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Università degli Studi di Salerno Dipartimento di Fisica “E.R. Caianiello” Corso di Laurea in Fisica Simulazione di osservazioni di WFIRST tramite il modello di Besançon della Via Lattea Candidato Relatore Ines Francesca Giudice Prof.Valerio Bozza Matricola 0512600172 Anno Accademico 2018/2019
Indice Introduzione 1 1. La Via Lattea 3 1.1. Caratteristiche generali e grandezze ......................................................................3 1.1.1. Distanza Galattocentrica Solare ..................................................................... 5 1.1.2. Metallicità ............................................................................................................... 5 1.1.3. Rapporto Massa-Luminosità ........................................................................... 6 1.2. Morfologia.............................................................................................................................. 7 1.2.1. Disco ......................................................................................................................... 8 1.2.2. Bulge .......................................................................................................................10 1.2.3. Alone.......................................................................................................................11 1.3. Cinematica...........................................................................................................................13 1.3.1. Coordinate galattiche e cilindriche .............................................................13 1.3.2. Local Standard of Rest .....................................................................................14 1.3.3. Rotazione galattica e costante di Oort .......................................................16 1.3.4. Curva di rotazione .............................................................................................18 2. Il modello galattico di Besançon 20 2.1. Introduzione all’autoconsistenza dinamica ...........................................................20 2.2. Popolazioni stellari ..........................................................................................................25 2.2.1. Disco .......................................................................................................................25 2.2.2. Alone.......................................................................................................................28 2.2.3. Bulge .......................................................................................................................29 2.2.4. Nane bianche .......................................................................................................30 2.3. Applicazioni e limiti del BGM.......................................................................................31 2.4. Evoluzione del BGM alla luce dei dati di Gaia ........................................................33 3. Simulazioni per la survey WFIRST in fenomeni di microlensing 36 3.1. Obiettivi primary di WFIRST ................................................................................... 36 3.1.1. Caratteristiche tecniche ..................................................................................38 3.2. Simulazione dei campi di WFIRST attraverso il BGM ...................................... 40 3.2.1. Diagramma colore-magnitudine .................................................................41 3.2.2. Classi spettrali ....................................................................................................43 3.2.3. Distribuzione delle distanze ..........................................................................44 3.2.4. Diagramma delle velocità ...............................................................................46 3.2.5. Distribuzione dei raggi angolari ..................................................................48 Conclusioni Bibliografia
Introduzione La morfologia della nostra Galassia e della volta celeste ha sempre rappresentato uno dei principali interrogativi sin dai tempi più antichi. Le prime formulazioni teoriche circa la sua struttura risalgono all’antica Grecia; si tratta di costruzioni prettamente geocentriche: basti ricordare Eudosso di Cnido, il quale suddivide il cosmo in sfere concentriche il cui fulcro si pone nella posizione del pianeta terra, e Platone, il primo ad intuire la sfericità del nostro pianeta. Un approccio differente inizia a prendere piede soltanto nel diciassettesimo secolo, con le prime osservazioni di Galileo, al quale si deve il merito d’aver intuito che la Galassia non sia altro che un agglomerato di numerose stelle indipendenti. A fronte delle sue considerazioni, il secolo seguente vede lo svilupparsi di teorie via via più accurate, tra le quali spiccano per importanza quella sviluppata da Kapteyn e quella di Shapley. Tali teorie hanno permesso di schematizzare la morfologia della Via Lattea, rivelandone la nota struttura a spirale e le zone principali che la compongono (seppur mantenendo taluni gradi di incertezza). Ad oggi sussistono diversi modelli che tentano di raggiungere un maggior grado di accuratezza nella descrizione della natura della nostra Galassia. Tra di essi, nel seguente lavoro, l’attenzione è posta sul modello galattico di Besançon. Esso prevede la suddivisione delle stelle presenti nella Via Lattea in quattro popolazioni differenti: disco sottile, disco spesso, alone e bulge. La natura di questa suddivisione nasce dall’analisi di alcune variabili cinematiche e parametri standard, in unione ad una teoria di evoluzione chimica della Galassia che in seguito verrà analizzata nel secondo capitolo di questo lavoro. Tale modello offre numerosi vantaggi, in quanto permette di stilare un catalogo di stelle appartenenti alla medesima categoria, ed è proprio a cagione di questa proprietà che esso è stato utilizzato per effettuare delle simulazioni di dati per la survey WFIRST. Nel primo capitolo di questa tesi analizzeremo la struttura della nostra Galassia, vero fulcro di questo esame e punto focale dello studio di WFIRST. Introdurremo le sue principali componenti, le grandezze che la caratterizzano e forniremo una rassegna sulle sue proprietà cinematiche. 1
Nel secondo capitolo presenteremo il modello galattico di Besançon che rappresenta il mezzo attraverso il quale effettuare le predizioni di WFIRST. Infine, nell’ultimo capitolo, simuleremo una raccolta di dati per ciascun campo di WFIRST per i quali analizzeremo diverse distribuzioni (colore-magnitudine, velocità, raggi angolari etc.) che porremo a confronto con le previsioni teoriche. 2
1. La Via Lattea L’origine della denominazione “Via Lattea” risale all’antica Grecia, difatti si suppone che il termine derivi da , - ossia latte, anche etimo della stessa parola galassia. La Via Lattea è un sistema complesso di stelle indipendenti, gas, polveri e materia oscura, il cui studio è stato affrontato nel corso dei secoli, non senza incontrare alcune difficoltà. Una delle principali complicanze è rappresentata dal fatto che ciascuna osservazione è compiuta su un sistema non inerziale, la Terra, la quale risente del proprio moto intorno al Sole ed anche del moto del Sole all’interno della Galassia stessa. Inoltre, la presenza di gas e polveri rende difficoltose le osservazioni in direzione del bulge, ove sappiamo essere situato il buco nero massiccio SgrA*. Per tale motivo le informazioni attualmente in nostro possesso possono definirsi soltanto parziali, destinate ad evolversi in seguito all’acquisizione di nuovi dati ed alla definizione di modelli galattici più accurati. Di seguito, forniremo una rassegna della morfologia e della cinematica della Via Lattea alla luce delle conoscenze attuali. 1.1 - Caratteristiche generali e grandezze La complessità della Via Lattea può suddividersi in tre principali regioni: bulge, alone e disco (a sua volta distinguibile in sottile e spesso), le quali insieme danno luogo alla nota struttura a spirale. Tale struttura, denotata più precisamente come spirale barrata, non è di semplice definizione. Le prime speculazioni sull’aspetto della Galassia risalgono alla fine dell’ottocento, 3
Capitolo 1 La Via Lattea sebbene le prime descrizioni accreditate si siano avute soltanto nel secolo successivo, per mezzo dell’analisi infrarossa. Osservando, infatti, il sistema in banda B, il conteggio stellare dava luogo ad un’immagine in cui la struttura a spirale veniva fortemente evidenziata. Questo è stato possibile in quanto i bracci della spirale non sono altro che onde di densità, all’origine della formazione stellare, visibili nella banda blu e nell’UV. Differentemente, osservando il sistema in banda R, quello che si notava era un’immagine meno evidente, che – dall’analisi chimica – ha suggerito che in tale spirale le stelle giovani fossero concentrate all’interno. Fig.1 - Dall’analisi del grafico è evidente come il disco, esteso lungo l’equatore galattico, si suddivide in più bracci concentrici rispetto al centro galattico. Tra di essi ricordiamo il braccio di Orione, presente in figura, ove è situato il nostro sistema solare. A questo punto, una delle problematiche da affrontare riguarda la determinazione delle dimensioni della Galassia. Essa è da associarsi alle dimensioni del disco, le quali si aggirano intorno ai 40-50 kpc. Tuttavia anche in questo caso si può parlare soltanto di un valore approssimativo, in quanto studi più recenti suggeriscono che la struttura del disco possa non essere perfettamente cilindrica, ma ellittica (il che comporta una diminuzione delle dimensioni nell’asse minore di circa 0.9 kpc ). Tra le altre proprietà della Via Lattea ve n’è una comune a molti altri corpi celesti, ovvero l’esistenza di un campo magnetico proprio. Tale campo risulta essere poco intenso; si stima che esso assuma un valore di 1 T nel centro Galattico, per poi seguire i bracci della spirale con un valore di circa 0.4 nT. Infine, nella zona occupata dall’alone, questo riduce la propria intensità rispetto al disco di circa un ordine di grandezza. Nonostante ciò, numerose sono le teorie circa il fatto che questo possa aver giocato un ruolo significativo nell’evoluzione della Via Lattea, 4
Capitolo 1 La Via Lattea dal momento che la sua densità di energia risulta essere comparabile con la densità di energia termica del gas interno al disco. Alla luce di questa generale definizione della struttura della Galassia, è opportuno introdurre alcune grandezze atte a facilitare la descrizione delle proprietà di ciascuna delle componenti della Via Lattea. 1.1.1 – Distanza Galattocentrica Solare Per distanza galattocentrica si intende la distanza tra il Sole ed il centro galattico, convenzionalmente indicata dal simbolo Ro. Tale grandezza fu inizialmente stimata da Shapley nella definizione del proprio modello galattico, con un valore di circa 15 kpc. Successivamente, nel corso del 1900, l’IAU, l’Unione Astronomica Internazionale, ha sostituito tale valore con una stima di 8.5 kpc. Evidenze sperimentali successive hanno permesso di effettuare un computo della distanza più preciso e tra queste ricordiamo quella di Frank Eisenhauer et al. (2003). Sfruttando misure astrometriche e spettrometriche di S2 (la stella più vicina al centro galattico) è stato possibile ricavare un valore di Ro pari a 8.3 kpc, in totale accordo con l’usuale convenzione di 8 kpc. Fig.2 – Immagine rappresentativa delle dimensioni della Via Lattea 1.1.2 – Metallicità La seconda grandezza di interesse è la metallicità. La sua definizione si fonda sul presupposto che uno dei principali criteri di caratterizzazione delle stelle è la composizione chimica, in particolare la presenza di metalli pesanti. Tra di essi, quello convenzionalmente utilizzato per stimare l’età di una stella è il ferro, dal 5
Capitolo 1 La Via Lattea momento che le sue linee spettrali risultano facilmente riconoscibili. Ora, sapendo che è l’esplosione di supernovae a generare una forte emissione di ferro, è consequenziale affermare che le stelle che presentano un’alta concentrazione di Fe saranno le più giovani, mentre le più antiche avranno concentrazioni molto più basse. La formula che restituisce la metallicità è riportata di seguito [Fe/H] ≡ log10 [ ( / ) ] (1.1) ( / ) ☉ ove osserviamo al denominatore il valore del rapporto Fe-H stimato per il Sole. Notiamo, inoltre, che il rapporto Fe-H può assumere tre tipi di valori: negativi, per stelle povere di ferro; positivi, per stelle ricche di ferro e nulli, nel caso in cui le concentrazioni risultino essere pari a quelle del Sole. La definizione di questo rapporto non ci permette, tuttavia, di poter sempre stimare con esattezza l’età di una stella. Questa incertezza è dovuta al fatto che i fenomeni alla base dell’arricchimento di ferro dell’ISM (interstellar medium) possano aver avuto luogo in regioni della stessa età in intervalli di tempo differenti. Da qui segue che zone “coetanee” posseggano concentrazioni di Fe differenti, falsando dunque la raccolta di dati. Per questo motivo, i risultati prodotti dalla metallicità vengono talvolta confrontati con il rapporto O-H, definito in maniera analoga. 1.1.3 – Rapporto Massa - Luminosità Stimato come il rapporto tra la massa di una stella e la sua luminosità nella banda B, esso dà informazioni sulla natura delle stelle responsabili della luce. Sappiamo che le due grandezze sono correlate tra loro, in particolare, nel caso della sequenza principale, la luminosità dipende fortemente dalla massa secondo la seguente relazione (1.2) =( ) ☉ ☉ dove il valore di può variare tra 4 per le stelle con masse dell’ordine di 0.5 ☉ , e 2.3 per stelle di massa inferiore. Da qui, assumendo che la maggior parte delle stelle che si trovano nel disco appartengano alla sequenza principale, è possibile stimare una media della massa di tali stelle a partire dal rapporto massa- luminosità 〈 〉 = 31/(1− ) ☉ (1.3) 6
Capitolo 1 La Via Lattea 1.2 - Morfologia Come già accennato, la Via Lattea è costituita da tre fondamentali componenti: dico, bulge ed alone. All’interno di questa struttura, che analizzeremo in seguito in modo più dettagliato, grande importanza è rivestita dai gas e polveri interstellari, dal momento che giocano un ruolo fondamentale nella creazione delle stelle. Tali sostanze sono diffuse nell’intera Galassia, differenziandosi per temperatura, massa e densità; inoltre, dagli studi effettuati, è stato individuato che taluni materiali sono propri di singole zone della Via Lattea. Questi studi misurano gli effetti dell’oscuramento e dell’emissioni della polvere, utilizzando le molecole di anidride carbonica CO come tracciatori dell’H2. In questo modo è stato possibile affermare che, ad esempio, l’idrogeno molecolare e la polvere fredda siano prevalentemente disposti l’uno nella regione che va dai 3 agli 8 kpc dal centro Galattico, l’altra in quella che va dai 3 ai 7 kpc. Inoltre, si osserva che l’idrogeno e le polveri sono principalmente situati lungo il piano galattico, mentre la loro densità diminuisce allontanandosi da esso. L’effetto dovuto alla presenza di gas e polveri non è trascurabile, dal momento che rappresentano una componente massiva notevole nell’insieme degli elementi che costituiscono la Via Lattea. Difatti, si stima che la massa totale di H I sia 4 x 109 ☉ , mentre si è ottenuto un valore di 109 ☉ per H2. Si osserva che, per distanze che superano i 12 kpc dal centro galattico, l’altezza di scala di H I aumenta drasticamente, raggiungendo valori di circa 900 pc. In sostanza, per tali distanze, la distribuzione del gas non è più strettamente confinata nel piano galattico, ma presenta una curvatura (warp) ben definita che forma un angolo di deviazione rispetto al piano di circa 15o. Questo fenomeno è, in realtà, comune a molte altre galassie a spirale, tra cui ricordiamo Andromeda, sebbene non siano chiare le origini alla base della creazione di queste curvature. 7
Capitolo 1 La Via Lattea Nubi di idrogeno possono essere, poi, riscontrate anche ad alte latitudini, con alcune proprietà peculiari: tra esse, infatti, alcune possiedono una velocità radiale positiva, il che implica che tali nuvole si stiano allontanando progressivamente dal disco. Si suppone che l’origine di queste formazioni gassose sia dovuta a gas emessi durante l’esplosione di supernovae ad altissime altezze lungo z, prima di raffreddarsi e ricadere sul piano galattico ( Galactic fountain model). In aggiunta ai fenomeni finora trattati va posta l’esistenza di un gas caldo, coronal gas, che predomina a distanze di circa 70 kpc (o anche superiori), per il quale si suppone che la distribuzione sia approssimativamente sferica. A partire da ciò, sfruttando la distanza convenzionale di 70 kpc dal centro galattico come raggio, si può stimare la massa di questo gas, la quale è di circa 4 x 108 ☉ . Parliamo di gas caldo poiché per compensare l’eventuale collasso gravitazionale, è necessario che la sua temperatura sia molto elevata, dell’ordine di 106 K. Ora, spostiamo l’attenzione su quelle che sono le principali componenti della nostra Galassia. 1.2.1 – Disco Il disco galattico rappresenta la regione più corposa della Via Lattea, in esso è situata la maggior parte dei gas e delle polveri, particolare che rende questa zona il laboratorio di creazione delle stelle. Il continuo evolversi degli oggetti all’interno del disco fa sì che esso contenga diverse popolazioni di stelle, caratterizzate da proprietà ed età differenti. Come detto in precedenza, il disco si estende con un diametro di circa 50 kpc, il che sottende il fatto che al suo interno siano contenuti i noti bracci della spirale. Tra queste costruzioni ricordiamo il Braccio di Perseo, che rappresenta la maggiore diramazione della Via Lattea, ed il Braccio di Orione, ove è situato il sistema solare. Entrando nello specifico, il disco può suddividersi in due sezioni fondamentali: disco sottile e disco spesso. Il disco sottile è composto da stelle relativamente giovani, gas e polveri, il che lo classifica come la regione primaria di formazione stellare. La denominazione sottile deriva dal fatto che la sua altezza z è soltanto di 350 pc, e vi è una porzione dello stesso che viene a sua volta denominata disco sottile giovane. Tale regione corrisponde alla distribuzione di gas e polveri nel piano centrale della Galassia, con altezze di scala variabili tra i 90 e i 35 pc. Al contrario, il disco spesso si differenzia notevolmente dalla sua controparte. In primo luogo notiamo che le popolazioni di stelle contenute sono più antiche, inoltre l’altezza di scala di tale regione è considerevole, se posta a confronto con il disco sottile, difatti raggiunge circa i 1000 pc. 8
Capitolo 1 La Via Lattea Un’ulteriore differenza sussiste nella concentrazione stellare, mentre il disco sottile risulta più denso, il numero di stelle per unità di volume nel disco spesso è solo l’8,5%. In supporto di questi dati vi sono due possibili ragioni che potrebbero giustificare la sostanziale discrepanza tra disco sottile e spesso: la prima suggerisce che la dispersione di velocità delle stelle cresca a causa degli incontri tra le stesse e le perturbazioni gravitazionali nel disco spesso, la seconda ritiene che nell’ultimo siano contenute unicamente stelle strappate ad altre galassie. Andando a combinare le due componenti del disco, è possibile determinare la densità stellare a partire dalla seguente formula − ℎ − ℎ ) − /ℎ (1.4) ( , ) = 0 ( + 0.085 dove z rappresenta l’altezza in verticale dal piano galattico, R la distanza radiale dal centro galattico, hR l’altezza di scala del disco con un valore maggiore di 2.25 kpc, Mv la magnitudine in un range 4.5 ≤ ≤ 9.5. Ovviamente, bisogna tenere sempre conto del fatto che queste grandezze portano con sé un certo grado di incertezza. Un ulteriore confronto tra le due componenti del disco può essere effettuato nell’analisi dell’età degli stessi, richiamando il concetto di metallicità precedentemente introdotto. Si osserva, dunque, che per il disco sottile il valore tipico di metallicità Fe-H varia in un range che va da -0.5 a 0.3, mentre per la maggior parte delle stelle del disco spesso, tale range varia tra - 0.6 e -0.4 (con valori limite di -1.6 per alcune stelle). L’analisi di questi dati comprova la tesi secondo cui il disco sottile sia più giovane e luogo di creazione stellare, sebbene alcune evidenze sperimentali mostrino come la stessa creazione non sia continua nel tempo ma possa subire alcuni rallentamenti anche per miliardi di anni. In generale, si ritiene che la creazione del disco spesso sia relativa ad un intervallo che va tra i 10 e gli 11 Gyr. Fig. 3 – In tabella riportiamo le principali caratteristiche delle componenti del disco. 9
Capitolo 1 La Via Lattea 1.2.2 – Bulge Il bulge, inteso come centro galattico, non deve essere visto come un’estensione del disco, bensì come un elemento a sé stante. La sua struttura è quella di una barra distinta, che ha un raggio dal centro galattico pari a 4.4 ± 0.5 kpc e un angolo rispetto al piano di vista dalla terra al centro galattico pari a 44 ± 10°. Inoltre, essa risulta più spessa nel piano galattico che lungo la verticale z. Si suppone che il bulge possegga una massa di circa 1010 ☉ e mostra una luminosità di superficie data dalla seguente relazione ( ) 1/4 (1.5) log10 [ ] = −3.3307 [( ) − 1] Tale equazione è nota come legge r1/4, o più precisamente come legge di de Vaucouleurs, ove re rappresenta il raggio effettivo del bulge (stimato intorno agli 0.7 kpc) e Ie la luminosità superficiale. Tale definizione del raggio risale al 1948, individuato come il raggio del cerchio contenente metà del flusso totale. Sussistono ancora delle difficoltà nella determinazione delle proprietà del bulge, prevalentemente a causa della grande presenza di polveri nella lunghezza che va dal Sole al centro Galattico. Nonostante ciò, è stato possibile determinare da alcune evidenze sperimentali che le caratteristiche chimiche delle stelle presenti nel bulge sono variegate. È noto, infatti, che le stelle possano suddividersi in differenti popolazioni dalle più ricche di metalli alle più povere. Questo mostra un’ampia finestra temporale di formazione stellare, che copre un range che va da appena 200 Myr a 7 Gyr (l’età stimata per le più antiche). Va, però, specificato che – contrariamente a quanto affermato prima – nel caso del bulge le stelle più antiche risultano essere quelle maggiormente cariche di materiali pesanti, mentre nelle stelle giovani si osserva una distribuzione costante. Questo fenomeno si ritiene sia dovuto al fatto che il collasso di supernove sia avvenuto nei primi anni di vita del bulge, andando ad arricchire il mezzo interstellare e quindi permettendo la creazione di stelle ricche di materiali pesanti. Fig. 4 – In tabella riportiamo le principali caratteristiche delle componenti del bulge. 10
Capitolo 1 La Via Lattea 1.2.3 – Alone L’alone è la componente che avvolge la totalità della Via Lattea. Rappresenta la porzione meno luminosa della Galassia, ciò è dovuto al fatto che in esso non sono presenti polveri e gas, dunque il processo di formazione stellare non è attuabile. Le popolazioni che abitano tale regione sono gli ammassi globulari e le stelle di campo che non appartengono ad essi, spesso denominate come stelle ad alta velocità in quanto hanno una componente di velocità molto differente da quella del disco (ad es. il Sole). La legge che regola la distribuzione di tali stelle ed ammassi assume la forma ℎ ( ) = 0 ℎ ( / )−3.5 (1.6) con un raggio sferoidale effettivo di 2.7 kpc e n0 ≅ 4 x 10-5 pc-3. Tali componenti sono dislocate ad una distanza ragguardevole dal centro galattico, difatti i 150 ammassi globulari al momento individuati raggiungono distanze galattocentriche in un range che raggiunge i 120 kpc. Ciò ha portato a supporre che taluni ammassi non siano altro che oggetti esterni catturati dalla Via Lattea, come ad esempio nuclei sferoidali di antiche galassie tra cui Centauri. Tuttavia, se si esclude la presenza di questi oggetti estremamente lontani, si può ricondurre il raggio dell’alone ad una stima di 42 kpc, regione all’interno della quale è collocata la gran parte delle stelle di campo e gli ammassi poveri di metalli. Infatti, è possibile attuare una distinzione in due categorie degli ammassi stellari. La prima categoria è costituita da ammassi poveri di metalli, i quali hanno un rapporto di metallicità strettamente inferiore a – 0.8, a differenza dei più giovani e ricchi di metalli, i quali possiedono un rapporto Fe-H maggiore di questo valore limite. Entrando nello specifico, si parla di 11 Gyr di età per gli ammassi più giovani e valori maggiori di 13 Gyr per i più antichi e questa rappresenta una prova del fatto che sussiste un salto di alcuni miliardi di anni tra le fasi di formazione stellare (Krauss et al. 2003). L’età non rappresenta la sola differenza tra gli ammassi, dal momento che essi mostrano di assumere distribuzioni differenti: sferoidale nel caso degli ammassi metal-poor e simile a quella del disco per gli ammassi più recenti. Le similitudini che sussistono tra gli ammassi giovani ed il disco riguardano, poi, anche l’altezza di scala, per entrambi dell’ordine di 1 kpc. In conclusione possiamo stimare la densità stellare totale nell’alone, la quale è dell’ordine di 1 x 109 ☉ . Di questa totalità soltanto l’1% costituisce gli ammassi globulari, la restante parte è rappresentata dalle stelle di campo. 11
Capitolo 1 La Via Lattea Fig 5 – Nell’immagine è riportata la distribuzione degli ammassi globulari, si osserva che i più poveri di metalli assumono una distribuzione sferica intorno al centro della Galassia, mentre i più ricchi si dispongono lungo il piano. 1.2.3.1 – Alone oscuro Combinando tutte le componenti della Via Lattea, la massa luminosa totale assume un valore di 9 x 109 ☉ . Tale valore si trova ad essere in accordo con il moto orbitale del Sole, ma incontra delle problematiche nella spiegazione di altri fenomeni tra cui le grandi distanze galattocentriche superiori all’unità di Ro. Quale giustifica di questo fenomeno deve sussistere un elemento strutturale della Galassia che non può essere individuato, ma che è all’origine della formazione delle curvature che abbiamo osservato nel caso dell’idrogeno H I. Tale elemento prende il nome di alone oscuro e si suppone che possegga una distribuzione sferica che avvolge l’alone stellare con un diametro di circa 230 kpc e una distribuzione di massa data da 0 (1.7) ( ) = ( )(1 + / )2 La composizione di questo elemento è ancora oggetto di indagine, dal momento che ricondurlo alla sola polvere stellare non risolve il problema della mancanza di emissione. Allo stesso modo, è da escludere anche la componente gassosa, altrimenti avremmo delle linee di assorbimento evidenti. Per tale motivo si suppone che le sue componenti siano degli oggetti denominati come WIMPS (weakly interacting massive particles), le quali non contribuiscono alla luminosità della Galassia ma che producono effetti unicamente gravitazionali. 12
Capitolo 1 La Via Lattea Fig 6 – Principali caratteristiche dell’alone stellare e oscuro. 1.3 – Cinematica Una volta affrontato il problema della caratterizzazione della struttura della Via Lattea, rimane da stabilire come avvenga la sua evoluzione nel tempo, ovvero determinare le costanti cinematiche del moto. In primo luogo è necessario tenere conto del fatto che il semipiano galattico non è allineato con il piano dell’equatore celeste, ma risulta inclinato rispetto ad esso di un angolo di 62.87°. Inoltre, utilizzare un solo sistema di coordinate che sfrutta il Sole come origine non è conveniente per la stima delle variabili cinematiche. Questo perché il Sole si muove all’interno della Galassia e quindi non rappresenta un riferimento ottimale per i moti galattici. 1.3.1 – Coordinate galattiche e cilindriche Introduciamo, ora, due sistemi di coordinate che, combinati, permettono una definizione di alcune variabili cinematiche. Il primo di essi è il sistema di coordinate galattiche, il quale fa uso della simmetria introdotta dall’esistenza del disco. Dal grafico riportato di seguito notiamo che l’intersezione tra il semipiano galattico e la sfera celeste forma ciò che denotiamo come equatore galattico, a partire dal quale si definiscono la latitudine galattica b e la longitudine galattica l. Tuttavia, il solo utilizzo delle coordinate galattiche non è sufficiente a costruire un sistema di riferimento ottimale, infatti, essendo centrato nel Sole, questo risente inevitabilmente della sua non inerzialità. Pertanto alle coordinate galattiche va affiancato un secondo sistema: sistema di coordinate cilindriche. 13
Capitolo 1 La Via Lattea L’origine di queste coordinate è posta nel centro galattico, a partire dal quale si sceglie un orientamento verso l’esterno per la componente radiale R, una componente angolare puntata verso la direzione di rotazione della Galassia e una coordinata z che aumenta verso nord. Ad esse corrispondono, ovviamente, le componenti della velocità che riportiamo di seguito: Π= ; Θ= ; = (1.8) 1.3.2 – Local Standard of Rest Dal momento che la gran parte delle osservazioni viene effettuata in un sistema centrato nel Sole, è opportuno introdurre una metodologia che rimuova dai risultati la dipendenza dai moti rotazionali e orbitali della Terra e dai moti galattici del sistema solare. Assumeremo, in primo luogo, che il centro osservativo sia il Sole, poiché la distanza Terra-Sole è di ordine trascurabile se messa a confronto con le distanze galattiche. Inoltre, supporremo che l’orbita che il Sole produce intorno al centro galattico sia perfettamente circolare. Una volta fatto ciò, è possibile introdurre il riferimento Local Standard of Rest. Nel sistema LSR le componenti della velocità sono Π = 0 ; Θ = Θ0 ( 0 ) ; = 0 (1.9) dove per Θ0 si intende la velocità di rotazione. Mentre la velocità relativa di una stella rispetto all’LSR è denotata come velocità peculiare ed è data da 14
Capitolo 1 La Via Lattea V = (VR , V , Vz) = (u,v,w) (1.10) Con = Π − Π , v = Θ − Θ , w= z- zLSR. Per quanto riguarda le stelle situate nelle prossimità del Sole, data l’asimmetria della Galassia, il valore medio stimato per u e w è prossimo a zero. Ovvero si suppone che, rispetto all’asse z, vi siano tante stelle in moto ascendente quanto in discendente, e che vi siano tante stelle in avvicinamento al centro galattico quante ve ne sono in allontanamento. In realtà sappiamo che la Galassia non è perfettamente simmetrica, ma l’errore correlato a questa assunzione è tanto piccolo da poter essere trascurato. In generale, la velocità che si misura per una stella relativamente al Sole è definita come la differenza tra la sua velocità peculiare e quella del Sole stesso. Pertanto avremo Δ ≡ − ☉ ; Δ ≡ − ☉ ; Δ ≡ − ☉ (1.11) da cui si ricavano le componenti del moto solare ☉ ≡ −〈Δ 〉 ; ☉ ≡ 〈 〉 − 〈Δ 〉 ; ☉ ≡ −〈Δ 〉 (1.12) Notiamo che per la componente radiale e per z, la velocità non è altro che il valore medio della velocità della stella rispetto al Sole. Differente è il discorso per la componente angolare, per la quale dobbiamo determinare in primo luogo la velocità delle stelle prossime al Sole. Si ottiene 1⁄ 〈 〉 = 2 = (〈 2 〉) 2 (1.13) Dove C è una costante e è la dispersione della velocità rispetto al sistema LSR. Inoltre, nel caso in cui la componente u sia nulla, essa coincide con la deviazione standard della distribuzione di velocità. Una volta individuato come determinare le velocità nel sistema LSR, è possibile andare a costruire un diagramma noto come ellissoide di velocità. Questo grafico, che ha per coordinate le componenti u e v, evidenzia una forte correlazione tra la dispersione di velocità e la metallicità, che a sua volta è legata all’età di una stella. 15
Capitolo 1 La Via Lattea Ciò che risulta evidente dal grafico è la forte asimmetria dell’ellissoide di velocità lungo l’asse v, effetto noto come drift asimmetrico. Si può osservare come le stelle più giovani siano confinate in una regione di basse velocità peculiari, mentre le stelle più antiche risultano avere delle distribuzioni di velocità peculiari più ampie. Queste ultime rappresentano le stelle ad alta velocità di cui abbiamo accennato nella trattazione dell’alone. Un’ ulteriore nota che possiamo fare riguarda l’alone. Osserviamo, infatti, che il suo centro non appare situato in zero, bensì in un valore di circa v = -220 km/s. Questo è dovuto al fatto che l’alone non partecipa alla rotazione della Galassia, pertanto la sua componente angolare risulta essere nulla, in caso contrario tale componente avrebbe evidenziato una simmetria lungo l’asse v. Avremo, dunque, nel caso dell’alone, stelle concordi con il verso di rotazione della Galassia con ~Θ0 e stelle con componente orbitale opposta con valore ~−Θ0 . Da qui segue che una buona stima del valore medio della velocità orbitale nel sistema SRL sia Θ0 ( 0 ) = 220 −1 (1.14) 1.3.3 – Rotazione galattica e costante di Oort Per poter derivare la curva di rotazione del disco galattico è opportuno andare dapprima ad effettuare alcune assunzioni. In primo luogo, tutte le orbite cui si fa riferimento sono supposte come circolari rispetto al centro galattico. Inoltre, bisogna tenere conto che, nella determinazione della velocità relativa tra due oggetti, quello che viene misurato effettivamente non è il moto spaziale, bensì la velocità radiale ed il moto proprio (ove quest’ultimo è rappresentato tramite la velocità trasversale). Ora, supponiamo di conoscere la distanza d della stella e l la sua longitudine galattica. Se definiamo la velocità radiale Θ( ) come una funzione della distanza dal centro galattico, le velocità trasversali e radiali saranno: = Θ − Θ0 sin (1.15) = Θ − Θ0 cos dove Θ0 è la velocità del Sole nel caso ideale del moto perfettamente circolare, mentre è definito come nella seguente figura. 16
Capitolo 1 La Via Lattea A questo punto possiamo introdurre la curva di velocità angolare come Θ( ) Ω( ) = (1.16) la quale permette di riscrivere le velocità come segue = Ω − Ω0 R 0 sin (1.17) = Ω − Ω0 R 0 cos In generale, se tutti i valori sono noti, queste due equazioni permettono di definire una stima ragionevole per Ω. In realtà, fatta eccezione per gli oggetti sufficientemente vicini da poter utilizzare la parallasse trigonometrica, la distanza d è di difficile misurazione. Per risolvere tali problematiche Oort ha sviluppato un set di equazioni per e , approssimate per la regione stellare in prossimità del Sole. Tale set ha origine dalla supposizione che Ω( ) sia una funzione che varia regolarmente, questo fa sì che il suo sviluppo di Taylor, ridotto al primo ordine, sia Ω Ω − Ω0 ≅ ( − 0 ) (1.18) con un valore approssimativo Ω ≅ Ω0 (1.19) Tenendo conto della relazione che sussiste tra la velocità angolare ed R, e facendo uso delle identità trigonometriche, Oort ha definito due costanti: 17
Capitolo 1 La Via Lattea (1.20) tali da ridefinire la relazione di velocità trasversale e radiale come segue. = sin 2 (1.21) = cos 2 + Le due costanti rivestono una certa importanza dal momento che la loro correlazione con le variabili del moto galattico contiene informazioni rilevanti sulla rotazione locale nei pressi del sistema solare. Valori consistenti di queste costanti sono stati determinati in seguito alla missione astrometrica Hipparcos A = 14.8 ± 0.8 km s-1 kpc-1 (1.22) B = -12.4 ± 0.6 km s-1 kpc-1 1.3.4 – Curva di rotazione Evidenze sperimentali hanno mostrato come la curva di rotazione della Galassia non decresca per distanze superiori a R0, ma che al contrario rimanga tendenzialmente costante. Quello che ci si aspetta, è un andamento concorde con le leggi di Keplero, nel quale si suppone che l’intera massa sia situata all’interno del raggio del circolo solare. 18
Capitolo 1 La Via Lattea Ovvero −1⁄ Θ∝ 2 (1.23) In realtà, i dati ottenuti divergono da questa supposizione ed inoltre costituiscono un risultato sorprendente. Difatti mostrano come parte della massa sia situata al di là di questa regione di raggio R0, nonostante il fatto che sia proprio tale circolo la principale fonte della luminosità della Galassia. Questa rotazione è individuata come una delle prove dell’esistenza della materia oscura all’interno della Via Lattea. 19
2. Il modello galattico di Besançon Il modello galattico di Besançon (BGM) poggia le proprie basi sulla definizione delle popolazioni di stelle interne alla Via Lattea. Esso individua quattro tipologie di popolazioni, ripartite in disco sottile, disco spesso, alone e bulge. Tale suddivisione è operata per mezzo della combinazione di considerazioni teoriche sull’evoluzione stellare e galattica e sulla dinamica delle stesse, unitamente a dati sperimentali quali la relazione età- metallicità ed altre proprietà misurabili. Questo risulta essere un approccio estremamente vantaggioso, in quanto permette di interpretare con una certa precisione i dati sperimentali ed inoltre di predire la possibile evoluzione della Galassia. 2.1- Introduzione all’autoconsistenza dinamica L’originalità del BGM risiede nell’autoconsistenza dinamica, rispetto agli altri modelli galattici che fanno uso di una suddivisione in popolazioni stellari. Essa, infatti, limita le altezze di scala delle popolazioni attraverso le loro velocità di dispersione e potenziale galattico, mentre libera dalla necessità di determinare alcuni parametri ostici quale l’altezza di scala del disco ad età differenti. Lo scopo primario del modello è riprodurre il contenuto stellare della Galassia utilizzando uno scenario evolutivo e alcuni parametri fisici, quali Initial Mass Function (IMF) e Star Formation Rate (SFR). La modellizzazione di ogni popolazione, infatti, ha origine nella definizione di un possibile scenario di formazione, cui segue l’introduzione di alcune variabili dinamiche e assunzioni sulla distribuzione di densità. Molte delle funzioni determinanti nel BGM fanno riferimento ai dati ottenuti dalla missione Hipparcos e, dunque, all’aggiornamento di densità locale, funzione di luminosità e altre proprietà cinematiche. 20
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon Fig 7 – In tabella riportiamo valori di età, metallicità, gradiente di metallicità, initial mass function e star formation rate. La funzione di luminosità derivata nel corso della missione Hipparcos è presentata nella seguente tabella per ogni valore di magnitudine, con un errore stimato nella terza colonna. 21
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon Attraverso di essa è possibile vincolare l’IMF (riportata nella fig. 7) per piccole masse in prossimità del sistema solare. L’IMF, per il disco, viene modellizzata tramite una legge di potenza a due pendenze, dove si osserva un valore di coefficiente angolare =2.3 per masse maggiori di quella solare e 1.6 per masse minori. Fig 8 – Il grafico riporta la funzione di luminosità per stelle situate in prossimità del sistema solare, si assume un coefficiente angolare di 1.7 di IMF per la curva continua e di 1.6 per la curva tratteggiata. Per quanto riguarda, invece, la densità locale della materia interstellare, questa tiene conto oltre che delle masse partecipi della luminosità della Galassia, anche dell’esistenza della materia oscura. Ciò ha permesso di ottenere un valore di densità locale pari a 0.0759 ☉ pc-3, in totale accordo con il valore dinamico 0.076 ± 0.015 ☉ pc-3ottenuto da Crézé et al. (1998). Il modello evolutivo restituisce una distribuzione reale delle stelle nell’intorno del Sole in funzione dei parametri intriseci (massa, età, temperatura effettiva etc.). Bisogna tenere, ovviamente, conto del fatto che tale modello non fornisce informazioni sull’evoluzione delle orbite, pertanto le stelle saranno distribuite in un volume di riferimento rispetto all’asse z derivato dall’equazione di Boltzmann. = | |2 (2.1) dove f è una distribuzione di probabilità, funzione delle coordinate x, y e z e delle velocità, mentre C è il parametro collisionale. 22
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon Fig 9 – In tabella riportiamo le leggi che descrivono la densità propria di ogni popolazione. Tra i parametri osserviamo a, definito dalla seguente relazione a2 = R2 + z2 con R distanza galattocentrica, z è l’altezza rispetto al piano galattico. Attraverso questi input il passaggio successivo implica l’utilizzo della statistica Bayesiana. Difatti, partendo dal presupposto che il potenziale Galattico sia dato dalla somma delle popolazioni, materia interstellare ed oscura, si deriva il potenziale dall’equazione di Poisson e la struttura del disco attraverso la Legge di Einasto. Mediante la formula seguente si computa l’altezza di scala del disco, mentre la densità locale e la forma dell’alone oscuro sono limitati dalla curva di rotazione (Bienaymé et al. 1987), ( ) −∆Φ = exp( 2 ) (2.2) (0) Reiterando tale processo si ottiene una ridefinizione della densità di massa totale, ottenuta quando i valori di potenziale e spessore del disco variano meno dell’1%. Il valore ottenuto risulta essere minore rispetto agli studi precedenti, tuttavia ciò è dovuto al fatto che questi utilizzavano un disco di massa invisibile di densità locale pari a 0.01 ☉ pc-3, la cui esistenza è stata definitivamente esclusa nel 1998 da Créze. 23
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon Fig 10 – riportiamo i valori noti per ciascuna popolazione della densità locale 0 e della deviazione standard della componente W della velocità di dispersione, usata per l’autoconsistenza dinamica. In conclusione, questo modello per la densità restituisce i seguenti valori di massa: 2.03 x 1010 ☉ per il bulge esterno (escludendo, dunque, gli ammassi stellari e SgrA*); 4.95 x 109 ☉ per la materia interstellare. Nello specifico delle popolazioni si ha 2.15 x 1010 ☉ per il disco sottile, 3.91 x 109 ☉ per il disco spesso e 2.64 x 108 ☉ per l’alone. La massa totale della Galassia, per distanze galattocentriche minori di 50 kpc ammonta a 5.04 x 1011 ☉ e 9.97 x 1011 ☉ per distanze fino a 100 kpc. La legge risultante dall’utilizzo dell’autoconsistenza e dalla correzione del potenziale Galattico è utilizzata per definire un computo del contenuto stellare, a partire dall’ipotesi che l’IMF e l’SFR definite per le stelle prossime al sole siano estendibili per l’intera popolazione del disco. Un’ulteriore variabile da tenere in conto è la dispersione di velocità, introdotta nel capitolo precedente e di cui presentiamo le componenti nella tabella seguente, cui si affianca la deriva asimmetrica (asimmetric drift), espresso mediante tale equazione 2 2 2 = { + + (1 − 2 ) + (1 − 2 )} (2.3) 2 24
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon Fig 11 – riportiamo in tabella le componenti della velocità di dispersione e la velocità di deriva asimmetrica per le varie popolazioni. Nell’ultima colonna vi è la dispersione radiale, ritrovata poi nella definizione della velocità di deriva. Fino a questo momento abbiamo introdotto alcune delle funzioni che definiscono il BGM, senza soffermarci su come il modello evolutivo calcoli effettivamente la distribuzione di stelle in funzione dei parametri intriseci. La distribuzione che si ottiene trascrive i vincoli teorici in statistiche osservabili, per mezzo di modelli atmosferici appropriati. In generale, i parametri teorici vengono convertiti in colori tramite sistemi fotometrici e modelli atmosferici, in modo da adattarsi ai dati empirici. 2.2 – Popolazioni stellari 2.2.1 – Disco Per descrivere le proprietà del disco nel merito del BGM è opportuno discutere dell’esistenza di una curvatura (warp) e di un ispessimento (flare) all’interno dello stesso, le cui prime evidenze sono state rilevate nelle nubi molecolari. In generale, l’origine del warp è ancora oggi oggetto di studi, dal momento che non è possibile determinare con esattezza la causa scatenante di questo fenomeno. Sappiamo, però, che esso ha origine dall’interazione del disco con un elemento esterno ad esso, il quale secondo le varie ipotesi può essere rappresentato da materia oscura, gas interstellari o galassie satelliti. La rilevanza del warp risiede nel fatto che esso determina una fluttuazione nella definizione della legge di densità per il disco. Infatti, per raggi maggiori rispetto a quello di deformazione, si osserva che le coordinate galattiche ( R, , z ) risultano essere shiftate perpendicolarmente al piano con un valore dato dalla seguente legge: = cos( − ) (2.4) 25
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon dove sono la direzione in cui il warp è massimo e la sua massima altezza, definita come = ( − ) (2.5) A partire dagli studi di Gyuk et. All (1999), in unione con i dati della survey DENIS, è stato determinato un valore di Rw pari a 8.4 kpc. Per quanto riguarda il flare, questo è modellizzato come un incremento dell’altezza di scala di un fattore kflare. Questo fattore è definito come segue = 1 + ( − ) (2.6) ove è un’ampiezza stimata pari a 5.4 x 10-4 kpc-1. È stato notato che il raggio di inspessimento è inferiore a quello del circolo solare, inoltre il minimo raggio di flare può dipendere dalla longitudine considerata (Derriére et al. 2001). Fig 12 – Nel grafico è evidenziato il rapporto tra i dati della sonda DENIS e quelli previsti dal modello. Le tre regioni rappresentano rispettivamente l’effetto del flare, l’effetto del warp ed l’effetto dei due fenomeni allo stesso tempo. Un’ulteriore fonte di dati sulle proprietà del disco viene dalla cinematica (studi di Gomez et al. 1997). In precedenza, infatti, abbiamo introdotto l’ellissoide della velocità che collega la dispersione della stessa all’età delle stelle. 26
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon 2.2.1.1 - Disco sottile Ad esso si associa una popolazione con età pari a circa 10 Gyr, valore che deriva dalla funzione luminosità. Più precisamente, il disco è modellizzato per mezzo della Legge di Einasto, un modello che descrive come la densità di un sistema stellare sferico vari con la distanza dal centro Galattico. In questo modo il disco sottile viene suddiviso in sette popolazioni isoterme di età variabile tra 0 e 10 Gyr. Ciascuna di queste popolazioni possiede una velocità di dispersione indotta dalla relazione tra età e velocità. 2.2.1.2 - Disco spesso Secondo il BGM l’origine del disco spesso è da ricondursi ad uno o più fenomeni di fusione alla base dell’esistenza del disco sottile. Difatti, tale supposizione ben descrive le proprietà di questa popolazione stellare: l’accrescimento del disco surriscalda l’originaria popolazione stellare rendendola più spessa e con velocità di dispersioni maggiori. Dall’abbondanza di elementi chimici, si può determinare che la formazione del disco spesso risalga ad un periodo che va dagli 8 Gyr ai 13 Gyr (Pettinger et al. 2001). Altri vincoli che permettono di definire la popolazione del disco spesso derivano dalla cinematica: l’ellissoide di velocità e il drift asimmetrico sono stati misurati dalle distribuzioni di velocità radiale e trasversale degli oggetti celesti. Gli studi di Ojha et al. (1999) hanno determinato la velocità di dispersione (u,vw ) = (65, 51,42) km s-1. Il drift asimmetrico non è stato individuato ad alcun gradiente di altezza per questo tipo di popolazione, così come anche il gradiente radiale risulta essere indefinito e quindi assunto pari a 0. La mancanza di gradienti chimici e cinematici suggerisce che la formazione del disco sia avvenuta in seguito ad un collasso piuttosto che al riscaldamento del disco sottile. Nel modellizzare questa popolazione, si assume che la sua origine sia avvenuta in un tempo unico e che non abbia subito evoluzioni successive. Inoltre, si definisce la sua legge di densità come una legge che decresce esponenzialmente in modo perpendicolare al piano Galattico. Al giorno d’oggi non è realmente possibile definirne la forma, a causa delle grandi distanze che non consentono un alto grado di accuratezza. Tuttavia, sfruttando le conoscenze a brevi distanze si è supposto che tale forma sia troncata esponenzialmente sull’asse z. Pertanto la distribuzione di densità è esponenziale su grandi distanze e parabolica su brevi. I parametri per questa distribuzione e 27
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon l’IMF sono determinati dalle analisi delle stelle di campo estremo e del conteggio stellare ad alte e intermedie latitudini Galattiche (Reyle e Robin 2001). Si definisce, dunque, un’altezza di scala hr = 800±50 pc, una densità locale 0 = 1.03 x 10-3 pc-3 o di 0 = 7.6 x 10-4 M pc-3 , corrispondente al 6.8% della densità locale del disco sottile. 2.2.2 – Alone Sostanzialmente, come detto anche in precedenza, l’alone è costituito da una popolazione stellare antica e povera di metalli. Molte sono le ipotesi sulla sua origine, tra di esse due spiccano principalmente. Il primo introduce l’idea di un collasso di gas pregalattico, mentre il secondo si basa sull’accrescimento di piccole galassie satelliti. A supporto di questa seconda ipotesi vi sono delle tracce di flussi individuati che richiamano fenomeni di accrescimento, sebbene le proporzioni dello sferoide non concordino con una possibile origine a causa di questi flussi. Ad ogni modo, il BGM assume che la popolazione dell’alone sia omogenea ed abbia avuto origine in un breve periodo di formazione stellare. L’età della popolazione è stimata per mezzo dei valori di metallicità individuati da Bergbush e VandendBerg (1992), i quali assumono una distribuzione di metallicità gaussiana con una dispersione pari a 0.5. Da qui, l’età stimata per l’alone è di circa 14 Gyr, valore che appare leggermente alto e per il quale si stima un’incertezza di 0.5 Gyr. La legge di densità e l’IMF dello sferoide sono limitati utilizzando il conteggio stellare ad alte e medie latitudini Galattiche (Robin 2000). Da qui segue che la densità sia caratterizzata da un indice di legge di potenza pari a n=2.44, un appiattimento pari a 0.76 e una densità locale 0 = 2.185 x 10-5 pc-3 (o 0.932 x 10- 5 pc-3, se si tiene conto delle nane rosse al limite della combustione dell’idrogeno). Questo valore ottenuto è stato determinato a partire da un’IMF simile a quella degli ammassi globulari e del disco spesso. Da qui, la densità relativa dello sferoide è circa lo 0.06%, sebbene non tenga conto della presenza delle nane bianche più antiche ( fa riferimento, infatti, solo a stelle con magnitudini Mv < 8). 28
Capitolo 2 Il modello galattico di Besançon 2.2.3 – Bulge Il dibattito sulle origini del bulge è ancora in corso, difatti sono numerose le possibili ipotesi formulate per giustificare l’esistenza di questa struttura complessa. Molte di esse fanno riferimento a collassi primordiali, caduta di galassie satelliti o all’evoluzione stessa del disco. Nonostante questa indeterminazione circa la sua formazione, è tuttavia possibile stabilire quelli che sono i connotati della popolazione stellare che appartiene a questa regione. Essa è caratterizzata da una forte asimmetria, mostrata nei dati infrarossi di COBE/DIRBE: si osserva, infatti, che il bulge è triassiale e che risulta essere più brillante per longitudini positive. Inoltre, bisogna specificare che il BGM si concentra principalmente sul bulge esterno, dal momento che la sua componente più interna non è ancora ben definita dai risultati delle osservazioni. Si osserva che i dati che fanno riferimento alla parte più interna della Galassia mostrano una coesistenza delle due popolazioni (disco e bulge). Facendo uso della formula di Einasto per il disco, andiamo a vincolare i parametri che definiscono queste popolazioni per valutarne l’effettiva coesistenza o per determinare ove l’una sostituisce l’altra per qualche valore del raggio Galattico. I parametri adattati per il disco sono la lunghezza di scala hr e l’altezza di scala del buco presente nella distribuzione del disco (previsto dalla legge di Einasto), mentre per il bulge vi sono otto parametri: Gli angoli di orientazione: (definito come l’angolo tra l’asse maggiore e la linea perpendicolare alla direzione tra Sole e Centro Galattico), (angolo tra piano Galattico e piano del bulge) e (angolo di rotazione del bulge intorno all’asse maggiore) La lunghezza di scala lungo i due assi, maggiore e minore, x0 e y0 La normalizzazione N Il raggio di cut off Rc Inoltre, si fa uso di un valore di IMF che mostra una pendenza ben definita per valori di masse grandi e intermedi. Diverso è il caso per le masse minori, dal momento che le osservazioni accurate all’interno del bulge sono di difficile realizzazione per via dell’alta densità stellare. I valori della pendenza sono ricavati grazie al telescopio Hubble e risultano essere pari a – 2.22 per masse pari a 0.7 ☉ (Holtzmann et al. 1998). 29
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