Introduzione alle geometrie non euclidee

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Introduzione alle geometrie non euclidee
Dario Palladino1

Introduzione alle geometrie non euclidee

                                            1. PREMESSA

    Nel diciannovesimo secolo furono sviluppate le geometrie non euclidee, vale a dire due
nuove teorie geometriche, in seguito dette rispettivamente geometria iperbolica e geometria
ellittica, che si pongono in alternativa sia tra di loro, sia alla tradizionale geometria euclidea.
   La loro introduzione avvenne al termine di un lungo processo storico iniziato già nel III
secolo a.C., ossia ai tempi di Euclide, ed è senza alcun dubbio da annoverare fra gli eventi
che hanno maggiormente influenzato l’evoluzione della matematica e del pensiero scientifi-
co. Si può tranquillamente affermare che ogni persona colta dovrebbe sapere, almeno a
grandi linee, che cosa sono e quali influenze hanno avuto nello sviluppo della matematica e
della scienza. Il loro studio, tra l’altro, consente di illustrare la struttura della matematica e il
mutamento che la disciplina ha subito nel passaggio dalla concezione classica a quella mo-
derna, ed è quindi importante che gli studenti della scuola secondaria ne conoscano le prin-
cipali caratteristiche.
   A tal fine illustreremo alcune decisive tappe del loro sviluppo partendo da una sintetica
analisi degli Elementi di Euclide, una delle più importanti opere della storia del pensiero
scientifico2.

                 2. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E IL V POSTULATO

   Nel periodo dal VI al III secolo a.C. nell’antica Grecia la geometria è stata sviluppata e
organizzata secondo i canoni del metodo assiomatico classico, la cui caratteristica principale
è che vanno esplicitate le proposizioni assunte inizialmente come vere e che tutte le altre
proposizioni devono essere dimostrate a partire da esse.
   All’inizio del primo dei 13 libri degli Elementi, subito dopo un elenco di 23 definizioni
degli enti geometrici, dette termini (ad esempio: “Angolo acuto è quello minore di un ango-
lo retto”)3, Euclide enuncia le proposizioni che si assumono inizialmente a fondamento
dell’edificio della geometria, dividendole in due gruppi, i postulati e gli assiomi. I 5 postula-
1
  Docente di Logica Matematica all’Università di Genova, ora in pensione. Questo articolo costituisce una
versione rielaborata di due conferenze sulle geometrie non euclidee tenute al Liceo Scientifico Statale “G.
Ferraris” di Varese il 29 novembre 2012 e il 21 febbraio 2013.
2
  Per non allungare la trattazione, quasi sempre enunceremo le proposizioni geometriche senza accompagnar-
le dalle loro dimostrazioni. Il lettore potrà trovarle nel recente volumetto introduttivo D. e C. Palladino, Le
geometrie non euclidee, Carocci, Roma, 2008, nel quale sono sviluppati con maggiori particolari tutti gli ar-
gomenti di cui ci occuperemo nel seguito.
3
  Sulle definizioni euclidee e sul metodo assiomatico torneremo nel paragrafo conclusivo.

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ti enunciano le proprietà degli enti geometrici che vanno accettate senza dimostrazione (ad
esempio: “Per due punti passa una e una sola retta”, “Tutti gli angoli retti sono uguali fra
loro”). Gli 8 assiomi, da Euclide chiamati nozioni comuni, enunciano proprietà generali
delle grandezze, validi anche per enti non geometrici (ad esempio: “Cose uguali a una terza
sono uguali tra loro”, “Metà di cose uguali sono uguali”). Tutte le successive proposizioni
(ossia i teoremi della geometria, tra i quali rientrano anche le costruzioni) sono dimostrate a
partire dai postulati e dagli assiomi. Gli attuali testi scolastici mantengono l’impostazione
degli Elementi, ma i postulati vengono detti assiomi e gli assiomi di Euclide sono fatti rien-
trare nella logica con la quale si conducono le dimostrazioni 4. Postulati e assiomi, essendo i
garanti della verità delle proposizioni da essi dedotte, dovevano essere evidenti, ossia la loro
verità accettata al di là di ogni ragionevole dubbio.
    Il protagonista delle vicende che qui ci interessano è il quinto postulato (VP) di Euclide:

(VP) “Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa
     parte minori di due retti, le due rette, prolungate illimitatamente5, verranno ad incon-
     trarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti”.

                                                   Figura 1

   L’analisi del I libro degli Elementi, che affronteremo nel prossimo paragrafo, rivela che
VP ha un ruolo alquanto anomalo, diverso da quello degli altri postulati, e ciò induce a rite-
nere che Euclide abbia esitato prima di introdurlo tra i postulati. Lo ha utilizzato per la pri-
ma volta nella Proposizione 29 del primo libro della sua opera. Nell’attuale terminologia, si
4
  Gli assiomi usualmente oggi adottati, in numero più ampio e quasi tutti formulati in modo diverso rispetto a
Euclide, sono ispirati a quelli del matematico tedesco David Hilbert (1862-1943), e costituiscono un amplia-
mento articolato e rigoroso dei postulati presenti negli Elementi. Nelle attuali impostazioni si distinguono gli
assiomi specifici della teoria e gli assiomi logici. Questi ultimi governano l’esecuzione delle dimostrazioni
dei teoremi.
5
  Per ragioni sulle quali possiamo sorvolare, nell’antica Grecia le rette non erano considerate nella loro
totalità (di lunghezza infinita), ma infinite solo potenzialmente, ossia come segmenti senza estremi
prolungabili a piacere nei loro due versi. Il secondo postulato di Euclide afferma che “Ogni retta terminata
può essere prolungata per diritto” ed equivale, nella sostanza, all’infinità della retta così come oggi la
concepiamo.

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dice euclidea la geometria degli Elementi e geometria assoluta la parte di essa che si ottiene
senza l’impiego di VP. Le prime 28 proposizioni degli Elementi rientrano, quindi, nella
geometria assoluta. Come vedremo, gli storici della matematica ritengono che Euclide abbia
cercato di far rientrare VP nella geometria assoluta e, non essendovi riuscito, lo abbia
inserito come ulteriore postulato accanto agli altri solo in un secondo tempo. La ragione
della riluttanza ad accettare il quinto come postulato viene usualmente attribuita, come
emerge anche dalla complessità del suo enunciato, alla sua minore evidenza rispetto agli
altri, di molto più semplice formulazione6.
    Di fatto, già dall’antichità è iniziata una lunga serie di tentativi di far rientrare VP nella
geometria assoluta, ossia di dimostrarlo rigorosamente a partire dagli altri quattro postulati e
dagli assiomi. Una seconda via intensamente perseguita fu quella di impostare la geometria
euclidea inserendo come postulato, accanto a quelli della geometria assoluta, una proposi-
zione P più semplice di VP, assumendo la quale si potesse dedurre VP come teorema (nel
paragrafo 4 proporremo un lungo elenco di tali P). In una terza via si è cercato di cambiare
la definizione di rette parallele (definite da Euclide come rette che non hanno alcun punto in
comune), in modo che da essa si potesse sviluppare la geometria senza assumere VP, ma
adottando semplicemente una definizione diversa da quella euclidea.
    I tentativi di dimostrare VP nella geometria assoluta sono tutti falliti, anche se alcuni stu-
diosi hanno ritenuto di essere riusciti nell’impresa. Le dimostrazioni di VP, quando non vi-
ziate da veri e propri errori, si sono rivelate sempre del secondo tipo: in esse si utilizzava
una proposizione P equivalente7 a VP che non si è mai riusciti a dimostrare nella geometria
assoluta. Anche le proposte di sostituire la definizione di rette parallele non raggiunsero lo
scopo, o perché inadeguate, o poiché richiedevano l’assunzione di una nuova proposizione
P equivalente a VP, e quindi venivano a rientrare anch’esse nel secondo tipo.
    Alla fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento, dato che nessuno era riuscito né a di-
mostrare VP in geometria assoluta, né a individuare una P ad esso equivalente e più eviden-
te di esso, alcuni studiosi iniziarono a convincersi che VP non fosse dimostrabile in geome-
tria assoluta, e quindi che fosse logicamente possibile sviluppare una nuova geometria (in
seguito detta iperbolica), in cui si assume come postulato, accanto a quelli della geometria
assoluta, la negazione non-VP di VP8. Pertanto, sono teoremi della geometria iperbolica, ol-
tre ai teoremi della geometria assoluta, le negazioni delle proposizioni equivalenti a VP9.
Nei paragrafi 3 e 4 enunceremo molte proposizioni sia della geometria assoluta, sia equiva-
lenti a VP.
6
   Le scarse e spesso frammentarie conoscenze della matematica antica, che ci sono pervenute con un
percorso assai tortuoso di traduzioni e ritrascrizioni, non ci consentono di stabilire con un elevato grado di
sicurezza come mai VP fu considerato meno evidente degli altri già ai tempi di Euclide. Una possibile
ragione sarà esposta nella nota 23.
7
  In questa sede, “P equivalente a VP” significa che in geometria assoluta si dimostrano i due teoremi “Se P,
allora VP” e “Se VP, allora P”. Il secondo dei due equivale ad affermare che P è un teorema della geometria
euclidea. Se si riuscisse a dimostrare P nella geometria assoluta, allora dal primo teorema seguirebbe che an-
che VP è un teorema della geometria assoluta e non sarebbe più necessario inserire VP fra i postulati: la geo-
metria euclidea coinciderebbe con la geometria assoluta.
8
  In logica si dimostra che, se in una teoria coerente T non si può dimostrare né una proposizione A (A è indi-
mostrabile), né la negazione non-A di A (A non è refutabile), allora sono coerenti le due teorie ottenute ag-
giungendo A oppure aggiungendo non-A agli assiomi di T.
9
   Infatti, se “Se P, allora VP” è un teorema della geometria assoluta, lo è anche, per la legge logica di
contrapposizione, la proposizione “Se non-VP, allora non-P”, la quale equivale ad affermare che, se si
aggiunge non-VP agli assiomi della geometria assoluta, ossia nella geometria iperbolica, si ha come teorema
non-P.

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3. IL I LIBRO DEGLI ELEMENTI DI EUCLIDE

   Secondo la concezione classica dell’assiomatica, postulati e assiomi devono essere pro-
posizioni evidenti. Come si è detto in precedenza, di fatto, l’evidenza di VP fu messa in dub-
bio già dall’antichità e un esame accurato del I libro degli Elementi corrobora l’ipotesi che
lo stesso Euclide abbia esitato prima di annoverarlo fra i postulati. Infatti, si possono evi-
denziare tre vere e proprie anomalie:

(I) VP è utilizzato molto avanti nel testo, a partire dalla Proposizione 29.
(II) La proposizione inversa di VP è un teorema.
(III) La Proposizione 32 è molto più “informativa” delle due Proposizioni 16 e 17.

    Esaminiamole separatamente.

    (I) In primo luogo rileviamo che, dopo i tre gruppi delle proposizioni primitive, ossia le
definizioni (termini), i postulati e gli assiomi (nozioni comuni), Euclide inizia a dimostrare
le proposizioni della geometria (teoremi e costruzioni) e conclude il I libro con le Proposi-
zioni 47 e 48, che enunciano il teorema di Pitagora e il suo inverso. Ebbene, VP non inter-
viene che nella dimostrazione della Proposizione 29. Questo fatto costituisce una prima ano-
malia, poiché Euclide sfrutta fin dall’inizio tutte le altre proposizioni primitive indipenden-
temente dal loro ordine progressivo. Pertanto, le prime 28 proposizioni, essendo conseguen-
za delle altre proposizioni primitive, sono teoremi della geometria assoluta (e anche della
geometria iperbolica). Tra esse rientrano le seguenti: triangoli isosceli hanno gli angoli alla
base uguali e, viceversa, se in un triangolo vi sono due angoli uguali allora il triangolo è iso-
scele; i tre criteri di uguaglianza dei triangoli; l’esistenza e l’unicità della bisettrice di un an-
golo, del punto medio di un segmento, della perpendicolare condotta da un punto a una ret-
ta; le proprietà degli angoli adiacenti, consecutivi e opposti al vertice; le disuguaglianze tra
lati e angoli di un triangolo (un lato è minore della somma degli altri due e maggiore della
loro differenza, a lato maggiore è opposto angolo maggiore e, viceversa, ad angolo maggio-
re è opposto lato maggiore).

    (II) Nella prima parte del I libro degli Elementi Euclide dimostra la Proposizione 16 (“In
ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è maggiore di ciascuno dei due
angoli interni non adiacenti ad esso”) e, come immediata conseguenza, la Proposizione 17
(“In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti”), la quale
si può riformulare come segue:
   “Se due rette r e s tagliate rispettivamente in A e B dalla trasversale t si incontrano in P
(dato il triangolo ABP), allora la somma degli angoli che formano con t dalla parte del
punto di intersezione (ossia dei due angoli in A e B di ABP), è minore di due retti” (fig. 2):

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Ipotesi: r e s si incontrano

                                                    Figura 2

    La Proposizione 17 è quindi la proposizione inversa di VP. È una seconda anomalia il
fatto che, di due proposizioni una inversa dell’altra ed entrambe ritenute vere in geometria10,
una sia un teorema e la seconda un postulato.
   Con le Proposizioni 27 e 28 Euclide inizia a esaminare le proprietà delle rette parallele
dimostrando che, se due rette qualsiasi tagliate da una trasversale formano con quest’ultima
angoli alterni interni uguali, o angoli corrispondenti uguali, o angoli coniugati interni sup-
plementari, allora le due rette sono parallele.
   Nella dimostrazione della Proposizione 29 (“Una retta trasversale forma con due rette
parallele angoli alterni interni uguali, angoli corrispondenti uguali e angoli coniugati interni
supplementari”, che è l’inversa delle 27 e 28) interviene VP. Si riproduce un’anomalia in un
certo senso analoga alla precedente, in quanto le Proposizioni 27 e 28 rientrano nella geo-
metria assoluta, mentre, per dimostrare le loro inverse (Proposizione 29), Euclide è costretto
a utilizzare VP.

    (III) Illustriamo ora la terza ancora più evidente anomalia. Una volta ottenuta la Proposi-
zione 32 (“In ogni triangolo l’angolo esterno è uguale alla somma degli angoli interni non
adiacenti ad esso, e la somma dei tre angoli interni del triangolo è uguale a due retti”), le
Proposizioni 16 e 17 divengono superflue: se l’angolo esterno di un triangolo è la somma
dei due angoli interni non adiacenti, allora è maggiore di ciascuno di essi, e, se la somma dei
tre angoli interni di un triangolo è uguale a due retti, la somma di due di essi è minore di due
retti. Per quale ragione Euclide dimostra prima due proposizioni per così dire meno infor-
mative e in seguito una che le comprende? Si potrebbe essere tentati di rispondere che ciò
sia stato motivato dall’intento di proporre un percorso dimostrativo più lineare e di più age-
vole comprensione, ossia, in altri termini, per facilitare l’apprendimento da parte dei lettori
graduando in qualche misura le difficoltà. Questa giustificazione, ai nostri occhi del tutto
plausibile, è in realtà del tutto insostenibile perché completamente estranea allo spirito con
cui è compilata l’intera opera: nessun espediente di natura didattica è presente negli Ele-
menti di Euclide!

   Per spiegare le tre anomalie è ragionevole ipotizzare che Euclide abbia esitato a introdur-
re VP tra i postulati e cercato di ottenerlo come teorema, dimostrando il maggior numero
10
  Per evitare fraintendimenti, i matematici del passato non mettevano in dubbio che VP fosse vero. Ciò che si
contestava era che la sua verità fosse incontrovertibile. Il problema si poteva eliminare dimostrandolo nella
geometria assoluta. Infatti, ai teoremi non è richiesta l’evidenza. Anzi, in generale, un teorema matematico è
tanto più significativo quanto meno è evidente, in quanto, in tal caso, enuncia una proprietà inattesa e talora
sorprendente.

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possibile di proposizioni senza impiegarlo: le Proposizioni 16 e 17, a differenza della 32, si
dimostrano senza ricorrere ad esso. Solo dopo aver fallito nei suoi tentativi di dimostrarlo e
ritenendolo essenziale per continuare lo sviluppo della geometria, pur trattandosi della
proposizione inversa di un teorema, lo ha inserito tra i postulati, iniziando a utilizzarlo solo
a partire dalla Proposizione 29.

   Le Proposizioni 29 e 32 sono teoremi della geometria euclidea che non rientrano nella
geometria assoluta. Inoltre, in geometria assoluta si può dimostrare che, da ciascuna di esse,
segue VP, e quindi le Proposizioni 29 e 32 sono equivalenti al V postulato.
   Prima di concludere questo paragrafo osserviamo che, in geometria assoluta, si dimostra-
no i due seguenti teoremi relativi alla somma S degli angoli di un triangolo:

       “S non è mai maggiore di 2 retti (S ≤ 2R)”.
       “Se S = 2R in un solo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli”.

    Pertanto, in geometria assoluta si dimostra che non vi può essere alcun triangolo in cui
S > 2R. In geometria euclidea tutti i triangoli hanno somma degli angoli interni uguale a 2R,
e questa proprietà equivale al V postulato. Basta che in un solo triangolo valga S = 2R,
affinché valga S = 2R in tutti i triangoli. Ne segue che, se in un solo triangolo S < 2R, allora
S < 2R in tutti i triangoli.
    Queste considerazioni si estendono facilmente ai quadrilateri e ai poligoni con più lati, i
quali si possono scomporre in triangoli tracciando opportunamente alcune diagonali. In geo-
metria euclidea la somma degli angoli interni di tutti i quadrilateri è 4R, di tutti i pentagoni è
6R, di tutti gli esagoni è 8R, e così via. Ciascuna di queste proposizioni è equivalente al V
postulato. Basta che vi sia un quadrilatero con somma degli angoli 4R, affinché sia 4R la
somma degli angoli di ogni quadrilatero, e analoghe proposizioni valgono per i pentagoni,
gli esagoni, e così via.

                4. PROPOSIZIONI EQUIVALENTI AL V POSTULATO

   In questo paragrafo proponiamo un elenco di proposizioni P equivalenti a VP. Tali P
sono teoremi della geometria euclidea e, in geometria assoluta, si può dimostrare “Se P, al-
lora VP”11.
     È equivalente a VP il seguente postulato dell’obliqua:
   (PO) “Una perpendicolare s e un’obliqua r a una stessa retta t si incontrano sempre in
un punto P dalla parte dove l’obliqua forma con la retta un angolo acuto β” (figura 3)

11
  Per le dimostrazioni ed ulteriori esempi rinviamo al testo citato nella nota 2. Si osservi che, ovviamente,
anziché “Se P, allora VP”, si può dimostrare “Se P, allora Q”, dove Q è una proposizione che si è già
dimostrato essere equivalente a VP. Se si sostituisce VP con una P ad esso equivalente si ottiene una diversa
assiomatizzazione della geometria euclidea.

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Ipotesi:      retto, acuto

                                                  Figura 3

      il quale è il caso particolare di VP quando uno dei due angoli è retto.
   Abitualmente, nelle attuali sistemazioni assiomatiche della geometria euclidea si assume,
anziché VP, l’equivalente proposizione di unicità della parallela:

(UP) “Dati nel piano un punto e una retta esterna ad esso, per il punto passa al più una
     retta parallela alla retta data”.

   In molti testi si assume come assioma “Dati nel piano un punto e una retta esterna ad
esso, per il punto passa una e una sola parallela alla retta data”, che sancisce sia l’esistenza
della parallela (“passa una”), sia la sua unicità (“una sola”, “al più una”). In questa sede è
importante tener presente che l’esistenza della parallela si può dimostrare nella geometria
assoluta12, e non è necessario assumerla tra gli assiomi.
    La storia, come si è detto, ci ha lasciato un lungo elenco di proposizioni equivalenti al V
postulato, nessuna di esse tale da essere ritenuta un sostituto più accettabile di VP tra gli as-
siomi della geometria. Alcune delle più importanti dal punto di vista storico sono le seguenti
(la (1) è UP):

(1)     Unicità della parallela. Dati in un piano una retta r e un punto P non appartenente ad
        essa, per P passa al più una retta parallela a r (Proclo 412-485 d.C., John Playfair
        1748-1819).
(2)     Transitività del parallelismo. Due rette parallele a una terza sono parallele tra loro
        (Proclo).
(3)     Se una retta interseca una di due rette parallele interseca anche l’altra (Proclo).
(4)     Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti da un stessa parte di essa è una retta
        (Posidonio II-I sec. a.C., Gemino I sec. d.C.).
(5)     Dato un triangolo, si può costruire un triangolo simile ad esso avente un lato assegnato
        (John Wallis 1616-1703).
(6)     Per tre punti non allineati passa sempre una circonferenza (Wolfgang Bolyai 1775-
        1856).

12
  Euclide la dimostra nel I libro degli Elementi (Proposizione 31) senza far intervenire VP, utilizzando la
Proposizione 27 dalla quale segue che due perpendicolari a una stessa retta sono parallele. Dati r e un punto
P esterno ad essa, da P si abbassa la perpendicolare PH a r e poi si traccia la retta s perpendicolare a PH in
P. In tal modo r e s risultano entrambe perpendicolari a PH, e quindi sono parallele. UP afferma che la s così
ottenuta è l’unica retta del piano passante per P e parallela a r.

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(7)  Non esiste un’unità di misura assoluta per i segmenti (Johann Heinrich Lambert 1728-
     1777).
(8) Per un punto interno ad un angolo acuto si può sempre condurre una retta che interseca
     entrambi i lati dell’angolo (Adrien Marie Legendre 1752-1833).
(9) Si può costruire un triangolo di area arbitrariamente grande (Karl Friedrich Gauss
     1777-1855).
(10) Non è in alcun caso possibile costruire con riga e compasso un quadrato equivalente a
     un cerchio (János Bolyai 1802-1860).

e, oltre a quelle richiamate alla fine del paragrafo precedente (le Proposizioni 29 e 32 degli
Elementi), ve ne sono molte altre, tra le quali:

(11)   Le tre altezze di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.
(12)   I tre assi dei lati di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.
(13)   Un angolo alla circonferenza è metà del corrispondente angolo al centro.
(14)   Un angolo inscritto in una semicirconferenza è retto.
(15)   Il teorema di Pitagora.

                                              Figura 4

         Indicando con S la somma degli angoli di un triangolo, si ha:

         in ABC :       S = α + β + γ
         in ABD :       S = α1 + β + δ1
         in ACD :       S = α2 + γ + δ2
      Sommando membro a membro le due ultime uguaglianze si ha:
                                       2S = α1 + β + δ1 + α2 + γ + δ2

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Dato che α1 + α2 = α e δ1 + δ2 = 2R, si ottiene:

                           2S = α + β + γ + 2R, ossia 2S = S + 2R, da cui S = 2R

    Se questo ragionamento fosse inattaccabile, avremmo ottenuto una facilissima dimostra-
zione di S = 2R, e quindi di VP! Le cose non stanno così, anche se non vi è alcun errore nei
calcoli. Il punto è che il ragionamento non si è svolto interamente nella geometria assoluta.
Probabilmente senza che il lettore se ne sia accorto, abbiamo impiegato nella dimostrazione
una proposizione che non era lecito sfruttare poiché non è né una proposizione primitiva, né
un teorema già dimostrato. Ciò è avvenuto quando si è indicata con S la somma degli angoli
dei tre triangoli. Si è così implicitamente assunta la proposizione P che afferma: “La somma
degli angoli interni è uguale in tutti i triangoli”. Pertanto, quanto si è effettivamente dimo-
strato è che “Se P, allora S = 2R” (da cui segue “Se P, allora VP”). Abbiamo ricordato che,
in geometria assoluta, sono aperte le due possibilità S = 2R o S < 2R. Dato che P implica la
prima, si è stabilita la seguente proposizione della geometria assoluta: “Se S < 2R, allora
non tutti i triangoli hanno la stessa somma degli angoli interni”.

                                                                                                 γ uguali. Di-

   Nel quadrilatero BCED, evidentemente, gli angoli in B e C sono supplementari degli an-
goli in D ed E, e quindi la somma degli angoli interni è 4R.
    Come si è osservato alla fine del paragrafo precedente, basta che vi sia un solo quadrila-
tero in cui S = 4R per poter concludere che lo stesso avviene in ogni quadrilatero, e che val-
ga VP13. Pertanto la proposizione “Esistono due triangoli simili e non uguali” è equivalente
a VP: se non si assume VP o una P ad esso equivalente, non si può dimostrare che esistano

13
  Infatti, se dividiamo mediante una diagonale un quadrilatero in due triangoli, la somma degli angoli del
quadrilatero risulta uguale alla somma degli angoli dei due triangoli. Se la somma degli angoli del quadrilate-
ro è 4R, ne segue che la somma degli angoli di ciascuno dei due triangoli è 2R. Infatti, se la somma degli an-
goli di uno dei due triangoli fosse minore di 2R, l’altra dovrebbe essere maggiore di 2R, contro quanto vale
in geometria assoluta. Come già si è detto, se vi sono triangoli in cui la somma degli angoli è 2R, allora vale
VP.

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triangoli simili non uguali, e quindi non ha senso procedere allo sviluppo della teoria della
similitudine.

   (III) Consideriamo un segmento AB e i due segmenti uguali AD e BC perpendicolari ad
AB. Se uniamo D con C otteniamo il quadrilatero ABCD detto quadrilatero birettangolo
isoscele (figura 6)

                                        D                            C

                                        A                           B
                                                 Figura 6

   Si dimostra facilmente che gli angoli in C e D sono uguali14. In geometria euclidea, es-
sendo 4R la somma degli angoli di un quadrilatero, C e D sono retti (ABCD è un rettangolo).
In geometria assoluta, come già detto, è aperta la possibilità che C e D siano acuti (non pos-
sono essere ottusi, altrimenti la somma degli angoli del quadrilatero sarebbe maggiore di 4R
e vi sarebbero triangoli con somma degli angoli maggiore di 2R, eventualità esclusa nella
geometria assoluta).
   Consideriamo ora una retta s e supponiamo che siano dati tre punti A, B e C allineati su
una retta r ed equidistanti da s, ossia tali che AH = BK = CL (figura 7)

                                    A                   B            C        r

                                                                              s
                                    H                   K            L
                                                   Figura 7

   I quadrilateri AHKB, BKLC e AHLC sono birettangoli isosceli, e quindi sono uguali i
loro angoli in A e B, in B e C e in A e C. Pertanto gli angoli in A, B, C sono tutti e tre uguali.
Dato che A, B, C sono allineati, i due angoli in B sono retti. Ne segue che i tre quadrilateri
sono rettangoli, e quindi che vale VP.
   Si è così dimostrato che la proposizione della geometria euclidea “Esistono tre punti alli-
neati equidistanti da una retta” è equivalente a VP.

14
  Se si tracciano le diagonali AC e BD, risultano uguali i due triangoli rettangoli ABC e BAD (I criterio di
uguaglianza), e quindi AC = BD. Ne segue che sono uguali i due triangoli DCA e CDB (III criterio di ugua-
glianza), e pertanto sono uguali gli angoli in C e D.

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Fin dall’antichità è stato riconosciuto che la proposizione “Il luogo dei punti equidistanti
da una retta e posti dalla stessa parte di essa è una retta” è equivalente a VP. Alcuni mate-
matici del passato hanno proposto di cambiare la definizione di rette parallele: invece di de-
finire, come in Euclide, parallele due rette che non si incontrano, si definiscono parallele
due rette equidistanti. Dall’equidistanza delle due rette parallele si ottiene nel modo appena
visto VP. Sembra allora che si sia risolto il problema di VP mediante il semplice cambia-
mento di una definizione. In realtà si può adottare la nuova definizione solo se vale la pro-
posizione “Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti dalla stessa parte di essa è una
retta”. Ma questa proposizione è equivalente a VP. Pertanto, per assumere la nuova defini-
zione di rette parallele si deve assumere una proposizione P equivalente a VP.

                        5. L’OPERA DI GIROLAMO SACCHERI

   Esaminiamo ora brevemente l’Euclides ab omni naevo vindicatus del gesuita ligure Ge-
rolamo Saccheri (1667-1733), opera in cui sono sviluppate due lunghe e articolate dimostra-
zioni di VP nella geometria assoluta. Ciò che lo rende diverso dai moltissimi tentativi che
hanno percorso più di due millenni di storia della matematica è il particolare procedimento
per assurdo che Saccheri ha adottato.
   La figura centrale nei ragionamenti di Saccheri è il quadrilatero birettangolo isoscele di
figura 6, a proposito del quale formula le tre ipotesi possibili sugli angoli uguali in C e D: C
e D acuti, C e D retti e C e D ottusi.
    Saccheri riesce a dimostrare che l’ipotesi che si verifica in un solo quadrilatero birettan-
golo isoscele si verifica in tutti gli altri. Detta S la somma degli angoli di un triangolo, le tre
ipotesi dell’angolo acuto, retto, ottuso sui quadrilateri birettangoli isosceli equivalgono,
come si può dimostrare facilmente, a supporre rispettivamente S < 2R, S = 2R, S > 2R, e
quindi le tre possibilità sono mutualmente esclusive: o in tutti i triangoli S < 2R, o in tutti i
triangoli S = 2R, o in tutti i triangoli S > 2R.
   La strategia di Saccheri consiste nel dimostrare che le due ipotesi dell’angolo ottuso e
dell’angolo acuto conducono a contraddizione. In tal modo risulterebbe dimostrato che vale
solo l’ipotesi dell’angolo retto, dalla quale segue VP.
    Nella prima parte della sua opera Saccheri riesce a dimostrare che, assumendo l’ipotesi
dell’angolo ottuso, si giunge a una contraddizione. Più precisamente, egli dimostra la propo-
sizione “Nell’ipotesi dell’angolo retto e dell’angolo ottuso vale il postulato dell’obliqua PO”
e ottiene così due risultati. Il primo è che l’ipotesi dell’angolo retto implica PO, e quindi è
equivalente a VP. Il secondo, ancora più importante, è che anche l’ipotesi dell’angolo ottuso
implica PO, e quindi VP. Ma quest’ultimo implica l’ipotesi dell’angolo retto, e quindi
dall’ipotesi dell’angolo ottuso segue che non vale l’ipotesi dell’angolo ottuso. Nella Propo-
sizione 14 Saccheri può quindi concludere: “L’ipotesi dell’angolo ottuso è completamente
falsa, perché distrugge se stessa”15.
   Pertanto, è stato Saccheri il primo a dimostrare i teoremi della geometria assoluta
“S ≤ 2R” (è assurda l’ipotesi dell’angolo ottuso che equivale a S > 2R), “Se S = 2R in un
solo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli” e “S = 2R è equivalente a VP”.

15
  La legge logica applicata da Saccheri, detta consequentia mirabilis, è una forma particolare di dimostrazio-
ne per assurdo: se una proposizione A implica la sua negazione non-A, allora vale non-A.

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Nel proseguimento della sua opera Saccheri procede cercando di confutare l’ipotesi
dell’angolo acuto (che equivale a non-VP) e, ragionando in tale ipotesi per trovare una con-
traddizione, ottiene di fatto per la prima volta vari teoremi della geometria iperbolica. In
particolare, egli stabilisce il complesso comportamento che le rette vengono ad assumere
nell’ipotesi dell’angolo acuto, ossia se vale non-VP, e quindi non-UP ed esistono più paral-
lele per un punto a una retta (figura 8).

                                                                     n
                                                P

                                                                    m

                                                H                   r
                                              Figura 8

    Se vi sono almeno due rette passanti per P che non intersecano r, allora ve ne sono infi-
nite (ossia tutte quelle comprese fra le due la cui esistenza segue da non-UP) e si dimostra
che tra esse ve ne sono due, m e n, che non intersecano r e sono le rette di separazione fra
quelle che intersecano r e quelle che non la intersecano. In geometria iperbolica le rette m e
n sono dette le parallele a r nei suoi due versi, e le altre rette che non incontrano r le iperpa-
rallele a r per P.
    Saccheri dimostra varie proprietà, visualizzate in figura 9, che le rette incidenti, parallele
e iperparallele vengono a possedere nell’ipotesi dell’angolo acuto.

                                             Figura 9

   Le rette incidenti divergono oltre ogni limite e la proiezione ortogonale di r su s è un
segmento aperto di quest’ultima. Le rette parallele in un verso (a sinistra in figura) divergo-
no oltre ogni limite e, nell’altro verso (a destra in figura), si avvicinano sempre di più senza

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mai incontrarsi (la proiezione ortogonale di r su s è una semiretta aperta di quest’ultima). Le
rette iperparallele, sulle quali Saccheri non si sofferma a lungo, hanno una e una sola
perpendicolare comune su cui si trova il segmento di minima distanza fra esse e divergono
oltre ogni limite in entrambi i versi (le proiezioni ortogonali di una sull’altra sono segmenti
aperti). Per poter visualizzare tali proprietà abbiamo dovuto rappresentare curve alcune
rette. Si tenga tuttavia presente che, anche nell’ipotesi dell’angolo acuto, tutte le rette sono
uguali.
    Pertanto, Saccheri dimostra che la retta m di figura 8, oltre a non avere una perpendicola-
re comune con r, si avvicina sempre di più a r senza incontrarla. Si può dire che m e r hanno
un comportamento asintotico, poiché avviene per esse quanto accade a curve già note
dall’antichità, quali l’iperbole, che si avvicinano sempre di più a rette (dette asintoti) senza
mai intersecarle.
   Stabilita l’esistenza di rette che hanno un comportamento asintotico, Saccheri enuncia la
Proposizione 33: “L’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa, perché ripugna alla na-
tura della linea retta”. Se la si paragona alla Proposizione 14 prima enunciata, balza evidente
che Saccheri non dice “distrugge se stessa”: egli è conscio di non trovarsi di fronte a una
vera e propria contraddizione, ma a qualcosa di contrario all’intuizione, e ciò non costituisce
affatto una confutazione rigorosa dell’ipotesi dell’angolo acuto. In sostanza il ragionamento
di Saccheri fa ricorso a una proposizione P (“Non esistono rette che hanno un comporta-
mento asintotico”) equivalente a VP16.
    Per questa ragione, nella seconda parte del I libro della sua opera, Saccheri propone una
seconda confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto. In tale ipotesi, come si è visto, il luogo
dei punti equidistanti da una retta e dalla stessa parte di essa non è una retta, ma una nuova
linea che viene detta linea equidistante. Saccheri individua una contraddizione nelle pro-
prietà di questa linea e, nella Proposizione 38, perviene ad affermare: “L’ipotesi dell’angolo
acuto è completamente falsa, perché distrugge se stessa”. Tuttavia, il suo ragionamento, che
si addentra in considerazioni di analisi matematica, è questa volta viziato da un vero e pro-
prio errore.
        Concludiamo osservando che l’opera di Saccheri è stata scoperta solo dopo la diffu-
sione della geometria iperbolica e quindi non ha avuto un particolare ruolo nelle vicende
storiche successive. Ci siamo soffermati su di essa poiché, seppur costituendo un tentativo
fallito di dimostrare VP nella geometria assoluta, contiene i primi teoremi di geometria iper-
bolica della storia: il comportamento delle rette nell’ipotesi dell’angolo acuto è quello che le
rette hanno nella geometria iperbolica.

                             6. LA GEOMETRIA IPERBOLICA

   A questo punto illustriamo brevemente le tappe principali della svolta avvenuta all’inizio
dell’Ottocento, quando alcuni studiosi, adducendo considerazioni sulle quali possiamo sor-
16
  Evidentemente, se vale VP, le rette parallele sono equidistanti, e quindi non hanno un comportamento asin-
totico. In realtà, le considerazioni di Saccheri sono più lunghe e articolate di come le abbiamo esposte in que-
sta sede. Egli dimostra, tra l’altro, che le rette parallele non hanno una perpendicolare comune. Alcuni stu-
diosi avevano pensato di risolvere il problema di VP assumendo come nuova definizione di rette parallele la
seguente: sono parallele due rette che hanno una perpendicolare comune. Tuttavia, segue dal risultato di Sac-
cheri che in geometria assoluta non vale l’equivalenza tra il non avere punti in comune e avere una perpendi-
colare comune, ma solo che la seconda proprietà implica la prima.

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volare, maturarono la convinzione che la geometria che si ottiene sostituendo VP con non-
VP, ossia la geometria iperbolica. non fosse contraddittoria.
   Sono ritenuti precursori delle geometrie non euclidee due figure minori del panorama
matematico, Ferdinand Karl Schweikart (1780-1857) e Franz Adolph Taurinus (1794-1874),
i quali svilupparono alcuni aspetti della geometria iperbolica, chiamandola rispettivamente
geometria astrale e geometria logaritmo-sferica.
    Un ruolo ben più importante, come emergerà anche nel seguito, ebbe Karl Friedrich
Gauss, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, il quale, pur non pubblicando i suoi ri-
sultati, riteneva che la nuova geometria fosse coerente.
    I fondatori unanimemente riconosciuti della geometria iperbolica sono l’ungherese János
Bolyai (1802-1860) e il russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (1792-1856). Il primo pubblicò
nel 1832 un’appendice ad un libro del padre Wolfgang in cui espose in modo sistematico al-
cuni aspetti basilari della geometria iperbolica. Il secondo dedicò, a partire dal 1829, varie
memorie e volumi alla geometria iperbolica, da lui chiamata geometria immaginaria, svi-
luppandola ampiamente sia nel piano che nello spazio, e affiancandola con la trigonometria,
la teoria della misura e la trattazione analitica nel piano cartesiano.
    A questo punto conosciamo già numerosi teoremi della geometria iperbolica: oltre a
quelli della geometria assoluta, sono teoremi tutte le negazioni delle proposizioni equivalen-
ti a VP individuate nel paragrafo 4. Ad esempio: non vale l’unicità della parallela, la somma
degli angoli di un triangolo è minore di due angoli retti e non è costante, se due triangoli
hanno gli angoli uguali allora sono uguali (vale cioè un IV criterio di uguaglianza dei trian-
goli), il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta, non vale il teorema di Pita-
gora, non sempre esistono il circocentro e l’ortocentro di un triangolo. Negare VP equivale
ad assumere l’ipotesi dell’angolo acuto di Saccheri, e quindi sono teoremi della geometria
iperbolica le proposizioni ottenute dal gesuita ligure nel suo tentativo di confutare tale ipote-
si, ad esempio quelle che enunciano le proprietà delle rette incidenti, parallele e iperparalle-
le illustrate in figura 9, e in particolare il comportamento asintotico delle rette parallele.
   Esaminiamo ora qualche ulteriore aspetto della geometria iperbolica con riferimento alla
figura 10.

                                             Figura 10

© PRISMI on line 2013                          pagina 14                    http://prismi.liceoferraris.it
Consideriamo tre rette uscenti da un punto che formano tra loro angoli uguali di 120°.
Unendo tre punti equidistanti dal loro punto comune si ottiene un triangolo equilatero ed
equiangolo. In geometria iperbolica (in cui S < 2R) i tre angoli uguali di ciascun triangolo
equilatero hanno ampiezza minore di 60° e si dimostra che essa tende a 60° quando i vertici
del triangolo tendono al centro, ossia tende a 0 il lato del triangolo equilatero, e tende a 0°
più si allontanano da esso, ossia quando i lati del triangolo tendono all’infinito (per visualiz-
zare in figura 10 questo comportamento abbiamo dovuto incurvare i lati). Il fatto che l’am-
piezza dell’angolo del triangolo equilatero tende a 60° quando il lato del triangolo equilatero
tende a 0 dimostra che la geometria euclidea è un caso limite di quella iperbolica e ciò si
esprime affermando che “In zone piccole del piano iperbolico vale la geometria euclidea”.
   Le rette r, s e t, parallele nel senso prima richiamato alle tre rette date, formano una figu-
ra caratteristica della geometria iperbolica, detta triangolo limite. Si dimostra che esso ha
area finita e che ogni triangolo ha area inferiore al triangolo limite17.
    I vari triangoli equilateri hanno angoli diversi e, se si fissa un angolo qualsiasi compreso
tra 0° e 60°, ad esempio 45°, il lato del triangolo equilatero risulta fissato. Si può quindi as-
sumere come unità di misura dei segmenti tale lato, che quindi viene a costituire una unità di
misura assoluta per i segmenti18. Ecco perché assumere la non esistenza di un’unità di misu-
ra assoluta per i segmenti contraddice l’ipotesi dell’angolo acuto ed è equivalente a VP19. In
geometria iperbolica due triangoli con i tre angoli uguali hanno uguali i tre lati (vale un
quarto criterio di uguaglianza per i triangoli), e si possono ricavare le formule che esprimo-
no tali lati in funzione delle ampiezze degli angoli.
    Nella figura 11, analoga alla precedente, ma in cui si parte da due rette perpendicolari, è
rappresentato il quadrato limite, avente un’area finita che è l’estremo superiore delle aree di
tutti i quadrati.

                                                   Figura 11

17
   Si confronti questo risultato con la Proposizione (9) di Gauss del paragrafo 4. L’area A dei triangoli iperbo-
lici è proporzionale al loro difetto angolare 2R – S, ossia A = k(2R – S), e quindi è superiormente limitata da
2kR, che è l’area del triangolo limite.
18
   Gli angoli hanno una unità di misura assoluta poiché, ad esempio, il grado o il radiante sono fissati in modo
univoco con considerazioni geometriche. Per le lunghezze, invece, l’unità di misura (ad esempio il metro) è
fissata in modo convenzionale (il metro mediante un campione fisico). In geometria iperbolica le unità di mi-
sura assolute degli angoli individuano univocamente unità di misura assolute per i segmenti.
19
   Si veda la Proposizione (7) del paragrafo 4, individuata da Lambert, uno dei precursori delle geometrie non
euclidee.

© PRISMI on line 2013                                  pagina 15                         http://prismi.liceoferraris.it
In geometria iperbolica il rapporto fra la diagonale e il lato di un quadrato non è costante
come in geometria euclidea, ma tende al numero irrazionale 2 (valore costante che il rap-
porto ha in geometria euclidea) quando il lato tende a zero (in zone piccole del piano iperbo-
lico vale la geometria euclidea) e tende a 1 quando il lato aumenta indefinitamente. Dato
che fra 1 e √ 2 vi sono infiniti numeri razionali, vi sono infiniti quadrati in cui la diagonale
è commensurabile col lato (ad esempio, vi sono quadrati in cui la diagonale è 4/3 oppure 5/4
del lato).
    Un’interessante considerazione si può fare a proposito dei cerchi. In geometria euclidea
la lunghezza L della circonferenza e l’area A del cerchio di raggio r sono:

                                             L=2πr                    A = π r2

    Il rapporto fra L e il diametro e fra A e il quadrato del raggio è sempre uguale al numero
π, il quale, oltre ad essere irrazionale, è trascendente, ossia non è soluzione di alcuna equa-
zione a coefficienti interi. Da ciò segue che è impossibile con riga e compasso sia rettificare
la circonferenza (costruire un segmento di lunghezza uguale a quella di una circonferenza),
sia quadrare il cerchio (costruire un quadrato di area uguale a quella di un cerchio). In geo-
metria iperbolica le formule della lunghezza della circonferenza e dell’area del cerchio, indi-
viduate per la prima volta da Gauss, sono più complesse e si dimostra che si possono co-
struire con riga e compasso circonferenze e segmenti di stessa lunghezza e cerchi e quadrati
di stessa area20.
    Queste schematiche considerazioni mostrano come le varie proprietà della geometria
iperbolica si collegano fra loro, costituendo un nuovo mondo, di non facile rappresentazione
per la variabilità di forma delle figure, ma dotato di un’organicità tale da far passare in se-
condo piano l’apparente stranezza di ciascuna singola proprietà e la difficoltà di visualizzar-
la nelle figure.

                 7. LA COERENZA DELLA GEOMETRIA IPERBOLICA

    Le opere dei precursori e dei fondatori della geometria iperbolica non ebbero immediata
risonanza. Infatti, tale geometria si presenta strana e complessa, e non è facile convincersi
della sua coerenza. In altri termini, la maggior parte dei matematici ha continuato a lungo a
ritenere che prima o poi qualcuno sarebbe riuscito a pervenire all’obiettivo fallito da Sac-
cheri, vale a dire a confutare rigorosamente anche l’ipotesi dell’angolo acuto, e quindi a di-
mostrare che la geometria euclidea è l’unica logicamente possibile.
   L’interesse verso la geometria iperbolica iniziò a diffondersi dopo la morte di Gauss,
quando i matematici vennero a conoscenza del fatto che il sommo matematico tedesco la
aveva ritenuta perfettamente legittima, ossia immune da contraddizioni.
    Chiediamoci come si può essere sicuri di tale coerenza, ossia che qualcuno non possa
riuscire dove Saccheri aveva fallito. Si noti la diversità dei due seguenti compiti: per confu-
tare un’ipotesi basta riuscire a trovare la dimostrazione che da essa segue una contraddizio-

20
     Si confronti questo risultato con la Proposizione (10) del paragrafo 4.

© PRISMI on line 2013                                     pagina 16              http://prismi.liceoferraris.it
ne21; per dimostrare che un’ipotesi non è confutabile bisogna riuscire a far vedere che da
essa non può e non potrà mai essere dedotta una contraddizione. Il secondo compito è di
natura completamente diversa dal primo in quanto l’attenzione non è più rivolta agli enti
della geometria, ma a tutte le proposizioni geometriche che conseguono dall’ipotesi stessa,
comprese quelle non ancora ottenute, per poter escludere che fra di esse vi sia una
contraddizione.
   Il problema della coerenza di una teoria geometrica era del tutto nuovo nello scenario
matematico poiché, secondo la concezione classica dell’assiomatica, i postulati e gli assiomi
erano ritenuti veri: deducendo logicamente da proposizioni vere si ottengono proposizioni
vere, e quindi non si può ottenere una contraddizione che è, per la sua stessa struttura, una
proposizione falsa.
    In pochi decenni, a seguito di intense e articolate ricerche, fu elaborato un metodo, detto
metodo dei modelli, che consente di affrontare ed eventualmente risolvere il secondo dei due
compiti22. Esso consiste sostanzialmente in questo: si fa vedere che, in base ad un’opportuna
interpretazione dei concetti primitivi, gli assiomi di una teoria risultano veri relativamente a
un certo universo di oggetti; ne segue che la teoria è coerente poiché da proposizioni vere
non si può dedurre logicamente una proposizione falsa qual è una contraddizione. Nel caso
della geometria iperbolica tali oggetti sono stati individuati tra gli enti della geometria eucli-
dea, ed è per questo che si parla di modelli euclidei della geometria iperbolica.
   Illustriamone brevemente uno, detto modello di Klein in onore del matematico tedesco
Felix Klein (1848-1925).

    Consideriamo una circonferenza Γ di centro O nel piano euclideo. Chiamiamo I-punti i
punti del piano interni a Γ e I-rette le corde di C, diametri compresi, esclusi i loro estremi.
In figura 12 sono rappresentati vari I-punti (A, B, C, D, E, F, G, O) e alcune I-rette (tra cui
QR, ST, UV) e EFG è l’I-triangolo avente lati gli I-segmenti EF, FG, EG. Gli estremi delle
corde non sono I-punti, ed è per questa ragione che li abbiamo rappresentati con circoletti
vuoti. Il modello di Klein è ottenuto assumendo come universo di oggetti l’insieme dei punti
interni a Γ e interpretando i concetti primitivi di “punto” e “retta” rispettivamente in “I-pun-
to” e “I-retta”.

21
   Tale dimostrazione si svolge nell’ambito della geometria, come ad esempio è avvenuto per la confutazione
di Saccheri dell’ipotesi dell’angolo ottuso.
22
   L’elaborazione del metodo dei modelli è avvenuta nel periodo del passaggio tra la concezione classica e la
concezione moderna dell’assiomatica sul quale torneremo nel paragrafo conclusivo.

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T
                                             S
                                                     s C D
                                                                                    C
                                                                    G
                                     E
                                                            O
                           U                                                            V
                                             F
                                                                        B   r           R
                                                      A

                                 Q

                                                          Figura 12

    Consideriamo l’assioma della geometria assoluta: “Per due punti passa una ed una sola
retta”. Se sostituiamo “punti” con “I-punti” e “retta” con “I-retta”, ossia se lo formuliamo
nel modo seguente: “Per due I-punti passa una ed una sola I-retta”, si riconosce immediata-
mente che esso è vero nel modello, in quanto esiste una ed una sola corda che unisce due
punti interni alla circonferenza Γ. Ad esempio, dati gli I-punti A e B, esiste una ed una sola
I-retta, ossia r (la corda QR), che passa per A e B, e la I-retta s (la corda ST) è l’unica I-retta
che passa per i due I-punti C e D.
    Ebbene, si può dimostrare che, ampliando opportunamente l’interpretazione, la stessa
circostanza si verifica per tutti gli assiomi della geometria iperbolica. In particolare, è imme-
diato constatare che nel modello non vale l’unicità della parallela, e quindi è vera la nega-
zione di VP.

                                                 T
                                                                                    S

                                         k                                                  C
                                                                P

                                         h                                          m
                                                                                r
                                             n                                          R
                                                                        b
                                     Q                a

                                                           Figura 13

    Dati l’I-punto P e la I-retta r (la corda QR) (figura 13), per P passano infinite I-rette che
intersecano r, ad esempio a e b, e infinite I-rette che non intersecano r, ad esempio h e k. Le
I-rette m e n sono gli elementi di separazione fra le secanti e le non secanti, e sono le I-rette
parallele a r nei suoi due versi. Si osservi che m e n non intersecano r in un I-punto poiché
Q e R sono esclusi dagli I-punti. In generale, due corde senza punti comuni sono I-rette iper-

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parallele e due che hanno in comune un punto di Γ sono I-rette parallele. La figura 13
corrisponde nel modello alla figura 823.
    Si riesamini la figura 12. Il segmento AB della I-retta r è più lungo dell’intera I-retta s e,
se si sposta il segmento AB lungo r fino a far coincidere A con B, il secondo estremo fuorie-
sce dal cerchio Γ. Affinché siano verificati gli assiomi relativi all’uguaglianza, occorre che
si possa trasportare un segmento infinite volte sopra una retta e che tutte le rette siano ugua-
li. Se r è una I-retta (la corda ST), dato su di essa il segmento AB, si devono poter trovare su
di essa dei punti C, D, E,… tali che i segmenti BC, CD, DE,…, seppur divenendo più corti
se misurati con l’usuale misura euclidea, possano essere ritenuti uguali ad AB (figura 14):

                                S          A          B           C D E     T
                                                  Figura 14

    Ebbene, utilizzando opportune funzioni matematiche, si può introdurre una I-misura dei
segmenti diversa da quella usuale, tale che, quando il segmento si avvicina verso l’estremo
T (che non è un I-punto) e si accorcia da un punto di vista euclideo, mantiene tuttavia la
stessa I-misura. In tal modo, ad esempio, fra E e T si può determinare un I-punto F tale che
il segmento EF abbia come I-misura un numero reale comunque scelto. Dato un qualsiasi
segmento su una I-retta, lo si può trasportare su una qualsiasi altra I-retta a partire da un
qualsiasi I-punto di quest’ultima, in modo che mantenga la stessa I-misura. Senza entrare in
particolari tecnici, adottando questa I-misura e definendo uguali due segmenti che hanno la
stessa I-misura, sono verificati nel modello tutti gli assiomi della geometria relativi all’ugua-
glianza dei segmenti.
    Un discorso analogo va ripetuto relativamente agli angoli. Nel modello di Klein gli
I-triangoli coincidono con triangoli euclidei (ad esempio EFG della figura 12). Se adottassi-
mo l’usuale misura degli angoli, la somma degli angoli degli I-triangoli sarebbe uguale a
due retti. Affinché valgano le proprietà della geometria iperbolica, come sappiamo, occorre
che tale somma sia minore di due retti. Ciò si può realizzare adottando una opportuna I-
misura degli angoli diversa da quella euclidea.
    In definitiva, si può dimostrare rigorosamente che, adottando opportune I-misure per i
segmenti e gli angoli, tutti gli assiomi della geometria iperbolica sono veri nel modello. Ne
segue che, se vi fosse una contraddizione nella geometria iperbolica, questa stessa contrad-
dizione risulterebbe dimostrabile a proposito degli enti del modello (punti e corde di Γ) e sa-
rebbe una contraddizione della stessa geometria euclidea. Quindi: se la geometria euclidea
è coerente, allora lo è anche la geometria iperbolica. Ecco la ragione per la quale siamo si-
curi che nessuno potrà trovare una contraddizione nella geometria iperbolica. Se qualcuno ci
riuscisse, non distruggerebbe soltanto la geometria iperbolica, ma renderebbe al contempo
incoerente la più che bimillenaria e consolidata geometria euclidea.

23
  Aver limitato il piano all’interno di Γ rende falsa UP e quindi VP. Dato che gli antichi credevano che
l’Universo fosse contenuto interamente nella sfera delle stelle fisse, potrebbero avere avuto qualche dubbio
sull’evidenza di VP, poiché vi sono rette che soddisfano l’ipotesi di VP il cui punto in comune va a cadere al
di fuori dell’Universo.

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8. LE GEOMETRIE SFERICA ED ELLITTICA

   Per dare un’idea dell’altra geometria non euclidea, la geometria ellittica, è opportuno
procedere accompagnandola con alcune considerazioni di geometria sferica, la quale corri-
sponde alla geometria euclidea della superficie di una sfera.
    Nelle geometrie sferica ed ellittica vale l’ipotesi dell’angolo ottuso di Saccheri ed esse
sono caratterizzate dall’assioma detto, per ragioni storiche sulle quali possiamo sorvolare,
assioma di Riemann: “Tutte le rette si intersecano”, oppure: “Non esistono rette parallele”.
In esse valgono teoremi quali “La somma S degli angoli interni di un triangolo è maggiore
di due retti”, “Se due triangoli hanno uguali gli angoli, allora sono uguali”; “L’area dei
triangoli è proporzionale al loro eccesso angolare S – 2R”, “Un angolo inscritto in una semi-
circonferenza è ottuso”, “In un quadrilatero ABCD birettangolo in A e B e isoscele (AD =
BC), gli angoli in C e D sono ottusi”.
    Come si conciliano queste proprietà col fatto che si può confutare l’ipotesi dell’angolo
ottuso? Nella geometria assoluta si dimostra che esistono rette parallele e che la somma de-
gli angoli di un triangolo non può superare due retti. Pertanto, se si aggiunge l’assioma di
Riemann o l’ipotesi dell’angolo ottuso agli assiomi della geometria assoluta si ottiene una
teoria contraddittoria. Se si vuole costruire una geometria coerente nella quale si assume
l’assioma di Riemann occorre modificare alcuni degli assiomi della geometria assoluta e, in
particolare, non deve essere dimostrabile la Proposizione 16 degli Elementi di Euclide dalla
quale segue l’esistenza di rette parallele. Non entreremo nel merito di tali non semplici mo-
difiche. Osserviamo comunque, per curiosità, che l’assioma di Riemann implica VP (se tutte
le rette si intersecano, allora si intersecano anche quelle che soddisfano l’ipotesi di VP). Se
la geometria iperbolica si ottiene assumendo non-VP al posto di VP, nelle geometrie sferica
ed ellittica si assume l’assioma di Riemann e si modificano alcuni degli assiomi della geo-
metria assoluta24.
    Consideriamo ora la geometria sferica, che ci è familiare poiché viviamo su una superfi-
cie che possiamo assimilare a una sfera. Supponiamo di agire restando sopra la superficie di
una sfera S e, per ora, in una porzione non troppo vasta di essa, ossia tale da non contenere
due punti diametralmente opposti. Siano A e B due punti qualsiasi di S e supponiamo di vo-
ler andare da A a B percorrendo il tragitto più breve possibile. Si può dimostrare che la linea
di minima lunghezza è l’arco di circonferenza massima ottenuta intersecando la sfera col
piano passante per A, B e per il centro O della sfera (figura 15).

24
  In entrambe le geometrie VP è un teorema. Non ne segue però che in esse valgano le P equivalenti a VP
prima enunciate, poiché risulta modificata la geometria assoluta nell’ambito della quale è stata dimostrata
l’equivalenza. Valgono PO e UP, ma, ad esempio, il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta,
non esistono triangoli simili non uguali e l’area dei triangoli non cresce oltre ogni limite.

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