Capitolo 1. L'aggregazione delle preferenze
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Capitolo 1. L’aggregazione delle preferenze Azione collettiva ed aggregazione delle preferenze sono due campi, tra loro strettamente interconnessi, di applicazione del metodo economico allo studio della sfera politica al fine di analizzare i tratti salienti della produzione di quei beni pubblici1 – quali sono tutti i provvedimenti legislativi, le convenzioni, le regole, le istituzioni – che, affiancando la produzione di beni privati, permette il corretto funzionamento del mercato. Nelle parole del premio Nobel 1972 per l’Economia Ken Arrow (1951): “In una democrazia capitalista esistono essenzialmente due metodi attraverso i quali si possono compiere le scelte sociali: la votazione, di tipicamente utilizzata nel caso di decisioni "politiche", e il meccanismo di mercato, tipicamente utilizzato nel caso di decisioni "economiche" In Gran Bretagna, Francia e Scandinavia entrambi questi modi di scelta sociale prevalgono anche se viene dato più spazio alle votazioni e alle decisioni basate direttamente o indirettamente su questo metodo e meno alla regola del coordinamento attraverso il meccanismo dei prezzi.” Il coordinamento dell’azione collettiva verrebbe garantito dal contenuto informativo della votazione, cui viene attribuito un ruolo analogo a quello svolto dal sistema dei prezzi. 1 Le caratteristiche che contraddistinguono i beni pubblici sono la non-escludibilità e la non-rivalità nel consumo. La prima indica che è tecnicamente impossibile (o molto costoso) escludere dalla fruizione di un bene o di un servizio chi non lo paga, in la seconda rileva che il consumo del bene da parte di un soggetto non impedisce il consumo dello stesso bene da parte di un altro. Il tipico esempio è il faro: è impossibile impedire alle navi che non lo hanno pagato di fruire della luce che illumina la notte, e il fatto che una nave fruisca della luce del faro non impedisce a nessun’altra nave di fruire della stessa luce nello stesso momento. 3
Gli strumenti analitici propri della teoria economica sarebbero dunque in questo senso applicabili anche al di fuori dell’ambito delle scelte individuali dirette alla soddisfazione dell’utilità personale attraverso l’acquisizione di beni privati, la cui produzione e distribuzione viene assicurata dal coordinamento delle decisioni individuali offerto dai meccanismi del mercato. L’eventualità che l’interesse collettivo possa essere in contrasto con l’interesse individuale rappresenta la motivazione principale della produzione pubblica e comporta l’impossibilità che alcuni bisogni possano essere pienamente soddisfatti dal mercato. La teoria delle scelte sociali studia il modo in cui dall’aggregazione delle preferenze individuali è possibile giungere alla formulazione di decisioni collettive che siano in grado di conservare il contenuto informativo di ciascuna preferenza individuale e di tradurlo in preferenza comune rispettandone le caratteristiche. La preferenza comune nelle scelte sociali, che riguardano i diversi livelli ai quali si compie la scelta, viene formulata attraverso l’espressione individuale del voto. Il parallelismo tra le scelte individuali effettuate attraverso il mercato e le scelte collettive effettuate attraverso l’espressione del voto è stato proposto dalla teoria economica della democrazia, secondo la quale anche per gli elettori, come per i consumatori, si pone l’obiettivo di massimizzare la propria utilità. Per gli elettori ciò avviene attraverso il voto, in analogia a quanto accade tramite il sistema dei prezzi per i consumatori che, noti i vincoli e gli obiettivi, si trovano a dover risolvere un problema di ottimizzazione. Anche nel caso delle scelte sociali si postula il comportamento ottimizzante di soggetti razionali2 ed auto-interessati che si avvalgono dei sistemi di voto per conseguire obiettivi comuni che hanno la caratteristica di beni pubblici, siano questi una scelta costituzionale, come il contratto sociale stipulato tra tutti gli individui che fanno parte di una data collettività, una scelta collettiva, come l’individuazione di politiche comuni sulla cui formulazione deve essere raggiunto il consenso, oppure una scelta corrente, come sono gli strumenti necessari alla realizzazione degli obiettivi delle politiche stesse. Occorre forse sottolineare che l’analogia proposta, che conduce al tentativo di spiegare le votazioni con il comportamento razionale ed auto-interessato tipico dell’analisi economica, non è completamente convincente, dato che, a differenza della moneta - con la quale vengono espresse di norma le preferenze sui consumi - i voti non si conservano né si accumulano e la volontarietà dello scambio sul mercato, che assicura un incremento di utilità per entrambe le parti, ha una valenza diversa dalla volontarietà dell’espressione del voto, allo stesso tempo considerato sia un diritto che un dovere. Inoltre, nell’aggregare le preferenze attraverso il meccanismo di mercato, il problema del free-riding - che consiste in un comportamento teso a cercare di ottenere benefici da una certa azione senza doverne sostenere i costi - impedisce l’ottimizzazione nella produzione di beni pubblici. Tale problema, che ha la conseguenza di una produzione di beni pubblici insufficiente rispetto alla domanda espressa dai cittadini, si incontra anche nell’esercizio del voto dovesi confrontano costi certi – in termini di tempo necessario ad informarsi, recarsi alle urne etc. – contro di benefici incerti – conseguibili solo in caso di successo nell’esito della votazione e spesso ottenibili anche senza dover necessariamente incorrere nei costi ad essi connessi. Un comportamento ottimizzante, in tal caso, consiste nell’evitare di sostenere 2 Un soggetto viene definito razionale se è in grado di ordinare tutte le proprie preferenze in modo completo e transitivo. Completo: tutte le opzioni possono essere ordinate in base alla preferenza che può essere maggiore, minore o eguale. Transitivo: se un’opzione è preferita ad un’altra che è preferita ad una terza, la prima deve essere preferita alla terza. 4
i costi connessi all’espressione del proprio voto fidando nella partecipazione degli altri elettori e beneficiare dell’eventuale successo della propria parte senza averlo determinato. 1.1. I sistemi di voto La teoria delle votazioni mette a confronto i diversi metodi di espressione del voto che possono essere utilizzati da una collettività al fine di pervenire alla formulazione delle scelte sociali, e li valuta in base alla presenza di alcune caratteristiche desiderabili. Queste includono la giusta rappresentatività del corpo elettorale, la fedeltà nell’interpretazione delle preferenze individuali originarie, l’impossibilità di manipolazione delle intenzioni degli elettori, il disincentivo al voto strategico, cioè al voto che anziché riflettere le autentiche preferenze dell’elettore, ha l’obiettivo di aumentare indirettamente la possibilità di successo della mozione o del candidato preferito ricorrendo ad espressioni di voto insincere. Il “vincitore di Condorcet” corrisponde al candidato, o alla proposta, che è in grado di battere ciascun altro in un confronto a due a due (pairwise). Se le opzioni votabili sono solo due, gli elettori sono in numero dispari, ciascuno può esprimere soltanto un voto a favore o contro, il vincitore di Condorcet coincide con la scelta della maggioranza, ma se vengono proposte più di due opzioni potrebbe non esistere o anche non emergere, anche a causa delle regole di voto che sono state prefissate. Un sistema di voto ideale (McLean, 1987) deve essere in grado di: 1) rispettare le preferenze che ogni elettore esprime, tenendo conto anche dell’ordine e dell’intensità delle preferenze; 2) far emergere il “vincitore di Condorcet” quando ne esiste uno 3) minimizzare gli incentivi a ricorrere al voto strategico. Il meccanismo attraverso il quale si esprime il voto e si giunge alla scelta sociale viene definito dall’insieme di tutte quelle disposizioni che regolano il procedimento con cui alla fine verrà selezionata la decisione vincente. Queste sono: A) la collettività degli aventi diritto, cioè chi sono gli elettori: gli individui o i loro rappresentanti, B) la regola di voto, in altre parole se per passare una mozione si richiede l’unanimità o la maggioranza, C) la procedura da seguire per il confronto tra le mozioni, che può avvenire con votazione binaria o multipla, D) la ponderazione dei voti a disposizione di ciascuno degli aventi diritto, cioè se si attribuiscono pesi uguali, seguendo il principio di “una testa un voto”, oppure pesi diversi, in relazione a qualche caratteristica particolare della votazione. Da come vengono fissate queste disposizioni discende un’ampia varietà dei sistemi di voto e gli esiti stessi del voto possono essere, almeno in parte, a loro volta determinati dalla scelta delle regole che presiedono al sistema di voto. Nell’ambito delle scelte collettive non esiste infatti un metodo di aggregazione delle preferenze individuali che in modo univoco possa essere considerato preferibile agli altri, e che possa essere valutato imparzialmente e senza incertezze secondo le usuali categorie di equità e di efficienza, in analogia a quanto accade per le scelte individuali nell’ambito della teoria del consumatore. I diversi sistemi di votazione finiscono invece col rispondere ad istanze diverse, per cui la ricerca del sistema di voto “più appropriato” fa sì che, nel metodo di aggregazione delle preferenze, permanga sempre un certa misura dell’arbitrarietà di un procedimento circolare in base al quale la scelta determina ed è a sua volta determinata dal sistema di voto. 5
Esistono dunque problemi di scelta anche tra i diversi sistemi di voto. Date le preferenze individuali, i diversi metodi di aggregazione possono condurre ad esiti diversi, e non è, purtroppo, possibile prescindere dall’arbitrarietà della scelta tra metodi di voto le cui caratteristiche presentano vantaggi e svantaggi difficilmente riassumibili in una valutazione oggettiva e quindi non sono coerentemente ordinabili tra loro. Ci sono però criteri in base ai quali un sistema di voto viene ritenuto più adatto in certe situazioni piuttosto che in altre. A. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa Proprio per questa ragione è utile esaminare i diversi sistemi di voto partendo dall’oggetto della votazione e dal tipo di scelta. Occorre infatti distinguere tra le votazioni che hanno per oggetto la soluzione di un problema e le votazioni finalizzate ad eleggere rappresentanti cui viene poi assegnato il compito di risolvere il problema. Nel primo caso, quando è la stessa collettività degli aventi diritto ad esprimersi direttamente prendendo posizione sul contenuto di una decisione, si tratta di democrazia diretta. Nel secondo caso, quando la soluzione del problema viene demandata alle decisioni che verranno prese dagli eletti, si parla di democrazia rappresentativa. Non possiamo dire che una scelta effettuata attraverso una votazione diretta sui contenuti possa essere ritenuta in qualche modo superiore – più giusta o più efficiente – rispetto ad una scelta effettuata indirettamente ricorrendo all’elezione dei rappresentanti, o al contrario ad essa inferiore. In generale, la complessità dei problemi consiglia la delega dell’attività decisionale ai rappresentanti eletti, mentre solo eccezionalmente, in un sistema democratico contemporaneo, le decisioni vengono sottoposte a votazione diretta. Tuttavia, questa distinzione rileva ai fini di strutturare il sistema di voto e per verificarne la rappresentatività. Nelle scelte effettuate attraverso votazioni indirette occorre, infatti, evitare che l’esito della votazione da parte dei rappresentanti eletti contrasti con le preferenze individuali, mentre invece esistono numerose occasioni in cui si può verificare una traduzione infedele delle preferenze individuali in preferenza collettiva. La teoria delle votazioni distingue analiticamente tra democrazia diretta, nella quale l’oggetto di scelta è una mozione, e democrazia rappresentativa, nella quale viene eletto un agente con il compito di partecipare a votazioni dirette per conto dei suoi elettori, perché nel secondo caso ai problemi inerenti le modalità di espressione del voto si aggiungono quelli dovuti alla rappresentanza. Il tipo di scelta collettiva oggetto della votazione è spesso determinante nella scelta tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Per le scelte di particolare importanza, anche se delegate ordinariamente alla decisione dei rappresentanti, spesso viene prevista l’eventualità che possano essere confermate da una votazione diretta, ad esempio, attraverso un referendum. I referendum confermativi hanno lo scopo di assicurare che le decisioni assunte dai rappresentanti in nome degli elettori possano essere da questi sconfessate nel caso in cui la loro volontà sia stata male interpretata e la rappresentatività male impostata. È pertanto potuto accadere che in Norvegia il referendum non abbia confermato l’adesione all’Unione Europea decisa per il 1995, e che, più recentemente, l’esito dei referendum sulla Costituzione europea abbia respinto quanto le delegazioni nazionali avevano approvato. Le scelte costituzionali relative all’Unione Europea, che implicano un trasferimento di sovranità nazionale agli organismi comunitari, devono essere ratificate dal Parlamento in tutti i paesi, ma per alcuni di essi è necessario che vengano sottoposte a referendum. Ciò accade ad esempio in Irlanda, dove finora sono sempre state confermate le scelte dei propri rappresentanti. In altri casi il problema dell’opportunità di sottoporre al voto diretto le scelte 6
costituzionali europee è stato sollevato, ma la consultazione è stata indetta eccezionalmente e, come è accaduto in Francia per la Costituzione, il voto dei rappresentanti francesi è stato sconfessato. A sottolineare la mancanza di superiorità di un sistema sull’altro, si può riflettere sul fatto che, in caso di contrasto, non è nemmeno certo che l’esito della votazione diretta debba comunque prevalere sull’esito della votazione indiretta. Ad esempio si può ricordare che in Danimarca il primo referendum sul TUE non confermò la scelta di adozione del Trattato effettuata con la votazione indiretta, tuttavia, la decisione assunta dai rappresentanti non fu annullata, ma fu indetto un secondo referendum che proponeva una diversa formulazione del quesito. B. Regola di voto: unanimità o maggioranza con due mozioni Il premio Nobel 1986 per l’economia James Buchanan (1987) afferma che “La regola dell'unanimità per una scelta collettiva costituisce l'analogo politico del libero scambio di beni sul mercato” ed è dunque il punto di riferimento rispetto al quale vengono valutate le altre regole di voto. Ciò non significa che la regola di voto all’unanimità sia esente da difetti, ma viene considerata “ideale” per analogia con l’efficienza dello scambio nelle decisioni economiche, in quanto in entrambi i casi si presuppone la volontarietà della contrattazione. Il principio dell’unanimità è una condizione necessaria per intraprendere un’azione collettiva in cui si impone che venga rispettato il criterio Paretiano, come nell’economia del benessere. Questo può essere inteso in senso debole, quando tutti gli elettori si esprimono a favore di una mozione poiché ciascuno ritiene che la propria situazione migliori in seguito alla sua approvazione, che quindi passa all’unanimità, oppure in senso forte, quando almeno un elettore è favorevole alla mozione, mentre nessuno è contrario, e l’approvazione avviene a maggioranza (relativa): con un unico voto favorevole e tutti gli altri astenuti. Le decisioni collettive che possono ottenere il voto unanime sono quelle che portano all’insieme di Pareto (dal punto P verso l’interno dell’area delimitata dalle due curve di indifferenza più esterne per entrambi gli individui A e B) e vanno in direzione dell’ottimo paretiano, per raggiungere il quale può essere necessario ricorrere a compensazioni. Lo spazio dell’unanimità x B R Q SV T P A x 7
Nella figura, che riproduce una “scatola di Edgeworth”, il punto P rappresenta il modo in cui la quantità totale del bene x, misurata sull’asse delle ascisse, e del bene y, misurata sull’asse delle ordinate, sono ripartite tra i due individui: A, per il quale l’origine degli assi si trova nell’angolo in basso a sinistra, e B, per il quale l’origine degli assi si trova nell’angolo in alto a destra. Entrambi gli individui saranno favorevoli ad una nuova ripartizione dei due beni che li faccia raggiungere una curva di indifferenza più esterna, cioè una ripartizione rappresentata da un punto che si trovi entro l’area delimitata dalla curve di indifferenza (core) sulle quali si trova il punto di partenza P (status quo), e voteranno all’unanimità per spostarsi dal punto P verso uno di questi punti, ad esempio R o S, che appartengono a curve di indifferenza più esterne per entrambi. Non potrà raggiungere l’unanimità, invece, uno scambio esterno a quest’area, che porti ad esempio alla ripartizione rappresentata dal punto Q che penalizza B, oppure a quella rappresentata dal punto T, che penalizza A. Si noti però che, mentre sia il punto R che il punto S possono ottenere l’unanimità poiché entrambi questi punti sono giudicati da entrambi gli individui superiori al punto P, l’uno (R) è più favorevole all’individuo A mentre l’altro (S) rappresenta una divisione dei beni x e y giudicata migliore per l’individuo B. L’unanimità potrebbe non essere raggiunta se ciascun individuo aspettasse che venisse posta in votazione la ripartizione a sé più favorevole e votasse contro ogni altra, benché ritenuta preferibile allo status quo. Se ne deduce che la sequenza in cui le mozioni vengono poste in votazione è cruciale per l’esito della votazione stessa in presenza di voto strategico. Seguendo la nuova economia del benessere, si ritiene che le decisioni collettive siano legittimate dal semplice requisito di potenzialità della compensazione, anche in assenza di una compensazione effettiva. È quindi possibile ottenere l’unanimità in tutti i casi in cui per la collettività la somma dei benefici è superiore alla somma dei costi, cosicché coloro che verrebbero danneggiati dalla scelta comune possono reclamare un indennizzo attraverso pagamenti compensativi (side-payments) e la situazione finale può essere valutata ancora positivamente da almeno un elettore. Il principio dell’unanimità può essere più o meno stringente in relazione al ruolo svolto dalle astensioni. Se viene richiesta l’unanimità piena, le astensioni valgono come un voto contrario e ciò corrisponde al criterio paretiano debole: tutti esprimono voto favorevole perché ciascuno viene beneficiato dalla scelta. Se invece valgono come voto favorevole si ha la corrispondenza con il criterio paretiano forte: la scelta effettuata beneficia almeno qualcuno e non danneggia nessuno. La regola dell’unanimità - secondo Kant la sola regola che può imporre la volontà comune poiché nulla può essere fatto a un uomo senza il suo consenso - viene richiesta per le scelte sociali per le quali è necessario il più ampio consenso, quando c’è molta incertezza tra i partecipanti sulle preferenze del gruppo e dunque sull’esito del voto. Con questa regola si salvaguardano gli elettori dall’eventualità di essere soggetti a decisioni che non condividono, dal momento che ciascun elettore può opporre un veto a qualsiasi decisione collettiva dalla quale ritenga di poter essere danneggiato, e in tal modo può bloccarla. L’esercizio del potere di veto, tuttavia, nell’impedire l’approvazione della mozione indesiderata, comporta la vigenza dello status quo ancorché sgradito, e dunque il prevalere dell’immobilismo. La mancata approvazione di una mozione, a causa del veto opposto da almeno un elettore, viene indicata come tirannia della minoranza, in quanto il prevalere dello status quo, in assenza di un accordo unanime, corrisponde di fatto al sostegno della situazione 8
esistente, che può essere preferita anche da un solo elettore, rispetto all’approvazione della mozione alternativa, che potrebbe essere preferita da tutti meno uno. La regola dell’unanimità inoltre non consente di raggiungere una soluzione nei problemi puramente redistributivi, cioè nei giochi a somma zero. Una vasta categoria di decisioni collettive resta pertanto al di fuori del dominio di applicazione di questa regola, che non è dunque in grado di ordinare un ampio numero di scelte che, modificando soltanto la distribuzione, non sono ordinabili seguendo un criterio Paretiano. La regola dell’unanimità era prescritta dal Trattato di Roma per le decisioni del Consiglio dei Ministri durante il periodo di avvio della CEE ed è tuttora necessaria per ogni trasferimento di sovranità all’UE, per iniziare le nuove procedure, per l’adesione di nuovi paesi, per alcune materie ritenute più “sensibili” ed in generale quando nel corso del processo decisionale si incontra il parere contrario di un’altra istituzione. Il Trattato di Roma stabiliva che il passaggio da una fase all’altra del periodo transitorio dovesse essere votato all’unanimità. Tuttavia, per evitare di cadere nell’uso della tirannia della minoranza, specificava anche le procedure da seguire nel caso in cui l’unanimità non potesse essere raggiunta a causa dell’inadempienza di qualche paese. Inoltre, si prevedeva che il voto dovesse attenersi alla regola dell’unanimità nella procedura da seguire per modificare gli articoli del Trattato, mentre per alcune decisioni del Consiglio, ad esempio in merito agli adeguamenti delle barriere tariffarie, occorreva soltanto la maggioranza qualificata. Si deve al Compromesso del Lussemburgo del 1966 la rinuncia volontaria alle votazioni a maggioranza qualificata e la ricerca dell’unanimità proseguendo la discussione ad oltranza. A tale accordo è stata attribuita l’incapacità, per un lungo periodo, dell’apparato legislativo comunitario di effettuare le scelte più importanti e la difficoltà con la quale veniva gestita la routine fino quasi alla paralisi. L’impossibilità di prendere una decisione era naturalmente accresciuta dagli inconvenienti che la ricerca dell’unanimità comporta quando, nel corso dei negoziati, l’accordo finale viene raggiunto attraverso una successione mozioni la cui approvazione, essendo dipendente dall’ordine in cui vengono presentate le proposte, è soggetta alla manipolazione dell’agenda e dunque non assicura in linea di principio né il conseguimento di un compromesso “equilibrato” fra le parti, né la coerenza delle decisioni. Spesso è stato osservato che l’esito della votazione suggellava un compromesso in cui elementi come la resistenza fisica e la capacità comunicativa dei negoziatori facevano premio sulle ragioni oggettive alla base di un equilibrio complessivo del risultato. Se l’unanimità è l’unico modo di aggregazione delle preferenze compatibile con l’esigenza della massima adesione al contratto sociale, per le scelte non costituzionali (post- costituzionali) si ricorre alla regola di maggioranza che, essendo meno richiedente in termini di assoluta assenza di voti contrari (preferenze negative), presenta il vantaggio di una maggiore “efficienza” nella capacità di conseguire di un risultato. La regola della maggioranza è un modo di coordinare le preferenze individuali alternativo alla regola dell’unanimità: è sufficiente che la maggior parte degli elettori preferisca una mozione all’altra perché quella preferita venga approvata. Questo metodo di aggregazione delle preferenze supera sia il problema della tendenza all’immobilismo, che quello della tirannia della minoranza, ma al prezzo di una minore fedeltà alle vere intenzioni della collettività. Poiché per approvare una scelta con la regola della maggioranza non è necessario il parere favorevole di tutti gli aventi diritto, l’esito della votazione non corrisponde all’ottimo paretiano. In tal caso si fa riferimento alla tirannia della maggioranza che, imponendo a tutti 9
la propria scelta – coercitiva rispetto alla volontà degli individui dissenzienti – costituisce un difetto non trascurabile. Tuttavia, è stato dimostrato che, se si vota a maggioranza una scelta tra due sole alternative, questa regola di voto ha il pregio di essere sempre in grado di produrre un risultato in grado di soddisfare criteri molto importanti. Il teorema di May (1952) dimostra che la maggioranza assoluta fra due alternative è l’unica regola di voto che allo stesso tempo soddisfa quattro requisiti desiderabili per una scelta democratica: 1) dominio universale: tutte le opzioni sono ammissibili, pertanto non esiste alcuna limitazione a priori sulle preferenze dei singoli, avendo definito tutte le possibili combinazioni in cui possono manifestarsi le preferenze individuali, si deve compiere la valutazione di ciascuna di esse; 2) anonimato: deve essere assicurato lo stesso trattamento alle preferenze di ciascuno, indipendentemente da chi le esprime; 3) neutralità: qualsiasi esito deve godere dello stesso trattamento, in modo che le preferenze positive concorrano al consenso allo stesso modo in cui le preferenze negative concorrono al dissenso; 4) principio di corrispondenza positiva: l’esito della votazione deve essere sensibile ad una variazione delle preferenze individuali. Esistono diverse accezioni per definire la regola di maggioranza. Esse riflettono il trade-off tra il conseguimento del massimo consenso ed il superamento dell’immobilismo, con il vincolo di evitare di assumere decisioni contraddittorie. Introducendo il concetto di “maggioranza ottima” Buchanan e Tullock (1962) contrappongono i costi in termini di coercizione della volontà degli individui dissenzienti ai costi in termini del tempo necessario a raccogliere il consenso. Entrambi questi costi sono funzione del numero dei consenzienti, ma le relazioni hanno segno opposto. Nel primo caso si tratta di una funzione decrescente: all’aumentare del numero degli individui consenzienti il costo del dissenso diminuisce, mentre nel secondo caso si tratta di una funzione crescente: il costo aumenta all’aumentare del tempo necessario a convincere gli individui dissenzienti a cambiare idea. La maggioranza ottima e il costo del dissenso costi A AA’+BB’ B’ A’ B 0 Q% 100% Numero degli individui consenzienti 10
La figura mostra la maggioranza ottima nel punto C nel quale si realizza la minimizzazione della somma di costi rappresentati dalle due curve AA’ e BB’ e l’uguaglianza tra: 1) il costo della coercizione della volontà degli individui dissenzienti, rappresentato dalla curva AA’: all’aumentare del numero dei consenzienti diminuisce il numero dei dissenzienti e quindi anche il costo del dissenso; e 2) il costo, in termini di tempo e risorse, necessario ad ampliare il consenso rappresentato dalla curva BB’: far cambiare opinione ai dissenzienti sarà più facile, e cioè meno costoso, per coloro che si oppongono “tiepidamente” piuttosto che per gli “irriducibili”. Occorre dunque minimizzare la somma di entrambi i costi, che nella figura, in cui 100% corrisponde all’unanimità, Q% corrisponde alla maggioranza richiesta. Nella scelta della regola di voto tra unanimità e maggioranza è bene riflettere sul fatto che “sotto un velo di ignoranza”, in altre parole, non sapendo su quali questioni si sarà chiamati a votare, alla regola della maggioranza corrisponde una probabilità minore di trovarsi dissenzienti e vedere la propria volontà non rispettata, rispetto a quanto assicura la regola dell’unanimità. Se tre individui (A, B e C) votano per approvare una mozione e non possono astenersi, essi hanno un’eguale probabilità di ½ di essere favorevoli o contrari. Con la regola dell’unanimità, se A sarà consenziente e voterà a favore non otterrà l’adozione della mozione se l’urna conterrà almeno un voto contrario di B, o di C oppure sia di B che di C. Esisteranno dunque tre casi di dissenso che impediranno l’adozione della mozione sostenuta da A. Basterà invece che A sia contrario perché la mozione non passi. Supponendo che, in assenza di informazioni sulla mozione, A abbia la stessa probabilità di essere favorevole o contrario, la probabilità di dissenso sarà 0,5x3 se è favorevole e 0,5x0 se è contrario, quindi la somma delle probabilità di dissenso è pari a 3/2. Con la regola della maggioranza, se A sarà consenziente e voterà a favore la mozione passerà se troverà almeno un “alleato”. Quindi la mozione passerà se B oppure C voteranno a favore e solo se saranno entrambi contrari A si troverà dissenziente. Analogamente, A subirà l’approvazione della delibera che lo vede dissenziente solo se sia B che C voteranno entrambi contro. Il rischio di dissenso è dunque inferiore con la regola di maggioranza dato che la probabilità di dissenso in tal caso è pari a 1. Poiché 3/2>1 è più probabile essere dissenzienti votando all’unanimità. Il vincolo della coerenza si osserva rispettando il requisito che non meno della metà più uno degli elettori esprima un voto favorevole, mentre il quorum3 richiesto può far riferimento al totale delle preferenze espresse, come accade nel caso della maggioranza semplice, o al totale degli elettori, come accade nel caso della maggioranza assoluta. Le due regole differiscono per il ruolo svolto dalle astensioni che rappresentano un voto favorevole con la regola della maggioranza semplice e un voto contrario nel caso della maggioranza assoluta, mentre in assenza di astensioni le due regole coincidono. La regola della maggioranza può variare in base al ruolo assegnato alle astensioni, in analogia alle due diverse definizioni della regola dell’unanimità, ma può essere ulteriormente specificata quando il numero di voti richiesto è superiore al minimo necessario ad assicurare la coerenza del sistema, come accade nel caso della maggioranza qualificata, oppure è inferiore come accade nel caso della maggioranza relativa. Con la regola della maggioranza qualificata, o super-maggioranza, si adotta una soluzione di compromesso tra unanimità e maggioranza cercando di coniugare i pregi di 3 Il quorum è il numero di votanti necessari per la validità della votazione. In genere si tratta di una frazione calcolata in base al numero degli aventi diritto al voto. 11
entrambi i sistemi. Con tale regola si richiede che, per essere approvata, una scelta debba avere il sostegno di “quasi tutti” e si impone che la soglia minima di voti espressi a favore debba essere maggiore (spesso si pone pari ai due terzi) della metà più uno dei voti come richiesto dalla maggioranza semplice. Pertanto, con questa regola si stabilisce a priori un livello massimo di dissenso sopportabile, che sia inferiore a quello possibile con la maggioranza semplice oppure assoluta. C. Optare per la votazione binaria o per la votazione multipla con più di due mozioni? L’efficienza del voto, intesa come capacità del sistema di tradurre fedelmente le preferenze individuali in preferenza collettiva, è messa a dura prova quando la scelta avviene, come molto spesso accade, fra più di due mozioni. Innanzi tutto occorre stabilire le modalità del confronto fra le mozioni, che può avvenire in votazione binaria, cioè contrapponendo coppie di proposte, o in votazione multipla, esprimendo una preferenza su tutte le proposte sia richiedendo che venga indicata un’unica preferenza assoluta oppure votando sull’intero spettro dell’ordine di preferenza. Se la scelta è fra tre mozioni x, y e z, la votazione binaria metterà a confronto ad esempio la mozione x con la mozione y e la mozione vincente tra queste con la mozione z. La procedura completa richiede che non sia omesso il confronto tra la mozione z e quella che non ha prevalso tra la mozione x e la y. Quindi ciascuna mozione verrà confrontata con ogni altra. La votazione multipla invece prescrive che le tre mozioni x, y e z siano votate in contemporanea, per cui con questa procedura non si assicura che la mozione che risulta vincente raggiunga la metà dei voti più uno. La valutazione sulle due regole di voto - unanimità e maggioranza - viene complicata dal fatto che, in presenza di oltre due mozioni, il problema relativo alla scelta tra privilegiare il consenso con la regola dell’unanimità - e così incorrere nell’impossibilità di decidere, una situazione che di fatto corrisponde alla mancanza di un equilibrio - oppure privilegiare la probabilità di giungere a una decisione con la regola della maggioranza - e dunque incorrere nell’onere del sacrificio della volontà di alcuni - viene aggravato dall’eventualità che si possano riscontrare comportamenti strategici, cioè comportamenti tesi al raggiungimento del massimo beneficio individuale esprimendo le proprie preferenze in modo non sincero, ma opportunistico. Con la regola dell’unanimità e seguendo una votazione binaria, per cui una proposta che venga battuta nel confronto a coppie viene eliminata, l’agenda, cioè l’ordine sequenziale con cui le mozioni vengono presentate, è manipolabile. È infatti ipotizzabile che un comportamento strategico venga messo in atto sia da parte del presidente il quale, decidendo l’agenda, definisce il sottoinsieme di coppie di mozioni che verranno effettivamente confrontate, sia da parte degli elettori i quali, conoscendo l’agenda e prevedendo la probabilità delle scelte di voto che effettueranno gli altri elettori, possono attuare una strategia che opponga un voto contrario anche verso quelle mozioni per le quali hanno una preferenza tiepida, in attesa del confronto con la mozione preferita in assoluto. L’esito della scelta collettiva effettuata con questo procedimento, sarà la selezione di una mozione che apparterrà al nucleo (core), cioè a quell’insieme di Pareto definito dalla mozione iniziale e raggiungibile a partire da questa (nella figura il punto P). La scelta però dipenderà interamente dalla sequenza della votazione. Tutte le mozioni che appartengono al core condividono la proprietà secondo la quale, se venisse proposta un’altra mozione rappresentata da un punto fuori dal core, questa non sarebbe preferita nel confronto, cioè non vincerebbe contro nessuna di quelle che si trovano nel core. Il core è dunque l’insieme 12
delle mozioni dichiarate superiori, che sono tutte quelle che non possono essere battute dalle altre fuori dal core. La mozione selezionata in tal modo potrebbe però non corrispondere ad un “vincitore di Condorcet” in grado di battere ogni altro contendente. Quindi potrebbe non rappresentare adeguatamente le preferenze individuali. Questo esito indesiderato può essere evitato imponendo la procedura completa, cioè il confronto tra tutte le possibili coppie di mozioni. Con questa procedura viene assicurata la selezione del vincitore di Condorcet, ma al costo di un iter decisionale molto più laborioso. Attraverso il voto a maggioranza che segue una procedura di votazione binaria si può incorrere in maggioranze cicliche che corrispondono ad una sostanziale parità delle preferenze. Supponiamo che il corpo elettorale sia dato da tre elettori (A, B, C) che possono esprimere due posizioni (sì, no) su tre mozioni (x, y, z) e che le preferenze individuali, siano ordinate transitivamente, come nell’esempio sotto riportato. L’elettore A preferisce: x>y>z; l’elettore B preferisce: y>z>x; l’elettore C preferisce z>x>y. Ordine di preferenza A B C migliore x y z intermedia y z x peggiore z x y La maggioranza ottenuta in votazione binaria condurrà ad un risultato indeterminato. Infatti in questo schema ognuna delle mozioni – ottenendo due voti su tre – è in grado di prevalere su un’altra. La mozione x vince contro y per il voto favorevole di A e di C per entrambi i quali x>y; la mozione y vince contro z per il voto di A e di B per cui y>z; la mozione z vince contro x per il voto di B e di C. Il risultato intransitivo che si ottiene – x è preferito a y che è preferito a z, ma z è preferito a x, mentre per la proprietà transitiva dovrebbe accadere il contrario – è descritto dal ciclo di Condorcet (x>y>z>x), un risultato che contraddice la coerenza dell’esito della votazione. L’esito pertanto dipenderà dall’agenda, cioè la decisione rifletterà l’ordine secondo il quale le mozioni sono poste in votazione. La ciclicità non si presenta quando le preferenze individuali, ordinate secondo uno stesso criterio, non propongono più di un massimo, cioè sono single peaked. Ciò si verifica nel caso in cui nessuno degli elettori abbia preferenze più alte per i valori “estremi” delle proposte così ordinate, cioè per valori “lontani” tra loro piuttosto che per valori “vicini”. Immaginando che le mozioni x, y e z possano indicare scelte esprimibili in termini anche solo di valori ordinali come ad esempio “molto”, “poco” e “niente”. Una preferenza single peaked deve escludere che “molto” e “niente” siano entrambi preferiti a “poco” la cui posizione nell’ordine è invece intermedia. Col voto a maggioranza che segue una procedura di votazione multipla - in altre parole tutte le mozioni vengono poste in votazione contemporaneamente - prevale la mozione che ottiene la maggioranza relativa, cioè quella che ha raccolto il maggior numero di voti. Occorre tuttavia osservare che - poiché si deve compiere una scelta fra più di due mozioni - la mozione vincente può anche raccogliere un numero di voti inferiore alla metà più uno dei votanti e quindi non essere rappresentativa della maggioranza delle preferenze. Ciò accade se, ad esempio, la mozione x ottiene il 40% dei voti, la mozione y ne ottiene il 35% e la mozione z ne ottiene il 25% passerà la mozione x non preferita dalla maggioranza. Il 60% degli elettori, infatti, non ha espresso tale preferenza. 13
Non si esclude che la maggioranza relativa possa coincidere con la maggioranza assoluta, ma – se le preferenze non si distribuiscono in modo che una o più mozioni siano irrilevanti - è poco probabile che ciò accada. E all’aumentare del numero di mozioni poste contemporaneamente a votazione si riduce la probabilità che la maggioranza relativa possa coincidere con la maggioranza assoluta. L’indicazione dell’intensità della preferenza fa sì che si distingua inoltre tra: a) la votazione che consente di valutare ed ordinare tutte le alternative assegnando un punteggio a ciascuna (conteggio di Borda) e b) la votazione che richiede l’indicazione di una sola preferenza. Si dimostra però che, in entrambi i casi, l’esito della votazione può risultare poco rispettoso delle intenzioni degli elettori. Con il conteggio di Borda - che presenta il vantaggio di conservare il contenuto informativo relativo a tutto l’ordinamento delle preferenze individuali invece di limitarsi alla “prima scelta” - si pone il problema di definire una scala di valutazione delle preferenze, necessariamente arbitraria, ed anche l’eventuale vincolo a dover ordinare strettamente tutte le mozioni escludendo cioè valutazioni d’indifferenza che indichino posizioni di parità. L’elettore strategico avrà comunque un incentivo ad assegnare i voti in modo che non solo sia favorita la mozione che preferisce in assoluto, ma anche in modo che siano ostacolate quelle altre mozioni che potrebbero raccogliere il maggior numero di consensi e quindi impedire il successo della mozione da lui preferita. Con l’indicazione della preferenza unica invece sono minori gli incentivi al comportamento strategico, ma è possibile che, ignorando l’ordine di preferenza, venga selezionata la scelta peggiore, indicata come un “perdente di Condorcet”, cioè una mozione che verrebbe eliminata in ogni confronto binario. È evidente che la scelta può ricadere su una mozione che, per non aver ottenuto la metà più uno dei consensi, non è gradita alla maggioranza degli elettori. La selezione dell’alternativa peggiore è, tuttavia, possibile anche votando con la regola dell’unanimità quando esistono più di due mozioni e si possono esprimere più di due posizioni. Supponiamo che tre elettori (A, B, C) possano esprimere tre posizioni (sì, no, non so) su due mozioni (x e y) mentre z rappresenta la situazione iniziale. Se tutti gli elettori preferiscono il cambiamento al mantenimento dello status quo, ma non si accordano sulla mozione da scegliere, finirà col prevalere lo status quo anche se si tratta dell’alternativa peggiore per ciascuno. Ad esempio, date le preferenze rispettivamente di: A: x>y>z B: x=y>z C: xz è immediato constatare che la mozione z non è preferita da nessuno, ma poiché – in assenza di maggiori dettagli sull’intensità delle preferenze – le mozioni x ed y risultano egualmente preferite, l’esito della votazione fa prevalere lo status quo e non è pertanto in grado di tradurre fedelmente le preferenze individuali in una preferenza collettiva. Questo risultato si differenzia dalla situazione di immobilismo precedentemente esposta a proposito della tirannia della minoranza. Ponendo in votazione due alternative, il mancato ottenimento dell’unanimità comporta che la minoranza riesca a far prevalere la propria scelta preferita tra le due, cioè lo status quo piuttosto che il cambiamento. In questo caso invece, con la scelta tra più di due mozioni, in mancanza di un’indicazione netta, può prevalere lo status quo anche se questo corrisponde ad una scelta che non è preferita da nessuno. 14
Ad esempio immaginiamo che le preferenze su tre mozioni (x,y,z) in una popolazione di 100 abitanti siano distribuite in quattro gruppi (A, B, C, D): 1) con la seguente consistenza numerica: A=18, B=22, C=27 e D=33 2) secondo quattro modalità (A, B, C e D) come segue: Ordine di preferenza A B C D migliore x x y z intermedia y z z y peggiore z y x x Esprimendo una sola preferenza vincerebbe la mozione x preferita dai gruppi A e B per un totale di 18+22=40 elettori, ma questa maggioranza relativa non corrisponde ad una maggioranza assoluta poiché il maggior numero di elettori (27+33=60) non concorda affatto con tale scelta, anzi la pone per ultima, ma la votazione con una sola preferenza non ne può tenere conto. Utilizzando il conteggio di Borda occorre stabilire il punteggio per ciascuna mozione. Se alla mozione preferita vengono attribuiti 3 punti, alla seconda 2 ed alla meno preferita 1, l’esito della votazione non vedrà emergere lo stesso risultato. Vincerà la mozione z che raccoglierà 18x1+22x2+27x2+33x3=215 voti contro i 18x2+22x1+27x3+33x2=205 voti della mozione y ed i 18x3+22x3+27x1+33x1=180 della mozione x. Consistenze numeriche diverse dei gruppi e/o punteggi diversi possono dar luogo alla scelta di ciascuna mozione, se opportunamente disegnate. Se ne conclude che, quando la scelta avviene fra più di due mozioni, sia la votazione binaria che la votazione multipla possono produrre esiti indeterminati o perversi in quanto può accadere che la procedura sia manipolabile, che non sia possibile raggiungere un equilibrio stabile o che prevalga la soluzione giudicata da tutti peggiore. Questo risultato è stato formalizzato dal Teorema di Gibbard-Satterthwaite4 col quale si dimostra che quando si deve scegliere tra più di due alternative non esiste alcuna procedura di voto che sia allo stesso tempo non manipolabile e non dittatoriale. Il teorema dell’elettore mediano afferma che, con un numero dispari di votanti, il voto maggioritario dipende dal voto dell’individuo che esprime la preferenza “mediana” quando tutti i votanti siano stati ordinati in base alle proprie preferenze riguardo a una mozione. Ad esempio su cinque elettori ordinati in base alla preferenza espressa su una maggiore o minore pressione fiscale, il terzo – aggiungendo la propria preferenza a quella degli altri due – esprime il voto decisivo, poiché con il suo voto è in grado di fare diventare maggioranza sia chi desidera una pressione fiscale inferiore che chi desidera una pressione fiscale superiore (i voti espressi alla sua destra o alla sua sinistra). La validità del teorema, che spiega la logica interna della decisione a maggioranza, si mantiene anche quando si consideri l’ordine delle preferenze dell’elettore purché questo si configuri con andamento a “picco singolo” (single-picked): monotonicamente crescente, oppure monotonicamente decrescente, oppure crescente fino ad un massimo e poi decrescente. In altre parole, si presume che le mozioni lievemente meno preferite siano più vicine alla mozione preferita delle mozioni avversate. Tornando all’esempio, si assume che chi esprime come prima scelta una pressione fiscale del 30% tenderà a preferire una pressione del 25% ad una al 20% ed una al 35% ad una al 40%, mentre chi preferisce una pressione fiscale minima o 4 Costruito indipendentemente dai due studiosi a partire dal Teorema dell’Impossibilità di Arrow (1951), qui viene omessa la sua laboriosa dimostrazione. 15
massima ordinerà le sue preferenze circa il livello dell’aliquota monotonicamente, cioè 20% >25%>30%>35%>40% nel primo caso, e viceversa nel secondo. Il teorema incontra difficoltà quando viene applicato non su una sola dimensione – la scelta sociale sulla pressione fiscale – ma su più dimensioni. L’elettore mediano potrebbe essere diverso di volta in volta per ciascuna dimensione, se tali dimensioni non fossero tra loro correlate. In tal caso la coerenza complessiva delle decisioni non potrebbe essere assicurata. Tuttavia, un carattere costitutivo delle piattaforme politiche con cui i partiti si presentano alle elezioni è quello di non essere unidimensionali, ma multidimensionali. Ed è giusto che sia così, perché i problemi del paese al cui governo i partiti si candidano rappresentano di norma un insieme multidimensionale. D. Ponderazione e maggioranza Un’ultima caratterizzazione del sistema di voto riguarda il criterio con cui viene assegnata l’eventuale ponderazione ai voti espressi. Occorre infatti decidere se ogni elettore debba avere pari peso, come nella regola di suffragio universale riassumibile nell’espressione “una testa, un voto”, oppure si debba applicare un criterio diverso, come nel caso in cui si vota per quote di proprietà, numero di azioni o simili, e in tal caso, con quale criterio assegnare i diversi pesi. Nell’Unione Europea coesistono diverse procedure decisionali che si distinguono anche per i diversi sistemi di voto adottati dalle istituzioni comuni: il Parlamento Europeo delibera in genere a maggioranza con il principio di “una testa, un voto” mentre in Consiglio oltre che all’unanimità, si vota a maggioranza semplice o, più spesso, a maggioranza qualificata. In questo caso, per consentire una più equa rappresentanza ai cittadini, si applica una ponderazione dei voti che riflette la dimensione della popolazione nazionale. La legislazione comune quindi passa al vaglio sia del Parlamento, nel quale viene eletto un numero di rappresentanti proporzionale al numero degli abitanti di ciascun paese, che del Consiglio nel quale, per le votazioni a maggioranza qualificata, si applica una ponderazione dei voti calibrata in base alla popolazione nazionale che ciascun ministro rappresenta. In seno alla Commissione, alla Corte di Giustizia e negli altri organismi istituzionali si vota in genere con la regola della maggioranza, che viene ritenuta una regola di votazione caratteristica degli organi sovranazionali. Tuttavia, è la loro stessa composizione che negli organi rappresentativi – nel Parlamento, nel Comitato Economico e Sociale o nel Comitato delle Regioni – l’elemento che rispecchia un criterio di proporzionalità con la popolazione nazionale. Si prescinde completamente invece da tale criterio per la Corte di Giustizia e per la Corte dei Conti. Sarebbe però sbagliato ritenere che una “giusta” rappresentanza – cioè una rappresentanza che assegni ad ogni elettore le stesse possibilità di vedere rispettate le proprie preferenze – richieda una ponderazione dei voti strettamente proporzionale alle dimensioni della popolazione. Con l’attuale ponderazione dei voti nel Consiglio un voto corrisponde a quasi 3 milioni di elettori in Germania e a meno di 150000 a Malta.5 La ragione di questa allocazione dei voti sta nel cercare di conferire lo stesso potere di voto ai 5 Ricordiamo che il paese più popoloso, la Germania, con oltre 80 milioni di abitanti dispone di 29 voti, così come la Francia, l’Italia e il Regno Unito, la cui popolazione si aggira attorno ai 60 milioni di abitanti. All’altro estremo, il paese che dispone di meno voti, Malta, ha una popolazione che non raggiunge il mezzo milione di abitanti. Il gruppo di paesi che dispone di 4 voti comprende sia il Lussemburgo, che oggi conta poco più di mezzo milione di abitanti, che la Slovenia che la Lettonia con oltre 2 milioni ciascuna. 16
cittadini che nella votazione sono rappresentati dai propri Ministri, indipendentemente dalla dimensione del paese di appartenenza. Un’allocazione strettamente proporzionale, invece, darebbe un potere di voto maggiore ai cittadini dei paesi più grandi. La regola di Penrose (1946) consiste nell’allocare ai rappresentanti un numero di voti pari alla radice quadrata della consistenza demografica della popolazione rappresentata. Con la regola della maggioranza qualificata, i voti ponderati vengono espressi sempre congiuntamente, in modo da rappresentare la posizione e il “peso” del paese come un’unica entità, diversamente da quanto accade in Parlamento, dove il numero dei deputati è proporzionale al peso demografico del paese, ma ciascuno è libero di esprimere il proprio voto individualmente. Con un sistema di ponderazione dei voti, ciascun paese esprime un voto che equivale ad una coalizione prefissata di numerosità corrispondente alla ponderazione che gli è stata assegnata. In Parlamento, dunque, ogni paese elegge un certo numero di rappresentanti, ai quali in proporzione corrisponde un numero di voti “nazionali” anche se, come è stato detto, i parlamentari europei aderiscono a gruppi trans-nazionali e dunque di norma votano in relazione, non al paese, ma al gruppo parlamentare di appartenenza. In Consiglio, invece, ogni paese dispone di un solo voto, che nelle votazioni a maggioranza qualificata assume però un “peso” proporzionale alla popolazione nazionale di riferimento. Questo diverso metodo di votazione in seno al Consiglio spiega perché, in seguito all’unificazione tedesca che ha avuto per conseguenza un aumento di circa un quinto della popolazione della Germania, sia stato adeguato il numero di parlamentari europei integrandolo con gli eletti dai Laender dell’Est, mentre la ponderazione dei voti in Consiglio, dove il paese viene rappresentato unitariamente, non è stata aggiornata. Con il sistema di ponderazione dei voti, i circa 82 milioni di tedeschi dispongono di 29 voti, mentre la somma di poco più di 60 milioni di italiani e di 20 milioni di rumeni, che raggiunge una consistenza numerica simile, dispone rispettivamente di 29 e 14 voti, pari a un totale di 43 voti. Un numero notevolmente superiore a quanto assegnato alla Germania. Come vedremo, l’attribuzione di questa ponderazione, che a prima vista appare sbilanciata, è avvenuta proprio in considerazione del fatto che il voto nazionale non può essere frazionato, mentre non c’è ragione di ritenere che l’Italia e la Romania del nostro esempio votino sempre allo stesso modo. Il Trattato di Lisbona ha cambiato il modo in cui, a partire dal 1° novembre 2014, si costruisce la maggioranza qualificata. Fino al 31 ottobre 2014 sono restate in vigore le ponderazioni già viste ed occorrevano 260 voti espressi dalla maggioranza dei paesi (cioè 15 su 28) sui 352 totali se la proposta era stata avanzata dalla Commissione, mentre negli altri casi, i 260 voti dovevano essere espressi dai due terzi dei paesi e si sarebbe potuto chiedere di verificare che i 260 voti fossero espressi dai rappresentanti dei paesi che insieme costituivano il 62% della popolazione totale dell’Unione. Dal 1 novembre 2014 la ponderazione dei voti fu sostituita da una maggioranza del 55% dei membri del Consiglio, la popolazione dei quali, sommata, deve essere pari ad almeno il 65% della popolazione dell’UE. La minoranza di blocco quindi comprende almeno quattro membri del Consiglio che rappresentino almeno il 35% della popolazione dell’UE. Box - Il Teorema di Impossibilità di Arrow Arrow ha proposto un modello assiomatico con il quale si dimostra che, se esistono almeno tre opzioni e un numero finito di elettori, risulta impossibile la determinazione formale di 17
una scelta sociale che rispetti al contempo sia la razionalità individuale che alcuni principi etici che dovrebbero essere universalmente accettabili. Gli assiomi su cui si fonda quella che viene comunemente definita l’“impossibilità arrowiana” della scelta sociale sono i seguenti: 1. Assenza del dittatore (ND). Per nessun individuo le preferenze individuali possono divenire automaticamente preferenze sociali senza considerare le preferenze espresse dagli altri individui. Nessun individuo può far prevalere la propria preferenza, e farla diventare la scelta della società se tutti gli altri votanti esprimono la preferenza opposta. È una regola di scelta sociale condivisibile, che consegue all’adozione del principio democratico. Nessuno dovrebbe essere nella condizione di imporre a tutti gli altri il proprio ordine di preferenza. 2. Principio paretiano (PP). Se ogni individuo preferisce l’opzione x all’opzione y (xPy) lo stesso ordine di preferenza deve valere anche per la società. Unanimità: se una preferenza individuale fra due alternative non è contrastata dalla preferenza contraria di nessun altro individuo, questa scelta diviene la scelta della società. Monotonicità: se un’alternativa guadagna posizioni rispetto a un’altra nelle preferenze individuali e non ne perde, deve guadagnare posizioni anche nella preferenza sociale. È una regola di scelta sociale conseguente alla preminenza che la società liberale accorda all’individuo (principio di individualismo). 3. Razionalità collettiva (RC). L’ordinamento delle preferenze sociali deve rispettare gli stessi principi di razionalità cui obbediva l’ordinamento delle preferenze individuali. Una scelta sociale che garantisca razionalità e coerenza fra le preferenze di tutti richiede che l’ordine di preferenza sia completo: tra due alternative sarà possibile solo che xPy oppure yPx oppure xIy; e che rispetti il principio di transitività: se xPy e yPz deve essere anche xPz così come se xIy e yIz deve essere anche xIz. Questo criterio deve essere rispettato sia a livello individuale che collettivo. 4. Dominio universale (DU). La scelta sociale deve essere ottenibile da una qualsiasi combinazione delle preferenze individuali e senza esclusioni. Nessuna restrizione deve limitare l’ambito delle scelte entro il quale esprimere la preferenza. Poiché qualsiasi ordine di preferenza deve essere ammesso, ogni opzione deve essere valutata rispetto a ciascuna altra. 5. Indipendenza dalle alternative irrilevanti (IAI). La scelta sociale deve dipendere solo dalle preferenze individuali sulle alternative esistenti. Se una di queste diviene impossibile l’ordine di preferenza sociale relativo alle alternative rimanenti non deve cambiare. In altre parole, la preferenza della società per una o l’altra opzione deve dipendere unicamente dalla preferenza espressa dagli individui su tali opzioni e non anche da opzioni che non sono in discussione. La scelta tra ogni coppia di alternative deve dipendere solo dalle preferenze su quelle due alternative e non dalle preferenze espresse sulle altre. Se x è preferito a y ed y è preferito a z, per transitività x deve essere preferito a z; se viene a mancare y non può accadere che z sia preferito a x. Il teorema dell’impossibilità di Arrow dimostra che non esiste la possibilità che una scelta sociale soddisfi contemporaneamente le cinque condizioni. Ne può soddisfare quattro se esiste il dittatore. Supponiamo che esistano due individui (A e B), tre opzioni (x, y e z) e che le preferenze di ciascuno di loro siano: A xPy e yPz B yPx e yPz 18
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