Capitolo 1. L'aggregazione delle preferenze

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Capitolo 1. L'aggregazione delle preferenze
Capitolo 1. L’aggregazione delle preferenze

Azione collettiva ed aggregazione delle preferenze sono due campi, tra loro strettamente
interconnessi, di applicazione del metodo economico allo studio della sfera politica al fine
di analizzare i tratti salienti della produzione di quei beni pubblici1 – quali sono tutti i
provvedimenti legislativi, le convenzioni, le regole, le istituzioni – che, affiancando la
produzione di beni privati, permette il corretto funzionamento del mercato.
       Nelle parole del premio Nobel 1972 per l’Economia Ken Arrow (1951): “In una
democrazia capitalista esistono essenzialmente due metodi attraverso i quali si possono
compiere le scelte sociali: la votazione, di tipicamente utilizzata nel caso di decisioni
"politiche", e il meccanismo di mercato, tipicamente utilizzato nel caso di decisioni
"economiche" In Gran Bretagna, Francia e Scandinavia entrambi questi modi di scelta
sociale prevalgono anche se viene dato più spazio alle votazioni e alle decisioni basate
direttamente o indirettamente su questo metodo e meno alla regola del coordinamento
attraverso il meccanismo dei prezzi.”
       Il coordinamento dell’azione collettiva verrebbe garantito dal contenuto informativo
della votazione, cui viene attribuito un ruolo analogo a quello svolto dal sistema dei prezzi.

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  Le caratteristiche che contraddistinguono i beni pubblici sono la non-escludibilità e la non-rivalità nel consumo. La
prima indica che è tecnicamente impossibile (o molto costoso) escludere dalla fruizione di un bene o di un servizio chi
non lo paga, in la seconda rileva che il consumo del bene da parte di un soggetto non impedisce il consumo dello stesso
bene da parte di un altro. Il tipico esempio è il faro: è impossibile impedire alle navi che non lo hanno pagato di fruire
della luce che illumina la notte, e il fatto che una nave fruisca della luce del faro non impedisce a nessun’altra nave di
fruire della stessa luce nello stesso momento.
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Capitolo 1. L'aggregazione delle preferenze
Gli strumenti analitici propri della teoria economica sarebbero dunque in questo senso
applicabili anche al di fuori dell’ambito delle scelte individuali dirette alla soddisfazione
dell’utilità personale attraverso l’acquisizione di beni privati, la cui produzione e
distribuzione viene assicurata dal coordinamento delle decisioni individuali offerto dai
meccanismi del mercato.
        L’eventualità che l’interesse collettivo possa essere in contrasto con l’interesse
individuale rappresenta la motivazione principale della produzione pubblica e comporta
l’impossibilità che alcuni bisogni possano essere pienamente soddisfatti dal mercato.
        La teoria delle scelte sociali studia il modo in cui dall’aggregazione delle preferenze
individuali è possibile giungere alla formulazione di decisioni collettive che siano in grado
di conservare il contenuto informativo di ciascuna preferenza individuale e di tradurlo in
preferenza comune rispettandone le caratteristiche.
        La preferenza comune nelle scelte sociali, che riguardano i diversi livelli ai quali si
compie la scelta, viene formulata attraverso l’espressione individuale del voto.
        Il parallelismo tra le scelte individuali effettuate attraverso il mercato e le scelte
collettive effettuate attraverso l’espressione del voto è stato proposto dalla teoria economica
della democrazia, secondo la quale anche per gli elettori, come per i consumatori, si pone
l’obiettivo di massimizzare la propria utilità. Per gli elettori ciò avviene attraverso il voto, in
analogia a quanto accade tramite il sistema dei prezzi per i consumatori che, noti i vincoli e
gli obiettivi, si trovano a dover risolvere un problema di ottimizzazione.
        Anche nel caso delle scelte sociali si postula il comportamento ottimizzante di
soggetti razionali2 ed auto-interessati che si avvalgono dei sistemi di voto per conseguire
obiettivi comuni che hanno la caratteristica di beni pubblici, siano questi una scelta
costituzionale, come il contratto sociale stipulato tra tutti gli individui che fanno parte di una
data collettività, una scelta collettiva, come l’individuazione di politiche comuni sulla cui
formulazione deve essere raggiunto il consenso, oppure una scelta corrente, come sono gli
strumenti necessari alla realizzazione degli obiettivi delle politiche stesse.
        Occorre forse sottolineare che l’analogia proposta, che conduce al tentativo di
spiegare le votazioni con il comportamento razionale ed auto-interessato tipico dell’analisi
economica, non è completamente convincente, dato che, a differenza della moneta - con la
quale vengono espresse di norma le preferenze sui consumi - i voti non si conservano né si
accumulano e la volontarietà dello scambio sul mercato, che assicura un incremento di
utilità per entrambe le parti, ha una valenza diversa dalla volontarietà dell’espressione del
voto, allo stesso tempo considerato sia un diritto che un dovere.
        Inoltre, nell’aggregare le preferenze attraverso il meccanismo di mercato, il problema
del free-riding - che consiste in un comportamento teso a cercare di ottenere benefici da una
certa azione senza doverne sostenere i costi - impedisce l’ottimizzazione nella produzione di
beni pubblici. Tale problema, che ha la conseguenza di una produzione di beni pubblici
insufficiente rispetto alla domanda espressa dai cittadini, si incontra anche nell’esercizio del
voto dovesi confrontano costi certi – in termini di tempo necessario ad informarsi, recarsi
alle urne etc. – contro di benefici incerti – conseguibili solo in caso di successo nell’esito
della votazione e spesso ottenibili anche senza dover necessariamente incorrere nei costi ad
essi connessi. Un comportamento ottimizzante, in tal caso, consiste nell’evitare di sostenere

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 Un soggetto viene definito razionale se è in grado di ordinare tutte le proprie preferenze in modo completo e transitivo.
Completo: tutte le opzioni possono essere ordinate in base alla preferenza che può essere maggiore, minore o eguale.
Transitivo: se un’opzione è preferita ad un’altra che è preferita ad una terza, la prima deve essere preferita alla terza.
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i costi connessi all’espressione del proprio voto fidando nella partecipazione degli altri
elettori e beneficiare dell’eventuale successo della propria parte senza averlo determinato.
1.1. I sistemi di voto
La teoria delle votazioni mette a confronto i diversi metodi di espressione del voto che
possono essere utilizzati da una collettività al fine di pervenire alla formulazione delle scelte
sociali, e li valuta in base alla presenza di alcune caratteristiche desiderabili. Queste
includono la giusta rappresentatività del corpo elettorale, la fedeltà nell’interpretazione delle
preferenze individuali originarie, l’impossibilità di manipolazione delle intenzioni degli
elettori, il disincentivo al voto strategico, cioè al voto che anziché riflettere le autentiche
preferenze dell’elettore, ha l’obiettivo di aumentare indirettamente la possibilità di successo
della mozione o del candidato preferito ricorrendo ad espressioni di voto insincere.
        Il “vincitore di Condorcet” corrisponde al candidato, o alla proposta, che è in grado
di battere ciascun altro in un confronto a due a due (pairwise). Se le opzioni votabili sono
solo due, gli elettori sono in numero dispari, ciascuno può esprimere soltanto un voto a
favore o contro, il vincitore di Condorcet coincide con la scelta della maggioranza, ma se
vengono proposte più di due opzioni potrebbe non esistere o anche non emergere, anche a
causa delle regole di voto che sono state prefissate.
        Un sistema di voto ideale (McLean, 1987) deve essere in grado di:
        1) rispettare le preferenze che ogni elettore esprime, tenendo conto anche dell’ordine
e dell’intensità delle preferenze;
        2) far emergere il “vincitore di Condorcet” quando ne esiste uno
        3) minimizzare gli incentivi a ricorrere al voto strategico.
        Il meccanismo attraverso il quale si esprime il voto e si giunge alla scelta sociale
viene definito dall’insieme di tutte quelle disposizioni che regolano il procedimento con cui
alla fine verrà selezionata la decisione vincente. Queste sono:
        A) la collettività degli aventi diritto, cioè chi sono gli elettori: gli individui o i loro
rappresentanti,
        B) la regola di voto, in altre parole se per passare una mozione si richiede l’unanimità
o la maggioranza,
        C) la procedura da seguire per il confronto tra le mozioni, che può avvenire con
votazione binaria o multipla,
        D) la ponderazione dei voti a disposizione di ciascuno degli aventi diritto, cioè se si
attribuiscono pesi uguali, seguendo il principio di “una testa un voto”, oppure pesi diversi,
in relazione a qualche caratteristica particolare della votazione.
        Da come vengono fissate queste disposizioni discende un’ampia varietà dei sistemi di
voto e gli esiti stessi del voto possono essere, almeno in parte, a loro volta determinati dalla
scelta delle regole che presiedono al sistema di voto.
        Nell’ambito delle scelte collettive non esiste infatti un metodo di aggregazione delle
preferenze individuali che in modo univoco possa essere considerato preferibile agli altri, e
che possa essere valutato imparzialmente e senza incertezze secondo le usuali categorie di
equità e di efficienza, in analogia a quanto accade per le scelte individuali nell’ambito della
teoria del consumatore. I diversi sistemi di votazione finiscono invece col rispondere ad
istanze diverse, per cui la ricerca del sistema di voto “più appropriato” fa sì che, nel metodo
di aggregazione delle preferenze, permanga sempre un certa misura dell’arbitrarietà di un
procedimento circolare in base al quale la scelta determina ed è a sua volta determinata dal
sistema di voto.

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Esistono dunque problemi di scelta anche tra i diversi sistemi di voto.
        Date le preferenze individuali, i diversi metodi di aggregazione possono condurre ad
esiti diversi, e non è, purtroppo, possibile prescindere dall’arbitrarietà della scelta tra metodi
di voto le cui caratteristiche presentano vantaggi e svantaggi difficilmente riassumibili in
una valutazione oggettiva e quindi non sono coerentemente ordinabili tra loro. Ci sono però
criteri in base ai quali un sistema di voto viene ritenuto più adatto in certe situazioni
piuttosto che in altre.
  A. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa
Proprio per questa ragione è utile esaminare i diversi sistemi di voto partendo dall’oggetto
della votazione e dal tipo di scelta. Occorre infatti distinguere tra le votazioni che hanno per
oggetto la soluzione di un problema e le votazioni finalizzate ad eleggere rappresentanti cui
viene poi assegnato il compito di risolvere il problema. Nel primo caso, quando è la stessa
collettività degli aventi diritto ad esprimersi direttamente prendendo posizione sul contenuto
di una decisione, si tratta di democrazia diretta. Nel secondo caso, quando la soluzione del
problema viene demandata alle decisioni che verranno prese dagli eletti, si parla di
democrazia rappresentativa.
        Non possiamo dire che una scelta effettuata attraverso una votazione diretta sui
contenuti possa essere ritenuta in qualche modo superiore – più giusta o più efficiente –
rispetto ad una scelta effettuata indirettamente ricorrendo all’elezione dei rappresentanti, o
al contrario ad essa inferiore. In generale, la complessità dei problemi consiglia la delega
dell’attività decisionale ai rappresentanti eletti, mentre solo eccezionalmente, in un sistema
democratico contemporaneo, le decisioni vengono sottoposte a votazione diretta.
        Tuttavia, questa distinzione rileva ai fini di strutturare il sistema di voto e per
verificarne la rappresentatività. Nelle scelte effettuate attraverso votazioni indirette occorre,
infatti, evitare che l’esito della votazione da parte dei rappresentanti eletti contrasti con le
preferenze individuali, mentre invece esistono numerose occasioni in cui si può verificare
una traduzione infedele delle preferenze individuali in preferenza collettiva.
        La teoria delle votazioni distingue analiticamente tra democrazia diretta, nella quale
l’oggetto di scelta è una mozione, e democrazia rappresentativa, nella quale viene eletto un
agente con il compito di partecipare a votazioni dirette per conto dei suoi elettori, perché nel
secondo caso ai problemi inerenti le modalità di espressione del voto si aggiungono quelli
dovuti alla rappresentanza.
        Il tipo di scelta collettiva oggetto della votazione è spesso determinante nella scelta
tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Per le scelte di particolare importanza,
anche se delegate ordinariamente alla decisione dei rappresentanti, spesso viene prevista
l’eventualità che possano essere confermate da una votazione diretta, ad esempio, attraverso
un referendum. I referendum confermativi hanno lo scopo di assicurare che le decisioni
assunte dai rappresentanti in nome degli elettori possano essere da questi sconfessate nel
caso in cui la loro volontà sia stata male interpretata e la rappresentatività male impostata. È
pertanto potuto accadere che in Norvegia il referendum non abbia confermato l’adesione
all’Unione Europea decisa per il 1995, e che, più recentemente, l’esito dei referendum sulla
Costituzione europea abbia respinto quanto le delegazioni nazionali avevano approvato.
        Le scelte costituzionali relative all’Unione Europea, che implicano un trasferimento
di sovranità nazionale agli organismi comunitari, devono essere ratificate dal Parlamento in
tutti i paesi, ma per alcuni di essi è necessario che vengano sottoposte a referendum. Ciò
accade ad esempio in Irlanda, dove finora sono sempre state confermate le scelte dei propri
rappresentanti. In altri casi il problema dell’opportunità di sottoporre al voto diretto le scelte
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costituzionali europee è stato sollevato, ma la consultazione è stata indetta eccezionalmente
e, come è accaduto in Francia per la Costituzione, il voto dei rappresentanti francesi è stato
sconfessato.
        A sottolineare la mancanza di superiorità di un sistema sull’altro, si può riflettere sul
fatto che, in caso di contrasto, non è nemmeno certo che l’esito della votazione diretta debba
comunque prevalere sull’esito della votazione indiretta. Ad esempio si può ricordare che in
Danimarca il primo referendum sul TUE non confermò la scelta di adozione del Trattato
effettuata con la votazione indiretta, tuttavia, la decisione assunta dai rappresentanti non fu
annullata, ma fu indetto un secondo referendum che proponeva una diversa formulazione
del quesito.
  B. Regola di voto: unanimità o maggioranza con due mozioni
Il premio Nobel 1986 per l’economia James Buchanan (1987) afferma che “La regola
dell'unanimità per una scelta collettiva costituisce l'analogo politico del libero scambio di
beni sul mercato” ed è dunque il punto di riferimento rispetto al quale vengono valutate le
altre regole di voto. Ciò non significa che la regola di voto all’unanimità sia esente da
difetti, ma viene considerata “ideale” per analogia con l’efficienza dello scambio nelle
decisioni economiche, in quanto in entrambi i casi si presuppone la volontarietà della
contrattazione.
        Il principio dell’unanimità è una condizione necessaria per intraprendere un’azione
collettiva in cui si impone che venga rispettato il criterio Paretiano, come nell’economia del
benessere. Questo può essere inteso in senso debole, quando tutti gli elettori si esprimono a
favore di una mozione poiché ciascuno ritiene che la propria situazione migliori in seguito
alla sua approvazione, che quindi passa all’unanimità, oppure in senso forte, quando almeno
un elettore è favorevole alla mozione, mentre nessuno è contrario, e l’approvazione avviene
a maggioranza (relativa): con un unico voto favorevole e tutti gli altri astenuti.
        Le decisioni collettive che possono ottenere il voto unanime sono quelle che portano
all’insieme di Pareto (dal punto P verso l’interno dell’area delimitata dalle due curve di
indifferenza più esterne per entrambi gli individui A e B) e vanno in direzione dell’ottimo
paretiano, per raggiungere il quale può essere necessario ricorrere a compensazioni.

        Lo spazio dell’unanimità
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                                                       R
                                                                      Q
                                                    SV

                                                      T
                                                                          P

    A     x

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Nella figura, che riproduce una “scatola di Edgeworth”, il punto P rappresenta il modo in
cui la quantità totale del bene x, misurata sull’asse delle ascisse, e del bene y, misurata
sull’asse delle ordinate, sono ripartite tra i due individui: A, per il quale l’origine degli assi
si trova nell’angolo in basso a sinistra, e B, per il quale l’origine degli assi si trova
nell’angolo in alto a destra. Entrambi gli individui saranno favorevoli ad una nuova
ripartizione dei due beni che li faccia raggiungere una curva di indifferenza più esterna, cioè
una ripartizione rappresentata da un punto che si trovi entro l’area delimitata dalla curve di
indifferenza (core) sulle quali si trova il punto di partenza P (status quo), e voteranno
all’unanimità per spostarsi dal punto P verso uno di questi punti, ad esempio R o S, che
appartengono a curve di indifferenza più esterne per entrambi. Non potrà raggiungere
l’unanimità, invece, uno scambio esterno a quest’area, che porti ad esempio alla ripartizione
rappresentata dal punto Q che penalizza B, oppure a quella rappresentata dal punto T, che
penalizza A. Si noti però che, mentre sia il punto R che il punto S possono ottenere
l’unanimità poiché entrambi questi punti sono giudicati da entrambi gli individui superiori
al punto P, l’uno (R) è più favorevole all’individuo A mentre l’altro (S) rappresenta una
divisione dei beni x e y giudicata migliore per l’individuo B.
        L’unanimità potrebbe non essere raggiunta se ciascun individuo aspettasse che
venisse posta in votazione la ripartizione a sé più favorevole e votasse contro ogni altra,
benché ritenuta preferibile allo status quo. Se ne deduce che la sequenza in cui le mozioni
vengono poste in votazione è cruciale per l’esito della votazione stessa in presenza di voto
strategico.
        Seguendo la nuova economia del benessere, si ritiene che le decisioni collettive siano
legittimate dal semplice requisito di potenzialità della compensazione, anche in assenza di
una compensazione effettiva. È quindi possibile ottenere l’unanimità in tutti i casi in cui per
la collettività la somma dei benefici è superiore alla somma dei costi, cosicché coloro che
verrebbero danneggiati dalla scelta comune possono reclamare un indennizzo attraverso
pagamenti compensativi (side-payments) e la situazione finale può essere valutata ancora
positivamente da almeno un elettore.
        Il principio dell’unanimità può essere più o meno stringente in relazione al ruolo
svolto dalle astensioni. Se viene richiesta l’unanimità piena, le astensioni valgono come un
voto contrario e ciò corrisponde al criterio paretiano debole: tutti esprimono voto favorevole
perché ciascuno viene beneficiato dalla scelta. Se invece valgono come voto favorevole si
ha la corrispondenza con il criterio paretiano forte: la scelta effettuata beneficia almeno
qualcuno e non danneggia nessuno.
        La regola dell’unanimità - secondo Kant la sola regola che può imporre la volontà
comune poiché nulla può essere fatto a un uomo senza il suo consenso - viene richiesta per
le scelte sociali per le quali è necessario il più ampio consenso, quando c’è molta incertezza
tra i partecipanti sulle preferenze del gruppo e dunque sull’esito del voto.
        Con questa regola si salvaguardano gli elettori dall’eventualità di essere soggetti a
decisioni che non condividono, dal momento che ciascun elettore può opporre un veto a
qualsiasi decisione collettiva dalla quale ritenga di poter essere danneggiato, e in tal modo
può bloccarla. L’esercizio del potere di veto, tuttavia, nell’impedire l’approvazione della
mozione indesiderata, comporta la vigenza dello status quo ancorché sgradito, e dunque il
prevalere dell’immobilismo.
        La mancata approvazione di una mozione, a causa del veto opposto da almeno un
elettore, viene indicata come tirannia della minoranza, in quanto il prevalere dello status
quo, in assenza di un accordo unanime, corrisponde di fatto al sostegno della situazione
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esistente, che può essere preferita anche da un solo elettore, rispetto all’approvazione della
mozione alternativa, che potrebbe essere preferita da tutti meno uno.
        La regola dell’unanimità inoltre non consente di raggiungere una soluzione nei
problemi puramente redistributivi, cioè nei giochi a somma zero. Una vasta categoria di
decisioni collettive resta pertanto al di fuori del dominio di applicazione di questa regola,
che non è dunque in grado di ordinare un ampio numero di scelte che, modificando soltanto
la distribuzione, non sono ordinabili seguendo un criterio Paretiano.
        La regola dell’unanimità era prescritta dal Trattato di Roma per le decisioni del
Consiglio dei Ministri durante il periodo di avvio della CEE ed è tuttora necessaria per ogni
trasferimento di sovranità all’UE, per iniziare le nuove procedure, per l’adesione di nuovi
paesi, per alcune materie ritenute più “sensibili” ed in generale quando nel corso del
processo decisionale si incontra il parere contrario di un’altra istituzione. Il Trattato di
Roma stabiliva che il passaggio da una fase all’altra del periodo transitorio dovesse essere
votato all’unanimità. Tuttavia, per evitare di cadere nell’uso della tirannia della minoranza,
specificava anche le procedure da seguire nel caso in cui l’unanimità non potesse essere
raggiunta a causa dell’inadempienza di qualche paese. Inoltre, si prevedeva che il voto
dovesse attenersi alla regola dell’unanimità nella procedura da seguire per modificare gli
articoli del Trattato, mentre per alcune decisioni del Consiglio, ad esempio in merito agli
adeguamenti delle barriere tariffarie, occorreva soltanto la maggioranza qualificata.
        Si deve al Compromesso del Lussemburgo del 1966 la rinuncia volontaria alle
votazioni a maggioranza qualificata e la ricerca dell’unanimità proseguendo la discussione
ad oltranza. A tale accordo è stata attribuita l’incapacità, per un lungo periodo, dell’apparato
legislativo comunitario di effettuare le scelte più importanti e la difficoltà con la quale
veniva gestita la routine fino quasi alla paralisi. L’impossibilità di prendere una decisione
era naturalmente accresciuta dagli inconvenienti che la ricerca dell’unanimità comporta
quando, nel corso dei negoziati, l’accordo finale viene raggiunto attraverso una successione
mozioni la cui approvazione, essendo dipendente dall’ordine in cui vengono presentate le
proposte, è soggetta alla manipolazione dell’agenda e dunque non assicura in linea di
principio né il conseguimento di un compromesso “equilibrato” fra le parti, né la coerenza
delle decisioni. Spesso è stato osservato che l’esito della votazione suggellava un
compromesso in cui elementi come la resistenza fisica e la capacità comunicativa dei
negoziatori facevano premio sulle ragioni oggettive alla base di un equilibrio complessivo
del risultato.
        Se l’unanimità è l’unico modo di aggregazione delle preferenze compatibile con
l’esigenza della massima adesione al contratto sociale, per le scelte non costituzionali (post-
costituzionali) si ricorre alla regola di maggioranza che, essendo meno richiedente in
termini di assoluta assenza di voti contrari (preferenze negative), presenta il vantaggio di
una maggiore “efficienza” nella capacità di conseguire di un risultato.
        La regola della maggioranza è un modo di coordinare le preferenze individuali
alternativo alla regola dell’unanimità: è sufficiente che la maggior parte degli elettori
preferisca una mozione all’altra perché quella preferita venga approvata. Questo metodo di
aggregazione delle preferenze supera sia il problema della tendenza all’immobilismo, che
quello della tirannia della minoranza, ma al prezzo di una minore fedeltà alle vere intenzioni
della collettività.
        Poiché per approvare una scelta con la regola della maggioranza non è necessario il
parere favorevole di tutti gli aventi diritto, l’esito della votazione non corrisponde all’ottimo
paretiano. In tal caso si fa riferimento alla tirannia della maggioranza che, imponendo a tutti
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la propria scelta – coercitiva rispetto alla volontà degli individui dissenzienti – costituisce
un difetto non trascurabile. Tuttavia, è stato dimostrato che, se si vota a maggioranza una
scelta tra due sole alternative, questa regola di voto ha il pregio di essere sempre in grado di
produrre un risultato in grado di soddisfare criteri molto importanti.
        Il teorema di May (1952) dimostra che la maggioranza assoluta fra due alternative è
l’unica regola di voto che allo stesso tempo soddisfa quattro requisiti desiderabili per una
scelta democratica:
        1) dominio universale: tutte le opzioni sono ammissibili, pertanto non esiste alcuna
limitazione a priori sulle preferenze dei singoli, avendo definito tutte le possibili
combinazioni in cui possono manifestarsi le preferenze individuali, si deve compiere la
valutazione di ciascuna di esse;
        2) anonimato: deve essere assicurato lo stesso trattamento alle preferenze di ciascuno,
indipendentemente da chi le esprime;
        3) neutralità: qualsiasi esito deve godere dello stesso trattamento, in modo che le
preferenze positive concorrano al consenso allo stesso modo in cui le preferenze negative
concorrono al dissenso;
        4) principio di corrispondenza positiva: l’esito della votazione deve essere sensibile
ad una variazione delle preferenze individuali.
        Esistono diverse accezioni per definire la regola di maggioranza. Esse riflettono il
trade-off tra il conseguimento del massimo consenso ed il superamento dell’immobilismo,
con il vincolo di evitare di assumere decisioni contraddittorie.
        Introducendo il concetto di “maggioranza ottima” Buchanan e Tullock (1962)
contrappongono i costi in termini di coercizione della volontà degli individui dissenzienti ai
costi in termini del tempo necessario a raccogliere il consenso. Entrambi questi costi sono
funzione del numero dei consenzienti, ma le relazioni hanno segno opposto. Nel primo caso
si tratta di una funzione decrescente: all’aumentare del numero degli individui consenzienti
il costo del dissenso diminuisce, mentre nel secondo caso si tratta di una funzione crescente:
il costo aumenta all’aumentare del tempo necessario a convincere gli individui dissenzienti
a cambiare idea.

       La maggioranza ottima e il costo del dissenso
    costi
                        A
                                     AA’+BB’                                        B’

                                                                                     A’
                      B

        0                                              Q%                                     100%
                                                        Numero degli individui consenzienti

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La figura mostra la maggioranza ottima nel punto C nel quale si realizza la minimizzazione
della somma di costi rappresentati dalle due curve AA’ e BB’ e l’uguaglianza tra:
1) il costo della coercizione della volontà degli individui dissenzienti, rappresentato dalla
curva AA’: all’aumentare del numero dei consenzienti diminuisce il numero dei dissenzienti
e quindi anche il costo del dissenso; e
2) il costo, in termini di tempo e risorse, necessario ad ampliare il consenso rappresentato
dalla curva BB’: far cambiare opinione ai dissenzienti sarà più facile, e cioè meno costoso,
per coloro che si oppongono “tiepidamente” piuttosto che per gli “irriducibili”.
Occorre dunque minimizzare la somma di entrambi i costi, che nella figura, in cui 100%
corrisponde all’unanimità, Q% corrisponde alla maggioranza richiesta.
       Nella scelta della regola di voto tra unanimità e maggioranza è bene riflettere sul
fatto che “sotto un velo di ignoranza”, in altre parole, non sapendo su quali questioni si sarà
chiamati a votare, alla regola della maggioranza corrisponde una probabilità minore di
trovarsi dissenzienti e vedere la propria volontà non rispettata, rispetto a quanto assicura la
regola dell’unanimità. Se tre individui (A, B e C) votano per approvare una mozione e non
possono astenersi, essi hanno un’eguale probabilità di ½ di essere favorevoli o contrari.
       Con la regola dell’unanimità, se A sarà consenziente e voterà a favore non otterrà
l’adozione della mozione se l’urna conterrà almeno un voto contrario di B, o di C oppure sia
di B che di C. Esisteranno dunque tre casi di dissenso che impediranno l’adozione della
mozione sostenuta da A. Basterà invece che A sia contrario perché la mozione non passi.
Supponendo che, in assenza di informazioni sulla mozione, A abbia la stessa probabilità di
essere favorevole o contrario, la probabilità di dissenso sarà 0,5x3 se è favorevole e 0,5x0 se
è contrario, quindi la somma delle probabilità di dissenso è pari a 3/2.
       Con la regola della maggioranza, se A sarà consenziente e voterà a favore la mozione
passerà se troverà almeno un “alleato”. Quindi la mozione passerà se B oppure C voteranno
a favore e solo se saranno entrambi contrari A si troverà dissenziente. Analogamente, A
subirà l’approvazione della delibera che lo vede dissenziente solo se sia B che C voteranno
entrambi contro. Il rischio di dissenso è dunque inferiore con la regola di maggioranza dato
che la probabilità di dissenso in tal caso è pari a 1. Poiché 3/2>1 è più probabile essere
dissenzienti votando all’unanimità.
       Il vincolo della coerenza si osserva rispettando il requisito che non meno della metà
più uno degli elettori esprima un voto favorevole, mentre il quorum3 richiesto può far
riferimento al totale delle preferenze espresse, come accade nel caso della maggioranza
semplice, o al totale degli elettori, come accade nel caso della maggioranza assoluta. Le due
regole differiscono per il ruolo svolto dalle astensioni che rappresentano un voto favorevole
con la regola della maggioranza semplice e un voto contrario nel caso della maggioranza
assoluta, mentre in assenza di astensioni le due regole coincidono.
       La regola della maggioranza può variare in base al ruolo assegnato alle astensioni, in
analogia alle due diverse definizioni della regola dell’unanimità, ma può essere
ulteriormente specificata quando il numero di voti richiesto è superiore al minimo
necessario ad assicurare la coerenza del sistema, come accade nel caso della maggioranza
qualificata, oppure è inferiore come accade nel caso della maggioranza relativa.
       Con la regola della maggioranza qualificata, o super-maggioranza, si adotta una
soluzione di compromesso tra unanimità e maggioranza cercando di coniugare i pregi di

3
 Il quorum è il numero di votanti necessari per la validità della votazione. In genere si tratta di una frazione calcolata in
base al numero degli aventi diritto al voto.
                                                             11
entrambi i sistemi. Con tale regola si richiede che, per essere approvata, una scelta debba
avere il sostegno di “quasi tutti” e si impone che la soglia minima di voti espressi a favore
debba essere maggiore (spesso si pone pari ai due terzi) della metà più uno dei voti come
richiesto dalla maggioranza semplice. Pertanto, con questa regola si stabilisce a priori un
livello massimo di dissenso sopportabile, che sia inferiore a quello possibile con la
maggioranza semplice oppure assoluta.
  C. Optare per la votazione binaria o per la votazione multipla con più di due mozioni?
L’efficienza del voto, intesa come capacità del sistema di tradurre fedelmente le preferenze
individuali in preferenza collettiva, è messa a dura prova quando la scelta avviene, come
molto spesso accade, fra più di due mozioni. Innanzi tutto occorre stabilire le modalità del
confronto fra le mozioni, che può avvenire in votazione binaria, cioè contrapponendo coppie
di proposte, o in votazione multipla, esprimendo una preferenza su tutte le proposte sia
richiedendo che venga indicata un’unica preferenza assoluta oppure votando sull’intero
spettro dell’ordine di preferenza.
        Se la scelta è fra tre mozioni x, y e z, la votazione binaria metterà a confronto ad
esempio la mozione x con la mozione y e la mozione vincente tra queste con la mozione z.
La procedura completa richiede che non sia omesso il confronto tra la mozione z e quella
che non ha prevalso tra la mozione x e la y. Quindi ciascuna mozione verrà confrontata con
ogni altra. La votazione multipla invece prescrive che le tre mozioni x, y e z siano votate in
contemporanea, per cui con questa procedura non si assicura che la mozione che risulta
vincente raggiunga la metà dei voti più uno.
        La valutazione sulle due regole di voto - unanimità e maggioranza - viene complicata
dal fatto che, in presenza di oltre due mozioni, il problema relativo alla scelta tra privilegiare
il consenso con la regola dell’unanimità - e così incorrere nell’impossibilità di decidere, una
situazione che di fatto corrisponde alla mancanza di un equilibrio - oppure privilegiare la
probabilità di giungere a una decisione con la regola della maggioranza - e dunque incorrere
nell’onere del sacrificio della volontà di alcuni - viene aggravato dall’eventualità che si
possano riscontrare comportamenti strategici, cioè comportamenti tesi al raggiungimento
del massimo beneficio individuale esprimendo le proprie preferenze in modo non sincero,
ma opportunistico.
        Con la regola dell’unanimità e seguendo una votazione binaria, per cui una proposta
che venga battuta nel confronto a coppie viene eliminata, l’agenda, cioè l’ordine sequenziale
con cui le mozioni vengono presentate, è manipolabile. È infatti ipotizzabile che un
comportamento strategico venga messo in atto sia da parte del presidente il quale, decidendo
l’agenda, definisce il sottoinsieme di coppie di mozioni che verranno effettivamente
confrontate, sia da parte degli elettori i quali, conoscendo l’agenda e prevedendo la
probabilità delle scelte di voto che effettueranno gli altri elettori, possono attuare una
strategia che opponga un voto contrario anche verso quelle mozioni per le quali hanno una
preferenza tiepida, in attesa del confronto con la mozione preferita in assoluto.
        L’esito della scelta collettiva effettuata con questo procedimento, sarà la selezione di
una mozione che apparterrà al nucleo (core), cioè a quell’insieme di Pareto definito dalla
mozione iniziale e raggiungibile a partire da questa (nella figura il punto P). La scelta però
dipenderà interamente dalla sequenza della votazione. Tutte le mozioni che appartengono al
core condividono la proprietà secondo la quale, se venisse proposta un’altra mozione
rappresentata da un punto fuori dal core, questa non sarebbe preferita nel confronto, cioè
non vincerebbe contro nessuna di quelle che si trovano nel core. Il core è dunque l’insieme

                                               12
delle mozioni dichiarate superiori, che sono tutte quelle che non possono essere battute dalle
altre fuori dal core.
        La mozione selezionata in tal modo potrebbe però non corrispondere ad un “vincitore
di Condorcet” in grado di battere ogni altro contendente. Quindi potrebbe non rappresentare
adeguatamente le preferenze individuali. Questo esito indesiderato può essere evitato
imponendo la procedura completa, cioè il confronto tra tutte le possibili coppie di mozioni.
Con questa procedura viene assicurata la selezione del vincitore di Condorcet, ma al costo
di un iter decisionale molto più laborioso.
        Attraverso il voto a maggioranza che segue una procedura di votazione binaria si può
incorrere in maggioranze cicliche che corrispondono ad una sostanziale parità delle
preferenze. Supponiamo che il corpo elettorale sia dato da tre elettori (A, B, C) che possono
esprimere due posizioni (sì, no) su tre mozioni (x, y, z) e che le preferenze individuali, siano
ordinate transitivamente, come nell’esempio sotto riportato. L’elettore A preferisce: x>y>z;
l’elettore B preferisce: y>z>x; l’elettore C preferisce z>x>y.

           Ordine di preferenza         A            B             C
           migliore                     x            y             z
           intermedia                   y            z             x
           peggiore                     z            x             y

La maggioranza ottenuta in votazione binaria condurrà ad un risultato indeterminato. Infatti
in questo schema ognuna delle mozioni – ottenendo due voti su tre – è in grado di prevalere
su un’altra. La mozione x vince contro y per il voto favorevole di A e di C per entrambi i
quali x>y; la mozione y vince contro z per il voto di A e di B per cui y>z; la mozione z vince
contro x per il voto di B e di C.
       Il risultato intransitivo che si ottiene – x è preferito a y che è preferito a z, ma z è
preferito a x, mentre per la proprietà transitiva dovrebbe accadere il contrario – è descritto
dal ciclo di Condorcet (x>y>z>x), un risultato che contraddice la coerenza dell’esito della
votazione. L’esito pertanto dipenderà dall’agenda, cioè la decisione rifletterà l’ordine
secondo il quale le mozioni sono poste in votazione.
       La ciclicità non si presenta quando le preferenze individuali, ordinate secondo uno
stesso criterio, non propongono più di un massimo, cioè sono single peaked. Ciò si verifica
nel caso in cui nessuno degli elettori abbia preferenze più alte per i valori “estremi” delle
proposte così ordinate, cioè per valori “lontani” tra loro piuttosto che per valori “vicini”.
Immaginando che le mozioni x, y e z possano indicare scelte esprimibili in termini anche
solo di valori ordinali come ad esempio “molto”, “poco” e “niente”. Una preferenza single
peaked deve escludere che “molto” e “niente” siano entrambi preferiti a “poco” la cui
posizione nell’ordine è invece intermedia.
       Col voto a maggioranza che segue una procedura di votazione multipla - in altre
parole tutte le mozioni vengono poste in votazione contemporaneamente - prevale la
mozione che ottiene la maggioranza relativa, cioè quella che ha raccolto il maggior numero
di voti. Occorre tuttavia osservare che - poiché si deve compiere una scelta fra più di due
mozioni - la mozione vincente può anche raccogliere un numero di voti inferiore alla metà
più uno dei votanti e quindi non essere rappresentativa della maggioranza delle preferenze.
Ciò accade se, ad esempio, la mozione x ottiene il 40% dei voti, la mozione y ne ottiene il
35% e la mozione z ne ottiene il 25% passerà la mozione x non preferita dalla maggioranza.
Il 60% degli elettori, infatti, non ha espresso tale preferenza.
                                              13
Non si esclude che la maggioranza relativa possa coincidere con la maggioranza
assoluta, ma – se le preferenze non si distribuiscono in modo che una o più mozioni siano
irrilevanti - è poco probabile che ciò accada. E all’aumentare del numero di mozioni poste
contemporaneamente a votazione si riduce la probabilità che la maggioranza relativa possa
coincidere con la maggioranza assoluta.
        L’indicazione dell’intensità della preferenza fa sì che si distingua inoltre tra:
        a) la votazione che consente di valutare ed ordinare tutte le alternative assegnando un
punteggio a ciascuna (conteggio di Borda) e
        b) la votazione che richiede l’indicazione di una sola preferenza.
        Si dimostra però che, in entrambi i casi, l’esito della votazione può risultare poco
rispettoso delle intenzioni degli elettori.
        Con il conteggio di Borda - che presenta il vantaggio di conservare il contenuto
informativo relativo a tutto l’ordinamento delle preferenze individuali invece di limitarsi
alla “prima scelta” - si pone il problema di definire una scala di valutazione delle
preferenze, necessariamente arbitraria, ed anche l’eventuale vincolo a dover ordinare
strettamente tutte le mozioni escludendo cioè valutazioni d’indifferenza che indichino
posizioni di parità. L’elettore strategico avrà comunque un incentivo ad assegnare i voti in
modo che non solo sia favorita la mozione che preferisce in assoluto, ma anche in modo che
siano ostacolate quelle altre mozioni che potrebbero raccogliere il maggior numero di
consensi e quindi impedire il successo della mozione da lui preferita.
        Con l’indicazione della preferenza unica invece sono minori gli incentivi al
comportamento strategico, ma è possibile che, ignorando l’ordine di preferenza, venga
selezionata la scelta peggiore, indicata come un “perdente di Condorcet”, cioè una mozione
che verrebbe eliminata in ogni confronto binario. È evidente che la scelta può ricadere su
una mozione che, per non aver ottenuto la metà più uno dei consensi, non è gradita alla
maggioranza degli elettori.
        La selezione dell’alternativa peggiore è, tuttavia, possibile anche votando con la
regola dell’unanimità quando esistono più di due mozioni e si possono esprimere più di due
posizioni. Supponiamo che tre elettori (A, B, C) possano esprimere tre posizioni (sì, no, non
so) su due mozioni (x e y) mentre z rappresenta la situazione iniziale. Se tutti gli elettori
preferiscono il cambiamento al mantenimento dello status quo, ma non si accordano sulla
mozione da scegliere, finirà col prevalere lo status quo anche se si tratta dell’alternativa
peggiore per ciascuno. Ad esempio, date le preferenze rispettivamente di:
                                             A:     x>y>z
                                             B:     x=y>z
                                             C:     xz
è immediato constatare che la mozione z non è preferita da nessuno, ma poiché – in assenza
di maggiori dettagli sull’intensità delle preferenze – le mozioni x ed y risultano egualmente
preferite, l’esito della votazione fa prevalere lo status quo e non è pertanto in grado di
tradurre fedelmente le preferenze individuali in una preferenza collettiva.
        Questo risultato si differenzia dalla situazione di immobilismo precedentemente
esposta a proposito della tirannia della minoranza. Ponendo in votazione due alternative, il
mancato ottenimento dell’unanimità comporta che la minoranza riesca a far prevalere la
propria scelta preferita tra le due, cioè lo status quo piuttosto che il cambiamento. In questo
caso invece, con la scelta tra più di due mozioni, in mancanza di un’indicazione netta, può
prevalere lo status quo anche se questo corrisponde ad una scelta che non è preferita da
nessuno.
                                              14
Ad esempio immaginiamo che le preferenze su tre mozioni (x,y,z) in una popolazione
di 100 abitanti siano distribuite in quattro gruppi (A, B, C, D):
       1) con la seguente consistenza numerica: A=18, B=22, C=27 e D=33
       2) secondo quattro modalità (A, B, C e D) come segue:

              Ordine di preferenza               A                B                C                D
              migliore                           x                x                y                z
              intermedia                         y                z                z                y
              peggiore                           z                y                x                x

        Esprimendo una sola preferenza vincerebbe la mozione x preferita dai gruppi A e B
per un totale di 18+22=40 elettori, ma questa maggioranza relativa non corrisponde ad una
maggioranza assoluta poiché il maggior numero di elettori (27+33=60) non concorda affatto
con tale scelta, anzi la pone per ultima, ma la votazione con una sola preferenza non ne può
tenere conto.
        Utilizzando il conteggio di Borda occorre stabilire il punteggio per ciascuna mozione.
Se alla mozione preferita vengono attribuiti 3 punti, alla seconda 2 ed alla meno preferita 1,
l’esito della votazione non vedrà emergere lo stesso risultato. Vincerà la mozione z che
raccoglierà 18x1+22x2+27x2+33x3=215 voti contro i 18x2+22x1+27x3+33x2=205 voti
della mozione y ed i 18x3+22x3+27x1+33x1=180 della mozione x.
        Consistenze numeriche diverse dei gruppi e/o punteggi diversi possono dar luogo alla
scelta di ciascuna mozione, se opportunamente disegnate.
        Se ne conclude che, quando la scelta avviene fra più di due mozioni, sia la votazione
binaria che la votazione multipla possono produrre esiti indeterminati o perversi in quanto
può accadere che la procedura sia manipolabile, che non sia possibile raggiungere un
equilibrio stabile o che prevalga la soluzione giudicata da tutti peggiore. Questo risultato è
stato formalizzato dal Teorema di Gibbard-Satterthwaite4 col quale si dimostra che quando
si deve scegliere tra più di due alternative non esiste alcuna procedura di voto che sia allo
stesso tempo non manipolabile e non dittatoriale.
        Il teorema dell’elettore mediano afferma che, con un numero dispari di votanti, il
voto maggioritario dipende dal voto dell’individuo che esprime la preferenza “mediana”
quando tutti i votanti siano stati ordinati in base alle proprie preferenze riguardo a una
mozione. Ad esempio su cinque elettori ordinati in base alla preferenza espressa su una
maggiore o minore pressione fiscale, il terzo – aggiungendo la propria preferenza a quella
degli altri due – esprime il voto decisivo, poiché con il suo voto è in grado di fare diventare
maggioranza sia chi desidera una pressione fiscale inferiore che chi desidera una pressione
fiscale superiore (i voti espressi alla sua destra o alla sua sinistra). La validità del teorema,
che spiega la logica interna della decisione a maggioranza, si mantiene anche quando si
consideri l’ordine delle preferenze dell’elettore purché questo si configuri con andamento a
“picco singolo” (single-picked): monotonicamente crescente, oppure monotonicamente
decrescente, oppure crescente fino ad un massimo e poi decrescente. In altre parole, si
presume che le mozioni lievemente meno preferite siano più vicine alla mozione preferita
delle mozioni avversate. Tornando all’esempio, si assume che chi esprime come prima
scelta una pressione fiscale del 30% tenderà a preferire una pressione del 25% ad una al
20% ed una al 35% ad una al 40%, mentre chi preferisce una pressione fiscale minima o
4
 Costruito indipendentemente dai due studiosi a partire dal Teorema dell’Impossibilità di Arrow (1951), qui viene
omessa la sua laboriosa dimostrazione.
                                                         15
massima ordinerà le sue preferenze circa il livello dell’aliquota monotonicamente, cioè 20%
>25%>30%>35%>40% nel primo caso, e viceversa nel secondo.
        Il teorema incontra difficoltà quando viene applicato non su una sola dimensione – la
scelta sociale sulla pressione fiscale – ma su più dimensioni. L’elettore mediano potrebbe
essere diverso di volta in volta per ciascuna dimensione, se tali dimensioni non fossero tra
loro correlate. In tal caso la coerenza complessiva delle decisioni non potrebbe essere
assicurata.
        Tuttavia, un carattere costitutivo delle piattaforme politiche con cui i partiti si
presentano alle elezioni è quello di non essere unidimensionali, ma multidimensionali. Ed è
giusto che sia così, perché i problemi del paese al cui governo i partiti si candidano
rappresentano di norma un insieme multidimensionale.
  D. Ponderazione e maggioranza
Un’ultima caratterizzazione del sistema di voto riguarda il criterio con cui viene assegnata
l’eventuale ponderazione ai voti espressi. Occorre infatti decidere se ogni elettore debba
avere pari peso, come nella regola di suffragio universale riassumibile nell’espressione “una
testa, un voto”, oppure si debba applicare un criterio diverso, come nel caso in cui si vota
per quote di proprietà, numero di azioni o simili, e in tal caso, con quale criterio assegnare i
diversi pesi.
        Nell’Unione Europea coesistono diverse procedure decisionali che si distinguono
anche per i diversi sistemi di voto adottati dalle istituzioni comuni: il Parlamento Europeo
delibera in genere a maggioranza con il principio di “una testa, un voto” mentre in Consiglio
oltre che all’unanimità, si vota a maggioranza semplice o, più spesso, a maggioranza
qualificata. In questo caso, per consentire una più equa rappresentanza ai cittadini, si applica
una ponderazione dei voti che riflette la dimensione della popolazione nazionale.
        La legislazione comune quindi passa al vaglio sia del Parlamento, nel quale viene
eletto un numero di rappresentanti proporzionale al numero degli abitanti di ciascun paese,
che del Consiglio nel quale, per le votazioni a maggioranza qualificata, si applica una
ponderazione dei voti calibrata in base alla popolazione nazionale che ciascun ministro
rappresenta.
        In seno alla Commissione, alla Corte di Giustizia e negli altri organismi istituzionali
si vota in genere con la regola della maggioranza, che viene ritenuta una regola di votazione
caratteristica degli organi sovranazionali. Tuttavia, è la loro stessa composizione che negli
organi rappresentativi – nel Parlamento, nel Comitato Economico e Sociale o nel Comitato
delle Regioni – l’elemento che rispecchia un criterio di proporzionalità con la popolazione
nazionale. Si prescinde completamente invece da tale criterio per la Corte di Giustizia e per
la Corte dei Conti.
        Sarebbe però sbagliato ritenere che una “giusta” rappresentanza – cioè una
rappresentanza che assegni ad ogni elettore le stesse possibilità di vedere rispettate le
proprie preferenze – richieda una ponderazione dei voti strettamente proporzionale alle
dimensioni della popolazione. Con l’attuale ponderazione dei voti nel Consiglio un voto
corrisponde a quasi 3 milioni di elettori in Germania e a meno di 150000 a Malta.5 La
ragione di questa allocazione dei voti sta nel cercare di conferire lo stesso potere di voto ai

5
 Ricordiamo che il paese più popoloso, la Germania, con oltre 80 milioni di abitanti dispone di 29 voti, così come la
Francia, l’Italia e il Regno Unito, la cui popolazione si aggira attorno ai 60 milioni di abitanti. All’altro estremo, il paese
che dispone di meno voti, Malta, ha una popolazione che non raggiunge il mezzo milione di abitanti. Il gruppo di paesi
che dispone di 4 voti comprende sia il Lussemburgo, che oggi conta poco più di mezzo milione di abitanti, che la
Slovenia che la Lettonia con oltre 2 milioni ciascuna.
                                                             16
cittadini che nella votazione sono rappresentati dai propri Ministri, indipendentemente dalla
dimensione del paese di appartenenza. Un’allocazione strettamente proporzionale, invece,
darebbe un potere di voto maggiore ai cittadini dei paesi più grandi. La regola di Penrose
(1946) consiste nell’allocare ai rappresentanti un numero di voti pari alla radice quadrata
della consistenza demografica della popolazione rappresentata.
        Con la regola della maggioranza qualificata, i voti ponderati vengono espressi sempre
congiuntamente, in modo da rappresentare la posizione e il “peso” del paese come un’unica
entità, diversamente da quanto accade in Parlamento, dove il numero dei deputati è
proporzionale al peso demografico del paese, ma ciascuno è libero di esprimere il proprio
voto individualmente.
        Con un sistema di ponderazione dei voti, ciascun paese esprime un voto che equivale
ad una coalizione prefissata di numerosità corrispondente alla ponderazione che gli è stata
assegnata. In Parlamento, dunque, ogni paese elegge un certo numero di rappresentanti, ai
quali in proporzione corrisponde un numero di voti “nazionali” anche se, come è stato detto,
i parlamentari europei aderiscono a gruppi trans-nazionali e dunque di norma votano in
relazione, non al paese, ma al gruppo parlamentare di appartenenza. In Consiglio, invece,
ogni paese dispone di un solo voto, che nelle votazioni a maggioranza qualificata assume
però un “peso” proporzionale alla popolazione nazionale di riferimento. Questo diverso
metodo di votazione in seno al Consiglio spiega perché, in seguito all’unificazione tedesca
che ha avuto per conseguenza un aumento di circa un quinto della popolazione della
Germania, sia stato adeguato il numero di parlamentari europei integrandolo con gli eletti
dai Laender dell’Est, mentre la ponderazione dei voti in Consiglio, dove il paese viene
rappresentato unitariamente, non è stata aggiornata.
        Con il sistema di ponderazione dei voti, i circa 82 milioni di tedeschi dispongono di
29 voti, mentre la somma di poco più di 60 milioni di italiani e di 20 milioni di rumeni, che
raggiunge una consistenza numerica simile, dispone rispettivamente di 29 e 14 voti, pari a
un totale di 43 voti. Un numero notevolmente superiore a quanto assegnato alla Germania.
Come vedremo, l’attribuzione di questa ponderazione, che a prima vista appare sbilanciata,
è avvenuta proprio in considerazione del fatto che il voto nazionale non può essere
frazionato, mentre non c’è ragione di ritenere che l’Italia e la Romania del nostro esempio
votino sempre allo stesso modo.
        Il Trattato di Lisbona ha cambiato il modo in cui, a partire dal 1° novembre 2014, si
costruisce la maggioranza qualificata. Fino al 31 ottobre 2014 sono restate in vigore le
ponderazioni già viste ed occorrevano 260 voti espressi dalla maggioranza dei paesi (cioè
15 su 28) sui 352 totali se la proposta era stata avanzata dalla Commissione, mentre negli
altri casi, i 260 voti dovevano essere espressi dai due terzi dei paesi e si sarebbe potuto
chiedere di verificare che i 260 voti fossero espressi dai rappresentanti dei paesi che insieme
costituivano il 62% della popolazione totale dell’Unione. Dal 1 novembre 2014 la
ponderazione dei voti fu sostituita da una maggioranza del 55% dei membri del Consiglio,
la popolazione dei quali, sommata, deve essere pari ad almeno il 65% della popolazione
dell’UE. La minoranza di blocco quindi comprende almeno quattro membri del Consiglio
che rappresentino almeno il 35% della popolazione dell’UE.

Box - Il Teorema di Impossibilità di Arrow
Arrow ha proposto un modello assiomatico con il quale si dimostra che, se esistono almeno
tre opzioni e un numero finito di elettori, risulta impossibile la determinazione formale di

                                              17
una scelta sociale che rispetti al contempo sia la razionalità individuale che alcuni principi
etici che dovrebbero essere universalmente accettabili.
        Gli assiomi su cui si fonda quella che viene comunemente definita l’“impossibilità
arrowiana” della scelta sociale sono i seguenti:
1. Assenza del dittatore (ND). Per nessun individuo le preferenze individuali possono
 divenire automaticamente preferenze sociali senza considerare le preferenze espresse dagli
 altri individui. Nessun individuo può far prevalere la propria preferenza, e farla diventare
 la scelta della società se tutti gli altri votanti esprimono la preferenza opposta. È una regola
 di scelta sociale condivisibile, che consegue all’adozione del principio democratico.
 Nessuno dovrebbe essere nella condizione di imporre a tutti gli altri il proprio ordine di
 preferenza.
2. Principio paretiano (PP). Se ogni individuo preferisce l’opzione x all’opzione y (xPy) lo
 stesso ordine di preferenza deve valere anche per la società. Unanimità: se una preferenza
 individuale fra due alternative non è contrastata dalla preferenza contraria di nessun altro
 individuo, questa scelta diviene la scelta della società. Monotonicità: se un’alternativa
 guadagna posizioni rispetto a un’altra nelle preferenze individuali e non ne perde, deve
 guadagnare posizioni anche nella preferenza sociale. È una regola di scelta sociale
 conseguente alla preminenza che la società liberale accorda all’individuo (principio di
 individualismo).
3. Razionalità collettiva (RC). L’ordinamento delle preferenze sociali deve rispettare gli
 stessi principi di razionalità cui obbediva l’ordinamento delle preferenze individuali. Una
 scelta sociale che garantisca razionalità e coerenza fra le preferenze di tutti richiede che
 l’ordine di preferenza sia completo: tra due alternative sarà possibile solo che xPy oppure
 yPx oppure xIy; e che rispetti il principio di transitività: se xPy e yPz deve essere anche
 xPz così come se xIy e yIz deve essere anche xIz. Questo criterio deve essere rispettato sia
 a livello individuale che collettivo.
4. Dominio universale (DU). La scelta sociale deve essere ottenibile da una qualsiasi
 combinazione delle preferenze individuali e senza esclusioni. Nessuna restrizione deve
 limitare l’ambito delle scelte entro il quale esprimere la preferenza. Poiché qualsiasi ordine
 di preferenza deve essere ammesso, ogni opzione deve essere valutata rispetto a ciascuna
 altra.
5. Indipendenza dalle alternative irrilevanti (IAI). La scelta sociale deve dipendere solo
 dalle preferenze individuali sulle alternative esistenti. Se una di queste diviene impossibile
 l’ordine di preferenza sociale relativo alle alternative rimanenti non deve cambiare. In altre
 parole, la preferenza della società per una o l’altra opzione deve dipendere unicamente
 dalla preferenza espressa dagli individui su tali opzioni e non anche da opzioni che non
 sono in discussione. La scelta tra ogni coppia di alternative deve dipendere solo dalle
 preferenze su quelle due alternative e non dalle preferenze espresse sulle altre. Se x è
 preferito a y ed y è preferito a z, per transitività x deve essere preferito a z; se viene a
 mancare y non può accadere che z sia preferito a x.
        Il teorema dell’impossibilità di Arrow dimostra che non esiste la possibilità che una
scelta sociale soddisfi contemporaneamente le cinque condizioni. Ne può soddisfare quattro
se esiste il dittatore.
        Supponiamo che esistano due individui (A e B), tre opzioni (x, y e z) e che le
preferenze di ciascuno di loro siano:
                                           A      xPy e yPz
                                           B      yPx e yPz
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