Storia del pensiero linguistico 2021-22, n. 2 - Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)

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Storia del pensiero linguistico 2021-22, n. 2 - Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)
Storia del pensiero
linguistico 2021-22, n. 2
Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)
stefano.gensini@uniroma1.it
Storia del pensiero linguistico 2021-22, n. 2 - Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)
Oggetto del corso

 Idee e politiche linguistiche dall’unità d’Italia al dopoguerra

 Idee = teorie della lingua, studio dell’italiano e dei suoi dialetti, analisi dei
  processi di comunicazione in Italia dai primi dell’Ottocento al secondo
  dopoguerra (anni Cinquanta-primi anni sessanta del ‘900)
 Politiche linguistiche = Dibattito sulle strategie per unificare linguisticamente
  il paese, processi di alfabetizzazione e scolarità, interventi esplicitamente
  politico-linguistici
Storia del pensiero linguistico 2021-22, n. 2 - Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)
Una lunga storia di
frammentazione territoriale e
politica, che si rispecchia
nell’assetto della penisola al 1815.
La divisione politica del tempo
conferma il policentrismo della
vita sociale e statuale dell’Italia
dal Rinascimento in poi.
Storia del pensiero linguistico 2021-22, n. 2 - Prof. Stefano Gensini (Dipartimento di Filosofia)
Varie fasi dell’unificazione politica
del Regno d’Italia:
1861: unificazione guidata dal
Regno di Sardegna
1866: Terza guerra d’Indipendenza,
che porta all’annessione del Veneto
(Venezia Euganea)
1870: annessione totale dell’ex Stato
pontificio
1918: Venezia Tridentina (= Alto
Adige) e Venezia Giulia (con
Gorizia, Trieste e la Dalmazia)
vengono acquisite all’Italia.
Carta semplificata dei dialetti italiani e delle minoranze linguistiche di antico
insediamento

Nel 1971 le minoranze contavano 2.500.000 di parlanti. Al giorno d’oggi si sono aggiunte minoranze
«nuove» per circa 5.000.000 di parlanti.
Evoluzione demografica degli italiani

Su 21 milioni di abitanti nel 1861, è stato calcolato che solo 600.00
erano in grado di parlare con qualche sicurezza la lingua
nazionale. Per tutti gli altri, madrelingua e lingua d’uso era il solo
dialetto. Nelle classi nobiliari, il dialetto si alternava al francese.
Evoluzione del tasso di analfabetismo dal 1861 al 2011….

 … ma attenzione: le cifre si riferiscono agli analfabeti «dichiarati», non alle reali
 capacità linguistiche. Gli analfabeti funzionali ancora oggi sono almeno 6 milioni.
Che cosa significa diglossia?

 Si ha diglossia (# bilinguismo)       Eccezioni a questo schema sono:
  quando nello stesso spazio
                                        In parte la Toscana e Roma, dove
  convivono due idiomi in rapporto
                                         per motivi storici il vernacolo è
  gerarchico fra di loro.
                                         vicino all’italiano letterario;
 Questa nozione si adatta a gran
                                        Alcune realtà cittadine e sociali
  parte della storia italiana, in
                                         (ad es. Milano e la Lombardia)
  quanto dialetto e lingua
                                         dove l’elevato livello di istruzione
  nazionale sono separate nello
                                         consente di alternare dialetto e
  spazio comunicativo e l’uno
                                         italiano.
  socialmente subordinato all’altra.
L’italiano letterario agli inizi dell’800:
una lingua che giace «morta fra i libri»
   Manzoni 1809, Urania                        Foscolo, Ultime lettere di J. Ortis (1801)
 Su le populee rive e sul bel piano            L’ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne
  Da le insubri cavalle esercitato,              ringrazio. La trovai seduta, miniando il proprio
                                                 ritratto. Si rizzò salutandomi come s’ella mi
  Ove di selva coronate attolle                  conoscesse, e ordinò a un servitore che andasse a
  La mia città le favolose mura,                 cercare di suo padre. Egli non sperava, mi
  5Prego, suoni quest’Inno: e se pur degna       diss’ella, che voi sareste venuto; sarà per la
  Penne comporgli di più largo volo              campagna; nè starà molto a tornare. Una
                                                 ragazzina le corse fra le ginocchia dicendole non
  La nostra Musa, o sacri colli, o d’Arno        so che all’orecchio. È l’amico di Lorenzo, le rispose
  Sposa gentil, che a te gradito ei vegna        Teresa, è quello che il babbo andò a trovare
  Chieggo a le Grazie. Chè dai passi primi       l’altr’jeri. Tornò frattanto il signor T...:
  10Nel terrestre viaggio, ove il desio          m’accoglieva famigliarmente, ringraziandomi
                                                 ch’io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa intanto,
  Crudel compagno è de la via, profondo          prendendo per mano la sua sorellina, partiva.
  Mi sollecita amor che Italia un giorno         Vedete, mi diss’egli, additandomi le sue figliuole
  Me de’ suoi vati al drappel sacro              che uscivano della stanza; eccoci tutti. Proferì,
  aggiunga,                                      parmi, queste parole, come se volesse farmi sentire
  Italia, ospizio de le Muse antico. …           che gli mancava sua moglie. Non la nominò. Si
                                                 ciarlò lunga pezza. Mentr’io stava per congedarmi,
                                                 tornò Teresa. Non siamo tanto lontani, mi disse;
                                                 venite qualche sera a veglia con noi.
E la lingua parlata? Testimonianze d’epoca (da
Zuccagni-Orlandini, Raccolta di dialetti. Italiani, 1864)
Una voce fuori dal coro: Carlo Porta e i diritti del dialetto, 1812

 I paroll d'on lenguagg, car sur Gorell,      e sti idej, sto bon gust già el savarà
 hin ona tavolozza de color,                  che no hin privativa di paes,
 che ponn fà el quader brutt, e el            ma di coo che gh'han flemma de
 ponn fà bell                                 studià:
 segond la maestria del pittor.
                                              tant l'è vera che in bocca de
 Senza idej, senza gust, senza on             Usciuria
 cervell                                      el bellissem lenguagg di Sienes
 che regola i paroll in del descor,           l'è el lenguagg pù cojon che mai
 tutt i lenguagg del mond hin come            ghe sia.
 quell
 che parla on sò umilissim servitor:

   Questa rivendicazione della dignità del dialetto presuppone una
   società borghese mediamente colta e in grado di utilizzare il dialetto
   in ogni aspetto della vita sociale, ma anche di leggere e capire
   l’italiano.
Una drammatica testimonianza d’inizio secolo: aspetti linguistici della
Rivoluzione napoletana del 1799 (da Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla
rivoluzione di Napoli, prima ed. 1800) )

                                               «una
                                               rivoluzione
                                               passiva» ….

                                               «due lingue
                                               diverse»
La battaglia sulle parole della «democrazia». Da Thjulen, Nuovo vocabolario
         filosofico-democratico (1799)

Il lessico politico della rivoluzione francese
viene capovolto di senso e presentato in
Termini ferocemente negativi.
Manzoni (1821-23) alle prese col Fermo e Lucia: inizia una
           gigantesca operazione politico-culturale e linguistica.

                                                Basta all’autore che altri non creda avere egli
Quando l’uomo che parla abitualmente            scritto male per noncuranza di chi legge, per
un dialetto si pone a scrivere in una           dispregio del bello e purgato scrivere, che sia di
                                                quelli che hanno per gloria lo scriver male. Per
lingua, il dialetto di cui egli s’è servito
                                                gloria! quand’anche ella fosse impresa difficile,
nelle occasioni più attive della vita, per      tanti vi hanno sì ben riuscito, che poca gloria
l’espressione più immediata e spontanea         ne debbe toccare a ciascuno. Scrivo male: e si
dei suoi sentimenti, gli si affaccia da tutte   perdoni all’autore che egli parli di sè: è un
le parti, s’attacca alle sue idee, se ne        privilegio delle prefazioni, un picciolo e troppo
impadronisce, anzi talvolta gli                 giusto sfogo concesso alla vanità di chi ha fatto
somministra le idee in una formola; gli         un libro: scrivo male a mio dispetto; e se
cola dalla penna e se egli non ha fatto uno     conoscessi il modo di scriver bene, non lascerei
                                                certo di porlo in opera. I doni dell’ingegno non
studio particolare della lingua, farà il
                                                si acquistano, come lo indica il nome stesso;
fondo del suo scritto. (…..)                    ma tutto ciò che lo studio, che la diligenza
                                                possono dare, non istarebbe certamente per
                                                me ch’io non lo acquistassi.
Manzoni, 2. Ma che vuol dire «parlare e scrivere «bene»?

A bene scrivere bisogna sapere scegliere quelle parole e quelle frasi, che per             Se in Italia vi sia una
convenzione generale di tutti gli scrittori, e di tutti i favellatori (moralmente          lingua che abbia questa
parlando) hanno quel tale significato: parole e frasi che o nate nel popolo, o             condizione, è una quistione
inventate dagli scrittori, o derivate da un’altra lingua, quando che sia, comunque,        su la quale non ardisco dire
sono generalmente ricevute e usate. Parole e frasi che sono passate dal discorso           il mio parere. È ben certo
negli scritti senza parervi basse, dagli scritti nel discorso senza parervi affettate; e   che v’ha molte lingue
sono generalmente e indifferentemente adoperate all’uno e all’altro uso. Parole e          particolari a diverse parti
frasi divenute per quest’uso generale ed esclusivo tanto famigliari ad ognuno, che         d’Italia, che in una sfera
ognuno (moralmente parlando) le riconosca appena udite; dimodoché se un                    molto ristretta di idee
parlatore o uno scrittore per caso adoperi qualcheduna che non sia di quelle, o            certamente, ma hanno
travolga alcuna di quelle ad un senso diverso dal comune, ognuno se ne avvegga e           quell’universalità e quella
ne resti offeso; e per provare che quella parola sia barbara, o inopportuna non            purità. Io per me, ne
debba frugare un vocabolario, né ricordarsi (memoria negativa che debb’esser               conosco una, nella quale
molto difficile) che quella parola non è stata adoperata dai tali e dai tali scrittori,    ardirei promettermi di
ma gli basti appellarsene alla memoria, all’uso, al sentimento degli altri ascoltatori,    parlare, negli argomenti ai
i quali fossero mille, converranno tosto del sì o del no. (…) Per bene usare parole e      quali essa arriva, tanto da
frasi tali, cioè per bene scrivere sono necessarie due condizioni. Che lo scrittore        stancare il più paziente
(lasciando sempre da parte l’ingegno) le conosca, che abbia letto libri bene scritti, e    uditore, senza proferire un
parlato con persone colte, che abbia posto studio nell’udire e nel leggere e ne ponga      barbarismo; e di avvertire
nel parlare. Ma questa condizione è la seconda. La prima è che parole e frasi              immediatamente
adottate esclusivamente per convenzione generale esistano, che moltissimi scrittori        qualunque barbarismo che
e parlatori, come d’accordo, abbiano formata questa lingua ch’egli debbe scrivere,         scappasse altrui: e questa
gli abbiano preparati i materiali.                                                         lingua, senza vantarmi, è la
                                                                                           milanese.
«Ma che parole ha dette quel tizzone d’inferno?»
                                                                   Dal Fermo e Lucia , cap. VII
«Io le ho intese, Fermo, e non te le saprei ripetere. Dimmi, se
tu dopo un lungo giro uscissi da un sentiero intricato, pieno     Dalla Introduzione «…tutta questa
di oscurità e di spini, sapresti tu descrivere la via che hai     vostra dicitura è un composto
                                                                  indigesto di frasi un po’ lombarde,
percorsa? noverare i tuoi passi, segnare le giravolte e           un po’ toscane, un po’ francesi, un
gl’inciampi? Povero Fermo! Le parole della iniquità potente       po’ anche latine; di frasi che non
sono come il lampo che abbaglia e fa terrore, e non lascia        appartengono a nessuna di queste
                                                                  categorie, ma sono cavate per
vestigio. (…) Colui non ha proferito il nome di questa            analogia e per estensione o dall’una o
innocente, né il tuo, non ha mostrato di sapere che voi           dall’altra di esse».
viviate, non ha detto di voler nulla; ma... pur troppo quello
che voi mi avete rivelato, quello che io non avrei voluto
credere, è vero. Mah! confidenza in Dio come v’ho detto:
questa è l’ora dell’uomo, ma va passando. Io parto, e vi lascio
nelle mani di Dio... Oh il sole è caduto e arriverò tardi: ma
poco importa. Fatevi animo: Dio mi ha già dato un segno di
volervi ajutare. Domani non ci vedremo: io rimango al
convento; ma per voi. Mandate, Lucia, un garzoncello fidato,
che giri vicino al convento, alla Chiesa, e pel quale io possa
farvi sapere quello che occorrerà: io sarò avvertito, e vi farò
avvertite: avremo dei mezzi che colui non sospetta, che finora
non conosco nemmeno io: in Milano ho qualche protezione,
e la vedremo.
Un paradosso alla
base del nostro
percorso
Manzoni, un «padre» riconosciuto della lingua italiana, proposto come
modello a centinaia di miglia di scolari dal tardo Ottocento in poi, è la
stessa persona che nel 1823 dichiarava di scrivere male, di non
padroneggiare l’italiano al modo in cui padroneggiava, invece, «senza
proferire un barbarismo», il suo dialetto. La stessa che parlava
fluentemente il francese e lo usava nella conversazione comune.

De Mauro: l’italiano era «lingua straniera in patria», laddove l’inglese e il
francese erano condivise da tutta la nazione.

Come fare per mutare questa situazione, figlia di secoli di divisione
politica e di stacco sociale fra le élites e le masse popolari?

                    A dx in alto, la raffigurazione nell’antiporta dell’ed. finale, 1840,
                    dei Promessi Sposi; in basso l’inizio della famosa relazione
                    «Dell’Unità della lingua» (1868)
 Da qualche tempo tutte le lingue cólte di Europa hanno un buon
                       numero di voci comuni, massime in politica e in filosofia ed
                       intendo anche quella filosofia che entra tuttogiorno nella
                       conversazone, fino nella conversazione o nel discorso meno cólto,
                       meno studiato, meno artifiziato. Non parlo poi delle voci
                       pertinenti alle scienze, dove quasi tutta l’Europa conviene. Ma
                       una grandissima parte di quelle parole che esprimono cose piú
                       sottili e, dirò cosí, piú spirituali di quelle che potevano arrivare ad
                       esprimere le lingue antiche e le nostre medesime ne’ passati
                       secoli; ovvero esprimono le stesse cose espresse in dette lingue,
                       ma piú sottilmente e finamente, secondo il progresso e la
Un ulteriore           raffinatezza delle cognizioni e della metafisica e della scienza
paradosso: che         dell’uomo in questi ultimi tempi; e, insomma, tutte o quasi tutte
                       quelle parole ch’esprimono precisamente un’idea al tempo stesso
ne è dell’italiano     sottile e chiara o almeno perfetta ed intera; grandissima parte,
come lingua di         dico, di queste voci sono le stesse in tutte le lingue cólte d’Europa,
cultura?               eccetto piccole modificazioni particolari, per lo piú nella
                       desinenza. Cosí che vengono a formare una specie di piccola
(Leopardi, 1821,       lingua o un vocabolario strettamente universale. E dico
Zibaldone di           strettamente universale, cioè non come è universale la lingua
pensieri, pp.          francese, ch’é lingua secondaria di tutto il mondo civile.
1213 e segg.)
Ma questo vocabolario, ch’io dico, è parte della lingua primaria e propria
di tutte le nazioni e serve all’uso quotidiano di tutte le lingue e degli
scrittori e parlatori di tutta l’Europa cólta. Ora, la massima parte di questo
vocabolario universale manca affatto alla lingua italiana accettata e
riconosciuta per classica e pura; e quello ch’é puro in tutta l’Europa è
impuro in Italia. Questo è voler veramente e consigliatamente metter
l’Italia fuori di questo mondo e fuori di questo secolo. Tutto il mondo civile
facendo oggi quasi una sola nazione, è naturale che le voci piú importanti
ed esprimenti le cose che appartengono all’intima natura universale, sieno
comuni ed uniformi da per tutto, come è comune ed uniforme una lingua,
che tutta l’Europa adopera oggi piú universalmente e frequentemente che
mai in altro tempo, appunto per la detta ragione, cioè la lingua francese. E
                                                                                 Lo Zibaldone
siccome le scienze sono state sempre uguali dappertutto, a differenza della      è il diario in
letteratura, perciò la repubblica scientifica, diffusa per tutta l’Europa, ha    forma di
sempre avuto una nomenclatura universale ed uniforme nelle lingue le piú         pensieri
difformi ed intesa da per tutto egualmente. Cosí sono oggi uguali, per           tenuto da
necessità e per natura del tempo, le cognizioni metafisiche, filosofiche,        Leopardi fra il
politiche ec., la cui massa e il cui sistema semplicizzato e uniformato è        1817 e il 1832.
comune oggi più o meno a tutto il mondo civile;
naturale conseguenza dell’andamento del secolo. Quindi è ben
congruente e conforme alla natura delle cose, che almeno la
massima parte del vocabolario che serve a trattarle ed esprimerle
sia uniforme generalmente, tendendo oggi tutto il mondo a
uniformarsi. E le lingue sono sempre il termometro de’ costumi,
delle opinioni ec. delle nazioni e de’ tempi e seguono per natura
l’andamento di questi. Diranno che buona parte del detto
vocabolario deriva dalla lingua francese, e ciò stante la somma
influenza di quella lingua e letteratura nelle lingue e letterature
moderne, cagionata da quello che ho detto altrove. Ma venisse
ancora dalla lingua tartara, siccome l’uso decide della purità e       Leopardi si oppone
bontà delle parole e dei modi, io credo che quello ch’é buono e        fervidamente al «purismo»
conveniente per tutte le lingue d’Europa debba esserlo, massime
                                                                       (Bembo, Cesari) che
in un secolo della qualità che ho detto, anche per l’Italia, che sta
pure nel mezzo d’Europa, e non è già la Nuova Olanda né la terra
                                                                       prevaleva fra i letterati
di Jesso. E se hanno accettate ed usano continuamente le dette         italiani ma anche al più
voci quelle lingue europee che non hanno punto che fare colla          moderato «classicismo»
francese, quanto piú dovrà farlo e piú facilmente e con piú            propugnato da Vincenzo
naturalezza e vantaggio la nostra lingua, ch’é sorella carnale della   Monti e Pietro Giordani.
francese?
«In cerca di una lingua», disperatamente. Il Vocabolario
   domestico (1840-1851/3) di Giacinto Carena (1778-1859)

Piemontese, il
Carena si sforzò di
compilare un
vocabolario delle
parole di uso
comune
raccogliendole dal
fiorentino e dal
toscano parlato del
suo tempo. Fu molto
apprezzato dal
Manzoni il quale gli
scrisse un celebre
lettera pubblicata
postuma nel 1850.
Manzoni ne trae lo spunto per esporre
la sua idea circa l’unità linguistica
Una parola sola, certa, in
luogo di tante forme dialettali

                              A. Manzoni
                              Lettera al Carena
                              (1847-1850)
In sintesi, la «crisi» della lingua italiana
agli inizi dell’Ottocento
 Crisi sociale:                           Crisi culturale:

 È la lingua, quasi esclusivamente        La tradizione di lingua scritta e
  scritta, di una ristretta élite,          letteraria ha escluso l’italiano dal
  mentre nel parlato dominano i             rinnovamento culturale e
  diversi dialetti, cittadini e rurali;     linguistico del Settecento
                                            francese e inglese;
 Le stesse élites talora conoscono
  e usano più il francese che              Mancano alla lingua italiana i
  l’italiano come lingua di                 termini tipici delle scienze, della
  conversazione.                            politica, del lessico intellettuale
                                            della comunicazione colta
                                            («europeismi».
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