambiamenti del brand Fiat.                                                            20
  2.3. Storia e cambiamenti del brand Alfa Romeo.                                                      23
  2.4. Storia e cambiamenti del brand Ferrari.                                                         27
  2.5. Storia e cambiamenti del brand Jeep.                                                            30
3. FCA e la comunicazione dei valori dei suoi brand.                                                   32
  3.1. FCA e la diffusione dei valori dei suoi brand.                                                  32
  3.2. Analisi dei media e degli investimenti fatti su di essi da FCA.                                 33
  3.3. Approccio alla comunicazione digitale di FCA.                                                   35
  3.4. Analisi dell’influenza dell’identità dei brand FCA e differenze nelle relazioni con il pubblico. 37
     3.4.1. Fiat e l’attuale gestione del brand nel portfolio FCA.                                     38
     3.4.2. Alfa Romeo e l’attuale gestione del brand nel portfolio FCA.                               41
     3.4.3. Ferrari e l’attuale gestione del brand nel portfolio FCA.                                  44
     3.4.4. Jeep e l’attuale gestione del brand nel portfolio FCA.                                     47
  3.5. Analisi dello stile comunicativo dei brand FCA.                                                 49
     3.5.1. La comunicazione di Fiat rispetto al portfolio dei brand FCA.                              49
     3.5.2. La comunicazione di Alfa Romeo rispetto al portfolio dei brand FCA.                        50
     3.5.3. La comunicazione di Ferrari rispetto al portfolio dei brand FCA.                           51
     3.5.4. La comunicazione di Jeep rispetto al portfolio dei brand FCA.                              52
Conclusioni.                                                                                           53
Bibliografia.                                                                                          55
     Sitografia.                                                                                       57

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Introduzione.

   Non è sempre facile analizzare il modo di relazionarsi ai clienti da parte di un’impresa, le
ragioni possono essere molteplici, come per esempio la diversità nello stile comunicativo, nei
media utilizzati o nella tipologia di clienti di riferimento.
   Non basta studiare le varie tecniche di comunicazione e di marketing relazionale, ogni
azienda in maniera più o meno significativa è portatrice di valori e di caratteristiche che la
rendono unica, differenziandosi dalle altre.
   Per carpire queste differenze, è necessario mettere in pratica dei pattern, degli schemi e
modelli che siano in grado, partendo da concetti teorici ben delineati, di districarsi in questa
tempesta di messaggi pubblicitari al quale le aziende sottopongono i pubblici.
   In passato, sosteneva Seth Godin (2018), era molto più semplice ottenere l’attenzione da
parte del pubblico, bastava investire in maniera significativa nei giusti canali mediali, come la
televisione, e lasciare che il proprio prodotto acquistasse notorietà grazie ad essi.
   Il problema è che questo modus operandi, è attualmente in disuso, grazie all’avvento di
internet e dei social media, il cliente è mediamente più accorto, non solo grazie al nuovo media
di riferimento, ma anche all’utilizzo che gli utenti ne fanno di esso.
   La pubblicità classica, in senso di creazione di un messaggio pubblicitario con focus sulla
promozione di un prodotto o di una marca, ha perso la sua efficacia, e quindi occorrono nuovi
modi per ottenere l’attenzione del pubblico.
   Il modo di relazionarsi quindi è cambiato in maniera drastica rispetto al passato, occorre
quindi che l’azienda si immerga in una nuova realtà nella quale il suo prodotto deve emergere.
In molti casi, non basta che il prodotto sia concorrenziale dal punto di vista delle caratteristiche
e del prezzo, anche la comunicazione dev’essere azzeccata al contesto in cui il prodotto si
posiziona.
   La comunicazione non soltanto ha il compito di introdurre il prodotto al cliente, ma di
veicolare i valori che l’impresa pone nei suoi prodotti attraverso la marca.
   La marca, come vedremo nel capitolo successivo, è uno strumento molto potente, ma spesso
sottovalutato sia dall’azienda che lo gestisce, sia dai clienti che possono non comprendere i
valori di cui essa si fa portatrice.
   Succede inoltre, che un’azienda abbia a disposizione più marchi, che possono essere

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caratterizzati da pubblici di riferimento differenti, o anche da tipologie di prodotti diversi tra di
loro. E in questi casi, la comunicazione assume un ruolo ancora più fondamentale, assumendosi
l’incarico di aumentare il grado di differenziazione non solo rispetto alla concorrenza, ma anche
rispetto ai marchi partner.
   In questo documento, cercherò di analizzare come la comunicazione venga gestita
all’interno di una corporate di grosse dimensioni come quella di FCA, acronimo di Fiat
Chrysler Automobiles, come essa contribuisca venga diversificata tra i vari marchi posseduti
dalla corporate FCA, ma anche come la comunicazione stessa amplifichi i valori di quei brand
in modo importante.
   La scelta è ricaduta su FCA, perché possiede dei marchi veramente importanti e
caratterizzati in maniera differente tra loro, non solo per quanto riguarda il paese di
provenienza, che può essere italiano come nel caso di marchi come Fiat, Alfa Romeo, Maserati,
Lancia e Ferrari, o americani come nel caso di Chrysler, Dodge, Ram e Jeep, ma anche per tipo
di storia e identità di quei marchi.
   Nel primo capitolo vi sarà una introduzione legata alle funzionalità in possesso della marca,
di come essa si compone e di come essa contribuisca quando gestita in maniera ottimale ad
aumentarne il valore.
   Il secondo capitolo sarà dedicato completamente all’analisi della storia dei brand
attualmente più importanti per FCA, come Fiat, Alfa Romeo, Ferrari e Jeep, analizzandone la
storia, la loro identità e le loro caratteristiche che vengono messe in risalto sia nei prodotti, sia
nel modo in cui i prodotti appaiono agli occhi del pubblico.
   Il terzo e ultimo capitolo è incentrato, in primis sugli investimenti nei media da parte
dell’intera corporate FCA sia in Italia che negli Stati Uniti, i due mercati di riferimento per i
marchi FCA, e in seguito all’analisi dell’immagine dei brand, di come essi attualmente si
relazionino con il pubblico e di che tipo di valori vengono diffusi dalla loro comunicazione.
   È un lavoro basato quindi sull’analisi di come una realtà importante nell’ambito della
produzione di autovetture, gestisca i marchi e quindi le relazioni che essi hanno con il pubblico
di riferimento in base ai prodotti immessi sul mercato.
   Vi saranno numerosi riferimenti e citazioni a contenuti di terzi, esperti nell’ambito della
comunicazione, del marketing e in ambito motoristico.
   Il tutto quindi è finalizzato ad inquadrare il ruolo della comunicazione di marketing riesca
ad essere una componente fondamentale ad alti livelli, visto che FCA opera a livello globale, e
questo ne amplifica l’importanza del perché analizzarne il tipo di gestione della comunicazione

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che i brand intrattengono con il pubblico.
   Nelle prossime pagine, andremo quindi ad analizzare la marca (o brand in lingua
anglosassone), la sua composizione in fatto di dimensioni che la caratterizzano (identità,
immagine e valore), e il suo campo d’azione legato alla scelta dei mercati di appartenenza e
della diversificazione dei segmenti dei loro prodotti.
   Successivamente, introdurremo nel secondo capitolo i brand di riferimento Fiat Chrysler
Automobiles, partendo dalla loro storia e dai valori che li contraddistinguono, per poi
approdare, nel terzo capitolo, ad una analisi riguardante la gestione di essi nel portfolio FCA
ed in particolare la loro comunicazione commerciale, cercando di analizzare al meglio le
differenze principali che contraddistinguono i vari brand FCA per quanto riguarda il modo di
relazionarsi con il pubblico.

   1. Il brand.

   1.1. Perché investire nella creazione di un brand.

   Quando si entra in contatto con un prodotto, il primo fattore su cui ricade l’attenzione del
consumatore è il brand, in italiano la marca.
    Il Brand è il punto di riferimento in fatto di riconoscimento del prodotto, perché si fa
portatore di valori che caratterizzano il prodotto stesso.
   Il compito principale della marca, è appunto il farsi riconoscere dal pubblico, e di farsi
garante delle aspettative che il pubblico ha su di essa. Essa, quando viene gestita in maniera
ottimale, diventa la risorsa immateriale dal valore più elevato per l’impresa.
   Attualmente in un’ottica di progetti di marketing per le imprese, risulta sempre più al centro
delle strategie in diverse ottiche di mercato.
   Pensiamo, ad esempio, alla conquista della fiducia del consumatore, che soddisfatto
dall’ottimo bene o servizio fornito da quella determinata marca, decide di rivolgersi
nuovamente al brand che ha soddisfatto il suo bisogno nel modo ritenuto da lui più corretto.
   Vi è inoltre una conseguenza che può innescare l’effetto word of mouth, in grado di
diffondere la notorietà della marca e del bene offerto da essa, aumentandone l’importanza che
essa ha nel settore in cui opera.
   Ma la marca, quando gestita in modo ottimale, presenta un alto grado di fiducia non solo
da parte dei clienti, ma si fa portatrice di benefici positivi che riguardano tutti gli enti che hanno

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interessi diretti o indiretti nelle azioni dell’impresa, quindi gli stakeholder, che siano essi
primari (proprietà, dirigenti, dipendenti, clienti, fornitori, business partner e concorrenti) o
secondari (istituzioni, comunità locali, pubblico e i gruppi di rappresentanza).
   Sono effetti che possono avere ricadute economiche importanti non solo lato vendite, ma
anche lato finanziario in ottica quotazioni azionarie, dove un brand di alto valore verrà ritenuto
più attraente rispetto ai competitor meno conosciuti.
   Ma possiamo trovare ricadute anche in ambito sociale, grazie all’introduzione di tecniche
legate alla comunicazione d’impresa che portano il brand ad avere coscienza dell’ambiente in
cui opera, che sia interno all’azienda (codice etico) o a contatto con l’opinione pubblica
(bilancio sociale).
   È quindi importante saper creare un brand forte per aumentare il valore del nostro prodotto,
vi è però una tattica di gestione dei prodotti e dell’immagine aziendale opposta, denominata
No-Brand (Pastore e Vernuccio 2008).
   Si tratta di una tecnica attuata con lo scopo di mettere in risalto le qualità del prodotto in
esame piuttosto che la marca produttrice dell’oggetto, solitamente viene accompagnata da
tattiche di marketing alternative, come il viral marketing o la guerrilla marketing, in grado di
aumentare la notorietà del prodotto abbattendo in maniera importante i costi legati alla
comunicazione e al marketing.
    Questa però è una tecnica inadatta per la gestione dell’immagine di certi prodotti,
soprattutto se la corporate si trova in possesso di un portfolio di brand storici e ben
caratterizzati, è il caso di FCA, che possiede marchi la cui identità, storia e immagine esterna
non può essere riscritta perché decreterebbe la perdita del valore attuale di essi.
   Non sono solo i prodotti messi in commercio, a poter sancire il successo o il fallimento di
quella marca, ma anche come esso stabilisce un contatto con il pubblico, e come esso riesca a
sopravvivere ai cambiamenti nel tempo, ed è quindi fondamentale analizzare i casi di successo
e insuccesso, in questo caso, legati alle vicende dei brand automobilistici di FCA.

   1.2 Definizione di brand e descrizione dei suoi aspetti principali.

   In questo capitolo, lo scopo principale sarà quello di analizzare il brand nelle sue
caratteristiche, e come esso venga attualmente gestito dagli operatori del settore.
    Possiamo trovare svariate definizioni di brand, ma quella che ritengo più corretta è la
seguente: Brand è un nome, un termine, simbolo o disegno, o una combinazione di essi, utile a

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identificare merci e servizi di un venditore o di un gruppo di venditori e per differenziarli dalla
concorrenza (Peter 2017).
   Questa definizione, fornita dall’AMA (American Marketing Association), descrive la
marca in un’ottica denotativa standard, mentre per Jean Kapferer, esperto francese di marketing
e comunicazione del brand si tratta di una rappresentazione di un’idea esclusiva rappresentato
da un prodotto, servizio, luogo, persone ed esperienza (Minestroni 2010).
   Ad oggi il brand, non ha soltanto il compito di orientare il cliente nelle proprie scelte
commerciali, ma quella di veicolare degli ideali che lo accomunino con il cliente, che sceglie
di adottare questi ideali attraverso l’acquisto di prodotti di un determinato brand.
   Tutto questo comporta non solo un’interazione con il consumatore, ma un vero e proprio
patto di fiducia, una promessa che la marca fa al cliente per garantire che le proprie
caratteristiche di qualità, quantità, originalità per cui è stata scelta vengano rispettate.
   Inoltre, è particolarmente importante notare il cambiamento nelle abitudini stesse dei
consumatori nell’ultimo secolo, si è passati da un consumatore passivo e facile da coinvolgere,
ad uno attivo e maggiormente selettivo oltre che informato nei confronti delle varie offerte sul
mercato.
   Esperti in ambito del marketing e della comunicazione pubblicitaria, come Philip Kotler e
Jean Kapferer, concordano attraverso i loro studi e tramite le loro documentazioni, che vi è
stato un grosso spostamento nello studio del consumatore.
   La stessa disciplina, quella del marketing, che he come concetto chiave la soddisfazione di
un bisogno in modo redditizio, un dogma intoccabile, e che parte appunto dallo studio dei
bisogni e della personalità dei consumatori. Philip Kotler, esperto di marketing e
comunicazione del brand, indicato come “guru del management” dal Financial Times, sostiene
che la miglior pubblicità sia la soddisfazione dei clienti (Kotler 2003).
    È quindi fondamentale costruire una reputazione solida e in grado di resistere nel tempo,
ed è qui che il brand entra in gioco, essendo un elemento in grado di identificare il proprio bene
e servizio rispetto ai competitor, aiutando quindi il cliente ad orientarsi nel mercato.
   Diverse sono le strategie di branding per la gestione e la vendita dei prodotti, cercherò
quindi di elencarle, e di passare attraverso i vari aspetti che rendono un brand non solo
importante per un’attività aziendale moderna, ma anche per il cliente stesso, in grado quindi di
orientarsi nella propria scelta di consumo.
   Vi sono quindi, fattori chiave del brand che offrono benefici nei confronti degli stakeholder,
in particolare per i servizi che offrono l’imprese (Minestroni 2010).

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In primis è importante notare come un brand forte sia in grado di offrire protezione,
tutelando la proprietà industriale e i prodotti, attraverso strumenti come il copyright per
mitigare il fenomeno della contraffazione.
   Da notare poi la presenza di un’altra funzione fondamentale offerta dal brand, quella del
posizionamento, cioè l’utilizzo del brand per identificare una categoria di prodotti in un
segmento di mercato, funzione fondamentale per brand debuttanti.
   Ma anche una ricaduta non di poco conto legata alla capitalizzazione, si tratta di una
funzione legata al valore del brand (brand equity), riferita alla capacità di un brand di aumentare
il valore dell'offerta del prodotto, facendo in modo che il valore immateriale del prodotto di
quel brand aumenti poi il valore materiale di esso.
   Questi fattori non influenzano soltanto il valore dell’offerta proposta dall’impresa, ma vi
sono vantaggi anche per il pubblico, parliamo della funzione di autoespressione, dove la marca
tramite i suoi ideali integrati attraverso la brand identity, riesce a fornire degli indizi sulla
personalità del possessore di quel prodotto, esprimendo quindi una funzione di status.
   Un’altra funzione di cui tenere conto è quella di garanzia, funzione secondo la quale, la
marca da sempre si prefigura lo scopo di fornire delle garanzie al suo cliente, identificatrice sia
del bene o servizio offerto, sia della qualità di esso.
   Possiamo considerare un’ulteriore funzione, quella di orientamento, che opera in modo
simile ad una bussola, dove la marca ha lo scopo orientare il cliente nella scelta di determinati
beni o servizi.
   Seguendo con attenzione la gestione moderna del brand, possiamo individuare altre due
funzioni che rafforzano il valore della marca per il pubblico.
   Si tratta della funzione ludica, nella quale un brand si fa portatrice in primis della sua
esperienza, cioè l'emozioni che provoca durante l'utilizzo del suo prodotto, e della funzione di
praticità, dove il brand ha tra le sue caratteristiche quella di offrire un risparmio di tempo nella
ricerca dei migliori prodotti per un determinato segmento di mercato.
   Un brand si compone innanzitutto da un marchio, che costituisce la parte visuale e
identificativa della marca.
   Spesso si tende a sottovalutare o ignorare la differenza tra le due terminologie, confondendo
la marca con il marchio, limitando quindi il campo d’azione della marca e di conseguenza le
strategie che si celano dietro ad essa.
   Nelle pagine successive analizzeremo gli aspetti fondamentali della marca, partendo dal
marchio per arrivare alla gestione di un portfolio di marchi presenti nel caso di FCA,

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analizzando le strategie riguardanti l’identità dei brand, l’immagine dei brand, e il suo valore.

   1.3. Differenza tra la marca e il marchio e definizione di marchio.

   Spesso però si rischia di confondere la marca con il suo segno identificativo, il marchio.
   La marca è un qualcosa di dinamico, che si evolve nel tempo, evolve nella percezione, nei
significati e nell’immagine che il pubblico ha di essa. Cambia spesso anche in fatto di offerte
verso il pubblico, non solo in fatto di specifiche varianti del proprio prodotto, ma in alcuni casi
anche nell’offerta di prodotti del tutto differenti, come ad esempio Yamaha, che offre una
prodotti motociclistici, sia di strumenti musicali. Il marchio è un segno distintivo, un oggetto
utile per identificare il produttore di quel determinato prodotto o servizio.
   I marchi possono essere composti in tre modi, possiamo trovare marchi di tipo iconografici
che rappresentano delle icone o delle immagini che permettono di rendere il brand riconoscibile
differenziandolo dai competitors (es. Ferrari e Mercedes cfr. fig. 1). Vi sono i marchi verbali,
composti dal nome del brand o da una determinata parola, solitamente scritti con un carattere
unico che spesso viene protetto da registrazioni presso enti che operano a protezione dei marchi
(es. Jeep cfr. fig. 1).In ultimo, possiamo trovare i marchi complessi, si tratta di marchi che
uniscono le tecniche verbali a quelle iconografiche, rendendo il marchio più completo e
rendendolo più originale (es. Alfa Romeo e Chrysler cfr. fig. 1).

            Figura 1. Esempi di marchi automobilisti di varia composizione stilistica.

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Figura 1. http://www.erreticar-autosalone.it/wp-content/uploads/2014/05/marchi1.jpg
   In ogni caso, si tratta di un aspetto importante ma non fondamentale, ciò che arricchisce di
significati la marca è il modo in cui essa decide di approcciarsi con i clienti e in particolare la
scelta dei target di riferimento per i prodotti che essa immette sul mercato.
   Il marchio inoltre è spesso soggetto a protezioni giuridiche, utile a proteggerlo in caso di
plagio e volgari contraffazioni, problema che richiede una certa cooperazione tra l’azienda
produttrice, le autorità e i clienti nell’individuare eventuali prodotti illeciti, spesso provenienti
da paesi esteri. Sono linee difensive che il management del brand impone soprattutto per
determinati prodotti, e per la salvaguardia dell’immagine dell’azienda e dei clienti.
   Secondo il rapporto svolto dal MiSE (2016), i settori a maggior rischio plagio riguardano
la manifattura italiana (cfr. fig. 2), nei settori delle cosiddette 4A del Made in Italy (alimentari,
abbigliamento, automazione e arredo).

      Figura 2. Riferita ai dati forniti dal rapporto del ministero per lo sviluppo economico
                                               2016.

   Particolarmente evidenti i danni economici nel settore dell’abbigliamento, informatico-
elettronico e alimentare, dove nel caso della moda si arriva a superare abbondantemente i 2
miliardi di euro.

                                                                                                  10
Figura 2. http://www.uibm.gov.it/attachments/REPORT%20FINALE%202016.pdf
   Questo comporta non solo un danno economico, ma anche d’immagine per le aziende i cui
marchi e in particolare i prodotti, sono soggetti a contraffazione, causata da un’errata
percezione della qualità del prodotto contraffatto in maniera inconsapevole ai danni del cliente.
   È possibile difendere il proprio marchio registrandolo, una procedura piuttosto frequente
che consiste nell’acquisire la certificazione del TradeMark ™ (richiesta di registrazione del
marchio), Registrato® (se il marchio è già registrato), o protetto da Copyright ©, in modo da
potersi tutelare legalmente in caso di plagio.
   Di recente, alcune aziende private di grosse dimensioni, si impegnano nella difesa dei
marchi, tramite programmi di registrazioni di vario tipo, un esempio è il programma Amazon,
con il programma registro e salvaguardia di marche e brevetti, chiamato BrandService.

   1.4. Brand Strategy.

   La gestione della marca coinvolge il management su tre fronti principali in fatto di
caratteristiche della marca. Si parte dalla brand identity, che vede il brand management
impegnato nella creazione di un’identità di marca forte e definita in grado di distinguersi nel
mercato esistente, progettandone le caratteristiche di essa in maniera minuziosa mettendone in
risalto le caratteristiche dei prodotti, che siano esse materiali o immateriali.
   Altro aspetto importante è la brand image, cioè l’immagine del brand e come esso viene
visto dal pubblico, si tratta quindi del riflesso dell’identità che viene proiettata sul pubblico.
   Il risultato è legato in gran parte al lavoro di gestione della marca, e quindi alla
comunicazione che si effettua su di essa.
   Spesso però succede che il lavoro e gli obiettivi prefissati con la brand identity non vengano
raggiunti appieno, con ricaduta sulla brand image stessa, con conseguente perdita di potere
d’immagine per il brand stesso.
   Infine, possiamo trovare la brand equity, si tratta di creare un brand portatore di valori
immateriali importanti (ludici, funzionali, caratteriali) in modo tale da influenzare il valore di
mercato del prodotto stesso.
   Di seguito verranno analizzati questi tre importanti aspetti del brand, oltre al verificare
come non solo essi siano connessi tra di loro, e quindi indispensabili nella generazione di valore
per il cliente, ma anche il tipo di strategie messe in atto per una gestione ottimale della marca.

                                                                                                     11
1.4.1. Brand Identity.

   È un pensiero diffuso all'interno dei manager che gestiscono i brand, pensare al brand come
se fosse una persona, creandone delle caratteristiche in grado di identificarlo, vi sono
caratteristiche che possono essere ereditarie ma che spesso cambiano nel tempo.
   David Aaker, economista americano ed esperto di marketing e comunicazione del Brand,
propone un modello fatto di 4 punti in grado di mappare e pianificare la brand identity (Pastore
e Vernuccio 2008).
   In primis, vi è la dimensione dell'identità della marca, essa si compone di tre elementi, il
primo è l’essenza della marca (brand essence) concetto che racchiude la promessa del brand, e
quindi cosa la marca può rappresentare nel mercato.
   Il secondo elemento è l’identità della marca (core identity), si tratta di un insieme di più
concetti che identificano la marca, che si riflette sulla mission e sulla vision dell'impresa.
   Il terzo ed ultimo elemento, legato all’identità della marca secondo David Aaker, è l’identità
allargata (extendend identity), che rappresenta un'estensione dei concetti principali della marca,
fatta di attributi secondari che si agganciano alla promessa primaria.
   Possiamo trovare altri concetti connessi all'identità della marca, che può essere intesa come
prodotto (gamma, attributi, esperienza d'uso, paese d'origine), come organizzazione (elementi
caratteristici della direzione), come persona (personalità della marca e testimonial) e come
simbolo (marchio e significati dietro ad essi).
   Vi è inoltre la proposta di valore, cioè la promessa principale che la marca fa al
consumatore, riguarda particolari benefici funzionali, esperienziali e simbolici. Soluzioni che
apportano i prodotti a determinati bisogni del consumatore.
   In ultima analisi, ma comunque elemento di rilevante importanza, vi sono le relazioni con
il consumatore, tecniche recenti di direct marketing, come la CRM (Customer Relationship
Management).
   Riguarda l'imbastire delle relazioni formali con i consumatori al fine di garantirne il
soddisfacimento delle sue richieste, come può essere la personalizzazione dell'offerta di quel
bene o servizio.
   Vi è però un altro modello, per studiare e pianificare la brand identity, è stato creato da Jean
Kapferer, si tratta del prisma di Kapferer (cfr. fig. 3).

                                                                                                 12
Figura 3. Rappresentazione del prisma di Kapferer riferita al brand Lacoste.

   Il luogo fisico è un insieme di attributi tangibili, come le caratteristiche del prodotto che lo
accomunano e lo contraddistinguono dai competitor. La personalità si costruisce in buona parte
tramite la pubblicità e la comunicazione gestita dall’impresa, ed è cosa rappresenta per il
consumatore quella marca. Es. Barilla con il suo slogan “Dove c’è Barilla c’è casa” esprime un
carattere premuroso ricordandogli l’affetto famigliare. La cultura si esprime attraverso la storia
del marchio, sono i valori di cui il brand si fa portatore. Per relazione si intende come il brand
comunichi con il consumatore, e come esso intende mantenere la propria promessa e le
aspettative che il cliente ripone nel prodotto offerto da quel brand.
   Il riflesso invece è l’identità ideale del consumatore tipo che il brand intende avere.
   In ultimo abbiamo la mentalizzazione, nella fattispecie il tipo di acquirente che un brand
ha, inoltre esprime una relazione inversa rispetto alla relazione che parte dal brand e va al
consumatore. È il tipo di espressione che l’acquirente di una marca vuole mostrare all’esterno.

                                                                                                13
Figura 3. Immagine creata da Angelo Anelli.
   1.4.2. Brand Image.

   Attraverso le strategie e la pianificazione della brand identity, si arriva ad ottenere un
risultato all'esterno, che riguarda l'immagine della marca.
   Si tratta del risultato di tutte le attività del brand, dal posizionamento dei prodotti alla
comunicazione di esso. È caratterizzata dal significato psico-sociale che il consumatore ha del
brand, dalla percezione dei contatti che il consumatore ha con la marca, ma è anche influenzata
in gran parte dalla comunicazione e dalle attività di marketing dietro di essa.
   Se con la brand identity ci si è occupato di come il brand viene pianificato e gestito per
relazionarsi con il pubblico, nella brand image si analizza come la marca viene percepita da
essi. A dispetto della brand identity, la brand image sfugge al governo dell'impresa.
   Nell'ambito dell'esperienza della marca (comunicazione, acquisto, consumo ecc..) vengono
generate differenti tipologie di associazioni cognitive, riconducibili in estrema sintesi a tre
categorie: attributi, benefici e atteggiamenti.
   Gli attributi sono le caratteristiche percepite che descrivono quel bene o servizio, vi possono
essere due attributi, product related e non-product related, nel primo caso la percezione si
riferisce alle qualità del singolo prodotto, mentre nel caso opposto la percezione è legata a
fattori immateriali (prezzo, packaging, tipologia d'utilizzo ecc..).
    I benefici possono essere di tipo funzionale, esperienziale, e simbolico, con i primi due
aspetti legati al prodotto e il terzo legati ai valori del brand e come essi vengono comunicati.
L’atteggiamento verso il brand: valutazioni riguardanti gli aspetti del brand a 360°.
   La brand image è quindi una componente di primaria importanza perché rappresenta il
grado di fiducia e fedeltà d'acquisto nel cliente, rafforzando quindi il brand stesso, e questo ci
porta a considerare il brand come un fattore importante in chiave economica.

   1.4.3. Brand Equity.

   Come abbiamo visto nella brand identity e image, la marca svolge importanti funzioni verso
i consumatori nei processi di acquisto e di consumo, tramite caratteristiche di essa come
l’informatività, la comunicazione, il posizionamento e la garanzia.
   È possibile quindi elencare una serie di vantaggi, che possono essere funzionali, simbolici
ed esperienziali. Con i vantaggi funzionali la marca aiuta a rendere riconoscibile il prodotto e

                                                                                               14
ne identifica le caratteristiche di esso.
   I vantaggi simbolici rendono la marca un riflesso del proprio "io", caratterizzando quindi
lo stile di vita e i valori del proprio utilizzatore.
   In ultimo, i vantaggi esperienziali, con la quale se l'esperienza ottenuta con un prodotto di
un brand viene ritenuta soddisfacente dal consumatore, egli avrà uno stimolo a rimanere fedele
a quella marca. Vi sono degli elementi fondamentali che contribuiscono ad aumentare il valore
immateriale della marca (Lombardi 2010), parliamo dell’identità della marca e della sua
personalità, della notorietà che essa ha nel settore in cui opera, della qualità percepita dei suoi
beni e servizi che immette sul mercato, dell’immagine e quindi reputazione di cui essa gode in
base alla stima da parte dei suoi clienti, che ripagano essa con un grado di fedeltà più o meno
notevole, valori che vengono accresciuti soprattutto con le relazioni che i vari portatori
d’interessi, sia primari che secondari, intrattengono con essa.
   Il valore complessivo che viene creato per il cliente, dà vita alla brand equity, essa è
l'insieme delle risorse legate al brand, unito al valore che un bene fornito da un'impresa.
   È quindi connesso alla soddisfazione dei consumatori, oltre alla conoscenza che il
consumatore ha di essa, maggiori saranno questi indicatori, maggiore sarà l'equity del brand.
   Per misurare in maniera efficace il valore del brand, vi è il modello BAV (Brand Asset
Valuator), è basato sulla misurazione di quattro variabili, conoscenza della marca, stima che
si ha della marca, rilevanza della marca nel settore in cui essa opera e differenziazione della
marca rispetto ai competitor.
   Da queste 4 variabili è possibile ricavare la vitalità del brand (differenziazione + rilevanza)
e la statura del brand (conoscenza + stima), che sommate daranno luogo al valore del brand
(Lombardi 2010).

   1.5. Brand Corporate, Brand Portfolio e gestione di essi.

   Nella gestione delle politiche di brand lato aziende, è cruciale la scelta del brand e del
marchio su cui puntare a seconda delle attività su cui puntare per far crescere la propria
presenza nel settore.
   È spesso possibile notare, come un’organizzazione gestisca più brand operanti in settori
diversi o anche nello stesso settore ma con target di riferimento differenti.

                                                                                                15
Si crea quindi un portfolio, cioè l’insieme di brand in possesso della corporate, che è
possibile organizzare tramite la matrice marca-categoria (cfr. fig. 4).

                          Figura 4. Esempio di matrice marca-categoria.
       Sulle righe si individuano le relazioni brand-categoria, ossia l’insieme delle diverse
categorie di prodotto presidiate dallo stesso brand, a seguito dell’applicazione di strategie di
estensione (brand extension), mentre sulle colonne si leggono le relazioni categorie-brand,
ossia le diverse marche riferite alla stessa categoria di prodotto.
   All'interno di ogni categoria i brand, anche se presidiano prodotti strettamente correlati e
simili (per funzionalità, per canali distributivi ecc..) sono destinati a segmenti di mercato
differenti (strategia di multiple branding).
   Allo scopo di non disorientare il consumatore, e preservare l'identità complessiva dei brand
e della corporate, il management del brand decide di optare per una strategia denominata brand
architecture.
   Essa rappresenta la struttura concettuale del brand portfolio, ed è lo strumento di
pianificazione delle caratteristiche dei brand, definendone identità, immagine, target di
riferimento e le gerarchie con gli altri brand in possesso della corporate.
   Si possono avere diversi ordini di gerarchie all'interno del brand portfolio, inoltre la scelta
di utilizzare o meno il brand della corporate può essere cruciale nelle scelte di mercato in ottica
di personalizzazione delle caratteristiche dei prodotti.
   Figura4. http://www.lingue.uniurb.it/matdid/forlani/2011-
12/Comunicazione_Impresa/08_comunicazione_2011-12.pdf

                                                                                                16
Avere più brand di differente identità e caratteristiche ha senza dubbio come punto di forza
la possibilità di poter customizzare al meglio la propria offerta sul mercato, oltre al poter
puntare su target diversi partendo da prodotti simili (Esempio FCA).
   Ma vi è anche la possibilità di usare un unico brand, quello della corporate, creando quindi
un'immagine forte che copra più segmenti di mercato (Esempio Apple).
   Vi sono quindi quattro tipi di brand architecture, branded house, sub-branding, endorsed
brand e house of brands.
   La branded house, detta anche monolithic identity, si tratta di un brand in grado di
competere in diversi segmenti di mercato con prodotti che possono variare di settore anche in
modo radicale. Esempio: Yamaha che produce sia moto che strumenti musicali.
    Il sub-branding, viene chiamato anche endorsed identity, riprende in parte l'idea della
monolithic identity, riutilizzando un unico brand per diversi tipi di prodotti, ma ad esso viene
affiancato un brand minore che identifica una determinata categoria di prodotti, esempio Sony
Playstation o Sony Xperia.
   L’endorsed brand, rispetto alla strategia del sub-branding mostra un legame più flessibile
tra il brand primario e quello secondario.
   Esempio: Mcdonald con Big Mac, Mcnuggets, McCaffè ecc...
   In ultimo troviamo l’house of brands, strategia opposta alla branded house, è detta anche
branded identity, perchè ogni brand in possesso della corporate ha una sua personalità
distaccata dal brand principale, con lo scopo di intercettare quanti più consumatori presidiando
più settori e nicchie di mercato. Esempio: FCA (Alfa Romeo, Fiat, Lancia, Jeep e Ferrari).
   Per quanto riguarda invece la produzione dei prodotti all'interno del singolo brand, vi è
sempre più la necessità di ampliare la propria gamma di prodotti offerti.
   Seguendo le direttive e le tecniche messe in atto dall’attuale brand management, è possibile
notare quattro tipologie di tecniche in grado di orientare l’impresa verso un aumento di prodotti
appartenenti ad un brand diversificandone le categorie, o per la creazione di nuovi brand per
nuovi prodotti da affiancare a quelli presenti nel portfolio.
   Si tratta della matrice delle strategie di innovazione marca-categorie (cfr. fig. 5), che
prevede quattro tipi di azioni per espandere il proprio portfolio di brand e prodotti, line
extension, category extension, multi-branding e la strategia della diversificazione (Pastore e
Vernuccio 2008).

                                                                                              17
Figura 5. Matrice delle strategie di innovazione marca-categoria.

   La line extension è come la gamma viene sviluppata, solitamente seguendo la
personalizzazione di un prodotto creando più varianti per penetrare diversi segmenti di
mercato. Per quanto riguarda la category extension, il brand management decide di ampliare la
propria tipologia di prodotti in vendita, diversificando il proprio business.
   Altra strategia di ampliamento della gamma, è la procedura di diversificazione del brand
portfolio, prevede che per ogni nuova categoria di prodotto venga creato un nuovo brand.
   In ultimo, troviamo la strategia multi-branding, nella fattispecie si tratta della creazione di
più brand nonostante essi operino nello stesso settore.
   Un altro aspetto di fondamentale importanza è la gestione dei mercati in cui opera la marca,
vi possono essere condizioni molto diverse per un brand che opera sul suo mercato nazionale
rispetto a quella internazionale o addirittura globale. Il branding globale trae forza
dall'ampiezza del mercato globale, ma richiede spesso uno sforzo non indifferente nelle attività
di customizzazione dei prodotti e della comunicazione in base alle esigenze dei mercati in cui
si andrà operare.
   Anche la percezione del brand cambia tra locale e globale, soprattutto in tre aspetti, la
qualità, i valori e la responsabilità sociale.

   Figura 5. Pastore A. e Vernuccio M. (2008), Impresa e comunicazione, Maggioli editore.

                                                                                               18
l fattore qualità subisce una percezione diversa tra un operatore locale ed uno globale,
perchè un brand globale deve offrire standard elevati in fatti di qualità produttiva a seconda dei
paesi in cui opera. I valori, i brand sono portatori di valori culturali, e questo effetto viene
amplificato passando dal brand locale a globale. Anche la responsabilità sociale, vi è
un'influenza maggiore da parte dei brand più grandi che operano in più mercati a livello sociale.
   Inoltre, per quanto riguarda la percezione di un brand globale, è importante considerare
l'effetto del paese di provenienza dello stesso brand. È il caso dei brand automobilistici tedeschi
(Audi, Bmw e Mercedes), che legano la percezione di elevata solidità e qualità costruttiva alle
proprie auto, o l'artigianalità per le super car italiane.
   Bisogna constatare che, un eccessivo focus sulla globalizzazione del proprio brand, può
comportare la perdita di contatto con il proprio mercato principale, cioè quello della nazione di
provenienza della marca.
   Per quanto concerne il branding locale, si tratta di una tattica legata ad un mercato ristretto,
più semplice da studiare e quindi da soddisfarne i bisogni produttivi.
   Vi può essere però il rischio di non riuscire a competere con i produttori globali, che
operando in più mercati riescono ad introdurre sul mercato prodotti più maturi, con standard
qualitativi e quantitativi.
   Dopo questa introduzione al brand e alle dimensioni di cui si compone, procederemo
all’analisi di un case study di marchi la cui importanza spesso viene sottovalutata, cioè i brand
in possesso della corporate Fiat Chrysler Automobiles.

   2. Case study, FCA e il management dei suoi brand.

   2.1. Introduzione alla corporate FCA.

   Nel capitolo precedente, abbiamo visto le varie componenti che si celano dietro alla
costruzione di un brand, in questo capitolo applicheremo quelle teorie e quegli strumenti ad un
portfolio di brand realmente esistente, per analizzare le scelte fatte dal management.
   FCA, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles, nasce nel 2014 a seguito della fusione
azionaria tra l’italiana Fiat S.P.A e l’americana Chrysler Group (Platero 2014), già nel 2009
però il gruppo Fiat stava collaborando a livello azionario con Chrysler, che era sull’orlo del
fallimento agli inizi dello stesso anno (La Repubblica 2009).

                                                                                                19
Da qui in poi, tramite un accurato piano di recupero finanziario e l’acquisto del 100% del
pacchetto azionario da parte del gruppo Fiat, Chrysler conobbe un periodo di grande crescita,
visto che un suo brand, Jeep, è passato dal vendere 730 mila unità nel 2013 a ben 1.9 milioni
di unità nel 2018 (FCA 2018). Il gruppo FCA è il settimo produttore mondiale di auto, con
quasi 5 milioni di vetture vendute durante il 2017 e un fatturato di circa 110 miliardi di euro
(FCA 2017).
   È importante studiare quest’azienda per il suo ampio portfolio di brand attualmente in
possesso, sia italiani che americani, in particolare brand come Alfa Romeo, Fiat, Lancia,
Maserati, Ferrari, Jeep, Dodge, Chrysler e Ram (FCA 2017).
   Pochissimi sono i gruppi automobilistici attualmente presenti sul mercato a possedere un
portfolio così ampio, così come Volkswagen, che però vanta brand più “moderni” in fatto di
origine e formazione di essi.
   Ed è soprattutto per questioni di heritage, che FCA merita un suo case study in fatto di
brand management, che riesce ad andare oltre le caratteristiche del country of origin effect, ma
di rapporti di coesistenza di brand molti diversi tra loro nel portfolio in loro possesso.
   Non si tratta solo di rispetto delle loro tradizioni e dei loro formati produttivi, ma di
intraprendere un percorso di ammodernamento e di attualizzazione di brand che hanno alle
spalle più di un secolo nell’ambito della produzione automobilistica.
   Analizzeremo quindi le caratteristiche dei brand più importanti di FCA, dalla loro storia
alla loro identità, e come essi vengano gestiti e diversificati nello stile comunicativo con il
cliente.

   2.2. Storia e cambiamenti del brand Fiat.

   Fiat, acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino, nacque l’11 luglio 1899 a seguito
della capitalizzazione di circa 30 azionisti di Torino, tra cui il futuro presidente Giovanni
Agnelli. Era fondata sull’intuizione che, di lì a poco, il mondo dell’automobile avrebbe
rivoluzionato il mercato. Il primo stabilimento viene inaugurato nel 1900, e nel 1902 viene
eletto direttore generale Giovanni Agnelli, ed è qui che l’ascesa degli Agnelli iniziò.
   Nel 1904, su 3080 veicoli fabbricati in Italia, 268 erano Fiat, nel 1914, la metà delle vetture
vendute in Italia erano Fiat, merito della nomina di Giovanni Agnelli ad amministratore
delegato dell’azienda e dell’introduzione del taylorismo nel reparto produzione (Bruni, Clarke,
Paolini, Sessa 2014).

                                                                                               20
1/2
    La prima vettura prodotta da Fiat era una piccola carrozza motorizzata denominata 3
HP, a cui seguirono le sue evoluzioni e ampliamenti di gamma 6 e 12 HP.
   Successivamente alla Prima guerra mondiale, vi fu un ampliamento della produzione,
rivolta ai veicoli militari e ferroviari, inoltre vengono costruite nuove linee produttive in
Polonia e Russia, nel 1926 inoltre l’azienda fa il suo ingresso nell’ambito della comunicazione
rilevando il quotidiano “La Stampa”, imponendosi come una tra le realtà aziendali più
importanti a livello nazionale (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   La produzione automobilistica, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, subisce una
forte battuta d’arresto a favore dei veicoli militari.
   Nel 1945 muore Giovanni Agnelli, sostituito da Vittorio Valletta, divenuto AD nel 1939, il
cui obiettivo era quello di ammodernare gli stabilimenti Fiat e allinearsi ai più avanzati
produttori, in particolare creare prodotti di massa, come la Topolino 500a.
   È qui che inizia la storia di Fiat nel segmento di mercato che più la rende popolare, le vetture
utilitarie, in particolare la simbolica 500, simbolo del boom economico italiano del dopo guerra.
Nel 1966, Gianni Agnelli diventa presidente della società, che conobbe il suo massimo
splendore negli anni 70/80, dopo l’acquisizione di Autobianchi e Lancia (1969) e di buona
parte di Ferrari. Nel 1979 viene costituita Fiat S.p.A, che racchiude brand come Fiat, Lancia,
Abarth, Ferrari e Autobianchi, inoltre vi sono presenti aziende impegnate nella produzione di
veicoli industriali, ferroviari, trattori, e aziende minori legate alla componentistica come
Magneti Marelli, Teksid e Comau.
   Nel 1986 viene acquistata dall’IRI Alfa Romeo, ed è da qui che inizia la storia moderna del
gruppo Fiat, e i suoi alti e bassi a livello produttivo e di gestione del portfolio del suo brand.
   Agli inizi degli anni 90 Fiat entra in crisi, causata da cattivi investimenti da parte dell’allora
AD Cesare Romiti, mentre la competizione sul mercato europeo si fa sempre più serrata
   e si tende a puntare su mercati in espansione come il Brasile.
   Nel 2003, muore Gianni Agnelli, e la presidenza passa a Luca Cordero di Montezemolo, e
amministratore delegato Sergio Marchionne (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   La ripresa effettiva del gruppo Fiat inizia nel 2008, quando si arriva a fatturare quasi 60
miliardi, mentre a fine 2009 si raggiunge uno storico accordo con l’americana Chrysler (La
Repubblica 2009), che porterà alla costruzione del settimo gruppo automobilistico mondiale,
ma segna anche la fine della Fiat per come l’abbiamo conosciuta, visto che cambierà la sede
legale in Olanda e fiscale in Inghilterra, abbandonando la sede del lingotto di Torino per com’è
stata concepita. L’immagine del brand Fiat nella storia, è cambiato notevolmente nella storia,

                                                                                                  21
a seconda dei periodi e delle fortune produttive lato vendite dell’automobile, e con essa
l’identità del brand (cfr. fig. 6) e i suoi marchi (cfr. fig. 7).

                         Figura 6. Prisma di Kapferer applicato al brand Fiat.

                              Figura 7. Evoluzione del marchio Fiat.

                                                                                      22
L’immagine di Fiat è forte in Europa e in Sud America, non solo per quanto concerne in
fatto di numeri di vendita, ma per quanto riguarda la brand identity e l’image del marchio vista
la sua lunga storia.
   È un’immagine che fa riferimento all’auto di massa, popolare, ma che comunque al di là
del prezzo basso non rinuncia a funzionalità utili ad un mezzo di trasporto famigliare. Inoltre,
Fiat riesce a creare auto iconiche in fatto di familiarità, creatività e utilità legata alle sue auto,
un fare sbarazzino e leggero, per coniugare la sostanza delle funzionalità alla creatività delle
linee.
   Il target è mediamente famigliare nei modelli più generosi in fatto di dimensione, ma non
vengono esclusi i target femminili e giovanili nei modelli entry level come 500, panda, uno e
punto.

   2.3. Storia e cambiamenti del brand Alfa Romeo.

   Alfa, acronimo di Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, nasce nel 1910 nel complesso
industriale di Portello (Milano). Il marchio (cfr. fig. 8) è il frutto dell’unione tra le insegne
araldiche della Milano del tempo dei comuni: il biscione e la Croce Rossa in campo bianco di
Giovanni da Rho (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   La prima vettura ad esordire con il marchio Alfa nel 1910, chiamata 24 HP, ed è
caratterizzata per le sue doti velocistiche e per la sua tenuta di strada.
   Nel 1915, a causa di un periodo economico difficile per la casa, viene rilevata dalla Banca
di Sconto, che la lascia in gestione all’ing. Nicola Romeo, e dall’unione delle sue società in
possesso, come le Officine Meccaniche di Saronno, le Officine Meccaniche Tabanelli di Roma,
e le Officine Ferroviarie Meridionali di Napoli, nacque così il marchio Alfa Romeo, correva
l’anno 1918 (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Con lo scoppio delle due guerre mondiali, la produzione si rivolse anche alla costruzione di
motori per aerei su licenza dell’Isotta Fraschini.
   Ma la produzione di autovetture rimane la priorità nonostante le richieste di prodotti
militari, nel 1921 viene lanciata la RL, che nel 1923 vince la Targa Florio.

   Figura 6. Creata da Angelo Anelli.
   Figura 7. https://www.corriere.it/gallery/economia/07-2012/marchi/1/come-cambiano-
loghi-grandi-societa_59519c5c-cc1b-11e1-b65b-6f476fc4c4c1.shtml

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Da qui partirono una serie di successi in vari Gran Premi, dettata anche da una strategia
commerciale e pubblicitaria per il marchio Alfa, in modo da influenzare positivamente le
vendite della nuova vettura del 1925, la 6C 1500.
   Nel 1928 però Nicola Romeo, presidente di Alfa Romeo dal 1918, lascia l’azienda perché
in disaccordo con la proprietà a causa di cambiamenti drastici nell’organico di natura
economica, e nel 1932 Alfa Romeo passerà all’IRI (Istituto Ricostruzione Industriale).
   Vi è l’intenzione di togliere Alfa Romeo dalle competizioni, ma le auto da competizione
Alfa Romeo verranno rimarchiate dalla scuderia Ferrari, inoltre gli anni successivi segnano un
notevole rilancio sul piano economico e produttivo, che però a causa della distruzione portata
dalla Seconda Guerra mondiale allo stabilimento di Portello, verrà ridimensionata.
   Durante la guerra si perse circa il 40% della forza produttiva dell’azienda, inoltre era
necessario riadattare gli stabilimenti adibiti alla produzione di veicoli militari (Bruni, Clarke,
Paolini, Sessa 2014).
   Solo nel 1950 con il lancio della 1900, Alfa Romeo tornerà protagonista con la produzione
di vetture civili, e nel 1954 venne perfezionata la produzione con le nuove catene di montaggio.
Il miracolo economico coinvolge anche Alfa, che nel 1960 passa a circa 57 mila vetture
prodotte, 5 anni prima erano circa 6 mila, e nel 1959 grazie al boom di richieste venne costruito
un nuovo stabilimento, quello di Arese (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Le Alfa Rome di quegli anni erano anche all’avanguardia in fatti di tecniche di sicurezza,
grazie ad una scocca che prevede elementi strutturali di sicurezza, progettata dopo lo studio di
appositi crash test su alcuni esemplari.
   Questo tipo di caratteristica tecnica venne reso obbligatorio nel 1966 negli Stati Uniti.
   Riprendono le attività agonistiche in ambito corse, con le vittorie in Formula 1 con i modelli
158 e 159 (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Lo scopo della partecipazione ai campionati era chiaramente di creare una ricaduta sulle
vendite delle vetture stradali, in particolare creare una risonanza della personalità del brand
Alfa Romeo, rafforzandolo nell’immaginario popolare.
   Dopo la seconda metà degli anni ’60, l’IRI che gestisce il marchio Alfa Romeo, decise di
intraprendere una politica di espansione produttiva nel sud Italia.
   Si decise quindi di espandere lo stabilimento Alfa Romeo, dove venne prodotta una nuova
auto di segmento inferiore alle berline preesistenti, l’Alfa Romeo Alfasud, che riprende il nome
dello stabilimento in cui viene prodotta.
   L’auto fu caratterizzata da un ottimo successo di vendite, tant’è che nel 1972 lo stabilimento

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contava circa 10 mila dipendenti, mentre pochi anni più tardi, nel 1975, erano diventati 15 mila
(Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Successivamente però alla fine degli anni 70, vi è la necessità di rivedere i piani industriali
a causa della crisi energetica della guerra kippur della metà degli anni ’70, oltre al cambio dei
vertici dell’azienda.
   Ci sarà una ripresa nel 1983, quando Alfa raggiunge circa 210 mila vetture prodotte (Bruni,
Clarke, Paolini, Sessa 2014), oltre al prestigio della meccanica Alfa Romeo che nel 1977 portò
al successo le Brabham BT45, guidata da Niki Lauda.

                          Figura 8. Evoluzione del marchio Alfa Romeo.
   Purtroppo, però, a causa prima del divorzio con il produttore britannico Brahbam, e poi
della difficile situazione finanziaria, Alfa Romeo si ritirò dai campionati di Formula 1 nel 1985.
   Nel 1986, l’azienda venne data in gestione a Fiat, vi è un accenno di ripresa grazie alla
produzione di modelli come la 164, gemellata in fatto di meccaniche con la Fiat Croma e Lancia
Thema, ma non in fatto di caratteristiche del Brand, in fatto di personalità e stile.
   Vi fu inoltre una ripresa nelle presenze lato competizioni, grazie alle vittorie nel campionato
turismo DTM, vinto nel 1993 dall’Alfa Romeo 155 v6 TI (Alvolante 2013).
   Nel 1997 debutta la 156, forte del nuovo motore diesel common-rail jtd, tecnica che verrà
poi brevettata e adottata da altri produttori (Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Nonostante le sofferenze lato vendite degli anni della crisi economica del 2008, Sergio
Marchionne auspicava un rilancio del brand Alfa Romeo con lo sviluppo di una nuova gamma
con focus sui valori che contraddistinguono il marchio, eleganza e sportività (cfr. fig 9), valori
che negli ultimi decenni sono stati spesso disattesi.

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Dal 2017, il brand Alfa Romeo partecipa in Formula 1 assieme alla casa costruttrice Sauber
(Canali 2017).

                    Figura 9. Prisma di Kapferer applicato al brand Alfa Romeo.

    Per quanto concerne l’immagine del brand Alfa Romeo, nonostante gli alti e bassi della sua
storia, non vengono meno caratteristiche distintive del brand nei propri prodotti, linee
aggressive e inusuali (cfr. fig. 9).
   Da notare come su certi modelli vi siano dei richiami alla storia del brand, in particolare
nelle versioni più performanti contraddistinte da un quadrifoglio presente sulla fiancata
(alfaromeo.it).
   Nonostante il cambio delle epoche però, il brand Alfa Romeo rimane ancorato alle
caratteristiche della sua identity, inoltre di recente grazie al ritorno del brand in Formula 1
(Canali 2017), si sta tentando di ridare lustro alle caratteristiche in ambito corse
automobilistiche del brand.

   Figura 8. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/c/ce/LoghiAR.jpg
   Figura 9. Creata da Angelo Anelli

                                                                                            26
2.4. Storia e cambiamenti del brand Ferrari.

   Ferrari venne fondata nel 1946 a Maranello (Modena), ma la sua storia si lega alle vicende
dell’omonimo fondatore, Enzo Ferrari, e ad altri brand automobilistici presenti in Italia ben
prima della fondazione di Ferrari.
   Enzo Ferrari nasce a Modena il 18 febbraio 1898 a Modena, dovette interrompere gli studi
alla morte del padre, inizia a lavorare come istruttore alla scuola tornitori dell’officina dei
pompieri di Modena, nel 1918 tenta di entrare come dipendente in Fiat, ma senza successo
(Bruni, Clarke, Paolini, Sessa 2014).
   Si trasferì poi a Milano, dove entra in CMN come collaudatore e pilota da corsa, esordendo
nel 1919 alla Parma-Bercento, e raggiungendo il secondo posto alla Targa Florio alla guida di
una Alfa Romeo nel 1920.
   Nel 1929 riesce a fondare la Scuderia Ferrari a Modena, team privato che cura le auto Alfa
Romeo nella preparazione delle sue vetture da corsa ad alti livelli, società sportiva che poteva
contare su piloti di alto livello come Nuvolari e Campari.
   Nel 1937 Alfa Romeo acquista la Scuderia Ferrari per renderla ufficiale, ma Enzo due anni
dopo l’acquisizione da parte di Alfa si distacca da questo reparto a causa di disaccordi con i
vertici della casa madre.
   La storia di Ferrari parte da qui, dal distacco da Alfa Romeo, e dalla costruzione della 125S,
che nel 1947 esordisce nel circuito di piacenza con un motore V12.
   Debutta inoltre il nuovo logo del cavallino rampante nero (cfr. fig. 10), emblema dipinto
sulla carlinga degli aerei da caccia usati dall’asso della Prima guerra mondiale Francesco
Baracca e affidato a Ferrari dalla famiglia in memorie del figlio caduto in battaglia, a cui venne
modificato solo lo sfondo giallo che rappresentano i colori della città di Modena (MiT 2012).
   Nel 1951 si arriva al debutto in Formula 1, dove nel gran premio di Silverstone, arrivò a
battere Alfa Romeo.
   Inoltre, rispetto ai tempi in cui le vetture derivavano strettamente da Alfa Romeo, le linee
assumevano tratti e personalità molto differenti e originali, dovute alla presenza di grandi
designer italiani come Sergio Scaglietti e Pininfarina. Altra differenza tra Alfa Romeo e Ferrari
furono nei numeri di vendite e nella gamma, da sempre Enzo Ferrari ebbe la volontà di creare
una produzione artigianale pensata per la velocità e per il lusso automobilistico, per un target
d’elité. Nel 1956 si arriva alla vittoria del mondiale di Formula 1 con Juan Manuel Fangio, e
nel 1960 viene ampliata la fabbrica per la costruzione di 500 modelli all’anno. Venne inoltre

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