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Università degli Studi di Salerno
 Dipartimento di Fisica “E.R. Caianiello”
 Corso di Laurea in Fisica

 Simulazione di osservazioni di
 WFIRST tramite il modello di
 Besançon della Via Lattea

 Candidato Relatore
 Ines Francesca Giudice Prof.Valerio Bozza

 Matricola
 0512600172

 Anno Accademico 2018/2019
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Indice

 Introduzione 1

1. La Via Lattea 3
 1.1. Caratteristiche generali e grandezze ......................................................................3
 1.1.1. Distanza Galattocentrica Solare ..................................................................... 5
 1.1.2. Metallicità ............................................................................................................... 5
 1.1.3. Rapporto Massa-Luminosità ........................................................................... 6
 1.2. Morfologia.............................................................................................................................. 7
 1.2.1. Disco ......................................................................................................................... 8
 1.2.2. Bulge .......................................................................................................................10
 1.2.3. Alone.......................................................................................................................11
 1.3. Cinematica...........................................................................................................................13
 1.3.1. Coordinate galattiche e cilindriche .............................................................13
 1.3.2. Local Standard of Rest .....................................................................................14
 1.3.3. Rotazione galattica e costante di Oort .......................................................16
 1.3.4. Curva di rotazione .............................................................................................18

2. Il modello galattico di Besançon 20
 2.1. Introduzione all’autoconsistenza dinamica ...........................................................20
 2.2. Popolazioni stellari ..........................................................................................................25
 2.2.1. Disco .......................................................................................................................25
 2.2.2. Alone.......................................................................................................................28
 2.2.3. Bulge .......................................................................................................................29
 2.2.4. Nane bianche .......................................................................................................30
 2.3. Applicazioni e limiti del BGM.......................................................................................31
 2.4. Evoluzione del BGM alla luce dei dati di Gaia ........................................................33

3. Simulazioni per la survey WFIRST in fenomeni di microlensing 36
 3.1. Obiettivi primary di WFIRST ................................................................................... 36
 3.1.1. Caratteristiche tecniche ..................................................................................38
 3.2. Simulazione dei campi di WFIRST attraverso il BGM ...................................... 40
 3.2.1. Diagramma colore-magnitudine .................................................................41
 3.2.2. Classi spettrali ....................................................................................................43
 3.2.3. Distribuzione delle distanze ..........................................................................44
 3.2.4. Diagramma delle velocità ...............................................................................46
 3.2.5. Distribuzione dei raggi angolari ..................................................................48

Conclusioni

Bibliografia
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Introduzione
La morfologia della nostra Galassia e della volta celeste ha sempre rappresentato
uno dei principali interrogativi sin dai tempi più antichi.

Le prime formulazioni teoriche circa la sua struttura risalgono all’antica Grecia; si
tratta di costruzioni prettamente geocentriche: basti ricordare Eudosso di Cnido,
il quale suddivide il cosmo in sfere concentriche il cui fulcro si pone nella
posizione del pianeta terra, e Platone, il primo ad intuire la sfericità del nostro
pianeta.

Un approccio differente inizia a prendere piede soltanto nel diciassettesimo
secolo, con le prime osservazioni di Galileo, al quale si deve il merito d’aver
intuito che la Galassia non sia altro che un agglomerato di numerose stelle
indipendenti. A fronte delle sue considerazioni, il secolo seguente vede lo
svilupparsi di teorie via via più accurate, tra le quali spiccano per importanza
quella sviluppata da Kapteyn e quella di Shapley.

Tali teorie hanno permesso di schematizzare la morfologia della Via Lattea,
rivelandone la nota struttura a spirale e le zone principali che la compongono
(seppur mantenendo taluni gradi di incertezza).

Ad oggi sussistono diversi modelli che tentano di raggiungere un maggior grado
di accuratezza nella descrizione della natura della nostra Galassia.

Tra di essi, nel seguente lavoro, l’attenzione è posta sul modello galattico di
Besançon.

Esso prevede la suddivisione delle stelle presenti nella Via Lattea in quattro
popolazioni differenti: disco sottile, disco spesso, alone e bulge. La natura di
questa suddivisione nasce dall’analisi di alcune variabili cinematiche e parametri
standard, in unione ad una teoria di evoluzione chimica della Galassia che in
seguito verrà analizzata nel secondo capitolo di questo lavoro.

Tale modello offre numerosi vantaggi, in quanto permette di stilare un catalogo di
stelle appartenenti alla medesima categoria, ed è proprio a cagione di questa
proprietà che esso è stato utilizzato per effettuare delle simulazioni di dati per la
survey WFIRST.

Nel primo capitolo di questa tesi analizzeremo la struttura della nostra Galassia,
vero fulcro di questo esame e punto focale dello studio di WFIRST. Introdurremo
le sue principali componenti, le grandezze che la caratterizzano e forniremo una
rassegna sulle sue proprietà cinematiche.

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Nel secondo capitolo presenteremo il modello galattico di Besançon che
rappresenta il mezzo attraverso il quale effettuare le predizioni di WFIRST.

Infine, nell’ultimo capitolo, simuleremo una raccolta di dati per ciascun campo di
WFIRST per i quali analizzeremo diverse distribuzioni (colore-magnitudine,
velocità, raggi angolari etc.) che porremo a confronto con le previsioni teoriche.

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1. La Via Lattea

L’origine della denominazione “Via Lattea” risale all’antica Grecia, difatti si
suppone che il termine derivi da ,  - ossia latte, anche etimo della
stessa parola galassia.

La Via Lattea è un sistema complesso di stelle indipendenti, gas, polveri e materia
oscura, il cui studio è stato affrontato nel corso dei secoli, non senza incontrare
alcune difficoltà. Una delle principali complicanze è rappresentata dal fatto che
ciascuna osservazione è compiuta su un sistema non inerziale, la Terra, la quale
risente del proprio moto intorno al Sole ed anche del moto del Sole all’interno
della Galassia stessa. Inoltre, la presenza di gas e polveri rende difficoltose le
osservazioni in direzione del bulge, ove sappiamo essere situato il buco nero
massiccio SgrA*.

Per tale motivo le informazioni attualmente in nostro possesso possono definirsi
soltanto parziali, destinate ad evolversi in seguito all’acquisizione di nuovi dati ed
alla definizione di modelli galattici più accurati. Di seguito, forniremo una
rassegna della morfologia e della cinematica della Via Lattea alla luce delle
conoscenze attuali.

1.1 - Caratteristiche generali e grandezze
La complessità della Via Lattea può suddividersi in tre principali regioni: bulge,
alone e disco (a sua volta distinguibile in sottile e spesso), le quali insieme danno
luogo alla nota struttura a spirale.

Tale struttura, denotata più precisamente come spirale barrata, non è di semplice
definizione.
Le prime speculazioni sull’aspetto della Galassia risalgono alla fine dell’ottocento,
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Capitolo 1 La Via Lattea

 sebbene le prime descrizioni accreditate si siano avute soltanto nel secolo
 successivo, per mezzo dell’analisi infrarossa. Osservando, infatti, il sistema in
 banda B, il conteggio stellare dava luogo ad un’immagine in cui la struttura a
 spirale veniva fortemente evidenziata. Questo è stato possibile in quanto i bracci
 della spirale non sono altro che onde di densità, all’origine della formazione
 stellare, visibili nella banda blu e nell’UV.

 Differentemente, osservando il sistema in banda R, quello che si notava era
 un’immagine meno evidente, che – dall’analisi chimica – ha suggerito che in tale
 spirale le stelle giovani fossero concentrate all’interno.

 Fig.1 - Dall’analisi del grafico è evidente come il disco, esteso lungo l’equatore galattico, si suddivide in più
 bracci concentrici rispetto al centro galattico. Tra di essi ricordiamo il braccio di Orione, presente in figura,
 ove è situato il nostro sistema solare.

 A questo punto, una delle problematiche da affrontare riguarda la
 determinazione delle dimensioni della Galassia. Essa è da associarsi alle
 dimensioni del disco, le quali si aggirano intorno ai 40-50 kpc. Tuttavia anche in
 questo caso si può parlare soltanto di un valore approssimativo, in quanto studi
 più recenti suggeriscono che la struttura del disco possa non essere
 perfettamente cilindrica, ma ellittica (il che comporta una diminuzione delle
 dimensioni nell’asse minore di circa 0.9 kpc ).

 Tra le altre proprietà della Via Lattea ve n’è una comune a molti altri corpi celesti,
 ovvero l’esistenza di un campo magnetico proprio. Tale campo risulta essere poco
 intenso; si stima che esso assuma un valore di 1 T nel centro Galattico, per poi
 seguire i bracci della spirale con un valore di circa 0.4 nT. Infine, nella zona
 occupata dall’alone, questo riduce la propria intensità rispetto al disco di circa un
 ordine di grandezza. Nonostante ciò, numerose sono le teorie circa il fatto che
 questo possa aver giocato un ruolo significativo nell’evoluzione della Via Lattea,
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Capitolo 1 La Via Lattea

 dal momento che la sua densità di energia risulta essere comparabile con la
 densità di energia termica del gas interno al disco.

 Alla luce di questa generale definizione della struttura della Galassia, è opportuno
 introdurre alcune grandezze atte a facilitare la descrizione delle proprietà di
 ciascuna delle componenti della Via Lattea.

 1.1.1 – Distanza Galattocentrica Solare
 Per distanza galattocentrica si intende la distanza tra il Sole ed il centro galattico,
 convenzionalmente indicata dal simbolo Ro. Tale grandezza fu inizialmente
 stimata da Shapley nella definizione del proprio modello galattico, con un valore
 di circa 15 kpc. Successivamente, nel corso del 1900, l’IAU, l’Unione Astronomica
 Internazionale, ha sostituito tale valore con una stima di 8.5 kpc.

 Evidenze sperimentali successive hanno permesso di effettuare un computo della
 distanza più preciso e tra queste ricordiamo quella di Frank Eisenhauer et al.
 (2003). Sfruttando misure astrometriche e spettrometriche di S2 (la stella più
 vicina al centro galattico) è stato possibile ricavare un valore di Ro pari a 8.3 kpc,
 in totale accordo con l’usuale convenzione di 8 kpc.

 Fig.2 – Immagine rappresentativa delle dimensioni della Via Lattea

 1.1.2 – Metallicità
 La seconda grandezza di interesse è la metallicità. La sua definizione si fonda sul
 presupposto che uno dei principali criteri di caratterizzazione delle stelle è la
 composizione chimica, in particolare la presenza di metalli pesanti. Tra di essi,
 quello convenzionalmente utilizzato per stimare l’età di una stella è il ferro, dal
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Capitolo 1 La Via Lattea

 momento che le sue linee spettrali risultano facilmente riconoscibili. Ora,
 sapendo che è l’esplosione di supernovae a generare una forte emissione di ferro,
 è consequenziale affermare che le stelle che presentano un’alta concentrazione di
 Fe saranno le più giovani, mentre le più antiche avranno concentrazioni molto più
 basse. La formula che restituisce la metallicità è riportata di seguito

 [Fe/H] ≡ log10 [
 ( / )
 
 ] (1.1)
 ( / )
 ☉

 ove osserviamo al denominatore il valore del rapporto Fe-H stimato per il Sole.
 Notiamo, inoltre, che il rapporto Fe-H può assumere tre tipi di valori: negativi, per
 stelle povere di ferro; positivi, per stelle ricche di ferro e nulli, nel caso in cui le
 concentrazioni risultino essere pari a quelle del Sole.

 La definizione di questo rapporto non ci permette, tuttavia, di poter sempre
 stimare con esattezza l’età di una stella. Questa incertezza è dovuta al fatto che i
 fenomeni alla base dell’arricchimento di ferro dell’ISM (interstellar medium)
 possano aver avuto luogo in regioni della stessa età in intervalli di tempo
 differenti. Da qui segue che zone “coetanee” posseggano concentrazioni di Fe
 differenti, falsando dunque la raccolta di dati.

 Per questo motivo, i risultati prodotti dalla metallicità vengono talvolta
 confrontati con il rapporto O-H, definito in maniera analoga.

 1.1.3 – Rapporto Massa - Luminosità
 Stimato come il rapporto tra la massa di una stella e la sua luminosità nella banda
 B, esso dà informazioni sulla natura delle stelle responsabili della luce.
 Sappiamo che le due grandezze sono correlate tra loro, in particolare, nel caso
 della sequenza principale, la luminosità dipende fortemente dalla massa secondo
 la seguente relazione

 (1.2)
 =( )
 ☉ ☉

 dove il valore di  può variare tra 4 per le stelle con masse dell’ordine di 0.5 ☉ , e
 2.3 per stelle di massa inferiore. Da qui, assumendo che la maggior parte delle
 stelle che si trovano nel disco appartengano alla sequenza principale, è possibile
 stimare una media della massa di tali stelle a partire dal rapporto massa-
 luminosità

 ⟨ ⟩ = 31/(1− ) ☉ (1.3)

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Capitolo 1 La Via Lattea

 1.2 - Morfologia

 Come già accennato, la Via Lattea è costituita da tre fondamentali componenti:
 dico, bulge ed alone.

 All’interno di questa struttura, che analizzeremo in seguito in modo più
 dettagliato, grande importanza è rivestita dai gas e polveri interstellari, dal
 momento che giocano un ruolo fondamentale nella creazione delle stelle.

 Tali sostanze sono diffuse nell’intera Galassia, differenziandosi per temperatura,
 massa e densità; inoltre, dagli studi effettuati, è stato individuato che taluni
 materiali sono propri di singole zone della Via Lattea. Questi studi misurano gli
 effetti dell’oscuramento e dell’emissioni della polvere, utilizzando le molecole di
 anidride carbonica CO come tracciatori dell’H2. In questo modo è stato possibile
 affermare che, ad esempio, l’idrogeno molecolare e la polvere fredda siano
 prevalentemente disposti l’uno nella regione che va dai 3 agli 8 kpc dal centro
 Galattico, l’altra in quella che va dai 3 ai 7 kpc. Inoltre, si osserva che l’idrogeno e
 le polveri sono principalmente situati lungo il piano galattico, mentre la loro
 densità diminuisce allontanandosi da esso.

 L’effetto dovuto alla presenza di gas e polveri non è trascurabile, dal momento
 che rappresentano una componente massiva notevole nell’insieme degli elementi
 che costituiscono la Via Lattea. Difatti, si stima che la massa totale di H I sia 4 x
 109 ☉ , mentre si è ottenuto un valore di 109 ☉ per H2.

 Si osserva che, per distanze che superano i 12 kpc dal centro galattico, l’altezza di
 scala di H I aumenta drasticamente, raggiungendo valori di circa 900 pc. In
 sostanza, per tali distanze, la distribuzione del gas non è più strettamente
 confinata nel piano galattico, ma presenta una curvatura (warp) ben definita che
 forma un angolo di deviazione rispetto al piano di circa 15o.

 Questo fenomeno è, in realtà, comune a molte altre galassie a spirale, tra cui
 ricordiamo Andromeda, sebbene non siano chiare le origini alla base della
 creazione di queste curvature.

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Capitolo 1 La Via Lattea

 Nubi di idrogeno possono essere, poi, riscontrate anche ad alte latitudini, con
 alcune proprietà peculiari: tra esse, infatti, alcune possiedono una velocità radiale
 positiva, il che implica che tali nuvole si stiano allontanando progressivamente
 dal disco. Si suppone che l’origine di queste formazioni gassose sia dovuta a gas
 emessi durante l’esplosione di supernovae ad altissime altezze lungo z, prima di
 raffreddarsi e ricadere sul piano galattico ( Galactic fountain model).

 In aggiunta ai fenomeni finora trattati va posta l’esistenza di un gas caldo, coronal
 gas, che predomina a distanze di circa 70 kpc (o anche superiori), per il quale si
 suppone che la distribuzione sia approssimativamente sferica. A partire da ciò,
 sfruttando la distanza convenzionale di 70 kpc dal centro galattico come raggio, si
 può stimare la massa di questo gas, la quale è di circa 4 x 108 ☉ .

 Parliamo di gas caldo poiché per compensare l’eventuale collasso gravitazionale,
 è necessario che la sua temperatura sia molto elevata, dell’ordine di 106 K.

 Ora, spostiamo l’attenzione su quelle che sono le principali componenti della
 nostra Galassia.

 1.2.1 – Disco
 Il disco galattico rappresenta la regione più corposa della Via Lattea, in esso è
 situata la maggior parte dei gas e delle polveri, particolare che rende questa zona
 il laboratorio di creazione delle stelle. Il continuo evolversi degli oggetti
 all’interno del disco fa sì che esso contenga diverse popolazioni di stelle,
 caratterizzate da proprietà ed età differenti.

 Come detto in precedenza, il disco si estende con un diametro di circa 50 kpc, il
 che sottende il fatto che al suo interno siano contenuti i noti bracci della spirale.
 Tra queste costruzioni ricordiamo il Braccio di Perseo, che rappresenta la
 maggiore diramazione della Via Lattea, ed il Braccio di Orione, ove è situato il
 sistema solare.

 Entrando nello specifico, il disco può suddividersi in due sezioni fondamentali:
 disco sottile e disco spesso.

 Il disco sottile è composto da stelle relativamente giovani, gas e polveri, il che lo
 classifica come la regione primaria di formazione stellare. La denominazione
 sottile deriva dal fatto che la sua altezza z è soltanto di 350 pc, e vi è una porzione
 dello stesso che viene a sua volta denominata disco sottile giovane.
 Tale regione corrisponde alla distribuzione di gas e polveri nel piano centrale
 della Galassia, con altezze di scala variabili tra i 90 e i 35 pc.

 Al contrario, il disco spesso si differenzia notevolmente dalla sua controparte. In
 primo luogo notiamo che le popolazioni di stelle contenute sono più antiche,
 inoltre l’altezza di scala di tale regione è considerevole, se posta a confronto con il
 disco sottile, difatti raggiunge circa i 1000 pc.
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Capitolo 1 La Via Lattea

 Un’ulteriore differenza sussiste nella concentrazione stellare, mentre il disco
 sottile risulta più denso, il numero di stelle per unità di volume nel disco spesso è
 solo l’8,5%. In supporto di questi dati vi sono due possibili ragioni che potrebbero
 giustificare la sostanziale discrepanza tra disco sottile e spesso: la prima
 suggerisce che la dispersione di velocità delle stelle cresca a causa degli incontri
 tra le stesse e le perturbazioni gravitazionali nel disco spesso, la seconda ritiene
 che nell’ultimo siano contenute unicamente stelle strappate ad altre galassie.

 Andando a combinare le due componenti del disco, è possibile determinare la
 densità stellare a partire dalla seguente formula
 
 −
 ℎ 
 −
 ℎ ) − /ℎ (1.4)
 ( , ) = 0 ( + 0.085 

 dove z rappresenta l’altezza in verticale dal piano galattico, R la distanza radiale
 dal centro galattico, hR l’altezza di scala del disco con un valore maggiore di 2.25
 kpc, Mv la magnitudine in un range 4.5 ≤ ≤ 9.5. Ovviamente, bisogna tenere
 sempre conto del fatto che queste grandezze portano con sé un certo grado di
 incertezza.

 Un ulteriore confronto tra le due componenti del disco può essere effettuato
 nell’analisi dell’età degli stessi, richiamando il concetto di metallicità
 precedentemente introdotto.

 Si osserva, dunque, che per il disco sottile il valore tipico di metallicità Fe-H varia
 in un range che va da -0.5 a 0.3, mentre per la maggior parte delle stelle del disco
 spesso, tale range varia tra - 0.6 e -0.4 (con valori limite di -1.6 per alcune stelle).
 L’analisi di questi dati comprova la tesi secondo cui il disco sottile sia più giovane
 e luogo di creazione stellare, sebbene alcune evidenze sperimentali mostrino
 come la stessa creazione non sia continua nel tempo ma possa subire alcuni
 rallentamenti anche per miliardi di anni. In generale, si ritiene che la creazione
 del disco spesso sia relativa ad un intervallo che va tra i 10 e gli 11 Gyr.

 Fig. 3 – In tabella riportiamo le principali caratteristiche delle componenti del disco.

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Capitolo 1 La Via Lattea

 1.2.2 – Bulge
 Il bulge, inteso come centro galattico, non deve essere visto come un’estensione
 del disco, bensì come un elemento a sé stante. La sua struttura è quella di una
 barra distinta, che ha un raggio dal centro galattico pari a 4.4 ± 0.5 kpc e un
 angolo rispetto al piano di vista dalla terra al centro galattico pari a 44 ± 10°.
 Inoltre, essa risulta più spessa nel piano galattico che lungo la verticale z.

 Si suppone che il bulge possegga una massa di circa 1010 ☉ e mostra una
 luminosità di superficie data dalla seguente relazione

 ( ) 1/4 (1.5)
 log10 [ ] = −3.3307 [( ) − 1]
 
 Tale equazione è nota come legge r1/4, o più precisamente come legge di de
 Vaucouleurs, ove re rappresenta il raggio effettivo del bulge (stimato intorno agli
 0.7 kpc) e Ie la luminosità superficiale. Tale definizione del raggio risale al 1948,
 individuato come il raggio del cerchio contenente metà del flusso totale.

 Sussistono ancora delle difficoltà nella determinazione delle proprietà del bulge,
 prevalentemente a causa della grande presenza di polveri nella lunghezza che va
 dal Sole al centro Galattico. Nonostante ciò, è stato possibile determinare da
 alcune evidenze sperimentali che le caratteristiche chimiche delle stelle presenti
 nel bulge sono variegate. È noto, infatti, che le stelle possano suddividersi in
 differenti popolazioni dalle più ricche di metalli alle più povere. Questo mostra
 un’ampia finestra temporale di formazione stellare, che copre un range che va da
 appena 200 Myr a 7 Gyr (l’età stimata per le più antiche).

 Va, però, specificato che – contrariamente a quanto affermato prima – nel caso del
 bulge le stelle più antiche risultano essere quelle maggiormente cariche di
 materiali pesanti, mentre nelle stelle giovani si osserva una distribuzione
 costante. Questo fenomeno si ritiene sia dovuto al fatto che il collasso di
 supernove sia avvenuto nei primi anni di vita del bulge, andando ad arricchire il
 mezzo interstellare e quindi permettendo la creazione di stelle ricche di materiali
 pesanti.

 Fig. 4 – In tabella riportiamo le principali caratteristiche delle componenti del bulge.

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Capitolo 1 La Via Lattea

 1.2.3 – Alone
 L’alone è la componente che avvolge la totalità della Via Lattea.

 Rappresenta la porzione meno luminosa della Galassia, ciò è dovuto al fatto che in
 esso non sono presenti polveri e gas, dunque il processo di formazione stellare
 non è attuabile. Le popolazioni che abitano tale regione sono gli ammassi
 globulari e le stelle di campo che non appartengono ad essi, spesso denominate
 come stelle ad alta velocità in quanto hanno una componente di velocità molto
 differente da quella del disco (ad es. il Sole).

 La legge che regola la distribuzione di tali stelle ed ammassi assume la forma

 ℎ ( ) = 0 ℎ ( / )−3.5 (1.6)

 con un raggio sferoidale effettivo di 2.7 kpc e n0 ≅ 4 x 10-5 pc-3.

 Tali componenti sono dislocate ad una distanza ragguardevole dal centro
 galattico, difatti i 150 ammassi globulari al momento individuati raggiungono
 distanze galattocentriche in un range che raggiunge i 120 kpc. Ciò ha portato a
 supporre che taluni ammassi non siano altro che oggetti esterni catturati dalla
 Via Lattea, come ad esempio nuclei sferoidali di antiche galassie tra cui 
 Centauri. Tuttavia, se si esclude la presenza di questi oggetti estremamente
 lontani, si può ricondurre il raggio dell’alone ad una stima di 42 kpc, regione
 all’interno della quale è collocata la gran parte delle stelle di campo e gli ammassi
 poveri di metalli.

 Infatti, è possibile attuare una distinzione in due categorie degli ammassi stellari.
 La prima categoria è costituita da ammassi poveri di metalli, i quali hanno un
 rapporto di metallicità strettamente inferiore a – 0.8, a differenza dei più giovani
 e ricchi di metalli, i quali possiedono un rapporto Fe-H maggiore di questo valore
 limite. Entrando nello specifico, si parla di 11 Gyr di età per gli ammassi più
 giovani e valori maggiori di 13 Gyr per i più antichi e questa rappresenta una
 prova del fatto che sussiste un salto di alcuni miliardi di anni tra le fasi di
 formazione stellare (Krauss et al. 2003).

 L’età non rappresenta la sola differenza tra gli ammassi, dal momento che essi
 mostrano di assumere distribuzioni differenti: sferoidale nel caso degli ammassi
 metal-poor e simile a quella del disco per gli ammassi più recenti. Le similitudini
 che sussistono tra gli ammassi giovani ed il disco riguardano, poi, anche l’altezza
 di scala, per entrambi dell’ordine di 1 kpc.

 In conclusione possiamo stimare la densità stellare totale nell’alone, la quale è
 dell’ordine di 1 x 109 ☉ . Di questa totalità soltanto l’1% costituisce gli ammassi
 globulari, la restante parte è rappresentata dalle stelle di campo.

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Capitolo 1 La Via Lattea

 Fig 5 – Nell’immagine è riportata la distribuzione degli ammassi globulari, si osserva che i più poveri di
 metalli assumono una distribuzione sferica intorno al centro della Galassia, mentre i più ricchi si dispongono
 lungo il piano.

 1.2.3.1 – Alone oscuro

 Combinando tutte le componenti della Via Lattea, la massa luminosa totale
 assume un valore di 9 x 109 ☉ . Tale valore si trova ad essere in accordo con il
 moto orbitale del Sole, ma incontra delle problematiche nella spiegazione di altri
 fenomeni tra cui le grandi distanze galattocentriche superiori all’unità di Ro.

 Quale giustifica di questo fenomeno deve sussistere un elemento strutturale della
 Galassia che non può essere individuato, ma che è all’origine della formazione
 delle curvature che abbiamo osservato nel caso dell’idrogeno H I. Tale elemento
 prende il nome di alone oscuro e si suppone che possegga una distribuzione
 sferica che avvolge l’alone stellare con un diametro di circa 230 kpc e una
 distribuzione di massa data da
 0 (1.7)
 ( ) = 
 ( )(1 + / )2

 La composizione di questo elemento è ancora oggetto di indagine, dal momento
 che ricondurlo alla sola polvere stellare non risolve il problema della mancanza di
 emissione. Allo stesso modo, è da escludere anche la componente gassosa,
 altrimenti avremmo delle linee di assorbimento evidenti.

 Per tale motivo si suppone che le sue componenti siano degli oggetti denominati
 come WIMPS (weakly interacting massive particles), le quali non contribuiscono
 alla luminosità della Galassia ma che producono effetti unicamente gravitazionali.

 12
Capitolo 1 La Via Lattea

 Fig 6 – Principali caratteristiche dell’alone stellare e oscuro.

 1.3 – Cinematica
 Una volta affrontato il problema della caratterizzazione della struttura della Via
 Lattea, rimane da stabilire come avvenga la sua evoluzione nel tempo, ovvero
 determinare le costanti cinematiche del moto.

 In primo luogo è necessario tenere conto del fatto che il semipiano galattico non è
 allineato con il piano dell’equatore celeste, ma risulta inclinato rispetto ad esso di
 un angolo di 62.87°. Inoltre, utilizzare un solo sistema di coordinate che sfrutta il
 Sole come origine non è conveniente per la stima delle variabili cinematiche.
 Questo perché il Sole si muove all’interno della Galassia e quindi non rappresenta
 un riferimento ottimale per i moti galattici.

 1.3.1 – Coordinate galattiche e cilindriche
 Introduciamo, ora, due sistemi di coordinate che, combinati, permettono una
 definizione di alcune variabili cinematiche.

 Il primo di essi è il sistema di coordinate galattiche, il quale fa uso della simmetria
 introdotta dall’esistenza del disco.

 Dal grafico riportato di seguito notiamo che l’intersezione tra il semipiano
 galattico e la sfera celeste forma ciò che denotiamo come equatore galattico, a
 partire dal quale si definiscono la latitudine galattica b e la longitudine galattica
 l.

 Tuttavia, il solo utilizzo delle coordinate galattiche non è sufficiente a costruire un
 sistema di riferimento ottimale, infatti, essendo centrato nel Sole, questo risente
 inevitabilmente della sua non inerzialità. Pertanto alle coordinate galattiche va
 affiancato un secondo sistema: sistema di coordinate cilindriche.

 13
Capitolo 1 La Via Lattea

 L’origine di queste coordinate è posta nel centro galattico, a partire dal quale si
 sceglie un orientamento verso l’esterno per la componente radiale R, una
 componente angolare puntata verso la direzione di rotazione della Galassia e una
 coordinata z che aumenta verso nord. Ad esse corrispondono, ovviamente, le
 componenti della velocità che riportiamo di seguito:

 Π=
 
 ; Θ= 
 
 ; =
 (1.8)
 
 1.3.2 – Local Standard of Rest
 Dal momento che la gran parte delle osservazioni viene effettuata in un sistema
 centrato nel Sole, è opportuno introdurre una metodologia che rimuova dai
 risultati la dipendenza dai moti rotazionali e orbitali della Terra e dai moti
 galattici del sistema solare.

 Assumeremo, in primo luogo, che il centro osservativo sia il Sole, poiché la
 distanza Terra-Sole è di ordine trascurabile se messa a confronto con le distanze
 galattiche. Inoltre, supporremo che l’orbita che il Sole produce intorno al centro
 galattico sia perfettamente circolare.

 Una volta fatto ciò, è possibile introdurre il riferimento Local Standard of Rest.

 Nel sistema LSR le componenti della velocità sono

 Π = 0 ; Θ = Θ0 ( 0 ) ; = 0 (1.9)

 dove per Θ0 si intende la velocità di rotazione.

 Mentre la velocità relativa di una stella rispetto all’LSR è denotata come velocità
 peculiare ed è data da

 14
Capitolo 1 La Via Lattea

 V = (VR , V , Vz) = (u,v,w) (1.10)

 Con = Π − Π , v = Θ − Θ , w= z- zLSR. Per quanto riguarda le stelle situate
 nelle prossimità del Sole, data l’asimmetria della Galassia, il valore medio stimato
 per u e w è prossimo a zero. Ovvero si suppone che, rispetto all’asse z, vi siano
 tante stelle in moto ascendente quanto in discendente, e che vi siano tante stelle
 in avvicinamento al centro galattico quante ve ne sono in allontanamento.

 In realtà sappiamo che la Galassia non è perfettamente simmetrica, ma l’errore
 correlato a questa assunzione è tanto piccolo da poter essere trascurato.

 In generale, la velocità che si misura per una stella relativamente al Sole è definita
 come la differenza tra la sua velocità peculiare e quella del Sole stesso. Pertanto
 avremo

 Δ ≡ − ☉ ; Δ ≡ − ☉ ; Δ ≡ − ☉ (1.11)

 da cui si ricavano le componenti del moto solare

 ☉ ≡ −⟨Δ ⟩ ; ☉ ≡ ⟨ ⟩ − ⟨Δ ⟩ ; ☉ ≡ −⟨Δ ⟩ (1.12)

 Notiamo che per la componente radiale e per z, la velocità non è altro che il valore
 medio della velocità della stella rispetto al Sole. Differente è il discorso per la
 componente angolare, per la quale dobbiamo determinare in primo luogo la
 velocità delle stelle prossime al Sole. Si ottiene
 1⁄
 ⟨ ⟩ = 2 = (⟨ 2 ⟩) 2 (1.13)

 Dove C è una costante e è la dispersione della velocità rispetto al sistema LSR.
 Inoltre, nel caso in cui la
 componente u sia nulla,
 essa coincide con la
 deviazione standard
 della distribuzione di
 velocità.

 Una volta individuato
 come determinare le
 velocità nel sistema LSR,
 è possibile andare a
 costruire un diagramma
 noto come ellissoide di
 velocità. Questo grafico, che ha per coordinate le componenti u e v, evidenzia una
 forte correlazione tra la dispersione di velocità e la metallicità, che a sua volta è
 legata all’età di una stella.

 15
Capitolo 1 La Via Lattea

 Ciò che risulta evidente dal grafico è la forte asimmetria dell’ellissoide di velocità
 lungo l’asse v, effetto noto come drift asimmetrico. Si può osservare come le stelle
 più giovani siano confinate in una regione di basse velocità peculiari, mentre le
 stelle più antiche risultano avere delle distribuzioni di velocità peculiari più
 ampie. Queste ultime rappresentano le stelle ad alta velocità di cui abbiamo
 accennato nella trattazione dell’alone.

 Un’ ulteriore nota che possiamo fare riguarda l’alone. Osserviamo, infatti, che il
 suo centro non appare situato in zero, bensì in un valore di circa v = -220 km/s.
 Questo è dovuto al fatto che l’alone non partecipa alla rotazione della Galassia,
 pertanto la sua componente angolare risulta essere nulla, in caso contrario tale
 componente avrebbe evidenziato una simmetria lungo l’asse v. Avremo, dunque,
 nel caso dell’alone, stelle concordi con il verso di rotazione della Galassia con
 ~Θ0 e stelle con componente orbitale opposta con valore ~−Θ0 . Da qui segue
 che una buona stima del valore medio della velocità orbitale nel sistema SRL sia

 Θ0 ( 0 ) = 220 −1 (1.14)

 1.3.3 – Rotazione galattica e costante di Oort
 Per poter derivare la curva di rotazione del disco galattico è opportuno andare
 dapprima ad effettuare alcune assunzioni. In primo luogo, tutte le orbite cui si fa
 riferimento sono supposte come circolari rispetto al centro galattico. Inoltre,
 bisogna tenere conto che, nella determinazione della velocità relativa tra due
 oggetti, quello che viene misurato effettivamente non è il moto spaziale, bensì la
 velocità radiale ed il moto proprio (ove quest’ultimo è rappresentato tramite la
 velocità trasversale).

 Ora, supponiamo di conoscere la distanza d della stella e l la sua longitudine
 galattica. Se definiamo la velocità radiale Θ( ) come una funzione della distanza
 dal centro galattico, le velocità trasversali e radiali saranno:

 = Θ − Θ0 sin 
 (1.15)
 = Θ − Θ0 cos 

 dove Θ0 è la velocità del Sole nel caso ideale del moto perfettamente circolare,
 mentre  è definito come nella seguente figura.

 16
Capitolo 1 La Via Lattea

 A questo punto possiamo introdurre la curva di velocità angolare come
 Θ( )
 Ω( ) = (1.16)
 
 la quale permette di riscrivere le velocità come segue

 = Ω − Ω0 R 0 sin 
 (1.17)
 = Ω − Ω0 R 0 cos 

 In generale, se tutti i valori sono noti, queste due equazioni permettono di
 definire una stima ragionevole per Ω. In realtà, fatta eccezione per gli oggetti
 sufficientemente vicini da poter utilizzare la parallasse trigonometrica, la
 distanza d è di difficile misurazione. Per risolvere tali problematiche Oort ha
 sviluppato un set di equazioni per e , approssimate per la regione stellare in
 prossimità del Sole.

 Tale set ha origine dalla supposizione che Ω( ) sia una funzione che varia
 regolarmente, questo fa sì che il suo sviluppo di Taylor, ridotto al primo ordine,
 sia
 Ω
 Ω − Ω0 ≅ ( − 0 ) (1.18)
 
 con un valore approssimativo

 Ω ≅ Ω0 (1.19)

 Tenendo conto della relazione che sussiste tra la velocità angolare ed R, e facendo
 uso delle identità trigonometriche, Oort ha definito due costanti:

 17
Capitolo 1 La Via Lattea

 (1.20)

 tali da ridefinire la relazione di velocità trasversale e radiale come segue.

 = sin 2 
 (1.21)
 = cos 2 + 

 Le due costanti rivestono una certa importanza dal momento che la loro
 correlazione con le variabili del moto galattico contiene informazioni rilevanti
 sulla rotazione locale nei pressi del sistema solare. Valori consistenti di queste
 costanti sono stati determinati in seguito alla missione astrometrica Hipparcos

 A = 14.8 ± 0.8 km s-1 kpc-1
 (1.22)
 B = -12.4 ± 0.6 km s-1 kpc-1

 1.3.4 – Curva di rotazione
 Evidenze sperimentali hanno mostrato come la curva di rotazione della Galassia
 non decresca per distanze superiori a R0, ma che al contrario rimanga
 tendenzialmente costante.

 Quello che ci si aspetta, è un andamento concorde con le leggi di Keplero, nel
 quale si suppone che l’intera massa sia situata all’interno del raggio del circolo
 solare.

 18
Capitolo 1 La Via Lattea

 Ovvero
 −1⁄
 Θ∝ 2 (1.23)

 In realtà, i dati ottenuti divergono da questa supposizione ed inoltre costituiscono
 un risultato sorprendente. Difatti mostrano come parte della massa sia situata al
 di là di questa regione di raggio R0, nonostante il fatto che sia proprio tale circolo
 la principale fonte della luminosità della Galassia.

 Questa rotazione è individuata come una delle prove dell’esistenza della materia
 oscura all’interno della Via Lattea.

 19
2. Il modello galattico di Besançon
Il modello galattico di Besançon (BGM) poggia le proprie basi sulla definizione
delle popolazioni di stelle interne alla Via Lattea.

Esso individua quattro tipologie di popolazioni, ripartite in disco sottile, disco
spesso, alone e bulge. Tale suddivisione è operata per mezzo della combinazione
di considerazioni teoriche sull’evoluzione stellare e galattica e sulla dinamica
delle stesse, unitamente a dati sperimentali quali la relazione età- metallicità ed
altre proprietà misurabili. Questo risulta essere un approccio estremamente
vantaggioso, in quanto permette di interpretare con una certa precisione i dati
sperimentali ed inoltre di predire la possibile evoluzione della Galassia.

2.1- Introduzione all’autoconsistenza dinamica
L’originalità del BGM risiede nell’autoconsistenza dinamica, rispetto agli altri
modelli galattici che fanno uso di una suddivisione in popolazioni stellari. Essa,
infatti, limita le altezze di scala delle popolazioni attraverso le loro velocità di
dispersione e potenziale galattico, mentre libera dalla necessità di determinare
alcuni parametri ostici quale l’altezza di scala del disco ad età differenti.

Lo scopo primario del modello è riprodurre il contenuto stellare della Galassia
utilizzando uno scenario evolutivo e alcuni parametri fisici, quali Initial Mass
Function (IMF) e Star Formation Rate (SFR). La modellizzazione di ogni
popolazione, infatti, ha origine nella definizione di un possibile scenario di
formazione, cui segue l’introduzione di alcune variabili dinamiche e assunzioni
sulla distribuzione di densità.

Molte delle funzioni determinanti nel BGM fanno riferimento ai dati ottenuti dalla
missione Hipparcos e, dunque, all’aggiornamento di densità locale, funzione di
luminosità e altre proprietà cinematiche.

 20
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 Fig 7 – In tabella riportiamo valori di età, metallicità, gradiente di metallicità, initial mass function e star
 formation rate.

 La funzione di luminosità derivata nel corso della missione Hipparcos è
 presentata nella seguente tabella per ogni valore di magnitudine, con un errore
 stimato nella terza colonna.

 21
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 Attraverso di essa è possibile vincolare l’IMF (riportata nella fig. 7) per piccole
 masse in prossimità del sistema solare. L’IMF, per il disco, viene modellizzata
 tramite una legge di potenza a due pendenze, dove si osserva un valore di
 coefficiente angolare =2.3 per masse maggiori di quella solare e 1.6 per masse
 minori.

 Fig 8 – Il grafico riporta la funzione di luminosità per stelle situate in prossimità del sistema solare, si assume
 un coefficiente angolare di 1.7 di IMF per la curva continua e di 1.6 per la curva tratteggiata.

 Per quanto riguarda, invece, la densità locale della materia interstellare, questa
 tiene conto oltre che delle masse partecipi della luminosità della Galassia, anche
 dell’esistenza della materia oscura. Ciò ha permesso di ottenere un valore di
 densità locale pari a 0.0759 ☉ pc-3, in totale accordo con il valore dinamico 0.076
 ± 0.015 ☉ pc-3ottenuto da Crézé et al. (1998). Il modello evolutivo restituisce
 una distribuzione reale delle stelle nell’intorno del Sole in funzione dei parametri
 intriseci (massa, età, temperatura effettiva etc.).

 Bisogna tenere, ovviamente, conto del fatto che tale modello non fornisce
 informazioni sull’evoluzione delle orbite, pertanto le stelle saranno distribuite in
 un volume di riferimento rispetto all’asse z derivato dall’equazione di Boltzmann.
 
 = | |2 (2.1)
 
 dove f è una distribuzione di probabilità, funzione delle coordinate x, y e z e delle
 velocità, mentre C è il parametro collisionale.

 22
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 Fig 9 – In tabella riportiamo le leggi che descrivono la densità propria di ogni popolazione.
 Tra i parametri osserviamo a, definito dalla seguente relazione a2 = R2 + z2
 con R distanza galattocentrica, z è l’altezza rispetto al piano galattico.

 Attraverso questi input il passaggio successivo implica l’utilizzo della statistica
 Bayesiana. Difatti, partendo dal presupposto che il potenziale Galattico sia dato
 dalla somma delle popolazioni, materia interstellare ed oscura, si deriva il
 potenziale dall’equazione di Poisson e la struttura del disco attraverso la Legge di
 Einasto. Mediante la formula seguente si computa l’altezza di scala del disco,
 mentre la densità locale e la forma dell’alone oscuro sono limitati dalla curva di
 rotazione (Bienaymé et al. 1987),

 ( ) −∆Φ
 = exp( 2 ) (2.2)
 (0) 

 Reiterando tale processo si ottiene una ridefinizione della densità di massa totale,
 ottenuta quando i valori di potenziale e spessore del disco variano meno dell’1%.
 Il valore ottenuto risulta essere minore rispetto agli studi precedenti, tuttavia ciò
 è dovuto al fatto che questi utilizzavano un disco di massa invisibile di densità
 locale pari a 0.01 ☉ pc-3, la cui esistenza è stata definitivamente esclusa nel 1998
 da Créze.

 23
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 Fig 10 – riportiamo i valori noti per ciascuna popolazione della densità locale 0 e della deviazione standard
 della componente W della velocità di dispersione, usata per l’autoconsistenza dinamica.

 In conclusione, questo modello per la densità restituisce i seguenti valori di
 massa: 2.03 x 1010 ☉ per il bulge esterno (escludendo, dunque, gli ammassi
 stellari e SgrA*); 4.95 x 109 ☉ per la materia interstellare. Nello specifico delle
 popolazioni si ha 2.15 x 1010 ☉ per il disco sottile, 3.91 x 109 ☉ per il disco
 spesso e 2.64 x 108 ☉ per l’alone. La massa totale della Galassia, per distanze
 galattocentriche minori di 50 kpc ammonta a 5.04 x 1011 ☉ e 9.97 x 1011 ☉ per
 distanze fino a 100 kpc.

 La legge risultante dall’utilizzo dell’autoconsistenza e dalla correzione del
 potenziale Galattico è utilizzata per definire un computo del contenuto stellare, a
 partire dall’ipotesi che l’IMF e l’SFR definite per le stelle prossime al sole siano
 estendibili per l’intera popolazione del disco.

 Un’ulteriore variabile da tenere in conto è la dispersione di velocità, introdotta
 nel capitolo precedente e di cui presentiamo le componenti nella tabella
 seguente, cui si affianca la deriva asimmetrica (asimmetric drift), espresso
 mediante tale equazione
 2 2 2 
 = { + + (1 − 2 ) + (1 − 2 )} (2.3)
 2 

 24
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 Fig 11 – riportiamo in tabella le componenti della velocità di dispersione e la velocità di deriva asimmetrica
 per le varie popolazioni. Nell’ultima colonna vi è la dispersione radiale, ritrovata poi nella definizione della
 velocità di deriva.

 Fino a questo momento abbiamo introdotto alcune delle funzioni che definiscono
 il BGM, senza soffermarci su come il modello evolutivo calcoli effettivamente la
 distribuzione di stelle in funzione dei parametri intriseci. La distribuzione che si
 ottiene trascrive i vincoli teorici in statistiche osservabili, per mezzo di modelli
 atmosferici appropriati. In generale, i parametri teorici vengono convertiti in
 colori tramite sistemi fotometrici e modelli atmosferici, in modo da adattarsi ai
 dati empirici.

 2.2 – Popolazioni stellari
 2.2.1 – Disco
 Per descrivere le proprietà del disco nel merito del BGM è opportuno discutere
 dell’esistenza di una curvatura (warp) e di un ispessimento (flare) all’interno
 dello stesso, le cui prime evidenze sono state rilevate nelle nubi molecolari.

 In generale, l’origine del warp è ancora oggi oggetto di studi, dal momento che
 non è possibile determinare con esattezza la causa scatenante di questo
 fenomeno. Sappiamo, però, che esso ha origine dall’interazione del disco con un
 elemento esterno ad esso, il quale secondo le varie ipotesi può essere
 rappresentato da materia oscura, gas interstellari o galassie satelliti. La rilevanza
 del warp risiede nel fatto che esso determina una fluttuazione nella definizione
 della legge di densità per il disco.

 Infatti, per raggi maggiori rispetto a quello di deformazione, si osserva che le
 coordinate galattiche ( R, , z ) risultano essere shiftate perpendicolarmente al
 piano con un valore dato dalla seguente legge:

 = cos( − ) (2.4)

 25
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 dove sono la direzione in cui il warp è massimo e la sua massima
 altezza, definita come

 = ( − ) (2.5)

 A partire dagli studi di Gyuk et. All (1999), in unione con i dati della survey
 DENIS, è stato determinato un valore di Rw pari a 8.4 kpc. Per quanto riguarda il
 flare, questo è modellizzato come un incremento dell’altezza di scala di un fattore
 kflare. Questo fattore è definito come segue

 = 1 + ( − ) (2.6)

 ove è un’ampiezza stimata pari a 5.4 x 10-4 kpc-1.

 È stato notato che il raggio di inspessimento è inferiore a quello del circolo solare,
 inoltre il minimo raggio di flare può dipendere dalla longitudine considerata
 (Derriére et al. 2001).

 Fig 12 – Nel grafico è evidenziato il rapporto tra i dati della sonda DENIS e quelli previsti dal modello. Le tre
 regioni rappresentano rispettivamente l’effetto del flare, l’effetto del warp ed l’effetto dei due fenomeni allo
 stesso tempo.

 Un’ulteriore fonte di dati sulle proprietà del disco viene dalla cinematica (studi di
 Gomez et al. 1997). In precedenza, infatti, abbiamo introdotto l’ellissoide della
 velocità che collega la dispersione della stessa all’età delle stelle.

 26
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 2.2.1.1 - Disco sottile

 Ad esso si associa una popolazione con età pari a circa 10 Gyr, valore che deriva
 dalla funzione luminosità. Più precisamente, il disco è modellizzato per mezzo
 della Legge di Einasto, un modello che descrive come la densità di un sistema
 stellare sferico vari con la distanza dal centro Galattico. In questo modo il disco
 sottile viene suddiviso in sette popolazioni isoterme di età variabile tra 0 e 10
 Gyr.

 Ciascuna di queste popolazioni possiede una velocità di dispersione indotta dalla
 relazione tra età e velocità.

 2.2.1.2 - Disco spesso

 Secondo il BGM l’origine del disco spesso è da ricondursi ad uno o più fenomeni
 di fusione alla base dell’esistenza del disco sottile. Difatti, tale supposizione ben
 descrive le proprietà di questa popolazione stellare: l’accrescimento del disco
 surriscalda l’originaria popolazione stellare rendendola più spessa e con velocità
 di dispersioni maggiori. Dall’abbondanza di elementi chimici, si può determinare
 che la formazione del disco spesso risalga ad un periodo che va dagli 8 Gyr ai 13
 Gyr (Pettinger et al. 2001).

 Altri vincoli che permettono di definire la popolazione del disco spesso derivano
 dalla cinematica: l’ellissoide di velocità e il drift asimmetrico sono stati misurati
 dalle distribuzioni di velocità radiale e trasversale degli oggetti celesti. Gli studi di
 Ojha et al. (1999) hanno determinato la velocità di dispersione (u,vw ) = (65,
 51,42) km s-1. Il drift asimmetrico non è stato individuato ad alcun gradiente di
 altezza per questo tipo di popolazione, così come anche il gradiente radiale
 risulta essere indefinito e quindi assunto pari a 0.

 La mancanza di gradienti chimici e cinematici suggerisce che la formazione del
 disco sia avvenuta in seguito ad un collasso piuttosto che al riscaldamento del
 disco sottile. Nel modellizzare questa popolazione, si assume che la sua origine
 sia avvenuta in un tempo unico e che non abbia subito evoluzioni successive.
 Inoltre, si definisce la sua legge di densità come una legge che decresce
 esponenzialmente in modo perpendicolare al piano Galattico.

 Al giorno d’oggi non è realmente possibile definirne la forma, a causa delle grandi
 distanze che non consentono un alto grado di accuratezza. Tuttavia, sfruttando le
 conoscenze a brevi distanze si è supposto che tale forma sia troncata
 esponenzialmente sull’asse z. Pertanto la distribuzione di densità è esponenziale
 su grandi distanze e parabolica su brevi. I parametri per questa distribuzione e

 27
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 l’IMF sono determinati dalle analisi delle stelle di campo estremo e del conteggio
 stellare ad alte e intermedie latitudini Galattiche (Reyle e Robin 2001).

 Si definisce, dunque, un’altezza di scala hr = 800±50 pc, una densità locale 0 =
 1.03 x 10-3 pc-3 o di 0 = 7.6 x 10-4 M pc-3 , corrispondente al 6.8% della densità
 locale del disco sottile.

 2.2.2 – Alone
 Sostanzialmente, come detto anche in precedenza, l’alone è costituito da una
 popolazione stellare antica e povera di metalli.

 Molte sono le ipotesi sulla sua origine, tra di esse due spiccano principalmente. Il
 primo introduce l’idea di un collasso di gas pregalattico, mentre il secondo si basa
 sull’accrescimento di piccole galassie satelliti. A supporto di questa seconda
 ipotesi vi sono delle tracce di flussi individuati che richiamano fenomeni di
 accrescimento, sebbene le proporzioni dello sferoide non concordino con una
 possibile origine a causa di questi flussi.

 Ad ogni modo, il BGM assume che la popolazione dell’alone sia omogenea ed
 abbia avuto origine in un breve periodo di formazione stellare. L’età della
 popolazione è stimata per mezzo dei valori di metallicità individuati da Bergbush
 e VandendBerg (1992), i quali assumono una distribuzione di metallicità
 gaussiana con una dispersione pari a 0.5. Da qui, l’età stimata per l’alone è di circa
 14 Gyr, valore che appare leggermente alto e per il quale si stima un’incertezza di
 0.5 Gyr.

 La legge di densità e l’IMF dello sferoide sono limitati utilizzando il conteggio
 stellare ad alte e medie latitudini Galattiche (Robin 2000). Da qui segue che la
 densità sia caratterizzata da un indice di legge di potenza pari a n=2.44, un
 appiattimento pari a 0.76 e una densità locale 0 = 2.185 x 10-5 pc-3 (o 0.932 x 10-
 5 pc-3, se si tiene conto delle nane rosse al limite della combustione dell’idrogeno).

 Questo valore ottenuto è stato determinato a partire da un’IMF simile a quella
 degli ammassi globulari e del disco spesso. Da qui, la densità relativa dello
 sferoide è circa lo 0.06%, sebbene non tenga conto della presenza delle nane
 bianche più antiche ( fa riferimento, infatti, solo a stelle con magnitudini Mv < 8).

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Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon

 2.2.3 – Bulge
 Il dibattito sulle origini del bulge è ancora in corso, difatti sono numerose le
 possibili ipotesi formulate per giustificare l’esistenza di questa struttura
 complessa. Molte di esse fanno riferimento a collassi primordiali, caduta di
 galassie satelliti o all’evoluzione stessa del disco.

 Nonostante questa indeterminazione circa la sua formazione, è tuttavia possibile
 stabilire quelli che sono i connotati della popolazione stellare che appartiene a
 questa regione. Essa è caratterizzata da una forte asimmetria, mostrata nei dati
 infrarossi di COBE/DIRBE: si osserva, infatti, che il bulge è triassiale e che risulta
 essere più brillante per longitudini positive.

 Inoltre, bisogna specificare che il BGM si concentra principalmente sul bulge
 esterno, dal momento che la sua componente più interna non è ancora ben
 definita dai risultati delle osservazioni.

 Si osserva che i dati che fanno riferimento alla parte più interna della Galassia
 mostrano una coesistenza delle due popolazioni (disco e bulge). Facendo uso
 della formula di Einasto per il disco, andiamo a vincolare i parametri che
 definiscono queste popolazioni per valutarne l’effettiva coesistenza o per
 determinare ove l’una sostituisce l’altra per qualche valore del raggio Galattico.

 I parametri adattati per il disco sono la lunghezza di scala hr e l’altezza di scala del
 buco presente nella distribuzione del disco (previsto dalla legge di Einasto),
 mentre per il bulge vi sono otto parametri:

  Gli angoli di orientazione:  (definito come l’angolo tra l’asse maggiore
 e la linea perpendicolare alla direzione tra Sole e Centro Galattico), 
 (angolo tra piano Galattico e piano del bulge) e  (angolo di rotazione
 del bulge intorno all’asse maggiore)
  La lunghezza di scala lungo i due assi, maggiore e minore, x0 e y0
  La normalizzazione N
  Il raggio di cut off Rc

 Inoltre, si fa uso di un valore di IMF che mostra una pendenza ben definita per
 valori di masse grandi e intermedi. Diverso è il caso per le masse minori, dal
 momento che le osservazioni accurate all’interno del bulge sono di difficile
 realizzazione per via dell’alta densità stellare. I valori della pendenza sono
 ricavati grazie al telescopio Hubble e risultano essere pari a – 2.22 per masse pari
 a 0.7 ☉ (Holtzmann et al. 1998).

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