CAPITOLO VENTIQUATTRO EDMUND HUSSERL (1859 - 1938) LA FENOMENOLOGIA - Un ...

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Panzeri Gianluigi
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                                CAPITOLO VENTIQUATTRO

                           EDMUND HUSSERL (1859 – 1938)

                                     LA FENOMENOLOGIA

Husserl, il fondatore della FENOMENOLOGIA, ha esercitato un’influenza decisiva su moltissimi
pensatori contemporanei in Francia (Sartre, Merleau-Ponty, Emmanuel Levinas), in Germania, dove
ebbe come assistente Max Scheler, Martin Heidegger ed Edith Stein (santa) e nel mondo
anglosassone, dove è considerato il padre dell’attuale ricerca sull’intelligenza artificiale. In Italia gli
esponenti maggiori furono Antonio Banfi (1886-1957) e Enzo Paci (1911-1976).
Il metodo fenomenologico inaugurato da Husserl mira a una completa revisione della tradizione
filosofico-scientifica europea; revisione che è resa necessaria dalla crisi spirituale in cui l'Europa
della fine dell'800 mostra di esser caduta.

1.       VITA E OPERE (vedi Manuale)

Nacque da famiglia ebrea a Prostejov in Moravia (in tedesco “Prossnitz” in Repubblica Ceca) l’8 aprile 1859.
Dopo aver studiato matematica a Lipsia, Berlino e Vienna dove seguì anche le lezioni dello psicologo Franz
Brentano (1837-1917) si dedicò completamente alla filosofia, e nel 1887 divenne libero docente (privat
dozent) all’università di Halle. Nel 1906 venne nominato professore ordinario a Gottingen e, nel 1916, a
Friburgo, dove rimase fino al 1936.
Tra le sue opere: Philosophie der Arithmetik (1891); Ricerche logiche (1900-1901); nel 1913, su “Annuario di
filosofia e di ricerca fenomenologia”, che dirigeva insieme a Max Scheler, pubblicò la prima parte dello
scritto: Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologia (1913 – altri 2 vol. uscirono
postumi); Logica formale e trascendentale (1929); Meditations cartésiennes (1929 – testi di due conferenze
tenuta alla Sorbona) in cui si preoccupa di “dare alle scienze un fondamento assoluto”; nel 1930 sull’ultimo
numero dell’ “Annuario” diede avvio alla polemica contro il discepolo Heidegger, La crisi delle scienze
europee e la fenomenologia trascendentale (1935-37 pubblicata postuma nel 1954).
Husserl intorno al 1931 a partire dall’opera Meditazioni cartesiane – raccolta di conferenze tenute a Parigi -
ha avviato una correzione «trascendentale» della fenomenologia. La fenomenologia insegna il ritorno al
soggetto; ora però alcuni allievi di Husserl rifiutarono tale correzione, giudicandola troppo pericolosamente
incline all'idealismo.
Husserl era un ebreo convertito al cristianesimo, e i suoi ultimi anni furono amareggiati dall’insorgere del
nazismo e dell’antisemitismo: a causa delle sue origini ebraiche venne radiato dalla lista dei professori di
Friburgo. Morì a Friburgo il 26 aprile 1938. In quello stesso anno i suoi manoscritti inediti, che i nazisti
minacciavano di distruggere, furono messi in salvo a Lovanio (Belgio), dove nacque l’Archivio Husserl
(45.000 pagine stenografate!). Il pensiero di Husserl non è di carattere sistematico, ma la sua riflessione
riveste ambiti e temi che diverranno punti stabili di riferimento per la filosofia del novecento.

2.          Pars destruens:
            LA CRISI DELLE SCIENZE EUROPEE

La crisi spirituale in cui è caduta l’Europa ha una delle sue principali cause nell'oggettivismo
scientifico e nel materialismo positivistico. Con l'avvento della scienza moderna, a partire da
Galileo, infatti, la filosofia ha progressivamente perso il ruolo di «regina delle scienze», cioè di fine
ultimo e fondamento del sapere. La svolta epistemologica impressa da Galileo ha limitato il sapere
scientifico nei termini strettamente sperimentali e quantitativi. Le scienze, distaccatesi dalla
filosofia, hanno elaborato metodologie indipendenti con lo scopo di rendere la natura oggetto di
conoscenza esatta e infine di dominio tecnico. Di qui il prevalere del punto di vista oggettivistico
proprio delle scienze naturali: per la scienza non c'è altra realtà fuori di ciò che può esser ridotto a
una connessione oggettiva e matematica di causa ed effetto. Lo uomo stesso, con l’avvento della

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Panzeri Gianluigi
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biologia, è diventato un mero oggetto di esperimento, una cosa fra le cose. Certa psicologia
sperimentale (da lui chiamato “psicologismo”) pretende anzi di render cosa lo stesso pensiero, la
stessa psichicità umana.
In tal modo però è andato perso il senso originariamente umano delle stesse operazioni
scientifiche; la libertà e la soggettività umane si trovano minacciate da quel progresso scientifico
che pure è uno dei maggiori vanti dell'umanità europea.
Scrive ne La crisi delle Scienze europee (1936): «La crisi della civiltà europea ha le sue radici
nell’esclusività con cui, nella seconda metà dell’800, la visione del mondo dell’uomo moderno
accettò di essere determinata dalle scienze positive e, con ciò, si lasciò abbagliare dalla
“prosperity” che ne deriva».
Il positivismo, presupponendo la realtà come autonoma dalla coscienza, ha fondata la verità della
scienza “nei fatti” e ha cancellato il soggetto. Ma, scrive: «Le mere scienze dei fatti creano meri
uomini di fatto». Che cosa ha da dire questa scienza, questa razionalità che tutto riduce a fatto,
tutto appiattisce e uniforma ad astrazione matematica «su noi uomini in quanto soggetti di questa
libertà»?.
D'altra parte, l'abuso della concettualizzazione scientifica e il suo fraintendimento da parte della
filosofia positivistica ha condotto a una sorta di cecità nei confronti dell'esperienza concreta e
genuina. Seguendo i pregiudizi degli scienziati noi ci siamo abituati a ritenere meramente
soggettivo e apparente il mondo della comune esperienza e a considerare invece «reali» gli oggetti
quantitativi e matematici della concettualizzazione scientifica. Di qui l'«intellettualismo» della
nostra cultura, soffocata da un eccesso di astrazioni e allontanata dalle fonti vitali della creatività e
della spontaneità1.
In altri termini, la scienza e il progresso scientifico e tecnico, prodotti moderni della razionalità
occidentale, sono un grande valore della civiltà europea, ma nello stesso tempo la scienza,
rivestendo di formule matematiche l’intero mondo della natura e dell’uomo, ci restituisce
un’immagine molto parziale della realtà, una rappresentazione prodotta e condizionata dallo
schematismo scientifico nel quale si è perso il soggetto. Husserl critica l’allontanamento della
scienza moderna dal “mondo della vita” (Lebenswelt), che è invece la vera sorgente originaria di
ogni impresa intellettuale, anche la più ricca di astrazioni, quale quella della scienza.
Questo mondo della scienza è un mondo simbolico, costruito secondo parametri fisico-matematici;
un mondo che però cela «il mondo della vita» (Lebenswelt), cioè la dimensione dell’esperienza
personale e del vissuto, il mondo dei bisogni, delle emozioni, dei fini, dei valori … dimenticando
che l’origine, il significato e il fine di tutte le attività umane è l’uomo stesso: «questa scienza non
ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per
l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso e del
non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso … l’uomo deve liberamente scegliere, l’uomo
che è libero di plasmare liberamente sé stesso e il mondo che lo circonda … Che cosa ha dire
questa scienza … su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà? Ovviamente, la mera scienza
dei fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da qualsiasi soggetto».
Per questa situazione le stesse scienze, proprio nel mentre appaiono nel loro massimo rigoglio,
stanno in realtà sprofondando in una «crisi» mortale: crisi di senso e di prospettiva, crisi di valori e
di scopi. Tutto questo ha determinato una perdita di senso, una crisi delle scienze europee che
costituisce un elemento importante della crisi di senso dell’intera civiltà europea. L'umanità
scientifica europea, nello sforzo di razionalizzare il mondo e la vita, ha perduto proprio la ragione
ultima delle sue operazioni e si avvia a divenire schiava delle sue stesse invenzioni tecnologiche.

3.             Pars costruens:
               UN NUOVO METODO: IL METODO FENOMENOLOGICO

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    Ricorda in proposito la riflessione di E. Bergson sull’intuizione come organo della metafisica e l’ elan vital.

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                                                                                                 dispense V Liceo

A questa “crisi” Husserl intende reagire ricostruendo l’originaria alleanza tra filosofia e scienza
portando al centro dell’attenzione «il mondo della vita» che per un pregiudizio secolare è sempre
rimasto ai margini della riflessione filosofica e al quale la scienza deve ritornare. Husserl non
intende rifiutare la tecnica o le diverse scienze, ma esprime l’esigenza di ritrovarne il significato e il
senso dal momento che sono state inventate dall’uomo e per l’uomo; le scienze devono cioè esser
guidate dalla ragione “umana” e non semplicemente da una ragione calcolatrice. Bisogna allora
riscoprire il significato originario della filosofia come scienza universale e rigorosa che dia il
fondamento ultimo ad ogni sapere “regionale” e contrapporre alla “scienza dei fatti”, la “scienza
delle idee”; la filosofia ha il compito che rivestono le fondamenta nella costruzione di un palazzo.
Le scienze europee, nonostante l’innegabile successo e consenso, hanno smarrito il senso che la
ricerca scientifica ha per l’esistenza umana: occorre allora fondare una nuova filosofia che faccia
riscoprire il senso perduto delle cose che non potrà che essere un significato autenticamente
“umano”.

Husserl pensa, quindi, che la risposta alla crisi delle scienze debba partire dall’analisi della
conoscenza che sta a fondamento di ogni tipo di sapere, anche del sapere scientifico.
Per far questo occorre mettere a punto un nuovo metodo di studio e di ricerca, un metodo diverso
da quello di Galileo e di Cartesio che tanto successo ha in campo scientifico per studiare in modo
rigorose i fenomeni nel loro presentarsi alla coscienza.               Questo è appunto il metodo
fenomenologico2 perché consente di osservare il mondo, gli oggetti così come si danno
inizialmente alla coscienza prima ancora della formulazione di categorie concettuali che non fanno
altro che soffocare il livello di esperienza autentica; si tratta di riacquistare la visione «ingenua»,
originaria, del mondo e di noi stessi.

Il primo passo del nuovo metodo sarà, come lo chiamavano gli antichi filosofi greci scettici del
periodo ellenistico, l’epoché (εποχη), cioè la “sospensione ogni giudizio” sul mondo o, con termine
husserliano, quello di operare la riduzione fenomenologia: dobbiamo accantonare (“mettere tra
parentesi”) ogni teoria scientifica e ogni concetto e preconcetto sulle cose. Diversamente dagli
scettici, però, che - in forza del postulato per il quale non è possibile raggiungere la verità -
intendevano dubitare di tutto, anche dell’esistenza stessa del mondo, o da Cartesio il cui dubbio
metodico si estendeva a tutta la conoscenza, il dubbio di Husserl intende colpire l’atteggiamento
naturalistico della scienza positivista che considera il mondo come una realtà già data, cristallizzata
e dotata di significato indipendentemente dagli uomini. Il processo dell’ epochè parte dal
presupposto che, per poter conoscere la vera natura del fenomeno, bisogna accostarsi ad esso con
una coscienza sgombra, che si astenga dal pensare qualsiasi cosa possa esser stata detta dalla
storia, dalla scienza, dalla filosofia, dalla letteratura, dalla religione e perfino dal “buon senso”
(parole logorate, abitudini mentali, incrostazioni logiche)3 circa il fenomeno. E’ la fase in cui, per
permettere all’oggetto (il fenomeno) di svelarsi nella sua purezza, lo si isola da tutto ciò che non gli
è immediatamente proprio.

Il guadagno del nuovo metodo è il residuo fenomenologico, quello cioè di mostrare che il mondo,
le cose, i fenomeni hanno senso solo se riferiti ad un soggetto. Questo residuo fenomenologico
non è un ente metafisico con consistenza ontologica - come potrebbe essere l’anima, o la res
cogitans, o la res extensa, o la monade, o l’Io penso, o l’Io – non-Io … - quanto piuttosto un

2
  «Fenomenologia»: scienza o descrizione di ciò che appare dal greco το ϕαινοµενον = ciò che si manifesta.
Rappresenta lo sforzo di raggiungere la realtà in tutta la sua purezza, senza lasciarsi fuorviare da pregiudizi
di qualsiasi sorta. Husserl definisce la fenomenologia come “scienza del fenomeno” ossia “dell’essere in
quanto si manifesta”.
3
  Già Bacone diceva che per fare scienza occorreva sgombrare la mente dagli “idola tribus, specus, fori,
thetri”. L’epochè di H. non ha, invece, nulla a che vedere col dubbio metodico cartesiano: non è infatti un
mettere in dubbio, ma un non far uso delle conoscenze precedenti (“mettere tra parentesi”) per poter
cominciare da capo.

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principio operativo, una coscienza in relazione e con questo si vuol dire che non si dà oggetto se
non in relazione con un soggetto che gradualmente scoprirà livelli diversi di significato, di senso.

OSSERVAZIONI
   - Husserl ha così preso le distanze dalla posizione di Kant che poneva un Io penso a
     fondamento dell’intero mondo fenomenico come categoria superiore sintetizzatrice, quasi
     che potesse esserci un “io penso”, una coscienza precostituita separata dalle “cose”, un
     soggetto senza un oggetto.
   - La posizione Husserl si avvicina all’idealismo che afferma che l’Io è produttivo del non-Io, la
     soggettività è la fonte di tutta la realtà. Ma Husserl ha sempre rifiutato questa
     identificazione sottolineando che ciò che rimane dopo aver applicato l’epoché non è un
     soggetto da cui dipende l’esistenza delle cose, ma una coscienza intesa come “relazione”,
     connessione inscindibile tra soggetto e oggetto.

La scoperta a cui giunge il metodo di Husserl è dunque che la coscienza è intenzionalità4
intendendo che la coscienza è sempre “coscienza di qualcosa”, cioè inscindibilmente relazione tra
soggetto e oggetto, tra soggetto che conferisce “senso” all’oggetto, questa è la vera natura della
coscienza. Non esiste una coscienza “pura” chiusa in se stessa e statica, ma la coscienza è sempre
attività rivolta al mondo esterno, è relazione all’oggetto. La coscienza è sempre coscienza di
qualcosa: ogni manifestazione della coscienza (sia un pensiero, che una fantasia, o un’emozione, o
una percezione …) si riferisce sempre a qualcosa di diverso da sé (cioè a un oggetto pensato,
voluto …). E’ questo il momento propositivo quello in cui la coscienza si dirige verso la cosa stessa
(Zu den Sachen selbst) e vi si immerge così che l’oggetto si manifesti pienamente al soggetto in
molti i suoi significati.
Husserl chiamerà gli atti della coscienza noesi, quindi il pensare, il vedere, l’immaginare, il toccare,
il desiderare, il ricordare … e l’oggetto percepito, visto, immaginato, toccato, desiderato, ricordato
noema.
Husserl con questa analisi della conoscenza consegue come risultato quello di demolire la dottrina
gnoselogica sia dell’empirismo come del razionalismo cartesiano, ma soprattutto del positivismo
mostrando come la conoscenza abbia sempre un carattere intenzionale. L’intenzionalità della
coscienza precede ogni concettualizzazione e categorizzazione che tendono invece a separare il
soggetto dall’oggetto.

La filosofia fenomenologica di Husserl si presenta allora come una scienza descrittiva dei vissuti
intenzionali che evidenzia in ogni caso il primato del soggetto come costruttore del senso delle
cose e del mondo. La FENOMENOLOGIA5, a differenza delle filosofie precedenti che cercavano di
appurare la realtà effettiva delle cose al di là di come esse appaiono (ricorda l’affannosa ricerca
attorno al noumeno), vuole essere lo sforzo di descrivere il campo delle apparenze, cioè il campo
di tutto ciò di cui siamo direttamente consapevoli, vuole cogliere il disvelarsi delle «cose stesse»
nel loro darsi originario al fine di fissare in questa consapevolezza le fondamenta di tutto il sapere
e derivare da esse il senso stesso della vita. Vediamo questi passaggi:

4
   Il termine “intenzionalità” risale ai temi dell’etica scolastica col quale si fa riferimento ad un atto compiuto
volontariamente. Per Husserl, invece, che aveva seguito le lezioni dello psicologo Franz Brentano (1837-
1917) da lui considerato un maestro, l’intenzionalità non costituisce la caratteristica etica di un gruppo di
azioni o di fenomeni, ma la natura stessa della coscienza.
5
  Con il termine “fenomenologia” Husserl non vuole significare né lo studio del fenomeno inteso come sintesi
a priori di cui parlava Kant, e neppure l’itinerario della coscienza verso il sapere assoluto di cui parla Hegel
nella Fenomenologia dello Spirito (lo studio del percorso teoretico e storico, con cui lo Spirito si manifesta a
se stesso prendendo coscienza della propria essenza). La fenomenologia in Husserl e nelle successive
filosofie fenomenologiche, indica invece la scienza delle essenze e il metodo per pervenire ad essa partendo
dall’analisi dei fenomeni e dall’esperienza, indica lo studio dell’oggetto quale si manifesta nella sua effettiva
realtà, assolutamente pura, libera da qualsiasi scoria.

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4.        ALLA RICERCA DEL SENSO DELLE COSE

a)   L’oggetto non è mai qualcosa “in sé”; non è mai un noumeno distinto dal fenomeno. La
     filosofia kantiana affermava che il noumeno era pensabile, ma non conoscibile; di qui l’esito
     della filosofia idealista: ciò che non è conoscibile, non è nemmeno è pensabile: è dunque reale
     solo ciò che è pensabile. La fenomenologia, superando l’idealismo, afferma invece che i
     fenomeni coincidono col presentarsi delle cose alla coscienza; nel fenomeno la coscienza
     intenzionale conosce la cosa tal e qual è, “in carne ad ossa”; il fenomeno non va inteso come
     “apparenza” contrapposto a “cosa in sé” (io non sento l’apparenza della musica o di un
     profumo o di un ricordo, ma sento la musica, il profumo, il ricordo). Le cose, l’oggetto, il
     mondo esistono per l’uomo perché “appaiono” tal qual sono alla sua coscienza che ne scopre
     via via significati diversi perché infinite sono le modalità intenzionali con cui il soggetto entra
     in relazione con l’oggetto. Si tratta quindi di un processo di costruzione di senso che non
     conosce termine, che non è mai finito perché sempre vi saranno nuove coscienze che si
     accosteranno con intenzionalità diverse.
b)   L’esempio - portato da Husserl stesso - del castello di Berlino. Il castello è un edificio bello e
     imponente che io in modo “naturalistico” percepisco lì fuori di me. Dopo aver applicato l’
     epoché diventa un contenuto della mia esperienza vissuta, un momento della vita della mia
     coscienza: esprimere un giudizio sul castello, apprezzare la sua forma architettonica,
     desiderare di visitarlo, fantasticare sul suo passato … Il castello dunque “ha senso” solo nel
     momento in cui diventa contenuto della mia esperienza vissuta, cioè in termini husserliani
     diventa noema (oggetto percepito, ammirato, immaginato, desiderato …). Il castello resta
     sempre lo stesso, ma l’intenzionalità del soggetto varia e costituisce il fondamento di significati
     diversi, dei quali nessuno è definitivo. Viceversa, il castello non avrebbe senso se inteso come
     realtà a sé stante nella sua “datità”, in modo puramente “naturalistico”.

     4.     LA FENOMENOLOGIA COME SCIENZA DESCRITTIVA
            DELL’ “ESSENZA” DELLE COSE

“La fenomenologia, dunque, sposta lo sguardo dal mondo, come dato oggettivo a se stante, al
mondo come fenomeno per la coscienza … Più precisamente Husserl parla della fenomenologia
come scienza descrittiva dell’essenza, come scienza “eidetica” (ειδος = "essenza", "idea")
alludendo alla sua possibilità di cogliere non solo fatti ed eventi particolari e accidentali, ma le
strutture essenziali dell’esperienza, che nei vissuti intenzionali soggettivi si rendono manifesti ed
“evidenti” (D. Massaro, vol 3/B p. 395).
    1) Husserl pensa che la conoscenza inizi a partire con l’esperienza dei fatti e delle cose che
        sono nel mondo a “portata di mano”, qui e ora, per poi approfondirsi sempre più. La
        coscienza infatti tende a relazionarsi con gli oggetti e a “intenzionali” in modi diversi.
    2) Ma se esercito la riduzione fenomenologica o eidetica, cioè l’ epochè, e spoglio il mondo dei
        “vestiti delle idee che ricoprono le cose” e i fatti particolari, dalla percezione passo all’
        intuizione delle forme generali. Tale è appunto l’ “essenza” che caratterizza l’essere proprio
        di un oggetto che la coscienza trasforma in “idea” o in una “immagine mentale”.
    3) Anche se Husserl afferma che la conoscenza prende avvio dall’esperienza, diversamente
        dagli empiristi non pensa che sia l’astrazione a far cogliere l’essenza, l’universale, ma
        l’immediata intuizione eidetica.
    4) Ecco, secondo Husserl, il guadagno della sua posizione: se è vero che le cose
        nell'esperienza fluiscono e mutano, tuttavia esse posseggono anche delle forme o strutture
        caratteristiche chiamate «idee» che si danno in modo intuitivo alla ragione come le cose si
        danno alla percezione sensibile. Colore, spazialità, suono, ecc., sono strutture ricorrenti che
        da sempre ci consentono di ordinare l'esperienza e di orientarci praticamente in essa. La
        fenomenologia non è però scienza dei dati di fatto (come ad es. la psicologia), ma delle

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        essenze; la “scienza del fenomeno” è per eccellenza «scienza di essenze o idee», «scienza
        eidetica», perché intendere cogliere il disvelarsi delle “essenze” nel loro “originario darsi”.
     5) Per questa via la Fenomenologia pensa di poter mettere in luce un livello di “evidenze
        originarie”, universali, valide per tutti, che costituiscono il presupposto di ogni ulteriore
        costruzione scientifica. “In definitiva la fenomenologia rappresenta la possibilità di
        ricominciare dall’inizio, di “andare a vedere” come le cose del mondo si costituiscono nei
        loro molteplici livelli di esistenza, di mostrarne le strutture essenziali: descrivere questo
        processo, che ne riscopre le radici soggettive, significa per il filosofo e per l’uomo
        occidentale riappropriarsi di un senso che aveva smarrito, di un valore che la ragione
        calcolante, naturalistica e oggettivistica aveva totalmente trascurato” (Massaro, ibidem).

L’esperienza fondante delle scienze che è comune a tutti gli uomini è invece un’«esperienza pre-
categoriale», è l’esperienza del «mondo della vita» (Lebenswelt); occorre quindi “tornare alle cose
stesse” cioè tornare alle essenze, alle idee, cioè alle genuine cose dell'esperienza, ai genuini
«fenomeni».
Come scienza delle idee o essenze la fenomenologia vuole porsi come fondamento di tutte le
scienze particolari (nel senso dell'antica «filosofia prima» aristotelica) le cui astratte categorie non
sono altro che idealizzazioni parziali dell'intera esperienza pre-categoriale di base. Tutte le scienze,
cioè , partono sempre dal mondo della vita, ma non se ne avvedono o lo dimenticano; per questo
la fenomenologia si incarica di recuperare questo retroterra ormai obliato.
In tal modo, rese schiave delle loro stesse astrazioni, esse perdono anche la possibilità di ritornare
al mondo della vita, alle intenzionalità originarie delle soggettività concrete che vivono nel mondo
della vita, a quelle intenzionalità che sono fonte di ogni senso e di ogni fine razionale umano. È
pertanto la fenomenologia che si incarica di questo ritorno.
Lo scopo della filosofia fenomenologia è quello di restituire alla realtà il suo significato autentico,
sfrondato dalla categorie improprie attribuitegli dalla scienza moderna.

5.       L’INTENZIONALITA’ DELLA COSCIENZA
La coscienza è l’insieme delle nostre esperienze vissute, sia a livello cognitivo che emotivo che di
attività, di cui si serve la nostra soggettività per aprirsi al mondo, alla complessa rete di relazioni e
di significati, in cui si colloca il nostro “stare al mondo”. Ora, secondo Husserl, quando la nostra
coscienza si rivolge ad un qualsivoglia oggetto, lo fa sempre con una determinata intenzione non
necessariamente dichiarata: per vedere, per toccare, per ricordare, per desiderare … per paura …
L’intenzionalità è infatti la natura stessa della coscienza. La coscienza è sempre coscienza di
qualcosa: ogni manifestazione della coscienza (sia un pensiero, che una fantasia, o un’emozione, o
una percezione…) si riferisce sempre a qualcosa di diverso da sé (cioè a un oggetto pensato,
voluto…). La nostra coscienza è sempre coscienza di un oggetto6. In tal senso la coscienza esce
da se stessa per mettersi in rapporto con l’oggetto; la coscienza è sempre aperta all’altro, è
sporgente, è apertura, non è una monade. L’oggetto conosciuto però non si riduce a una semplice
idea che dev’esser pensata, come voleva l’ idealismo (tutto ciò che è reale è razionale). L’oggetto
resta un oggetto, cioè una realtà che sta fuori, al di là della coscienza e che si annuncia alla
coscienza attraverso i fenomeni soggettivi della percezione o del ricordo o dell’immaginazione …
Husserl distingue tra
     -   “Noesis”: l’azione della coscienza di andare verso l’oggettivo; è l’esperienza vissuta: il
         percepire, l’immaginare, il ricordare…
     -   “Noema”: l’elemento oggettivo dell’esperienza nei suoi vari modi di essere: il percepito,
         l’immaginato, il ricordato… Il “noema” pertanto non è l’oggetto stesso che resta fuori dalla

6
   E’ solo la scienza galileiana e positivista che crede di poter scindere ciò che invece è solo distinguibile:
l’oggetto dal soggetto.

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Panzeri Gianluigi
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                                                                                            dispense V Liceo

       coscienza, ma la conoscenza dell’oggetto stesso (o l’idea) che ci giunge attraverso il
       fenomeno..
Esistono allora due modi radicalmente diversi di essere della relazione intenzionale, che sono però
le due facce della stessa medaglia: quello della coscienza e quello della cosa.
A) la coscienza si percepisce direttamente, senza alcun intermediario; essere e apparire
   coincidono nella coscienza.
B) la cosa, l’oggetto, invece, si dà alla coscienza attraverso i fenomeni soggettivi del percepire, del
   ricordare … ; essere e apparire non coincidono nell’oggetto. Cosa sia l’essere dell’oggetto in sé
   e per sé non è dato conoscerlo, perché non c’è oggetto che non sia oggetto di un soggetto, di
   una coscienza. E’ possibile conoscere l’oggetto solo attraverso la descrizione dei modi con cui
   esso si manifesta alla coscienza.
Il guadagno è che da ogni esperienza che la coscienza fa, emerge che è indubitabile che essa
esista (evidenza apodittica dell’io), mentre l’esperienza di un oggetto non garantisce infallibilmente
la realtà dell’oggetto. Noi, dice Husserl, possiamo mettere tra parentesi il mondo «obiettivo»,
dubitare della sua reale esistenza; così pure possiamo mettere tra parentesi anche noi stessi in
quanto soggetti psicofisici che stanno in un mondo obiettivo; ma non possiamo mettere tra
parentesi i nostri atti coscienti, le nostre viventi operazioni interiori, la nostra autocoscienza
intenzionale: tutto ciò insomma che Cartesio chiamava cogito. Attenzione però: rispetto al cogito
di Cartesio, l’ “evidenza apodittica” dell’io non è di essere una “cosa pensante” (sostanza), ma di
essere una attività all’origine dei significati e del senso.

6.     LOGICA FORMALE TRASCENDENTALE
Husserl, chiarito la natura e il funzionamento della coscienza, cerca di definire le condizioni
oggettive per la costruzione di una logica che possa esser il fondamento di tutte le scienze
particolari, anche delle scienze della natura, per riscattarle dalla Crisi in cui sono cadute. La logica
formale trascendentale vuole essere, scrive Husserl, “la scienza a priori della scienza generale”.
Anzitutto la coscienza è regolata da leggi logiche a priori, di carattere trascendentale che ne
garantiscono il valore universale. Cioè vi sono nella mente di ogni uomo strutture logiche oggettive
a priori, come già le forme pure di Kant. L’intenzionalità è appunto una tipica struttura a priori del
vissuto della coscienza. La nostra conoscenza avviene poi in concrete condizioni di vita, cioè
all’interno della nostra esperienza vissuta (Erlebnis).
Tra i “noemi”, cioè gli oggetti della conoscenza, che si offrono alla coscienza intenzionale egli
sosterrà che non vi sono fatti empirici concreti, ma anche delle essenze ideali (svolta idealistica del
suo pensiero) con validità universale. Tali sono, ad esempio, i significati di base su cui si
costruisce la logica: i significati di “tutto” e di “parte”, implicato nella legge matematica “il tutto è
maggiore della parte” (cfr. l’insiemistica); ma a ben vedere in questa legge, affermata come vera
universalmente, sono implicati con validità universale, anche altri significati come “giudizio”,
“affermazione”, “negazione”, “verità”, “universalità”, “maggioranza” … La “realtà” altro non è che
la manifestazione delle “idee” alla coscienza. L’ “altro” a cui è intenzionalmente rivolta la struttura
costitutiva della coscienza sono sempre le “idee”. Il “fenomeno” è la realtà delle “idee” immutabili
in quanto oggetto di coscienza. E’ questa quella che Husserl chiama l’intuizione delle essenze e la
fenomenologia sarà definita «scienza di essenze o idee», «scienza eidetica». E’ proprio questa
quella svolta definita idealistica del suo pensiero (1931) che diversi suoi non accetteranno.
Il fondamento della conoscenza è nell’io trascendentale, nella coscienza, in quanto conferisce
significato alla percezione degli oggetti. Husserl con Kant, pensa che la conoscenza “comincia”
dall’esperienza, ma non “sorge” dall’esperienza.

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Focus - LA FENOMENOLOGIA DEL TEMPO7

Come Bergson anche Husserl è interessato a un’analisi del tempo della coscienza, cioè del tempo
vissuto.

La durata come “sintesi” della coscienza
Il carattere indubitabile dei fenomeni che si presentano alla coscienza è la loro temporalità: H. non
si propone tanto di descrivere come gli eventi si collochino in un tempo oggettivo (“tempo
mondano”), ma piuttosto come il tempo venga vissuto nella coscienza. E’ proprio del flusso di
coscienza il fatto di implicare un divenire, che a sua volta implica un sorgere, un trascorrere e uno
svanire, cioè un “durare”. La “durata” è dunque la forma assoluta di tutto ciò di cui abbiamo
percezione, la “durata” è l’indice della “sintesi” operata dalla coscienza con la sua intenzionalità.
La coscienza intenzionale cioè si rivolge ad un momento e lo identifica come “ora” e solo rispetto a
questo “ora” si può parlare di un passato, di un presente e di un futuro.
Rispetto a Bergson, H. attribuisce un ruolo più attivo alla “coscienza”: per Bergson, infatti, la
“memoria” altro non è che l’accumularsi e lo srotolarsi in un “flusso continuo” di eventi e ricordi,
per H. invece essi devono essere “intenzionalmente” collegati e riunificati dalla coscienza perché
questo flusso diventi memoria.

Il fenomeno di coscienza come “continuum”
La “durata” si costituisce dunque come un “continuum” dal passato al futuro. Quanto ascoltiamo
una melodia, ad esempio, non percepiamo dei suoni singoli e non collegati tra loro, ma appunto
una melodia, cioè un qualcosa dotato di una precisa identità di tempo: “il punto di durata del
suono, colto nell’ “ora”, sprofonda costantemente nel passato e un punto sempre nuovo della
durata entra nell’ “ora” … la durata decorsa si allontana dall’attuale punto “ora”, il quale,
continuamente, in qualche modo è riempito e precipita in un sempre “più lontano” passato …
I contenuti della coscienza, cioè, svaniscono continuamente inabissandosi in una zona
“sottostante”. Ma, per quanto evanescenti, essi si conservano, quasi fossero una “scia”, una “coda
di cometa” che la percezione attuale lascia dietro di sé.
In questo senso il tempo ha davvero una funzione “fondamentale”, cioè di “fondamento”8 del
vissuto della nostra coscienza.
Queste riflessioni ebbero un grande influsso su un suo discepolo, Martin Heidegger, il quale però
sosterrà che il tempo non è una funzione della coscienza, ma è la forma stessa dell’esistenza.

7.     CONCLUSIONI

Vedi – “I Sentieri della Ragione” vol 3, pag. 303, “Io e gli altri”.
La fenomenologia rappresenta una delle basi più innovative del pensiero del ‘900, ma si tratta più
di un metodo, di un nuovo programma di ricerca della verità, piuttosto che una nuova filosofia di
contenuti sistematicamente organizzati.
Tornare alle operazioni intenzionali originarie diviene il compito della fenomenologia, la via che
essa indica per liberare l'Occidente dalla «grande stanchezza» delle sue intellettualistiche astrazioni
e ritrovare il senso genuinamente razionale della vita e della cultura.

7
 E. HUSSERL, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo.
8
 H. parla anche del tempo come “soggetto” della realtà, nel senso etimologico di subjectum = “ciò che sta
sotto”.

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                             Edith Stein
Santa, compatrona d’Europa, donna luminosa e forte, la più grande filosofa
del Novecento. Ha insegnato alla donna la sua dignità, al politico il suo
dovere, all’uomo il suo destino.

Potente e drammatica ed “incompiuta” risulta la figura di Edith Stein. Nata a Breslavia, da famiglia
ebraica, il 12 Ottobre 1891 (all’inzio della cosiddetta era “Guglielmina” del secondo Reich Tedesco,
dell’ultimo Kaiser, Guglielmo Il Hohenzollern), va a studiare a Gottinga, dove incontra una notevole
personalità, Edmund Husserl, che fonderà una concezione filosofica nuova, la Fenomenologia,
caratterizzata da un grande rigore razionale di ricerca.
Siamo negli anni della follia della Prima Guerra Mondiale, e la giovane Edith è affascinata dal suo
maestro Husserl (anche lui di origine ebrea), nel cui pensiero e serietà professionale vede una
intelligente reazione all’irrazionalità dilagante. Quando Husserl passa ad insegnare nella prestigiosa
Università di Friburgo, Edith Stein lo segue. Sono gli anni tempestosi del primo Dopoguerra, nella
Germania umiliata assurdamente dai trattati di Versailles, ed Edith Stein, curiosa divoratrice di libri,
si imbatte nella lettura della vita di quella donna energica ed affascinante, che era stata Santa
Teresa d’Avila. Ne rimane folgorata.
Anche Edith Stein continua a porsi una domanda: qual è il senso della storia e a cosa serve
l’esistenza individuale? Né la ricerca filosofica, né i modelli idealistici potevano darle una risposta.
Era stata crocerossina e aveva lottato per i diritti delle donne, ma le rimase insoluto il mistero del
dolore. Colpita dalla testimonianza cristiana della moglie di un suo amico, il professor Reinach, che
era stata capace di trarre dalla contemplazione del Crocefisso la forza per superare il dolore,
affascinata dalle lezioni di un altro pensatore, Scheler, oltre che da varie letture, fra cui la Vita di
Santa Teresa d’Avila, giunse infine al Cattolicesimo.

Lotta e cammino
Così, nel Capodanno del 1922 viene battezzata. Continua la sua brillante carriera universitaria; ma
nel 1933 l’ascesa di Hitler al potere ha una drammatica conseguenza: Edith Strein viene sospesa
dall’insegnamento. Proseguendo nella sua ricerca spirituale, e lottando contro la sua stessa
famiglia, decide di farsi suora di clausura, forse anche come omaggio alla dimensione contempla-
tiva della vita, che le era stata documentata dal suo maestro
Husserl. Prende il nuove nome di Theresia Benedicta a Cruce, ed entra nel Carmelo di Colonia
nell’ottobre 1933.
Nel Monastero continuò la sua attività, scrivendo una autobiografia degli anni giovanili, Vita di una
famiglia ebraica, tesa a dimostrare come gli Ebrei non fossero il cancro della Germania come la
propaganda nazista sosteneva, ma vivessero pienamente integrati nella società, costituendone una
parte vivissima. Produsse inoltre Potenza e atto, un confronto tra il pensiero medioevale e la
fenomenologia, anche sotto l’influsso dell’allora emergente pensiero di Heidegger.
Ma nel 1938 la situazione degli Ebrei nel Terzo Reich Hitleriano, colle leggi di Norimberga e poi la
“notte dei cristalli” del 1938, si aggrava sempre di più. Per questo viene, nottetempo, trasferita nel
Carmelo di Echt in Olanda. Ma il 2Agosto 1942 gli agenti della Gestapo vengono ad arrestarla (una
vicenda che richiama l’affascinante figura di Anna Frank ad Amsterdam), e viene deportata nel
famigerato lager di Auschwitz, dove, con la sorella Rosa, viene uccisa in una camera a gas il 9
Agosto 1942.
La sua prima opera significativa, Il problema dell’empatia, affronta il rapporto che tutti abbiamo
con gli altri. Possiamo veramente entrare in rapporto con gli altri, con il loro mondo interiore,
quando anzitutto riusciamo a cogliere, attraverso quel procedimento conoscitivo particolare, che si
chiama empatia o sintonizzazione profonda, il problema, lo stato d’animo, la dimensione interiore
di chi ci sta di fronte. In secondo luogo, quando ci sentiamo coinvolti nello stato d’animo
dell’amico; e infine, quando raggiungiamo la piena sintonia con l’amico. E’ l’empatia e solo essa

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che ci permette una esperienza vera mente singolare ed essenziale.
Nella sua opera principale Essere finito ed eterno, del 1936, in un clima permeato da una forte
simpatia per il Romanticismo, la Stein affronta il problema già fortemente sentito da Sant’Agostino
e dai pensatori Medioevali, del rapporto tra l’uomo finito e legato al tempo e l’infinito e l’eterno, a
cui l’uomo anela, anche se deve
sempre riconoscere che la sua finitudine gli rende impossibile cogliere veramente l’infinito, a cui ci
possiamo solo accostare, nel buio e nell’incertezza della nostra vita, con la fede, che sug-
gestivamente la Stein denomina “Luce oscura”, nel senso che è un grande arricchimento di vita,
ma si trova sempre di fronte al mistero e allo scandalo del male.

Il senso della vita
Questo movimento di pensiero che dall’io del singolo si rivolge all’essere, giunge infine al Creatore
per ridiscendere verso l’uomo che riguadagna così un nuovo senso, l’unico possibile per la sua
esistenza, illuminato dalla luce della Trinità. Perchè solo la luce di Dio dà senso all’uomo.
Per superare il problema del male, Edith Stein non vede altra strada che lo scandalo della Croce di
Cristo, a cui ha dedicato la sua ultima opera, incompiuta, La scienza della Croce. Studio
su San Giovanni della Croce, iniziata nel 1941 e continuata nel 1942.
Qui manifesta la convinzione che la Croce di Cristo è la vera scienza poiché è il vero amore ma
anche che “non si può aver scienza della Croce senza viverla in prima persona”, per questo la Stein
si offrì nella preghiera quale vittima di espiazione dell’odio e per la riconciliazione fra i popoli del
mondo, desiderando assumere misticamente su di sé il dolore della sua famiglia e, offrendosi per
la pace e la conversione dei peccatori. In questa sua donazione alla pace e all’amore, affrontò
anche lei la sua croce personale nell’inferno di Auschwitz. Con Edith Stein siamo di fronte all’estre-
mo tentativo di percorrere la via della conoscenza, illuminata dalla “luce oscura” di Cristo, quale
modello ed aiuto per ogni uomo che vive il mistero del dolore e della vita.

Giovanni Balocco

Ha scritto:

Faccio Progetti per l’avvenire e organizzo di conseguenza la mia vita presente. Ma nel profondo
Sono Convinta che si produrrà un qualche avvenimento che butterà a mare tutti i miei progetti.
È la fede viva, la fede autentica alla quale ancora rifiuto di consentire è a questa fede che io
impedisco di divenire attiva dentro di me.

La fede è una forza che non è mia e che senza fare violenza alcune alla mia attività, diventa attiva
in me.

Realizzo pienamente la verità nel donarmi, nell’abbandonarmi totalmente all’Amore

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