Aspetti economici e sociali dell'immigrazione in Italia e in Europa
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Centro Studi Economici Antonveneta Aspetti economici e sociali dell’immigrazione in Italia e in Europa: Sintesi dei principali risultati Giorgio Brunello (Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Padova) Gianpiero Dalla Zuanna (Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova) Sito internet: http://www.csea.decon.unipd.it
INTRODUZIONE Il Centro Studi Economici Antonveneta (CSEA) nasce nel 2008 dalla collaborazione della Fondazione Antonveneta e l'Università degli Studi di Padova, con l'intento di promuovere la ricerca in campo economico a Padova. Ricerca che deve essere al tempo stesso di alto livello scientifico e su temi di interesse per il territorio. Le pagine che seguono presentano i risultati del primo progetto di ricerca finanziato dallo CSEA, sul tema dell'immigrazione, e completato con un convegno pubblico svoltosi il 3 Maggio 2011 presso l'Aula Nievo del Palazzo del Bo dell’Università di Padova. Il progetto, coordinato da Giorgio Brunello, professore ordinario di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’ateneo patavino, e da Gianpiero Dalla Zuanna, professore ordinario di Demografia presso il Dipartimento di Scienze Statistiche dello stesso ateneo, ha coinvolto numerosi ricercatori italiani ed esteri. Le relazioni dettagliate dei lavori sono disponibili sul sito web del Centro Studi Economici Antonveneta, assieme ai commenti dei discussant del convegno conclusivo ( http://www.csea.decon.unipd.it ). Questo documento dà una breve sintesi dei principali risultati delle ricerche, nella speranza di indurre il lettore a scaricare e leggere le relazioni dettagliate, e possibilmente a inviarci commenti e suggerimenti sul tema dell’immigrazione, da pubblicare sul nostro sito. Pochi temi suscitano preoccupazioni e timori come l’immigrazione e tuttavia l’economia italiana ha bisogno d’immigrati, sia per motivi legati alla rivoluzione demografica in atto (che vede un rapido processo d’invecchiamento dall’alto, per l’allungamento della vita, e dal basso, per la ridotta fecondità), sia per ragioni legate al fabbisogno di forza lavoro a bassa specializzazione espresso ancora oggi dal nostro apparato produttivo. Gli studi condotti nell’ambito del progetto qui presentato affrontano alcuni degli effetti dell’immigrazione che tanto interessano l’opinione pubblica nel nostro paese, e in altri paesi europei, in particolare la Spagna, che hanno ricevuto massicci flussi migratori nell’ultimo decennio del secolo scorso e nel primo decennio di questo secolo. Il progetto ha affrontato le delicate questioni dell’impatto degli immigrati sul sistema scolastico, sul mercato del lavoro e sulla criminalità (percepita ed effettiva). Di queste diamo conto nelle pagine che seguono. Legati all'immigrazione ci sono anche altri temi di grande rilevanza, quali l’effetto della disponibilità di forza lavoro poco qualificata sulla struttura produttiva, o aspetti legati all’affermarsi di una società multi‐etnica in un paese caratterizzato da una forte identità religiosa e culturale comune. Sono temi importanti, che contiamo di affrontare in maggior dettaglio in futuro. 2
Noi speriamo che gli studi finanziati nell’ambito di questo progetto, e di altri che sono in corso o in cantiere, contribuiscano a stimolare l’interesse per l’analisi attenta dei cambiamenti in atto, nel Nord Est come in altre parti d’Italia e di Europa. Il dibattito pubblico ha bisogno di più analisi di fatti e dati statistici e di meno ideologia. Mario Carraro (Presidente, Centro Studi Economici Antonveneta) Guglielmo Weber (Direttore, Centro Studi Economici Antonveneta) 3
I SERVIZI EDUCATIVI PER L’INFANZIA L’Italia si distingue rispetto ai paesi del Nord Europa per una scarsa dotazione di servizi alla prima infanzia (in particolare asili nido pubblici) e per una larga diffusione dell’abitudine di affidare i bambini molto piccoli ai nonni, per permettere a entrambi i genitori di lavorare. In questo lavoro si studiano i diversi comportamenti delle coppie italiane e immigrate. C’è infatti il sospetto che per gli stranieri questa fase della formazione della famiglia presenti più difficoltà, sia a causa della mancanza di una rete familiare di sostegno, sia per le minori disponibilità economiche, che rendono difficile l’accesso agli asili nido privati. È stata eseguita una ricerca ad hoc 1 – finanziata dalla Regione Veneto in collaborazione con l’ULSS e con il Comune di Padova – intervistando nell’Aprile del 2009 un campione statisticamente significativo di 1.695 madri italiane e 405 madri straniere con un bambino di età 6‐30 mesi, residenti nei 20 comuni dell’ULSS di Padova (420.000. abitanti di cui il 10% stranieri). Le madri rispondenti hanno collaborato di buon grado. La risposta delle madri straniere è stata fortemente agevolata dal fatto che il questionario telefonico poteva essere somministrato – oltre che in italiano – anche in rumeno, albanese, inglese, francese. La proporzione di madri straniere che dopo la nascita di un figlio non lavorano è più che doppia rispetto alle madri italiane (53% contro 22%). Inoltre, il 26% delle donne italiane affidano i loro figli alle cure dei genitori e dei suoceri, contro solo l'11% delle donne straniere (tabella 1). Inoltre, il minore accesso al lavoro delle madri straniere è dovuto anche a opinioni più tradizionali riguardo al rapporto fra la mamma e il bambino piccolo, e a un maggior peso della bassa istruzione (tabella 2). Le differenze tra italiane e straniere nella probabilità di lavorare sono dovute solo per il 35 % a differenze nelle variabili osservate e per il 65 % a differenze di altro tipo, presumibilmente di ordine culturale. D’altro canto, guardando al prezzo che una coppia è disponibile a pagare per servizi di cura esterni alla famiglia, è evidente che gli stranieri non hanno un atteggiamento negativo verso l’asilo nido, ma che – semplicemente – in molti casi non si possono permettere un asilo nido privato, mentre non è stato possibile accedere a un nido pubblico. Infatti, i dati mostrano che le differenze tra italiane e straniere nel prezzo massimo per il nido sono dovute per il 76% a differenze nelle variabili osservate (in particolare alla classe sociale) e per il 24 % a differenze di tipo culturale. Gli stranieri quindi – come gli italiani meno abbienti – avrebbero bisogno di una maggiore disponibilità di servizi di cura alla prima infanzia a prezzi ridotti. Solo in questo modo anche la madre potrebbe iniziare a 1 “Lavoro, immigrazione e cura dei figli. Le madri italiane e straniere si comportano in modo diverso?” (Anna Giraldo, Gianpiero Dalla Zuanna ed Enrico Rettore) 4
lavorare pochi mesi dopo il parto, e al bambino sarebbe garantita quella socializzazione che si dimostra essere assai importante per aumentare le sue chance di riuscita nella carriera scolastica e poi lavorativa. Tabella 1. Le differenze fra le madri italiane e le madri straniere Tabella 2. Differenza fra madri italiane e straniere nelle opinioni riguardo la modernità 5
LA SCUOLA SUPERIORE Nel 2010 i figli degli immigrati iscritti nelle scuole primarie e secondarie italiane erano il 6,4% del totale, con valori anche più elevati per le scuole primarie nel Nordest del paese. Molti genitori temono che troppi immigrati in classe possano avere un effetto negativo sulla qualità di apprendimento degli studenti italiani, in particolare perché le limitate conoscenze linguistiche degli stranieri frenano il loro apprendimento e assorbono attenzione e tempo degli insegnanti, sottraendo tale tempo all’istruzione di chi è madrelingua. Non è un problema solo italiano: negli Stati Uniti, ma anche in Danimarca, l’incremento della percentuale di immigrati in alcune scuole ha messo in moto una vera e propria fuga dei nativi verso altre scuole, spesso private. La fuga dei nativi rischia di generare dei ghetti, come quello della scuola Mahfuz di via Ventura a Milano, in cui gli immigrati raggiungono l’85% del totale. Nel nostro paese, la preoccupazione diffusa delle famiglie riguardo agli effetti negativi di una elevata quota di immigrati sui risultati scolastici degli italiani è stata presa sul serio dal Ministro dell’Istruzione, che nel 2010 ha emanato una circolare che stabilisce che il numero di studenti stranieri per classe non può superare il 30% del totale. Si tratta di una preoccupazione fondata? La Tabella 3 mostra il punteggio medio degli italiani e degli immigrati nei test di lettura e di matematica condotti dall’OCSE sui quindicenni nell’ambito del progetto PISA. Per quanto riguarda la lettura, il punteggio acquisito dagli italiani era pari nel 2009 a 477 nelle scuole con immigrati e a 486 nelle scuole senza immigrati, un differenza minima. In matematica, la differenza era ancora minore,con punteggi pari a 481 nelle scuole con immigrati e a 482 nelle scuole senza immigrati. In entrambi i test, gli studenti immigrati avevano ottenuto un punteggio inferiore agli italiani, e pari a 439 nella lettura e a 447 in matematica. Naturalmente, è difficile paragonare scuole diverse, sia perché gli immigrati e gli italiani selezionano la scuola sulla base di caratteristiche diverse – ad esempio il reddito o l’istruzione dei genitori, sia perché ci sono molti altri fattori che incidono sui risultati dei test, ad esempio la qualità degli insegnanti. Il lavoro di Brunello e Rocco 2 propone un paragone tra scuole simili in tutto tranne che per la quota di immigrati, utilizzando i dati dell’indagine internazionale PISA sugli studenti quindicenni. L’evidenza statistica riportata in questo lavoro mostra che la presenza di studenti immigrati – definiti come gli studenti nati all’estero da genitori stranieri – ha un effetto negativo ma relativamente piccolo sui risultati scolastici degli italiani, specialmente quelli che si trovano in condizioni familiari disagiate. 2 “L’effetto dell’immigrazione sui risultati scolastici dei nativi: l’evidenza statistica basata sui dati PISA” (Giorgio Brunello e Lorenzo Rocco) 6
Il lavoro suggerisce che, se la percentuale di immigrati venisse raddoppiata rispetto al 2,8% medio presente nelle scuole superiori italiane nel 2009, il risultato scolastico medio degli italiani diminuirebbe di meno dell’1%. In sostanza, si passerebbe da un valore medio di 480 registrato dagli studenti italiani nei test di lettura PISA a un valore di 475, che corrisponde più o meno al valore medio ottenuto dalla Grecia. Naturalmente, l’effetto cresce al crescere della quota di immigrati. Ad esempio, se tale quota arrivasse alla soglia massima del 30% suggerita dal Ministro, a partire dal 2,8% attuale, i risultati scolastici degli italiani, a parità di condizioni, diminuirebbero di circa il 7,5%, e raggiungerebbero un livello vicino a quello di Israele. Attualmente, la quota del 30% non sembra particolarmente stringente per molte scuole secondarie italiane: ben il 51% non ha alcun studente immigrato, mentre la percentuale media nelle scuole con immigrati è dell’10,4%. A parità di condizioni, se attribuissimo anche alle scuole senza immigrati l’10,4% di immigrati, il risultato atteso medio degli studenti italiani peggiorerebbe solo del 2,7%. Quindi, il costo misurato in termini di risultati scolastici per gli studenti italiani di condividere le strutture scolastiche con i figli degli immigrati sembra essere decisamente piccolo. Chiaramente, ci possono essere altri costi – ad esempio la qualità del network sociale a cui lo studente approda iscrivendosi a scuola, che sono trascurati dall’analisi. Le implicazioni per politica scolastica sembrano però abbastanza chiare: ghettizzare gli stranieri in scuole solo per loro può essere – socialmente ed economicamente – molto più costoso per la collettività che cercare di integrarli nelle scuole frequentate dagli italiani. Tabella 3. I test scolastici dei quindicenni italiani e immigrati. PISA 2009. 7
CRIMINALITÀ Per varie ragioni, la percezione del rischio criminalità associato all’immigrazione non è necessariamente in linea con l’effettiva attività criminale. Ad esempio, i cittadini possono avere una visione distorta ed esagerata dell’intensità dell’attività criminale nella propria area di residenza. Inoltre, l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa rivolta alle attività criminali tende a enfatizzarne l’importanza effettiva. Il lavoro di Nunziata 3 analizza il problema con una prospettiva europea e si propone di misurare gli effetti dell’immigrazione sia sulla probabilità di essere vittime dell’attività criminale sia sulla percezione del rischio di criminalità. Il risultato principale è che non sembra esserci una relazione significativa tra flussi migratori e crimine. C’è invece evidenza che in aree ad elevata immigrazione la percezione dell’attività criminale è maggiore. E’ interessante notare che l’effetto dell’immigrazione sulla percezione del crimine è minore tra le persone più istruite e che utilizzano meno la televisione come fonte di informazione. Ciò suggerisce che i mezzi di comunicazione di massa possano svolgere un ruolo importante nella formazione delle percezioni dei cittadini in merito al fenomeno migratorio, a volte esagerandone i reali effetti negativi. Se si crede che l’immigrazione favorisca la criminalità, una misura preventiva consiste nell’erigere barriere che ostacolino i flussi migratori. Tuttavia, queste barriere hanno diverse implicazioni, non sempre favorevoli alla prevenzione dell’attività criminale. Da una parte, politiche restrittive impediscono l’ingresso nel paese a molti immigrati potenziali, o ne consentono l’espulsione dopo l’ingresso. Ciò riduce il rischio criminalità. D’altra parte, coloro che riescono ad entrare nel paese nonostante la presenza di barriere all’entrata hanno difficoltà a trovare lavoro nel mercato ufficiale o legale, e quindi sono spinti verso l’attività criminale. Il lavoro di Mastrobuoni e Pinotti 4 esamina l’effetto delle restrizioni all’ingresso sull’attività criminale utilizzando informazioni statistiche sull’attività criminale dei circa 9.000 stranieri che furono rilasciati dalle carceri italiane a seguito dell’indulto dell’agosto 2006. Di questi 9.000, circa 800 hanno acquistato il diritto a stare legalmente in Italia in seguito all’ingresso di Bulgaria e Romania nell’Unione Europea. Paragonando il comportamento criminale di questi 800 stranieri regolarizzati neocomunitari con i restanti 8.200 stranieri extracomunitari, il lavoro si propone di capire se concedere il diritto di soggiorno riduca o meno la predisposizione a commettere crimini. 3 “Crime Perception and Victimization in Europe: Does Immigration Matter?” (Luca Nunziata) 4 “Migration Restrictions and Criminal Behavior: Evidence from a Natural Experiment” (Giovanni Mastrobuoni e Paolo Pinotti) 8
I risultati di questa indagine mostrano che – a parità di altre condizioni – la probabilità di essere nuovamente arrestati a causa di attività criminale diminuisce di cerca il 6% per i romeni e i bulgari che hanno acquisito il diritto di soggiorno dopo l’ingresso nell’Unione Europea rispetto agli altri extra‐ comunitari messi in libertà per effetto dell’indulto. La riduzione è più forte tra coloro che erano stati precedentemente messi in carcere a causa di reati contro la proprietà e nelle località con migliori opportunità di lavoro legale. La concessione del diritto di soggiorno ha due implicazioni opposte per l’attività criminale. Da un lato, aumenta tale attività perché riduce il rischio di espulsione; dall’altro, riduce la propensione a delinquere perché tale diritto consente all’immigrato maggiori e migliori opportunità di lavoro. Lo studio di Mastrobuoni e Pinotti suggerisce che il secondo effetto prevale sul primo e che regolarizzare riduce la propensione a commettere attività criminali. 9
LAVORO La popolazione degli immigrati negli ultimi 20 anni è aumentata in Italia da poche migliaia a più di 3 milioni e mezzo. Il mercato del lavoro italiano offre agli immigrati solo lavori non specializzati, e spesso nell’economia sommersa. Un argomento spesso usato per regolamentare al ribasso i flussi migratori è che l’immigrazione danneggia i lavoratori nazionali – sia perché ruba loro il lavoro sia perché riduce le retribuzioni medie. Una versione più sofisticata di questo argomento distingue tra lavoratori specializzati e non specializzati: poiché i lavoratori immigrati spesso sono occupati in lavori non specializzati, essi concorrono prevalentemente con i lavoratori nazionali non specializzati. Quindi, l’effetto dell’immigrazione sulle retribuzioni potrebbe essere negativo per i lavoratori domestici non specializzati, nullo o addirittura positivo per i lavoratori nazionali specializzati. L’evidenza empirica sugli effetti dell’immigrazione sui salari – sia negli Stati Uniti che in Germania – indica la presenza di un effetto negativo – ma piccolo – sui salari dei nativi senza titolo di studio, e di un effetto positivo – anch’esso piccolo – sulle retribuzioni dei nativi più istruiti. Il lavoro di Dustmann, Frattini e Preston 5 esamina l’effetto dell’immigrazione sulle retribuzioni inglesi. In Inghilterra, molti lavoratori immigrati hanno un livello di istruzione formale superiore ai nativi, ma trovano spesso lavoro in occupazioni non specializzate. Gli autori esaminano l’impatto dei flussi migratori non solo sulle retribuzioni medie ma anche distinguendo secondo il livello delle retribuzioni. Il risultato principale conferma l’evidenza esistente per gli Stati Uniti e la Germania: i flussi migratori hanno un effetto negativo sulle retribuzioni dei lavoratori inglesi che guadagnano poco – e che sono collocati intorno al ventesimo percentile della distribuzione del reddito – e un effetto positivo ma piccolo sulle retribuzioni dei lavoratori inglesi meglio pagati. Ciò conferma che l’effetto di concorrenza riguarda prevalentemente i lavori poco pagati, che i lavoratori nazionali tipicamente cercano di evitare. La recente crisi economica ha colpito l’occupazione dei lavoratori italiani e stranieri. Nel lavoro di Adriano Paggiaro 6 viene studiata l’ipotesi che i lavoratori stranieri siano stati più vulnerabili alla recente crisi economica rispetto ai loro colleghi nativi, utilizzando in modo longitudinale i dati dell’indagine italiana sulle forze di lavoro fra il 2007 e il 2009. I lavoratori stranieri, uomini e donne, hanno una probabilità più elevata di interrompere un rapporto di lavoro rispetto agli italiani, sia nel 2007 che nel 2009 (Tabella 4). Inoltre, la probabilità di restare disoccupati o di uscire dalle forze di lavoro è più elevata per gli uomini – specialmente quelli stranieri – dal 2007 al 5 “The Effect of Immigration along the Distribution of Wages” (Christian Dustmann, Tommaso Frattini e Ian Preston) 6 “The Effect of Economic Downturns on the Career of Immigrants” (Adriano Paggiaro) 10
2009. Tuttavia, ciò accade loro non in quanto stranieri, ma perché essi hanno alcune caratteristiche che li espongono maggiormente al rischio di licenziamento. Infatti, se i lavoratori stranieri vengono confrontati con i lavoratori italiani che condividono le medesime caratteristiche (lo stesso titolo di studio, la medesima regione di residenza, lo stesso tipo di lavoro eccetera) ogni differenza fra italiani e stranieri scompare, sia prima che durante la crisi economica, sia per gli uomini che per le donne (Tabella 5). Questo risultato è molto importante, perché sfata qualsiasi idea di pregiudizio etnico da parte dei datori di lavoro. Nella difficile decisione di lasciare a casa un lavoratore, né gli italiani né gli stranieri sono sfavoriti o privilegiati. Quindi, nel 2009 la crisi ha effettivamente colpito più duramente i maschi lavoratori stranieri, ma non a causa delle loro origini, ma perché essi erano impiegati in mansioni – per lo più operaie – che sono state le più penalizzate dalla crisi in termini di perdita del posto di lavoro. Ciò detto, resta vero che – proprio a causa del loro preponderante impiego in settori e lavori pesantemente messi in discussione dalla crisi economica – un numero relativamente elevato di donne e uomini stranieri ha conosciuto le difficoltà della disoccupazione o della marginalizzazione dal mercato del lavoro. Questi aspetti dovranno essere approfonditi negli studi futuri, per comprendere anche che tipo di strategie hanno utilizzato per riaggiustare la loro situazione lavorativa. Ma un primo risultato c’è già. I dati sulle forze di lavoro – assieme a quelli di fonte anagrafica – suggeriscono che malgrado la perdita del lavoro sono pochi gli stranieri che tornano nel loro paese di origine, a differenza di quanto è accaduto – ad esempio – nella regione spagnola della Catalogna. Sembra quasi che in Italia la conquista del permesso di soggiorno sia così sudata e irta di ostacoli, che piuttosto di rinunciarci gli stranieri siano disposti ad affrontare i disagi e i rischi della mancanza di lavoro. Tabella 4. Probabilità di uscire dallo status di occupato nel giro di tre mesi per genere, nazionalità e anno senza controllare secondo le caratteristiche socio-economiche degli italiani e degli stranieri Occupati nel 2007 Occupati nel 2009 CONDIZIONE DOPO TRE MESI… Stranieri Italiani Stranieri Italiani Uomini Disoccupati 1,7 0,8 2,4 1,2 Fuori dal mercato del lavoro 1,5 1,6 2,0 1,6 Totale 3,2 2,4 4,4 2,8 Totale (valore assoluto) 3.698 46.435 4.732 42.407 Donne Disoccupate 2,1 0,9 1,9 1,2 Fuori dal mercato del lavoro 5,0 4,1 4,7 3,4 Totale 7,1 5,0 6,6 4,6 Totale (valore assoluto) 2.766 33.011 3.573 30.902 11
Tabella 5. Probabilità di uscire dallo status di occupato nel giro di tre mesi per genere, nazionalità e anno, paragonando italiani e stranieri con le medesime caratteristiche socio-economiche Occupati nel 2007 Occupati nel 2009 CONDIZIONE DOPO TRE MESI… Stranieri Italiani Stranieri Italiani Uomini Disoccupati 1,7 1,5 2,2 2,2 Fuori dal mercato del lavoro 1,5 1,8 1,9 1,9 Totale 3,2 3,3 4,1 4,1 Totale (valore assoluto) 3.698 46.435 4.732 42.407 Donne Disoccupate 1,9 1,3 1,7 2,1 Fuori dal mercato del lavoro 5,4 6,2 5,2 5,2 Totale 7,3 7,5 7,1 7,3 Totale (valore assoluto) 2.766 33.011 3.573 30.902 12
NOTIZIE SUGLI AUTORI Giorgio Brunello Professore di Politica Economica, Università di Padova Gianpiero Dalla Zuanna Professore di Demografia, Università di Padova Christian Dustmann Professore di Economia, University College London Tommaso Frattini Professore a contratto, Università di Milano Anna Giraldo Ricercatore di Statistica Economica, Università di Padova Giovanni Mastrobuoni Assistant Professor, Collegio Carlo Alberto Torino Luca Nunziata Professore di Economia Politica, Università di Padova Adriano Paggiaro Ricercatore di Statistica Economica, Università di Padova Paolo Pinotti Servizio Studi Banca d’Italia Ian Preston Professor, University College London Enrico Rettore Professore di Statistica Economica, Università di Padova Lorenzo Rocco Ricercatore di Economia, Università di Padova 13
Il Centro Studi Economici Antonveneta (CSEA) nasce dalla collaborazione della Fondazione Antonveneta e dell’Università di Padova. È un’associazione per la promozione della ricerca e della formazione in campo economico a Padova. Il Centro Studi Economici Antonveneta finanzia progetti di ricerca su temi d’interesse scientifico e di rilevanza per il territorio, che coinvolgono studiosi di Padova e di altre sedi italiane ed estere su un arco temporale biennale. L’associazione favorisce l'apertura internazionale del Dipartimento di Scienze Economiche Marco Fanno e della Scuola di Dottorato in Economia e Management e promuove conferenze ed incontri, anche con la collaborazione di altri enti ed associazioni, su temi d'interesse per gli operatori economici del Veneto e del Friuli Venezia‐Giulia. Centro Studi Economici Antonveneta Dipartimento di Scienze Economiche “M. Fanno” – Via del Santo, 33 – 35123 Padova (IT) – C.F. 92213220285 Direttore Prof. Guglielmo Weber – T. +39 049 827 4271 – F. +39 049 827 4221 – guglielmo.weber@unipd.it Segreteria Amministrativa – T. +39 049 827 4230 – F. +39 049 827 4221 – csea.decon@unipd.it 14
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