Storia delle Geometrie Non Euclidee

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Storia delle Geometrie Non Euclidee
Storia delle
  Geometrie Non Euclidee

Didattica e Fondamenti di Geometria

SSIS IX ciclo - A.A. 2008 / 2009

                                      Manuela Manetta
                                      Patrizio Di Marco
Storia delle Geometrie Non Euclidee
Dalle origini della matematica alle strutture astratte
Le origini della matematica risalgono ai primi albori dell’intelligenza umana. È opinione corrente, tra gli
studiosi delle civiltà antiche, che l’uomo abbia eseguito calcoli e misurazioni ancor prima che fosse
inventata la scrittura. Il più antico documento matematico oggi riconosciuto risale alla civiltà sumerica, che
fiorì nella Mesopotamia attorno al III millennio a.C., ed è costituito da mattonelle di argilla, coperte di
caratteri cuneiformi, rinvenute nella zona. Anche i più antichi documenti matematici delle civiltà egiziana e
babilonese risalgono ad epoca assai remota, circa 1800 a.C. In tutti questi documenti troviamo regole
elementari di calcolo e regole per il calcolo approssimato di lunghezze, aree e volumi.

Si è forse troppo spesso ripetuto che nel lungo periodo storico che precedette la cività greca, la matematica
non esisteva come scienza autonoma e si riduceva ad un insieme di regole pratiche. Se è vero che la
matematica nel periodo pre-ellenico nacque in vista di particolari applicazioni rispondenti alle esigenze
vitali dell’uomo, come la misurazione della Terra, l’arte della navigazione, l’astronomia, l’edilizia, il
commercio, ed è ben lontana dal possedere la sistematicità e la perfezione razionale della matematica
greca, tuttavia la scienza di quegli antichi popoli non aveva soltanto fini pratici. In un passo della Metafisica,
Aristotele afferma:

   “Sviluppatesi ormai le arti pratiche in modo da provvedere adeguatamente ai bisogni materiali della
   vita, ha potuto sorgere in Egitto una di quelle scienze che non sono rivolte a fini utilitari, essendo ivi la
   casta sacerdotale in possesso dell’otium necessario alla ricerca disinteressata”.

In Egitto e in Mesopotamia la matematica e le altre scienze venivano coltivate principalmente nel ristretto
ambito delle caste sacerdotali, che avevano volontariamente perso ogni contatto con la vita civile, per
curare esclusivamente la propria elevazione spirituale e diventare uniche depositarie del sapere del tempo.

Oltre a rendere giustizia alla matematica pre-ellenica, la precedente osservazione permette di scorgere una
certa continuità nel passaggio dalla matematica primitiva degli antichi Sumeri, Babilonesi, Egizi alla
matematica evoluta di Eudosso ed Euclide. Anche nel mondo greco, infatti, la matematica, intesa come
ricerca pura e disinteressata, ha la sua origine nell’ambito di ermetiche sette religiose, ove si confonde per
lo più nelle teorie mistiche ed astrologiche. La Scuola di Pitagora di Samo (VI secolo a.C.), presso cui si trova
per la prima volta il termine Matematica, ebbe sicuramente, almeno nel primo secolo di attività, il carattere
di setta religiosa. I suoi seguaci erano tenuti a osservare il segreto sulle dottrine ufficiali della scuola, le
quali d’altronde erano ammantate di misteri e di simboli che ne velavano il significato agli occhi del volgo.

Questa sorta di monopolio del sapere fu sì un aspetto negativo delle civiltà antiche e una causa di
decadenza, ma proprio a questo si deve l’interesse per la scienza pura, che condusse l’uomo a formulare,
per la prima volta, leggi generali, uscendo dai ristretti confini di ciò che serviva a quei tempi.

La prima tappa fondamentale dell’evoluzione della matematica nel mondo greco fu il Teorema di Pitagora.
Con la dimostrazone di questo teorema, infatti, si ha la prima manifestazione di quella che sarà la
caratteristica peculiare di tutti i tempi: il metodo deduttivo. Così come inteso dai greci, il metodo deduttivo
è un metodo di ricerca puramente razionale, mediante il quale da verità immediatamente evidenti se ne
ricavano altre più complesse e meno evidenti. Il fatto che nella matematica il metodo deduttivo sostituisca
gli esperimenti contraddistingue la matematica stessa dalle altre scienze e nello stesso tempo pone il
problema della natura affatto speciale dei suoi enti.

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La risposta a questo problema, data dal mondo greco, è che gli oggetti matematici hanno un campo di
esistenza loro proprio, al quale l’intelligenza umana accede direttamente, senza cioè passare attraverso
l’esperienza sensibile. Questa concezione della matematica e dei suoi enti è stata quasi universalmente
accettata dagli uomini di cultura fino a tutto il secolo XVIII; oggi, sulla base degli sviluppi della matematica
avvenuti dal Rinascimento in poi, e particolarmente negli ultimi due secoli, la si ritiene generalmente
inadeguata.

L’indirizzo generale della matematica antica è determinato dal fatto che la matematica stessa è concepita
come scienza dei numeri, delle grandezze, delle figure e per tutta la durata dell’era moderna,
l’atteggiamento degli uomini di cultura nei confronti della matematica sostanzialmente non muta. Nella
pratica matematica, però, si vanno via via insinuando i concetti e i metodi ambigui che la matematica greca
rifiutava. Sorgono così e si sviluppano rapidamente, pur rimanendo prive di un solido fondamento
razionale, discipline nuove, come l’algebra, la geometria analitica, l’analisi infinitesimale, la meccanica
razionale, il calcolo delle probabilità. Tuttavia l’imbarazzo nei confronti di queste nuove scienze, che non
partono quasi mai da proprietà evidenti e si servono spesso di dimostrazioni vaghe, aumenta
continuamente, fino a trasformarsi, verso la fine del secolo XVIII in un intollerabile senso di disagio. Si fa
strada, così, tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX, l’esigenza di ritornare al rigore della matematica
greca, senza però rinunciare alle conquiste fatte dal Rinascinìmento in poi.

Continuava ad esservi, però, un flusso di nozioni che non trovavano posto nello schema della matematica
classica, secondo cui gli enti matematici sono dati e ciascuna disciplina matematica non deve far altro che
scoprire le proprietà di quelli che tra essi che le competono. A questo proposito, il colpo di grazia è inferto
dallo sviluppo della geometria non euclidea (in cui viene negato il V postulato di Euclide, dell’unicità della
parallela). Le proprietà studiate da questa geometria non soltanto erano prive di evidenza, ma erano per lo
più “paradossali”, in aperto contrasto con le verità euclidee; tuttavia, come secoli di inutili tentativi di
smentita avevano ormai provato, la geometria non euclidea doveva essere considerata come una teoria
pienamente coerente, e quindi legittima. Rispettando fedelmente il rigore formale delle deduzioni (senza
cioè lasciarsi fuorviare dall’evidenza delle proprietà “visivamente o intuitivamente vere” della geometria
classica), non vi era, infatti, alcuna possibilità di dedurre una contraddizione (e di dimostrare così per
assurdo il V postulato di Euclide). Questa, che da principio era una semplice congettura, divenne certezza,
allorchè fu trovato, poco dopo la metà del XIX secolo, un modello della geometria non euclidea utilizzando
gli enti della stessa geometria euclidea. In tale modello gli enti che venivano detti punti, rette, etc, pur
appartenendo alla geometria ordinaria, non erano propriamente quelli che si era soliti indicare con tali
nomi in geometria euclidea, ma erano stati scelti in modo da soddisfare ai postulati della geometria non
euclidea. La possibilità di interpretare la geometria non euclidea entro la geometria euclidea risolveva, in
pratica, in modo positivo e definitivo, il problema della legittimità della prima; comportava infatti che, se i
postulati della geometria euclidea non avessero logicamente implicato una contraddizione, la stessa cosa
avrebbe potuto inevitabilmente verificarsi per i postulati della geometria non euclidea.

La scoperta della coerenza della geometria non euclidea poneva chiaramente in luce, non soltanto che la
matematica non era tenuta ad occuparsi esclusivamente di numeri e grandezze, ma che, anzi, la natura
degli oggetti matematici era in fondo secondaria, in quanto questi ultimi potevano essere interpretati in
vario modo, e in molti casi non vi era per essi alcuna interpretazione privilegiata. L’esistenza di almeno un
modello è condizione necessaria e sufficiente affinchè una teoria sia coerente, ma una teoria matematica
non è lo studio di questo o quel modello, bensì lo studio di una struttura astratta, conosciuta e descritta
solo mediante alcune delle sue proprietà, precisamente quelle poste come assiomi alla base della teoria. I
teoremi matematici non sono altro che conseguenze logiche di tali assiomi; gli assiomi di una teoria
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assumono un significato completamente diverso da quello posseduto nella matematica classica. Essi non
sono più considerati come proprietà evidenti, costituenti il punto di partenza di ricerca in un campo
preesistente e predeterminato in quanto sono essi stessi che determinano la struttura matematica fatta
oggetto della ricerca. Questo concetto è felicemente espresso da Poincaré con la famosa affermazione che
gli assiomi non sono altro che “definizioni camuffate”.

La geometria euclidea
La geometria, come dice il nome stesso, nacque dall’esigenza di misurare porzioni di terreno; è certo che
già agli antichi Egizi erano noti procedimenti (non sempre corretti) di agrimensura. Talete avrebbe portato
(nel VI secolo a.C.) in Grecia dall’Egitto il gusto della ricerca geometrica; tale ricerca venne
progressivamente affinata e ampliata nel corso dei secoli.

Negli Elementi di Euclide (databili intorno al 300 a.C.), che sono il frutto e la conclusione di una lunga
evoluzione di idee, la geometria assume infine una veste di particolare eleganza e concatenazione logica.
Lo schema euclideo è tuttora sostanzialmente seguito dai testi scolastici. Esso è un importante esempio di
sistema assiomatico o ipotetico-deduttivo. Gli enti fondamentali, punto, retta, piano, spazio (e così relazioni
come appartenenza, congruenza, etc), che ne formano l’oggetto, sono puri simboli, cioè non se ne dà, né si
potrebbe, alcuna definizione nominale: si dicono enti o concetti primitivi. Essi vengono invece definiti
implicitamente da un insieme di proposizioni, dette postulati o assiomi, che li vincolano; queste
proposizioni sono liberamente enunciate sotto la sola condizione essenziale di compatibilità: si richiede,
cioè, che mai, dal loro complesso, possa trarsi una conclusione contraddittoria.

Gli Elementi
Gli Elementi sono sostanzialmente un trattato organico sulle parti fondamentali della geometria e
dell'aritmetica. La formazione degli Elementi inizia probabilmente con Talete e nell'arco dei tre secoli
successivi si perfeziona fino a raggiungere l'apice con Euclide.

Proclo vide in Euclide colui che riuscì ad ordinare e a completare i risultati raggiunti dai suoi predecessori.
Nella scuola dove Euclide impartiva i suoi insegnamenti, l'Accademia, era in atto un movimento critico di
revisione dei principi della geometria che spinsero il nostro autore a dare un assetto rigoroso alle
conoscenze fino ad allora raggiunte. L'originalità dell'opera, che sostanzialmente è un manuale, non risiede
dunque nei risultati personali ottenuti dall'autore, ma nel nuovo ordinamento dato al materiale che meglio
rispondeva all'ideale di rigore geometrico che ha reso l'opera famosa fino ai giorni nostri.

Gli Elementi sono suddivisi in 13 Libri, i primi 6 riguardano la geometria piana, i successivi 3 la teoria dei
numeri, il decimo tratta degli incommensurabili e gli ultimi 3 riguardano la geometria solida.
Il Libro I inizia con l'elenco degli elementi di partenza: 23 Termini, 5 Postulati e 5 Nozioni Comuni, dai quali
Euclide deduce i successivi risultati.

I Termini potrebbero essere interpretati come definizioni, non nel senso da noi dato attualmente (Euclide
non definisce a partire da concetti primitivi) ma come descrizioni di enti geometrici supposti già esistenti;
Euclide suppone che chi legge deve avere già un'idea di questi enti e quindi li descrive come "oggetti
geometrici"     che     possono      comunque       essere    realizzati    con    riga    e     compasso.

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I Postulati sono proposizioni primitive che si riferiscono agli enti geometrici definiti in precedenza. Essi
avrebbero carattere essenzialmente costruttivo e garantirebbero l'esistenza di certi elementi.
Le Nozioni Comuni, dette anche Assiomi, sono anch'esse delle nozioni primitive riguardanti però non solo
la geometria e si potrebbe dire che sono "regole di ragionamento".

Aristotele aveva gia fatto una distinzione tra assiomi e postulati dicendo che i primi devono essere
convincenti di per se stessi e sono verità comuni a tutte le scienze, mentre i secondi sono meno evidenti e
non presuppongono l'assenso dell'allievo poiché riguardano solo la disciplina in questione.
Non sappiamo se Euclide condividesse questa idea; certo è che i matematici moderni non fanno più alcuna
distinzione tra assioma e postulato.

La maggior parte delle proposizioni del Libro I sono familiari agli studenti di scuola superiore che abbiano
seguito un corso di geometria. Esse comprendono i teoremi sulla congruenza dei triangoli, riguardano
semplici costruzioni con riga e compasso, disuguaglianze relative ai lati e agli angoli di un triangolo,
proprietà di rette parallele e terminano con la dimostrazione del teorema di Pitagora e del suo reciproco.

E' facile per noi, alla luce degli sviluppi successivi, criticare l'opera di Euclide ma non dimentichiamo che per
più di duemila anni gli Elementi hanno costituito la più rigorosa e razionale sistemazione della matematica.

Riportiamo di seguito gli elementi di partenza del Libro I così come Euclide li aveva elencati:

Termini
I         Punto è ciò che non ha parti
II        Linea è lunghezza senza larghezza
III       Estremi di una linea sono punti
IV        Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai punti su essa
V         Superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza
VI        Estremi di una superficie sono linee
VII       Superficie piana è quella che giace ugualmente rispetto alle rette su essa
          Angolo piano è l'inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino fra loro e
VIII
          non giacciano in linea retta

IX        Quando le linee che comprendono l'angolo sono rette, l'angolo si chiama rettilineo

          Quando una retta innalzata su una (altra) retta forma gli angoli adiacenti uguali tra loro, ciascuno
X         dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a quella su cui è
          innalzata

XI        Angolo ottuso è quello maggiore di un retto
XII       Angolo acuto è quello minore di un retto
XIII      Termine è ciò che è estremo di qualche cosa
XIV       Figura è ciò che è compreso da uno o più termini
          Cerchio è una figura piana compresa da un'unica linea (che si chiama circonferenza) tale che tutte
XV        le rette, le quali cadano sulla (stessa) linea, (cioè sulla circonferenza del cerchio), a partire da un
          punto fra quelli che giacciono internamente alla figura, sono uguali fra loro.

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XVI     Quel punto si chiama centro del cerchio
        Diametro del cerchio è una retta condotta per il centro e terminata da ambedue le parti dalla
XVII
        circonferenza del cerchio, la quale retta taglia anche il cerchio per metà
        Semicerchio è la figura compresa dal diametro e dalla circonferenza da esso tagliata. E centro del
XVIII
        semicerchio è quello stesso che è anche centro del cerchio
        Figure rettilinee sono quelle comprese da rette, vale a dire: figure trilatere quelle comprese da
XIX     tre rette, quadrilatere quelle comprese da quattro, e multilatere quelle comprese da più di
        quattro rette
        Delle figure trilatere, è un triangolo equilatero quello che ha i tre lati uguali, isoscele quello che
XX
        ha soltanto due lati uguali, e scaleno quello che ha i tre lati disuguali
        Infine, delle figure trilatere, è triangolo rettangolo quello che ha un angolo retto, ottusangolo
XXI     quello che ha un angolo ottuso, ed acutangolo quello che ha i tre angoli acuti

        Delle figure quadrilatere, è quadrato quella che è insieme equilatera ed ha gli angoli retti,
        rettangolo quella che ha gli angoli retti, ma non è equilatera, rombo quella che è equilatera, ma
XXII
        non ha gli angoli retti, romboide quella che ha i lati e gli angoli opposti uguali fra loro, ma non è
        equilatera né ha gli angoli retti. E le figure quadrilatere oltre a queste si chiamano trapezi

        Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente
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        dall'una e dall'altra parte, non si incontrano fra loro da nessuna delle due parti

Postulati
I       Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto
II      E che una retta terminata (=finita) si possa prolungare continuamente in linea retta
III     E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza (=raggio)
IV      E che gli angoli retti siano uguali fra loro
        E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte
        minori di due retti (=tali che la loro somma sia minore di due retti), le due rette prolungate
V
        illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti
        (=la cui somma è minore di due retti)

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Nozioni Comuni
I         Cose che sono uguali ad una stessa cosa sono uguali anche tra loro
II        E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali
III       E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali
IV        E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali
V         Ed il tutto è maggiore della parte

Il V Postulato
E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due
retti, le due rette prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli
minori di due retti

Come già detto in precedenza, Euclide cerca di dare un assetto rigoroso alla geometria a partire da verità
evidenti e da postulati che garantiscono l'esistenza di oggetti effettivamente costruibili con riga e
compasso; ma mentre per i primi quattro è facile individuare il carattere di costruttività , per l'ultimo, il V,
questo aspetto non è così evidente.

Il I postulato, infatti, garantisce la possibilità di condurre una retta (concepita come segmento) passante per
due punti dati; con il II è possibile prolungare una retta (segmento) indefinitamente; il III ci permette di
costruire (con un compasso ideale) circonferenze di raggio qualunque; il IV è necessario per garantire che
l'angolo retto ottenuto costruendo due rette che incontrandosi formano angoli adiacenti uguali, non
dipende dalle rette considerate (con il termine X Euclide definisce l'angolo retto come angolo ottenuto
innalzando su una retta un'altra retta che formi con la prima angoli adiacenti uguali). Il V, infine, garantisce
sì l'esistenza del punto di intersezione tra due rette che formano con una trasversale angoli coniugati
minori di due retti, ma non da alcuna indicazione su quale possa essere il modo di costruirlo.

Ad Euclide era gia chiara la differenza sostanziale tra i primi quattro postulati e l'ultimo, e fece lo sforzo di
dimostrare il maggior numero di teoremi evitando di ricorrere al V.

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La teoria delle parallele
Le prime proposizioni del Libro I convergono verso un risultato caratteristico della geometria euclidea "la
somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti", e tale risultato è fondato sulla teoria
delle parallele. La teoria delle parallele è espressa essenzialmente in tre proposizioni, la 27 e la 28 che non
fanno ricorso al V postulato e la 29 che ne fa invece uso.

E' da notare come Euclide intendesse mostrare fino a che punto si poteva giungere senza fare ricorso al V
postulato dimostrando (vedi di seguito), ad esempio, la proposizione 17 " in ogni triangolo due angoli,
comunque presi, sono minori di due retti", che poteva essere dedotta in modo elementare dalla
proposizione 32 " la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti". Con le prime 28
proposizioni l'autore costruì una specie di geometria non euclidea, nel senso che non si tratta di una
geometria che nega il V postulato ma di una "geometria assoluta" che ne prescinde.
Di seguito sono riportate le proposizioni fondamentali della teoria delle parallele con l'intento di mettere in
evidenza il momento in cui emerge il V postulato dando base a quella che da noi è conosciuta come
geometria euclidea.

Proposizione XXVII
Se una retta che venga a cadere su altre due rette forma gli angoli alterni interni uguali tra loro, le due rette
saranno tra loro parallele.

(questo teorema e il successivo costituiscono quello che gli studenti conoscono come criterio di
parallelismo)

Proposizione XXVIII
Se una retta che cade su due rette forma l'angolo esterno uguale all'angolo interno ed opposto e che è dalla
stessa parte, oppure angoli interni, dalla stessa parte, la cui somma sia uguale a due retti, le rette saranno
parallele fra loro.

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Queste due proposizioni garantiscono, di fatto, l'esistenza della parallela ad una retta condotta da un punto
esterno; date infatti una retta AB ed un punto H esterno ad essa, è sufficiente condurre da H una retta HD
che formi con HE un angolo uguale, per esempio, al suo corrispondente.

Ecco ora arrivato il punto in cui Euclide è costretto a fare ricorso al V postulato per dimostrare la seguente
proposizione che non è altro che l'inversa delle precedenti.

Proposizione XXIX
Una retta che cada su rette parallele forma gli angoli alterni uguali tra loro, l'angolo esterno uguale
all'angolo interno ed opposto, ed angoli interni dalla stessa parte la cui somma è uguale a due retti.

Da quest'ultima proposizione Euclide dimostra la proprietà transitiva del parallelismo (prop.30): Le parallele
ad una stessa retta sono parallele tra loro, e da questa è facile ricavare l'unicità della parallela condotta da
un punto assegnato. Viceversa se si ammette tale unicità, è facile dimostrare per assurdo la prop. 29. Il V
postulato è dunque equivalente all'unicità della parallela ed è così che lo enunciamo agli studenti: data una
retta r e un punto P esterno ad essa, esiste una sola retta s, passante da P, e parallela alla retta r.

Segue la prop.31 con la quale Euclide costruisce per un punto la parallela ad una retta data arrivando così al
primo risultato fondamentale della geometria euclidea: il teorema relativo alla somma degli angoli interni
di un triangolo.

Proposizione XXXII
In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l'angolo esterno è uguale alla somma dei due angoli interni ed
opposti, e la somma dei tre angoli interni di un triangolo è uguale a due retti

Ed infine riportiamo la prop.17, inversa del V Postulato, che Euclide dimostrò indipendentemente da
quest’ultimo.

Proposizione XVII
In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti.

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Primi tentativi di dimostrazione del V Postulato
Le critiche al lavoro svolto da Euclide, nel mondo greco, non tardarono a venire. Si riteneva che il V
postulato non fosse abbastanza evidente per poterlo accettare senza dimostrazione e per di più la
proposizione inversa (prop. 17) era stata dimostrata. Molti matematici si cimentarono dunque nella
dimostrazione del V postulato senza avere, però, grandi successi. Nella maggioranza dei casi la
dimostrazione si basava su ipotesi che andavano semplicemente a sostituirlo senza avere peraltro un
maggior carattere di evidenza e di costruttività.

Proclo (410-485) nel suo Commento al I libro di Euclide racconta ad esempio che Posidonio (I secolo a.C.)
cerca di aggirare l'ostacolo del V postulato dando una diversa definizione di rette parallele come rette
complanari ed equidistanti. Questa definizione e quella euclidea (parallele sono quelle rette che, essendo
nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall'una e dall'altra parte, non si incontrano fra
loro da nessuna delle due parti) non sono però equivalenti e determinano due situazioni che possono
presentarsi separatamente. Di ciò si rende conto anche Proclo che porta come esempio l'iperbole che non
interseca i propri asintoti e tuttavia non è da essi equidistante. Proclo stesso tenta una dimostrazione
introducendo prima l'ipotesi che "la distanza tra due punti presi su rette che si intersecano può essere resa
grande a piacere prolungando sufficientemente le rette" e poi l'ipotesi che "la distanza tra due rette
parallele rimane finita". Sempre Proclo ci racconta di come Tolomeo (II sec d.C.) dimostri il postulato con il
seguente bizzarro ragionamento:

Siano AB e CD due rette parallele ed EF una trasversale. La somma degli angoli interni a sinistra AFE e CEF o
è maggiore o è minore o è uguale a due angoli retti. Ipotizzando che se per una coppia di parallele si verifica
ad esempio il I caso, altrettanto si verifichi per ogni altra coppia, poiché le rette FB e ED sono parallele
come lo sono le rette AF e CE segue che se AFE+CEF è maggiore di due retti altrettanto accadrà per
BFE+DEF. Ma allora AFE+CEF+ BFE+DEF è maggiore di quattro retti e ciò è assurdo. Allo stesso modo si
dimostra che la somma dei due angoli non può essere minore di due retti quindi AFE+CEF è uguale a due
retti. Da questo segue il V postulato.

E' interessante seguire il ragionamento con il quale si pretendeva di dimostrare che due rette tagliate da
una terza non si incontrano anche quando la somma degli angoli coniugati è minore di due retti, e quindi la
non validità del V postulato.

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Sia AC una trasversale delle due rette AB e CD ed E il punto medio di AC. Dalla parte di AC, in cui la somma
degli angoli interni è minore di due retti si prendano su AB e CD i segmenti AF e CG uguali ad AE. Le rette AB
e CD non possono incontrarsi tra i punti A, F, e C, G, perché in un triangolo ciascun lato è minore della
somma degli altri due. Si congiungano i punti F e G e si ripeta la procedura determinando i punti H, K, L. Le
rette non potranno intersecarsi tra i punti F, K e G, L e poiché questa procedura potrà ripetersi
indefinitamente segue che AB e CD non possono incontrarsi.

Questo paradosso è simile a quello di Zenone su Achille e la tartaruga e lo stesso Proclo nota che il
ragionamento fatto dimostra solo che non si può raggiungere il punto di intersezione delle rette e non che
tale punto non esista.

Anche gli arabi si occuparono come i greci del V postulato. Ricordiamo i contributi dati da Al-Narizi (IX sec) e
da Nasir-Eddin (XIII sec).

Il primo riporta una dimostrazione che sostanzialmente è simile a quella di Posidonio perché fondata
sull'ipotesi che esistano rette equidistanti. Il secondo fonda il suo ragionamento sull'ipotesi che se due rette
r ed s sono l'una perpendicolare e l'altra obliqua al segmento AB, i segmenti di perpendicolare condotti da s
su r sono minori di AB dalla parte in cui AB forma con s un angolo acuto, sono maggiori di AB dall'altra
parte.

Con questa ipotesi Nasir-Eddin deduce prima che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due retti
e poi il V postulato.

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Per dimostrare il postulato euclideo egli inizia con il dimostrare che se due rette sono una perpendicolare e
l'altra obliqua ad una terza retta devono necessariamente intersecarsi, fa poi ricorso al teorema della
somma degli angoli interni di un triangolo per ridurre il caso generale al caso particolare appena
dimostrato.

Per concludere questa prima parte possiamo dire che i primi commentatori di Euclide, nel tentativo di
risolvere il problema legato al V postulato, seguirono fondamentalmente due direzioni: in un caso diedero
una diversa definizione di rette parallele, nell'altro sostituirono il postulato euclideo con un'altra
proposizione, a parer loro, più evidente. Il problema rimase aperto e durante il Rinascimento
ricominciarono le ricerche in tal senso che si conclusero solo nel XIX secolo con la nascita delle "geometrie
non euclidee".

Girolamo Saccheri e il V Postulato
Girolamo Saccheri (1667-1733), padre gesuita, studiò matematica a Milano sotto la guida di Tommaso
Ceva. Insegnò matematica e filosofia a Pavia e Torino. Sono da ricordare oltre ai suoi lavori sul V postulato,
anche l'opera "Logica demonstrativa" del 1697, in cui si trova , per la prima volta, esposta in modo
assiomatico la logica. In tale lavoro si trova anche esposto il metodo, peraltro non nuovo della "reductio ad
absurdum" (dimostrazione per assurdo), che Saccheri utilizzerà sistematicamente nei suoi lavori connessi
con il V postulato; assumendo per ipotesi la negazione della proposizione che si vuole dimostrare si giunge
ad una contraddizione, ciò permette di affermare che la proposizione di partenza è vera. Questa idea, è
interessante poiché vi si trova in embrione la tesi che la verità matematica coincida con la NON
contraddittorietà. L'opera nella quale Saccheri tenta la dimostrazione del V ha il titolo "Euclides ab omni
naevo vindicatus, sive conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universale geometriae principia"
(Euclide mondato da ogni neo….,il neo più grosso è ovviamente il V!); è pubblicata nel 1733, anno della sua
morte, e questo spiega in parte la poca notorietà che l'opera ebbe al suo tempo.

Nel seguito illustreremo per sommi capi l'opera di Saccheri; a tal proposito ricordiamo una proposizione
equivalente al V che ci sarà utile nel seguito: "In ogni triangolo la somma degli angoli è due retti".

Saccheri parte da un quadrilatero ABCD isoscele birettangolare, oggi noto come "quadrilatero di Saccheri"
che si ottiene innalzando sopra una base AB due segmenti uguali AD e BC a essa perpendicolari e unendo C
con D.

Saccheri dimostra che se in un quadrilatero birettangolo isoscele gli angoli in C e D sono acuti, retti, ottusi
lo stesso avviene in ogni altro. Questi 3 casi, esaustivi e disgiunti, sono detti : ipotesi dell'angolo acuto,
retto,ottuso.

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In un secondo tempo mostra che la somma degli angoli di un triangolo è maggiore, uguale, minore a due
retti a seconda che valga rispettivamente l'ipotesi dell'angolo ottuso, retto, acuto.

Egli conclude che, nell'ipotesi dell'angolo ottuso la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di due
retti, nell'ipotesi dell'angolo retto è 2 retti, nell'ipotesi dell'angolo acuto è minore di due retti.

Dato che le tre ipotesi sono esaustive e disgiunte, si ha che se in un triangolo la somma degli angoli è
maggiore, uguale o minore di due retti lo stesso avviene per ogni triangolo.

Il tentativo di Saccheri ora, è quello di mostrare che l'ipotesi dell'angolo acuto e ottuso portano a
contraddizione, con ciò rimarrebbe vera l'ipotesi dell'angolo retto che equivale al V postulato.
Con argomentazioni non particolarmente difficili, riesce a dimostrare che nell'ipotesi dell'ottuso (ma anche
del retto) vale il V postulato; ma come ricordato, dal V si deduce che la somma degli angoli di un triangolo è
due retti, che è in contraddizione con l'ipotesi dell'ottuso.

Citando testualmente Saccheri:

Proposizione XIV
L'ipotesi dell'angolo ottuso è completamente falsa, poiché distrugge se stessa.

Padre Girolamo si apprestava speranzoso a dimostrare la contraddittorietà anche dell'ipotesi dell'angolo
acuto, ma, citandolo testualmente,

Le cose procedono ben diversamente per l'ipotesi dell'acuto….Vedremo in quale modo si potrebbe
distruggere l'ipotesi dell'angolo acuto.

Si noti il condizionale ad indicare le difficoltà e i dubbi incontrati nella confutazione dell'ipotesi, che in un
suo passo addirittura chiama "inimica hipotesis anguli acuti". Saccheri procede nel tentativo con
ragionamenti assai elaborati. In sostanza, utilizzando l'ipotesi dell'angolo acuto, dimostra che, per le coppie
di rette nel piano, esistono solo queste tre possibilità:

        le rette sono incidenti;
        le rette non sono incidenti ed hanno una perpendicolare in comune;
        le rette non sono incidenti, non hanno una perpendicolare in comune e si avvicinano
         indefinitamente.

Quindi dimostra l'esistenza di coppie di rette del tipo 3 e, a questo punto, esausto e rassegnato, padre
Girolamo formula la seguente

Proposizione XXXIII

L'ipotesi dell'angolo acuto è assolutamente falsa, poiché ripugna alla natura della linea retta.

Si noti la diversa fraseologia utilizzata rispetto alla proposizione XIV; questo poiché sicuramente Saccheri
era conscio che i risultati trovati non costituissero una logica contraddizione.

L'opera di Saccheri è importante non tanto per i risultati relativi all'ipotesi dell'angolo ottuso, che in una
certa forma erano già presenti anche in Euclide (esistenza di rette parallele), quanto per quelli relativi
all'ipotesi dell'angolo acuto, poiché portano alla costruzione di veri e propri teoremi di geometria non

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Euclidea. A questo proposito ricordiamo che l'unica geometria possibile (cioè senza contraddizioni)
costruibile negando solo il V postulato è quella che ne nega l'unicità.

Nei secoli precedenti ci furono molti matematici che tentarono di dimostrare direttamente il V postulato;
Saccheri nel suo tentativo di dimostrazione, utilizzando la "reductio ad absurdum" cioè partendo dalla
negazione del V postulato, è il primo che costruisce (e pubblica) teoremi di geometria non Euclidea,
pertanto è da considerare il precursore delle geometrie non Euclidee.

E' un problema tuttora aperto se l'opera di Saccheri sia stata conosciuta dai suoi successori. L'opera è
esaminata in dettaglio in un lavoro di G.S. Klugel e tale lavoro era presente nella biblioteca di Gottinga. Pare
inverosimile che Gauss, insegnando a Gottinga e avendo anch'egli lavorato sul V postulato, non conoscesse
tale opera.

Soltanto nella seconda metà dell'Ottocento Eugenio Beltrami, matematico italiano, riuscì a fare assegnare
all'opera di padre Girolamo il posto di rilievo che le spetta nella storia della matematica.

La "marcia di avvicinamento" alle geometrie non Euclidee
Tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, i tentativi di dimostrazione del V postulato sembravano
avvicinarsi sempre più allo scopo. Ricordiamo le significative opere di Johann Enrich Lambert, matematico
svizzero (1728-1777), e di Adrien Marie Legendre (1752-1833), matematico francese che ebbe il merito di
stimolare l'interesse per i problemi concernenti il V postulato, soprattutto per la sua importante posizione
accademica e per la semplicità con cui, nei suoi più volte pubblicati "Elements de geometrie", tratta
l'argomento. Si frapponeva, però, sempre qualche ostacolo e il risultato non era la dimostrazione del V
postulato, ma la determinazione di una proposizione ad esso equivalente.

Così, dopo numerosi tentativi falliti, cominciò a delinearsi l'idea che:

il V postulato non fosse deducibile dagli altri postulati

Questo ha significato un ribaltamento di prospettiva nell'affrontare il problema, poiché la questione
dell'indimostrabilità di una proposizione è tutt'altro che semplice; e il problema era di natura
sostanzialmente nuova, occorrevano nuove tecniche e strumenti e l'utilizzo di considerazioni di logica-
matematica. Inoltre, oltre alle questioni di carattere puramente tecnico/matematico, nella fase iniziale si
dovettero superare difficoltà di natura sia psicologica che culturale perché le nuove geometrie venissero
prese seriamente in considerazione. Per un verso la geometria Euclidea in secoli di predominio, aveva
condizionato psicologicamente i suoi fruitori (i matematici) abituandoli a considerarla l'unica vera; a questo
va aggiunto il fatto che se il V postulato poteva ritenersi poco intuitivo, la sua negazione lo era ancor meno.
Nel 1781, poi, era stata pubblicata la "Critica della ragion pura" del potente e stimato Immanuel Kant; in
tale opera viene esposta la famosa dottrina dello spazio e del tempo, la quale riconosce allo spazio il
carattere di "intuizione pura" a priori e connaturata con la mente umana; quindi lo spazio non può essere
concepito arbitrariamente. La direzione verso la quale stavano proc edendo le ricerche sul V postulato, si
contrapponeva al sistema di interpretazione del mondo da parte delle autorità intellettuali dominanti.

A tal proposito non si può non citare il "Princeps mathematicorum" Karl Friedrich Gauss (1777-1855), il
primo grande matematico a riconoscere la possibilità di nuove geometrie.

La sua attenzione era particolarmente attratta da una delle più note e significative conseguenze del V
postulato: la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale ad un angolo piatto.

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Egli riteneva che la conoscenza dello spazio fisico circostante fosse così limitata da non consentire di poter
affermare con assoluta certezza che, preso in tale spazio un qualsiasi triangolo, con lati di qualsiasi
dimensione, la somma delle ampiezze dei suoi angoli interni fosse sempre uguale ad un angolo piatto.

E a questo punto Gauss progettò, e forse anche realizzò, un esperimento fisico: partendo dalla
considerazione che un raggio di luce può essere considerato, nel senso della Fisica, come una
rappresentazione della retta, pensò di costruire un enorme "triangolo di luce" avente i vertici sulle cime di
tre montagne e i lati sui tre raggi di luce che congiungevano tali vette.

Lo scopo di Gauss era quello di misurare, anche in quel caso, la somma degli angoli interni di quel
particolare e particolarmente "grande" triangolo, per vedere se tale misura era ancora uguale ad un angolo
piatto; purtroppo però gli errori di misurazione gli impedirono di giungere a risultati significativi.

Tutto ciò non gli impedì, tuttavia, di continuare le sue ricerche e questo lo si evince dalla sua nutrita
corrispondenza con altri matematici, ma non pubblicò alcunché su questo argomento. In una lettera inviata
a Bessel il 27 gennaio 1829 egli scrive: "temo le strida dei beoti, qualora volessi completamente esprimere le
mie vedute…..".

La nascita delle geometrie non Euclidee: Lobacewskij, Bolyai, Riemann.

Le prime esposizioni pubbliche di geometrie non Euclidee sono dovute ai matematici Lobacewskij (Russia)
e Bolyai (Ungheria) attorno al 1830; ci troviamo di fronte ad uno stupefacente caso di scoperta
simultanea, in cui i risultati di ognuno dei furono raggiunti in maniera assolutamente indipendente da
quelli dell’altro.

                                                             Kazan, dove venne in contatto con ottimi
                                                             professori provenienti dalla Germania, tra cui
                                                             J.M. Bartels (1769-1836), che era stato maestro
                                                             anche di Gauss. Ventunenne, Lobacewskji era
                                                             già membro del corpo insegnante e nel 1827 fu
                                                             nominato Rettore dell'Università di Kazan dove,
                                                             per tutto il resto della sua vita svolse attività
                                                             didattica e amministrativa. Negli anni tra il 1826
                                                             ed il 1829 Lobacewskji si era pienamente
                                Lobacewskij                  convinto che il V postulato di Euclide non
                                                             potesse essere dedotto sulla base degli altri
Nicolaj Ivanovic Lobacewskij (1793-1856)                     quattro. Nel 1829-30 pubblicò sul "Messaggero
Russia, figlio di un modesto funzionario                     di Kazan" un lavoro nel quale viene esposta la
governativo, rimase orfano a sette anni.                     nuova geometria, da lui chiamata "Geometria
Nonostante le difficoltà finanziarie della                   immaginaria",       sviluppata      sino       alla
famiglia fu mandato a studiare all'Università di             trigonometria ed al calcolo di aree e volumi.

Con tale articolo egli era il primo matematico a fare il passo rivoluzionario consistente nel pubblicare una
nuova geometria (con termine moderno denominata iperbolica) costruita specificatamente su un'ipotesi
che era in diretta contraddizione con il V postulato, la negazione dell' unicità della parallela. In dettaglio:
per un punto C che giace al di fuori della retta r si può tracciare nello stesso piano più di una parallela ad r.
Da questo postulato deduceva una armoniosa struttura geometrica che non presentava nessuna
contraddizione logica interna. Essa era sotto ogni punto di vista una geometria accettabile, ma appariva

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allo stesso Lobacewskji così contrastante con il senso comune che egli la chiamò "geometria immaginaria
" e in seguito "Pangeometria".

Ai primi scritti del 1829-30 ne seguirono altri nel 1835, ed infine nel 1856 compare "Pangeometria" che
contiene un esposizione completa della nuova geometria. Gauss lesse gli scritti del 1835, ed elogiò i
contributi (ma mai pubblicamente, come già accennato) che l'opera di Lobacevskji aveva portato alla
geometria, raccomandando la sua elezione a membro della Società scientifica di Gottinga nel 1842.

Morì nel 1856 ed è ricordato dai posteri come il Copernico della geometria.

Lobacewskij scrive nella introduzione ai "Nuovi principi della geometria":

"I vani sforzi compiuti dai tempi di Euclide, per il corso di duemila anni, mi spinsero a sospettare che nei
concetti stessi della geometria non si racchiuda ancora quella verità che si voleva dimostrare, e che può
essere controllata, in modo simile alle altre leggi della fisica, soltanto da esperienze, quali, ad esempio, le
osservazioni astronomiche."

Egli concepisce l'idea che lo spazio fisico reale possa avere alcune caratteristiche diverse da quello
euclideo e, in seguito a ciò, ritiene che la geometria debba essere fondata non più su enti ideali (punto,
retta, piano), bensì su oggetti geometrici più tangibili e più vicini alla nostra esperienza sensoriale (per
esempio i corpi solidi).

Questa fisicità porta a considerare vere solo le affermazioni che possono essere verificate
sperimentalmente.
In questa ottica Lobacewskij nega, nel 5° Postulato di Euclide, l'unicità della retta parallela ad una retta
data, con le seguenti considerazioni:

Preso un foglio su cui disegnare, dalle dimensioni qualsiasi, se r è una retta e P un punto esterno ad essa,
si conduca per P la perpendicolare PH alla retta r e, sempre per P, una retta a che forma con PH un angolo
che differisce da un angolo retto per "pochissimo".

La retta a non incontrerà la retta r sul foglio di lavoro e potrebbe non incontrarla ad una distanza
"ragionevolmente vicina"; potrebbe incontrarla invece ad una distanza al di fuori della nostra percezione,
o, proprio per questo, non incontrarla affatto.

Se accettiamo questa ipotesi, per P passano delle rette (secanti) che incontrano la retta r e rette(non
secanti) che non la incontrano; le retta a e a' che separano in ciascun semipiano le rette secanti dalle non
secanti vengono chiamate rette per il punto P e parallele alla retta r.

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Lobacewskij allora ritiene validi i primi quattro postulati di Euclide e sostituisce il quinto con il seguente:

                         per un punto passano due rette parallele ad una retta data

L'accettazione dell'assioma delle due parallele comporta notevoli conseguenze, fra le quali:
- nessun quadrilatero è un rettangolo
- non esistono triangoli simili, ad eccezione di quando essi sono anche congruenti
- per un triangolo qualsiasi la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre minore di un angolo
piatto.

Ci sono alcuni validi modelli che descrivono la geometria di Lobacewskij: i modelli di Klein, di Poincaré e di
Beltrami. (Li descriviamo brevemente, di seguito, senza la presunzione di dare una trattazione formale
completa ed esaustiva!)

Iniziamo da quello di Klein (1849-1925): esso è
costruito pensando

       ai punti come i punti interni ad una
        conica (per esempio una circonferenza)
       alle rette come le congiungenti due
        punti interni alla conica
       al piano formato dai punti interni alla
        conica

Si può facilmente verificare che sono rispettati in questo modello sia gli assiomi di incidenza, sia quelli di
ordinamento, sia quelli di continuità.

E' invece meno semplice verificare gli assiomi della congruenza, perché per parlare di congruenza è
indispensabile parlare di distanza tra punti e tutto è complicato dal fatto di non poter parlare di segmenti
la cui lunghezza supera quella del diametro della circonferenza che abbiamo preso in esame.

Klein diede allora una definizione di distanza tra due punti in questo modo:

dove con A e B indichiamo due punti del "nostro piano" e con P e Q gli estremi della corda passante per A
e per B (con AP < AQ)

Le caratteristiche di questa definizione sono le seguenti:

    o la distanza d(A;B) tra due punti è sempre non negativa;
    o la distanza d(A;A) = | ln 1 | = 0;
    o se A è un punto fisso e B varia sulla "retta" avvicinandosi alla frontiera d(A;B) = ∞

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Utilizzando questa definizione di distanza tra due punti le "rette" risultano avere lunghezza infinita.

In tale modello non è verificato l'assioma delle
parallele: si consideri, infatti la "retta" AB e il
punto C esterno ad essa; si può verificare
immediatamente che vi sono infinite "rette"
che non intersecano la retta data e tali "rette"
sono separate da quelle che invece incontrano
la "retta" AB da due particolari "rette" che
vengono definite parallele ad AB passanti per
C.

In altro modello della Geometria di Lobacewskij è quello di Poincaré.

Il modello di Poincaré (1854-1912) è costruito pensando:

       i punti come i punti interni ad una
        circonferenza C
       le rette sono gli archi di circonferenza
        perpendicolari nei loro estremi alla
        circonferenza C (nei punti di
        intersezione le tangenti alle due
        circonferenze, la C e quella cui
        appartiene l'arco, hanno tangenti fra
        loro perpendicolari)
       il piano formato dai punti interni alla
        circonferenza

Come si può osservare in questa situazione le proprietà delle "nuove rette" differiscono da quelle della
geometria euclidea e in particolare non vale più il postulato delle parallele.
Questi nuovi enti si comportano esattamente come quelli del modello di Klein, ma con questa sottile
distinzione:

nel modello di Klein le rette non sono le rette euclidee, nel modello di Poincaré le rette non sono le rette
euclidee, ma sono archi di circonferenza euclidei e quindi, sotto questo aspetto, in questo modello si può
applicare la geometria euclidea.

Occorre qui fare una breve considerazione: il matematico, nei suoi studi, è libero di utilizzare gli enti
fondamentali e un insieme qualsiasi di assiomi, purché coerenti e compatibili al loro interno, ma il suo
lavoro potrà essere utilizzato dal fisico solo se il suo sistema complessivo ha un riscontro nelle situazioni
fisiche in cui vengono a trovarsi degli oggetti nel mondo reale (si ricordi l'esigenza, espressa dalle ricerche
di Lobacewskij, di poter lavorare con concetti concreti).

A questo proposito si consideri la proposizione: "la luce si propaga in linea retta" e si pensi di considerare
questa come la definizione fisica di retta; su questa base poggia il modello di Poincarè: infatti si può
dimostrare che se la velocità della luce è in ogni punto interno alla circonferenza uguale alla distanza di

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quel punto dalla circonferenza i raggi di luce prendono proprio la forma di quegli archi che nel modello
vengono chiamati "rette".

Il terzo modello è quello di Beltrami (1854-1933), che risulta essere particolarmente importante perché
è stato il primo modello proposto per le geometrie non euclidee ed ha avuto il pregio di convincere gli
studiosi della validità di tali studi.

La curva fondamentale è la trattrice, definita come il luogo dei punti del piano tali che i segmenti di
tangente compresi tra essa e una retta hanno lunghezza costante; tale retta risulta essere asintoto per la
curva.

Si consideri adesso la superficie ottenuta ruotando la curva così costruita attorno al suo asintoto (si
ottiene la pseudosfera).

I punti sono i punti che stanno sulla superficie della pseudosfera e per retta passante per due punti si
intende la geodetica, cioè la linea di minima distanza congiungente i due punti; si può ben osservare che
per un punto esterno ad una retta passano più rette che non la incontrano.

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problema delle parallele, il padre insegnante di
                                                            matematica in una città di provincia, scrisse al
                                                            figlio brillante ufficiale dell'esercito: "…per amor
                                                            del cielo, ti imploro di desistere dal tentativo. Il
                                                            problema delle parallele è una cosa da temere
                                                            ed evitare non meno delle passioni dei sensi,
                                                            poiché anch'esso può rubarti tutto il tuo tempo
                                                            e privarti della salute, della serenità di spirito e
                                                            della felicità". Janos,, lungi dal desistere
                                  Bolyai                    proseguì nelle sue ricerche, sviluppò quella che
                                                            egli chiamò "scienza assoluta dello spazio"
L'amico ungherese di Gauss, W. F. Bolyai, aveva             partendo dall'ipotesi che per un punto esterno
dedicato gran parte della sua vita ai tentativi di          ad una retta si possano tracciare nello stesso
dimostrare il postulato delle parallele. Quando             piano infinite parallele alla retta data, sempre
venne a sapere che il proprio figlio, Janos Bolyai          più convinto della significatività dei risultati
(1802-1860), si era immerso nello studio del                ottenuti li comunicò al padre.

E' interessante riportare uno stralcio della risposta di quest'ultimo: "…se la cosa è perfettamente riuscita,
è conveniente affrettarsi a renderla di pubblica ragione per due motivi: primo perché le idee passano
facilmente da uno all'altro, che in seguito le può pubblicare prima; in secondo luogo , perché c'è anche
qualche verità in questo fatto, che parecchie cose hanno un epoca, nella quale esse sono trovate nello
stesso tempo in più luoghi, precisamente come in primavera le violette da ogni parte vengono alla luce..".

Il padre pubblicò i risultati di Janos, in forma di appendice ad un proprio trattato; è fondamentale
osservare che, benché questo trattato rechi una licenza di stampa datata 1829, ossia l'anno stesso in cui
Lobacewskji pubblicò il suo saggio sulla Gazzetta di Kazan, l'opera fu in realtà pubblicata solo nel 1832.

Il padre di Janos chiese un parere sull'opera anche al grande Gauss, che approvò sinceramente, dopo aver
sottolineato di avere avuto le stesse idee anni prima; Gauss però, non si espresse mai pubblicamente (si
ricordino "…le strida dei beoti.."). Janos ci rimase male e temette soprattutto di perdere il diritto della
priorità, inoltre lo scarso merito dato al suo lavoro, e la pubblicazione dell'opera di Lobacewskji in tedesco
nel 1840, misero Bolyai in uno stato di prostrazione dal quale non si riebbe più, smise definitivamente di
occuparsi dell'argomento e perse via via il suo equilibrio mentale.

La parte maggiore del merito di avere gettato le basi della geometria non-Euclidea spetta quindi a
Lobacewskji.

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sistemi geometrici alternativi a quello euclideo.
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                                                            negazione del V postulato coerente con il resto
                                                            del sistema euclideo è relativa all'unicità della
                                                            parallela; infatti era nota la contraddittorietà
                                                            dell'ipotesi dell'ottuso, cioè l'ipotesi che nega
                                                            l'esistenza della parallela. Restava comunque in
                                                            sospeso la possibilità, modificando qualcos'altro
                                                            oltre al V postulato, di costruire geometrie non-
                                                            euclidee in cui si negasse l'esistenza della
                                                            parallela, o addirittura sistemi geometrici
                                                            ancora più generali. Un importante contributo
                                                            alla chiarificazione e soluzione di questi temi
                                                            venne dato da G.F.B. Riemann (1826 - 1866).
                                       Riemann              Figlio di un pastore protestante, Riemann fu
                                                            allevato in condizioni molto modeste,
In seguito altri grandi matematici diedero                  conservando per tutta la vita un corpo fragile e
contributi fondamentali alla costruzione di                 maniere timide.

Riemann studiò a Berlino. Nel 1854 divenne privatdozent a Gottinga , come consuetudine venne invitato a
pronunciare un Habilitationschirft davanti alla facoltà. Il risultato fu la più famosa dissertazione di
abilitazione della storia della matematica; essa infatti presentava un'ampia e profonda rivisitazione
dell'intera geometria. La dissertazione dal titolo "Ueber die Hypothesen welche der geometrie zu Grundle
liegen" (Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria) riuscì ad entusiasmare persino il grande Gauss
che espresse, forse per la prima ed ultima volta nella sua carriera, la propria ammirazione per l'opera di
un altro matematico. Le geometrie di Riemann sono non-euclidee in un senso molto più generale di
quelle di Lobacevskji e Bolyai. Secondo la concezione di Riemann la geometria non dovrebbe neppure
necessariamente trattare di rette e punti nel senso ordinario, ma di insiemi di n-ple di coordinate nei quali
riveste un ruolo fondamentale il concetto di distanza (metrica). Nella geometria euclidea la distanza (fra
due punti "infinitamente vicini") è data dalla relazione:

e si può ben notare l'analogia con il teorema di Pitagora e l'usuale formula della distanza in R^3.
Seguendo poi la generalizzazione di Riemann, si possono definire infinite altre formule come formule
della distanza e, naturalmente, la metrica usata caratterizzerà la geometria ottenuta di conseguenza.

La formula generale per la metrica utilizzata da Riemann è questa:

dove i gi,j sono costanti o più generalmente funzioni di x,y,z.

Uno spazio con una metrica siffatta è detto Riemanniano.

Nella geometria euclidea, così come in quella di Lobacewskij si implica, seppur tacitamente, che la retta è
infinita, ma con Riemann si apre una nuova via di intendere i concetti fondamentali.

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Egli infatti fu il primo a introdurre una distinzione tra illimitatezza e infinità; tale distinzione gli derivava dal
considerare in geometria sia le proprietà di "estensione" sia le proprietà "metriche" e affermava che
l'illimitatezza dello spazio possiede una maggiore certezza empirica di ogni altra esperienza esterna, ma che
da questo non consegue necessariamente l'infinità, anzi basterebbe che lo spazio avesse una curvatura
costante positiva, seppur minima, ed esso sarebbe certamente finito.

Riemann abbandona quindi la tradizionale concezione euclidea dello spazio inteso soprattutto in senso
sintetico (strettamente geometrico) e lo integra con visione più analitica (più rivolta verso il calcolo).

Nella teoria di Riemann è di fondamentale importanza il concetto di varietà
n-dimensionale, che porta ad una generalizzazione del piano e dello spazio cartesiano.
Per meglio spiegare la sua teoria Riemann utilizza come modello una superficie curva, da cui nasce
l'esigenza di introdurre un valore di curvatura dello spazio.

Secondo tale valore si possono distinguere tre varietà a curvatura costante:

a) varietà a curvatura negativa (geometria di Lobacewskij o iperbolica)
b) varietà a curvatura nulla (geometria di Euclide)
c) varietà a curvatura positiva (geometria di Riemann o ellittica)

L'ultimo caso è quello di cui si occupa Riemann ed è fondato essenzialmente sull'ipotesi che la retta sia
chiusa e finita.

Il modello che Riemann propone è il seguente:

       Il piano è costituito da una superficie chiusa (per comodità potremmo pensare ad una superficie
        sferica)
       I punti sono i punti su di essa
       Le rette per due punti sono i cerchi massimi passanti per essi

É evidente che in questo modello non esistono rette parallele.

In tale contesto Riemann definisce la linea di minima distanza tra due punti la geodetica, cioè l'arco
minore di circonferenza che passa per i due punti ed ha il centro nel centro della sfera.

A volte, per semplificare il modello si preferisce considerare una semisfera, per evitare il caso di punti
diametralmente opposti sulla sfera.

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