TRIBUNALE CIVILE DI BRINDISI - sentenza 9 luglio 2014 n. 1188
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TRIBUNALE CIVILE DI BRINDISI – sentenza 9 luglio 2014 n. 1188 REPUBBLICA ITALAIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brindisi, in persona del giudice Dott. Antonio Ivan Natali, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2430/04 del Ruolo Generale promossa DA PERRUCCI ANTONIA, rappresentata e difesa dall’avv. Concetta De Giorgi CONTRO COMUNE DI BRINDISI, rappresentato e difeso dall’Avv. Emanuela Guarino NONCHE’ CONTRO ASL DI BRINDISI, rappresentati e difesi dagli avv. D. Morganti e P. Vinci FATTO E DIRITTO La domanda attrice è fondata. Ai sensi dell’art. 2043 c.c. “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Tale principio è stato richiamato, di recente, in relazione alla posizione della Pubblica Amministrazione, dal Supremo Collegio secondo cui “la P.A.” – titolare, al riguardo, di una posizione di garanzia – “in base al principio del “neminem laedere“, è responsabile dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono limiti esterni alla sua attività discrezionale e integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. D’altronde, il modello di condotta, cui la P.A. è tenuta, postula l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure e degli accorgimenti idonei ai fini del relativo assolvimento, essendo essa tenuta ad evitare e ridurre i rischi connessi all’attività di attuazione della funzione attribuitale. Comportamento cui la P.A. è, d’altro canto, tenuta già in base all’obbligo di buona fede o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio – dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi”. D’altronde, con particolare riguardo alla posizione della regione, la legge quadro in materia di affezione e prevenzione del randagismo n. 281 del 1991 demanda alle Regioni l’istituzione dell’anagrafe canina e l’adozione di programmi per la prevenzione ed il controllo del randagismo. Peraltro, nel caso di specie, esiste una normativa dettata dal livello regionale di governo, ovvero la legge della regione Puglia n. 12 del 1995, il cui art. 6 assegna alle aziende sanitarie locali il compito di vigilare e di recuperare i cani randagi, senza la necessità di preventiva segnalazione da parte di alcuno. Per contro, ai sensi della medesima legge n. 281 del 1991 e delle leggi regionali in tema di animali di affezione e prevenzione del randagismo, il Comune è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al
rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza” (Cass. Civ. n. 17528, Sez. III 23.8.2011). Pertanto, una volta accertata l’indebita presenza di un cane randagio lungo una strada comunale, il Comune risponde dei danni che tale animale abbia cagionato, con il proprio comportamento aggressivo, nei confronti di un passante, indipendentemente dal fatto che la vittima, in ragione della propria età avanzata, abbia tenuto un comportamento caratterizzato da particolare debolezza e sensibilità” (Cass. Civ. Sez. III n. 10190 del 28.4.2010). Sotto altro profilo, i Comuni, oltre a dover predisporre i canili per il ricovero dei cani vaganti (art. 8 e 9 della Legge Regionale n. 12/1995), hanno anche l’obbligo dei controlli connessi all’attuazione della citata legge regionale (art. 2) mentre ai Servizi Veterinari dell’Usl è demandata la vigilanza e il controllo dei rifugi. Da ciò si desume che il Comune di Brindisi doveva vigilare sull’operato dell’ASL alla quale è demandato il recupero degli animali vaganti. Nel caso de quo non è stato dimostrato a cura né del Comune di Brindisi, né dell’Asl di aver assolto ai propri compiti istituzionali. Nel corso della prova testimoniale, Pinto Sebastiano – all’epoca dipendente dell’Asl di Brindisi, nonché responsabile del servizio veterinario – ha riferito: “non posso affermare che il giorno 13.5.2003 una delle otto unità adibite alla predetta attività di prevenzione fosse presente sul luogo del sinistro per cui è causa”. Per contro, a sostegno dell’assunto attoreo, sono richiamabili le dichiarazioni della teste Livera Giovanna che ha affermato: “il giorno del sinistro ero nella mia abitazione quando ho sentito delle urla provenienti dalla strada. Mi sono affacciata alla porta ed ho visto sulla piazza Carrà la signora Perrucci che aveva in braccio il suo cane e vi erano alcuni cani che si allontanavano. Mi sono avvicinata alla signora Perrucci e ho notato che era ferita, credo alla gamba destra e, quindi, ho chiamato il suo coniuge con il quale l’abbiamo accompagnata in ospedale. Mi risulta che, nel corso dell’anno 2003, alcuni abitanti in piazza Carrà hanno effettuato ripetute segnalazioni circa la presenza dei cani randagi. Non so dire a chi siano state inoltrate dette segnalazioni, so per certo che non è stato effettuato alcun intervento”. Inoltre, il teste Franze Luciano ha dichiarato: “il giorno del sinistro per cui è causa ero nel mio garage sito in via Giovanni Boldini n. 17, attiguo alla piazza Carrà quando ho sentito una persona che urlava nonché il latrare e l’abbaiare dei cani. Sono, quindi, uscito dal garage ed ho visto una signora (che poi ho saputo essere la signora Perrucci Antonia) con in braccio il proprio cane ed altri cani che tentavano di aggredire il cane della Perrucci, mordendo la stessa signora. Io personalmente ho allontanato i cani ed ho accompagnato la signora Perrucci verso la sua abitazione…alcuni abitanti di piazza Carrà mi riferirono di aver effettuato siffatta segnalazione, però, non so dire se le stesse fossero state rivolte all’Asl ovvero al Comune. Ricordo, comunque, che nel periodo per cui è causa sulla Piazza Carrà sono intervenuti degli accalappiacani che hanno provveduto al recupero degli stessi. Posso anche dire che gli stessi cani accalappiati dopo qualche tempo sono ricomparsi sulla piazza Carrà”. I danni risarcibili Quanto al danno di tipo biologico, e’ noto come le Sezioni Unite dell’11.11.2008 lo abbiano degradato a mera componente descrittiva della più ampia categoria del danno non patrimoniale.
Esso va inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione. Tale voce di danno, come precisato dalla Corte Costituzionale, n. 184/’86, non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza del danneggiato, con il conseguente paradosso, al contempo, dell’irrisarcibilità del danno biologico, subito da chi sia sprovvisto di un’attività lavorativa e della commisurazione del danno all’occupazione del soggetto o, persino – secondo un’inammissibile visione della società, rigidamente ripartita per classi – dei genitori. Come espressamente affermato anche dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, per danno biologico deve, invece intendersi “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Ciò premesso, il danno biologico consistente nella violazione dell’integrità psico-fisica della persona va considerato ai fini della determinazione del risarcimento, sia nel suo aspetto statico (diminuzione del bene primario dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata) sia nel suo aspetto dinamico (manifestazione o espressione quotidiana del bene salute). Orbene, l’espletata consulenza medico-legale, ha consentito di acclarare la entità delle lesioni riportate dall’attore sotto il profilo sia dell’inabilità temporanea sia del danno permanente. Il Ctu ha accertato che, in conseguenza del sinistro de quo, l’attrice ha subito lesioni permanenti nella misura del 1%, nonché una invalidità temporanea totale di giorni 8 ed una invalidità temporanea parziale al 50% di giorni 10. Le conclusioni del medico legale sul danno biologico, sono condivise dal Tribunale, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, valutata con criteri medico-legali immuni da errori e vizi logici. Risulta, inoltre, provata, nel caso di specie, anche l’ulteriore figura descrittiva del danno non patrimoniale, individuata dalle Sezioni Unite del 2008, nel danno morale e, dalla stessa pronuncia, disancorato dal dato temporale, con conseguente abbandono dello schematismo concettuale per cui il danno morale deve necessariamente transeunte. In primis, non può accedersi alla tesi, frutto di un’interpretazione riduttiva delle Sezioni Unite, secondo cui il danno morale, nell’ipotesi di una sua derivazione “biologica” non sarebbe voce autonomamente risarcibile, rispondendo le due figure descrittive alla tutela di beni giuridici distinti, come, peraltro, evincibile anche dalle scelte della legislazione speciale. Tal ultima, spesso, (si pensi, ad esempio, al Decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2009, n. 181 che introduce un Regolamento recante i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell’articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206) non solo continua a distinguere le due categorie di danno ma contiene una nozione legale di danno morale. Ciò premesso, e affermata l’astratta risarcibilità del danno morale anche quando sia ravvisabile un pregiudizio all’integrità psico-fisica, nel caso concreto, lo stesso deve essere riconosciuto.
Infatti, risponde ad una regola di esperienza di difficile smentita che un fatto del tipo di quello accertato sia idoneo a determinare per la sua capacità inabilitante, nel breve come nel lungo periodo, una sofferenza di carattere morale. Ciò, almeno nella misura presupposta dal punto del danno non patrimoniale di cui alle Tabelle di Milano del 2013. Si ritiene opportuno applicare, al caso di specie, ai fini della valutazione del danno individuato dal CTU, proprio tali ultime tabelle, in quanto strutturate e concepite – diversamente dalle attuali Tabelle di Lecce – in funzione del nuovo inquadramento concettuale del danno non patrimoniale, quale categoria unitaria, cui sono approdate le Sezioni Unite dell’11.11. 2008. Né la maggiore o minore diffusione delle stesse presso i tribunali locali – a fronte della prevalenza statistica delle tabelle milanesi sul territorio nazionale – può costituire ragione sufficiente ad impedirne l’applicazione nel caso di specie. D’altronde, come affermato dalla Suprema Corte, con la sentenza del 2011, n. 12408, alle tabelle milanesi deve riconoscersi “una sorta di vocazione nazionale”, anche perché, coi valori da esse tabellati, esprimono il valore da ritenersi “equo”, e cioè’ quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità. Ciò, al punto che l’applicazione delle suddette tabelle sarebbe oggetto di un vero e proprio uso normativo. Orbene, le nuove Tabelle – approvate il 28 aprile 2009 e aggiornate nel 2013 – presentano profili di innovatività rispetto alle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all’integrità psico-fisica. Infatti, esse individuano il nuovo valore del c.d. “punto” muovendo dal valore del “punto” delle Tabelle precedenti (connesso alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione “medio” anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva” di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34% di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%), e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione. Applicando le predette tabelle, il danno da invalidità permanente subito dall’attore deve essere quantificato in euro: € 1.205,00 che discendono dal valore del “punto”, relativo al danno non patrimoniale, ovvero € 1.452,28 moltiplicato per il numero dei punti di invalidità (1), applicato il demoltiplicatore correlato all’età, al momento del sinistro, pari a 35 anni). Quanto, invece, al calcolo del danno da inabilità temporanea, in applicazione dei suddetti valori tabellari e considerato che il risarcimento per ogni giorno di invalidità assoluta è pari ad euro 96,00, si quantifica in: a) € 768,00, l’ITT, giorni 8; b) € 480,00, l’I.T.P. al 50% giorni 10, per complessivi euro 1248,00. In totale, per i danni su indicati devono essere liquidati all’attore complessivi € 2453,00 che derivano dalla liquidazione complessiva del pregiudizio. A tale importo devono aggiungersi gli interessi legali, da computarsi sugli importi devalutati al momento della commissione del fatto illecito, ovvero al 13.05.2003, e rivalutati d’anno in anno, sino all’effettivo soddisfo.
Costituisce ius receptum in giurisprudenza, infatti, il principio in base al quale “in tema di debiti di valore, la rivalutazione della somma da liquidarsi a titolo di risarcimento dei danni e gli interessi sulla somma rivalutata assolvono funzioni diverse, poiché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima del fatto illecito generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e che sulla somma risultante dalla rivalutazione debbono essere corrisposti gli interessi a decorrere dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso” (Cass. Civ. n. 1952 del 22.2.1995). Le spese, comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Perrucci Antonia contro Comune di Brindisi nonché contro Asl di Brindisi, così provvede: 1) dichiara e riconosce il Comune di Brindisi e l’Asl convenuti responsabili dell’aggressione del cane randagio subita in danno dell’attrice il giorno 13.5.2003, alle ore 10,00 nella piazza Carrà, nel centro urbano di Brindisi, come meglio descritto in premessa; 2) per l’effetto, condanna, i convenuti, in persona del legale rappresentante pro- tempore, al risarcimento, in solido, dei danni nella misura di € 2453,00, oltre interessi legali, da computarsi sugli importi devalutati al momento della commissione del fatto illecito, ovvero al 13.05.2003, e rivalutati d’anno in anno, sino all’effettivo soddisfo; 3) condanna ¡ convenuti, in solido, alla rifusione delle spese e competenze del giudizio, liquidate nel complessivo importo di € 2200,00, oltre iva e cap; 4) pone, definitivamente, a carico dei convenuti, in solido, le spese della disposta CTU. Brindisi, 28.4.2014 Il Giudice (Dott. Antonio Ivan Natali) Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2014.
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