Segugio Italiano I Parte: Lo stile

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Segugio Italiano
                                   I Parte: Lo stile

        Definizione di stile: modo abituale di essere, di comportarsi, di agire. Si dice
stile impeccabile correttezza, distinzione, signorilità nel comportarsi e nell’agire.
        Definizione di metodo: criterio e norma direttivi secondo i quali si fa, si realizza
e si compie. Si potrebbe dire che lo stile fa parte dell’essere, il metodo del fare.
Comunque lo stile, il metodo e la morfologia sono correlati tra loro, per questo non si
può parlare di uno di questi elementi senza coinvolgere l’altro.
        Aggiungerei che lo stile è l’espressione dell’essere e questo permette al cane di
comunicarci la sua personalità.
        In questo scritto mi propongo appunto di parlare dello stile, del metodo, di
morfologia, risultato di continue selezioni, che, secondo me, caratterizzano il segugio
italiano.
        Il metodo dipende da più fattori: dal carattere, dal tipo di intelligenza, dalla
volontà, dalla passione. Penso che nel segugio italiano sia difficile trovarne una
uniformità nella trasmissibilità genetica perché abbiamo mantenuto una buona
variabilità.
        Si possono avere nella stessa razza diversi metodi o modi di comportarsi. Direi
però che lo stile (come la morfologia) rimane abbastanza costante.
        Secondo il mio parere per mantenere lo stesso stile, e non incorrere in incroci
strani, oppure nella degenerazione della consanguineità e dell’ipertipo, dobbiamo
rinsanguare la razza con i nostri lepraioli, un mio amico dice che parlano la stessa lingua
hanno dietro una lunga storia, che non va trascurata. Penso a R. Strassoldo, che in
Sociologia dell’agricoltura, scrive:
        “Nella cultura popolare e contadina troviamo dei substrati culturali
        molto più antichi e fondati di quella moderna.”
        La selezione o la manipolazione genetica che sul cane originario è stata fatta nel
corso dei millenni da un certo popolo, ha determinato un segugio con comportamenti
particolari. Lo stile di un cane è in correlazione diretta con la gente con cui ha vissuto,
direi che è un suo prodotto culturale. Scrive Girolamo Fracastoro: nel 1510
        “Per prima cosa, perché non ti venga mai meno una muta di cani di
        razza, che venga a garantirti una preda sicura, guardati dallo scegliere
        quelli nati da stirpe imbelle; preferisci quelli abituati a dura fatica nei
        boschi folti, in caccia di fieri animali. Non dovrai ritenere di poco
        conto la razza e la conformazione del cane; non tutti hanno la stessa
        indole e gli stessi caratteri, e i vari popoli hanno cani di razze diverse
        […]. Gli ostinati Britannici, i minacciosi Pannoni, i Celti
        attaccabrighe, i fieri Indiani. Se invece preferisci inseguire per sentieri
        fuori mano leprotti e caprioli in fuga, scegli gli agili Peoni e gli
        sfreccianti Sicambri”.
         E ora come allora Pietro Rigoni riconferma:
        “Se vogliamo, poi, con un po’ di riflessione analizzare certe ragioni
        complementari, si può affermare che il lavoro, lo stile, la dolcezza del
S.I. è quello che maggiormente rispecchia l’indole dell’uomo latino
         italiano, che a differenza di altri popoli ha marcatamente più fantasia,
         più grinta, più iniziativa, e perché no più allegria. Elementi che nel S.I.
         si possono riscontrare nell’animosità della sua voce e nella dolcezza
         del suo sguardo”.
         Da sempre dunque si è capito che una particolare tipologia dipende dal carattere,
dalla morfologia, dal popolo che ha selezionato in funzione di specifici obiettivi. In
effetti è l’uomo che predispone gli accoppiamenti e la natura ne decide il risultato (che
può essere migliorativo e divenire la base, per ulteriori selezioni).
         A questo punto capisco che per dare spiegazioni antropologiche, etologiche e
psicologiche al comportamento di un segugio, occorrerebbero altre capacità e studi, ma
un po’ di sincera ignoranza e trasparenti osservazioni, forse possono aiutare a farmi
capire. Il carattere è il fattore determinante nella definizione dello stile. Un cane freddo
potrà essere intelligente, ma non avrà un bello stile. Oltre a questo lo stile dipende da
istintualità e intelligenza, trasmesse geneticamente, le quali ridestate con
l’addestramento, determinano il modo di comportarsi di un segugio a caccia. Per ultime
non dobbiamo dimenticare la memoria e l’esperienza, fattori che sviluppano i
precedenti. L’insieme di tutti questi elementi influiscono sulla metodologia
comportamentale e intellettiva del cane. Il nostro segugio ha parecchie qualità, che
talvolta possono creare dei problemi e che raramente risultano presenti in un unico
esemplare. Ad esempio più il cane avrà personalità, intuito, indipendenza e meno sarà
disposto a collaborare o a sottostare agli altri componenti della muta. Ne consegue come
afferma anche Bruno Ottino che ogni soggetto ha un suo metodo per arrivare allo scovo
e inseguire. Non ci resta che dire, nella maniera più realistica possibile: chi ti fa vedere
la lepre ha quello giusto, gli altri hanno quello sbagliato Proseguendo con questo
concetto, direi:” il cane che corre per un giorno intero è quello bello “. Forse il nostro
concetto di muta si discosta da quello classico dei Francesi, in cui i diversi componenti
sottostanno a leggi ferree, dettate dal canettiere, dalle trombe o dal capomuta. I nostri
gruppi o branchi sono un insieme di soggetti completi e differenti il cui unico intento è
quello di farti catturare il selvatico o di catturarlo loro stessi. Non bisogna trascurare di
affermare che tra questi due opposti ci sono infinite variazioni in cui si collocano la
maggior parte delle nostre mute. Un altro fattore che crea delle difficoltà nella
composizione della muta, è il cambiamento di passo che riscontriamo nei nostri segugi.
Essi trattano la pastura della notte per punti, spesso al galoppo, interpretare in velocità
l’usta non è da tutti, e trovare quattro o cinque cani allo stesso livello è difficile. Per
questo l’unica coesione che possiamo avere è quella sulla passata che porta al covo e
sull’inseguimento.
         Il fattore che più dovrebbe contraddistinguere il nostro segugio da altre razze, è
la capacità di comunicarci con i movimenti e con la voce in che punto siamo delle
diverse fasi della cacciata. Per fare questo però deve essere un cane “completo”. Anche
Pesenti Gritti, parlando dell’allevamento, mette il dito nella piaga, spiegando che è
difficilissimo riprodurre l’equilibrio di un soggetto, spesso frutto di combinazioni
genetiche fortunose, ma alcuni allevatori molto sensibili e profondi conoscitori dei
progenitori, riescono con più probabilità ad allevare soggetti validi. Anni or sono tenni
un rapporto epistolare con il compianto Gildo Fioravanti. La cosa finì perché nessuno
dei due si spostava dalle proprie posizioni, o semplicemente perché non avevamo più
niente da dirci. Tutti e due sapevamo che ci saremmo trovati d’accordo su quale fosse il
segugio bravo, ma la metodologia per arrivarci non era la stessa. Esperienze, o forse
finalità diverse ci condizionavano. Per lui come per altri grandi segugisti la soluzione
per poter migliorare, mantenere o recuperare il nostro cane, era quella di rinsanguarlo
con altre razze da seguita. Invece io ero e sono tutt’ora convinto che nella selezione
bisogna usare dei porta innesti selvatici o al di fuori del gruppo di appartenenza. Per il
Gascon Saintonge è stato usato il lupo, per il Setter il Border Collie e per il Pointer il
mastino.. Il mescolare due razze simili, costruite con la manipolazione della selvaticità
per un adattamento alle diverse forme di caccia, comporta deviazioni importanti nel
comportamento e di conseguenza dello stile di razza. Forse mi condizionavano la
cultura contadina e anche personaggi mitici della cultura veronese come Don Carlo
Benedetti. Uno sospeso tra la figura di San Francesco e don Camillo, capace di usare
allo stesso modo le candele della chiesa che i candelotti di dinamite. Mi diceva che i
suoi principi erano “mangio quando ho fame, dormo quando ho sonno”. Minimalista
convinto, affermava che per capire l’esistenza devi partire dai suoi fondamentali. Forte
appassionato della caccia alla lepre usava una varietà di lepraioli della zona, del colore
del Briquet Griffon Vendèen, talmente di metodo, che qualcuno diceva che scrivevano
poesie su una fatta. (Non dobbiamo dimenticare che le nostre montagne risentono
tuttora di influenze culturali e etniche sia tedesche che austriache). La cosa più
sorprendente era che riproducevano se stessi nel comportamento in maniera
impressionante, fattore che spesso non avveniva nella selezione del segugio da
esposizione. Mi confessò che le migliori cucciolate gli erano riuscite quando la cagna si
era scelta il maschio. E’ difficile far meglio della natura e dell’istinto animale. Mi
parlava anche di un cucumerlo (cane con la testa rotonda come il cocomero, erano
chiamati così quelli da pagliaio) del Ceschi di Alcenago VR, (da notare che senza aver
letto le suddivisioni cinotecniche moderne, differenziavano le razze in base alla
conformazione della testa, però nessuno è mai riuscito a trovare delle connessioni tra
l’intelligenza e la forma del cranio. (Il criminologo veronese Cesare Lombroso passò
una vita a cercare correlazioni tra la somatica del viso e della testa con la propensione
ad atti delittuosi, senza arrivare a dati certi). Quando non sapevano più come fare per
trovare una lepre, dopo giorni di inutili ricerche, e la disputa non li faceva più dormire,
andavano a prenderlo, perché la sua intelligenza superiore gli permetteva di andare allo
scovo.

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                               II Parte: Il comportamento

        Mi piace comunque pensare ad un esemplare ideale, che riunisca in se le varie
positività. Sarà un cane con una conformazione fisica perfetta, adeguata al lavoro da
eseguire. Le sue continue variazioni di comportamento, pensieroso sulla pastura
notturna, concentrato sulla passata, teso nello scovo, feroce nell’inseguimento, esperto
nel riannodo, ne faranno risultare uno stile, di uno che si muove come un ballerino,
recita come un attore e ha una voce da cantante. Nel lavoro dovrebbe avere la cerca del
cane da ferma, l’accostamento o il metodo di un Francese, l’intraprendenza di un
Inglese, la selvaticità o lo scovo di uno Slavo, l’equilibrio di uno Svizzero, la caparbietà
di un Tedesco e la maneggevolezza di un cane da pastore. (basta così??). Traducendo
nel linguaggio degli addetti ai lavori direi: la continuità di traccia di un Fioravanti,
l’intelligenza e l’essenzialità di un Armani, l’inseguimento di un Villa, la
maneggevolezza di un Angeli e la bellezza e le proporzioni di un Zanardi. Forse
inconsciamente stiamo ripercorrendo a ritroso il cammino della suddivisione delle razze
di segugi avvenuta probabilmente nell’alta Saona, e andiamo a riscoprire il cane da
corsa Nord Africano o Egizio che secondo gli antropologi Keller e Tschudy ci hanno
portato i Fenici e i Romani. Ritrovamenti archeologici confermano la presenza a
Malcesine nell’alto lago di Garda, di un tempio dedicato alla dea egizia Iside o Romana
Venere, simboli della maternità, della fertilità ma anche dell’oltre tomba. Tra i nomi più
ricorrenti nei nostri segugi, troviamo Stela, Stella, Strea, Stria, Stelo ma anche altri
legati al soprannaturale come Lampo e Lampina. Sono solo coincidenze a con il culto di
quelle divinità sono stati importati anche i cani?. In seguito anche i Longobardi
mantennero viva questa razza, il loro impiego e il loro valore divinatorio. Si sono
ritrovati in una tomba di un guerriero Longobardo alto quasi due metri, presso
Povegliano Veronese, due scheletri di cani perfettamente conservati, sembra averli
voluti con se nel suo viaggio dell’aldilà. Il maestro Mario Quadri ed io ne abbiamo
confrontato la testa con quella della Fiamma di Vaudetti, ed è risultata identica. Il
Solaro su questo cranio e lo scheletro vi teneva lezioni di cinotecnica e gli servì per
redigere lo standard del segugio italiano Oltre a questi significati spirituali dobbiamo
aggiungere quelli artistici.
         Chi è innamorato dell’arte di questa caccia ha imparato a gustare una delle più
belle opere teatrali del mondo, messa in scena dal segugio e dalla lepre “La lotta per la
vita” il predatore e il predato, fattori talmente concatenati, da essere alla base della
nostra stessa esistenza. Questa è un’opera d’arte che si sostanzia di immagini sempre
nuove, sempre diverse, che rielaborate nella mente, creano la perfezione del sublime, e
quella ti comunica in maniera immediata, ti parla, ti colpisce totalmente. Non saprei
spiegare in altro modo una sensazione che riaffiora tra i miei ricordi quando vidi per la
prima volta il Lampo, lo aveva allevato il parroco di Magasa, paese al confine tra
Brescia e Trento, purtroppo non l’ho mai conosciuto (credo che avrei dovuto fare il
prete per avere dei segugi bravi!!). Fu amore a prima vista, il cane mi comunicò subito
cosa stava facendo, incontrata l’usta, fermò la coda e dopo essersi sincerato del valore
della stessa, la mosse lentamente, poi sempre più velocemente, spostò il posteriore per
trovare la direzione della pesta e prima di fare un passo diede voce. Tutt’oggi non riesco
a capire come possa esserci una comunicazione così immediata tra due esseri, ma la
tensione che traspariva sotto la sua pelle, i tendini, le vene, l’ossatura, lo sguardo, la
postura e le sue proporzioni mi mettevano in contatto con lui, con quell’opera d’arte
viva. G. Solaro “Il bello in zootecnia va oltre al piacere sensoriale, si orienta verso il
piacere intellettuale”.
         Comunque alla base di tanti pregi ci stanno l’intelligenza e l’esperienza. Il cane
in generale e il segugio in particolare dimostra questa facoltà elaborando nozioni
percepite attraverso il suo potente olfatto, riuscendo così a ricostruire il percorso
notturno dei selvatici, specialmente quello più difficoltoso della lepre. Immagino che
non sia semplice valutare l’intensità di una traccia a distanza di ore e riuscire a capire se
sia stata percorsa, poco prima, o poco dopo, oppure quanto vicina o lontana dal covo.
Pur potendo far risalire ad una certa istintualità di cui il cane ne è ancora fornito,
(comportamento codificato geneticamente, infatti notiamo che le cagne puliscono i
cuccioli dalla placenta e gli staccano il cordone ombelicale con i denti, senza che
nessuno glielo abbia insegnato). Però gli addestratori, o più semplicemente un buon
cacciatore si sarà accorto che i cani riescono a risolvere degli enigmi “falli” con più
precisione, continuità e sicurezza con le esperienze fatte sul terreno. I nostri vecchi
dicevano che un cane segugio, per essere bravo, deve avere un anno per gamba e magari
uno per la coda.
        Per poter meglio conoscere lo stile e il metodo del segugio nel nostro caso
italiano, dobbiamo prima sapere per cosa è stato selezionato. Il segugio attuale è stato
usato soprattutto per la caccia alla lepre con il fucile, spesso in areali antropizzati e
limitati. Per questo motivo deve in egual modo cercare, scovare e inseguire. Questi
areali ristretti spesso ne hanno ridotto l’andatura al passo. Un territorio con presenza di
coltivazioni diverse: arato, mais, frutteti, prati ecc..; provoca continue variazioni di
olfattazione e la sua sagacia dovrà rasentare la testardaggine, soprattutto per avere il
tempo di farsi il naso ad ogni cambiamento
        Il suo carattere, potremmo dire la sua personalità, visto che sono stati usati a
volte a singolo oppure in mute poco numerose, saranno più spiccate e indipendenti,
soprattutto in alcuni ceppi selezionati in luoghi dove il cane non può essere seguito e le
poste sono di una o due persone.
        Ma torniamo nuovamente al nostro argomento specifico.
        Lo Stile del segugio Italiano emergerà soprattutto nella fase dello scovo, la
selvaticità scritta nel D.N.A. trasparirà nel suo comportamento. Lo vedremo
soffermarsi, guardare nel vuoto “ragionare” fiutare, sentire, ricordare e riassumere
esperienze precedenti, i dati raccolti con il naso, avrà lo sguardo distaccato pur essendo
tremendamente presente, assomiglierà più a un gatto od a una volpe. Ne deriverà che i
suoi movimenti non saranno meccanici ma soggetti a continue variazioni dimostranti i
vari stati d’animo. Questo modo di essere lo potremmo notare anche nel suo
comportamento usuale, il suo sguardo vi lascerà intendere che è qui con voi, ma pensa
alle lepri..

                                       Segugio Italiano
                                  III Parte: La morfologia

        Anche l’aspetto morfologico è particolare.
        Uno dei nostri grandi predecessori il Solaro, ci ha lasciato un disegno di segugio
che sta nel quadrato, con un garrese alto (premetto che non è mia intenzione criticare
uno dei padri della cinofilia italiana, ma fare solamente delle osservazioni, frutto di anni
di pratica segugistica). Un soggetto del genere sarà portato a galoppare e ad inseguire
velocemente, mentre negli ultimi tempi, noi vogliamo una andatura moderata e lo
usiamo quasi esclusivamente nella caccia alla lepre. Di conseguenza alcuni aspetti
morfologici sono venuti a modificarsi, come del resto è successo in molte altre razze,
pur rimanendo uguale nel tipo di ossatura leggera, muscolatura saliente e pelle sottile,(a
me ricorda un po’ il cavallo arabo). Ho l’impressione che soprattutto nelle femmine si
debbano riscontrare queste diversità: un gomito più lungo e piegato, cioè un punto di
bilanciere cerebro-dorsale più centrale, che permette al segugio di cambiare direzione
più facilmente, il garrese più basso ed il rene più lungo e leggermente cifotico, un cane
che sta nel rettangolo, in movimento darà l’impressione di non fare nessuna fatica a
tenere il naso incollato al terreno. Ho parlato delle femmine perché nel nostro segugio è
rimasto un certo dimorfismo sessuale, a me sono capitate più tracciatrici femmine e
inseguitori maschi. Questi ultimi hanno ancora una morfologia più da attacco. Ho
trovato una descrizione interessante in Senofonte, nella sua opera “La Caccia”.400 a. C.
        “Per cominciare, devono essere di grossa taglia. Serve poi che abbiano
        la testa snella, camusa, ben articolata, muscolosa sotto la fronte¸ occhi
        prominenti, neri e brillanti¸ fronte ampia e profondamente
        discriminata; orecchie piccole, sottili e glabre nella parte posteriore; il
        collo lungo, flessuoso e arrotondato; il petto ampio e carnoso; le
        scapole leggermente discoste dalle spalle; gli arti anteriori corti, diritti
        arrotondati e ben fermi; giunture diritte; le costole non abbassate verso
        terra ma inclinate obliquamente, i lombi carnosi, di media lunghezza,
        ne troppo molli ne troppo rigidi; i fianchi di taglia media; le anche
        rotonde, carnose nella parte posteriore, non ravvicinate verso l’alto ma
        aderenti alla parte interna, l’anguinaia e il ventre sottili; la coda lunga,
        diritta e flessibile; le cosce forti; gli stinchi lunghi, rotondi e solidi; gli
        arti posteriori molto più lunghi degli anteriori e magri. Cani come
        questi daranno già con l’aspetto l’dea della forza, saranno agili,
        proporzionati e veloci, ed avranno espressione vivace e buone fauci”.
        Sono arrivato alla conclusione che per cacciare la lepre vada benissimo un cane
che gli assomigli. Ebbene certo, la linea di demarcazione tra i pugnaces e i sagaces (i
disegni che troviamo nei mosaici Romani ci possono essere di aiuto per capirne la
differenza) nei segugi odierni non è poi così netta. Infatti mi sembra che anche i
Maremmani di adesso e i Beagle Harrier siano più da attacco e da seguita a testa
alta,con il garrese alto, il collo corto e gomiti diritti; segugi portati ad inseguire grossa
selvaggina molto velocemente. Ecco allora un altro fattore determinante nel movimento:
la taglia. Infatti aumenta o diminuisce in modo inversamente proporzionale, cioè più il
cane è grande e meno si muove velocemente, mentre più è piccolo e più è frenetico. La
migliore nella sua espressività, funzionalità e resistenza per la caccia alla lepre a mio
parere è sui 50 cm X 18 kg. Concordo in ciò con quello che scrive P. Garnier nel 1879:
        “Noi ammetteremo nella nostra piccola muta, solamente dei briquets
        dai quaranta ai cinquanta cm di taglia. Di cui il reclutamento sarà
        facile; perché grazie a Dio, noi abbiamo in Francia un po’ dappertutto
        degli eccellenti cani di paese che cacciano adorabilmente la lepre. Noi
        citeremo les briquets D’ Artois, i cani leggeri dei Vosges, delle
        Ardenne, del Jura, de la Burgogna e della Alta Marne e nell’alta
        Saone, i graziosi cani conosciuti col nome di chiens de porcelaine”.
        Il portamento della coda è un fattore importantissimo nella definizione dello
stile, parallela alla groppa, avrà quasi sempre dei movimenti ondulatori, che si
propagheranno a tutto il rene fino a farla sbattere sul costato, solo saltuariamente
saranno ammessi movimenti rotatori, la sua elasticità, non rigida ne molle, assomiglierà
ad un giunco di salice e darà a tutto il cane un aspetto elastico, elegante e leggero ne
scattante, ne pesante. Soprattutto sarà parte integrante di tutto il corpo, assolutamente
non dovremmo avere la sensazione che sia indipendente da esso. Come diceva il
compianto cav. Ciceri la testa e la coda, “io aggiungo il loro movimento”, sono i fattori
più importanti nelle definizione della razza. Osservando il nostro segugio al lavoro,
dovremmo avere la sensazione che compia una danza, dove tutti i movimenti vengono
fusi in un insieme consequenziale di eleganza, fluidità, plasticità, naturalezza e di
vibrazioni di bellezza interiore. Sto usando toni lirici, ma un po’ di poesia non fa male!!
La trovo nel poemetto “La caccia delle lepri” dell’ Abate di Thiene VI Cristoforo
Muzani 1789:
        “D’otto coppie elettissime di Bracchi. Quel si raro drappello era
        composto, Che pregi tutti raccoglie dei cani: Odorato, artifizio, ardire,
        arguzia […] Di lei nel corpo si volante, e snella […] Di Lei per senno
        sì ingegnosa e scaltra, che qual portento, e onor di tutti i bracchi. A
        vivaci color fu pinta in tela. Io la vidi e conobbi, e il ver dipingo.
        Amorosa era il nome: alto, e sottile stendeva il piede celere, ed alato.
        Di stirpe bracca, al passo era Levriera. (molto importante). Morbide
        nari, e all’odorato vaste, Di fibra gentilissima tessute, collo soave e
        capo altero, e vago, Tinti, e picchiati, e giù cadenti orecchi; E sotto un
        ciglio maestoso, e ardito. Vivaci gli occhi, e folgoranti un dolce
        Amabile seren misto di foco, Che del genio del cuor cortese e fido facea
        sede non dubbia. Il lungo corpo. Tutto leggiero e sempre presto al volo.
        Il fino pelo di color cilestro. Emulatore d’un velluto azzurro. Con lattee
        fasce al petto, al fianco, al dorso; Coda vezzosa, e al corteggiar gentile,
        Nitida e stesa, e al fin curvata in arco, E in sulla cima un bel fiocco di
        neve. Parea dipinta con divin pennello […] E scopertala a covo entro
        al ginepro, Benchè sospinta dal nativo ardore. Solea cheta aggirarsi, e
        a piè sospeso. Toccante appena il suol salir sull’erta. Di quel proclive
        dosso, e allor di piombo. Sulla preda anelar, scagliarsi ratta. Col favor
        della china: Il prode dente, insanguinato ne sagace assalto. Liberal era
        a ridonar la preda, Benchè tutto Trofeo del valor suo. Nel perseguir la
        lepre era saetta. Al primo escir dell’arco vibratore, Che tutto serba
        l’impeto e il volo. Braccava allora si sottile, e dolce, che in mezzo
        all’armonia dell’altre voci. Alte, grosse, rotonde, gonfie, rauche. Qual
        campana, o di tamburo, o tromba, pianto parea di tremolo flautino.
        Che dolcemente il cuor ti molce, e bea”.
        Torniamo a considerazioni sulla struttura fisica, che condiziona lo stile,
riportando un passo di Fioravanti:
        “Lo stile è l’effetto di queste componenti (cause) che lo producono:
        conformazione        fisica,   temperamento,      voce,    comportamento
        sull’emanazione. E’ evidente, quindi, che il modo di trattare il sentore è
        l’elemento più caratterizzante per fissare lo stile nel cane da seguita,
        perché sullo stesso impegna il suo temperamento, l’olfatto e i
movimenti. E’ altrettanto evidente la dipendenza dalla struttura fisica:
        un collo lungo, le linee della testa divergenti, il tartufo sporgente, gli
        arti piuttosto contenuti in altezza da terra facilitano il compito a
        lavorare col muso sfiorante la pista.”
        Infatti anche la conformazione del naso influisce notevolmente nel portamento
del cranio, il nostro segugio dovrebbe averlo a becco d’anatra, ne consegue che la testa
sarà tenuta con una inclinazione di ca. 45° dal terreno consentendogli di sfiorare le
superfici mantenendo una andatura discreta e di non respirare molta rugiada, però ho
notato che alcuni ceppi, selezionati in ambienti più siccitosi, abbiano un tartufo più
squadrato, il quale costringe il cane a tenere la testa perpendicolare al terreno,
limitandone l’andatura, ma consentendogli di sentire anche in assenza di umidità.
        Inoltre in quelli che provengono da zone sassose, rocciose o dove il terreno è
secco e duro il metacarpo è più scivoloso, cioè con una leggera inclinazione in avanti e
il piede ha una conformazione più allungata, come quello della lepre. Mentre in quelli
che provengono da zone con terreno più molle, il metacarpo è più diritto e il piede più
rotondo. Questo tipo di conformazione dipende anche dall’uso a cui è adibito il cane.

                                  Segugio Italiano
                                 IV Parte: Il lavoro

        Vediamo ora il nostro segugio al lavoro:
        Alla sciolta il segugio italiano darà inizio ad una cerca al galoppo sciolto o al
trolotto, però lo vedremo soffermarsi nei punti dove l’esperienza gli ha fatto reperire
l’usta in altre occasioni, attorno ad una roccia o ad un palo, in mezzo ad un prato, su un
ponticello, su un ciglio della strada su dei crocicchi. Anche questa fase non deve essere
fatta con frenesia o con troppo impeto, ma con ponderatezza, accortezza e meticolosità.
Percepite le prime effusioni di odorato di lepre dal terreno il cane dovrà fermarsi e
concentrandosi qualche volta fermerà la coda, darà qualche squittio incerto, fino a che,
sinceratosi definitivamente comincerà ad abbaiare sonoramente con le vocali a, o, i, si
dice che ha un bel incontro quando ci comunicherà la sua gioia. Il cane diritto (come
dice bene Marcel Saint Jean) sinceratosi da che parte va la pista al suolo, inizierà un
accostamento lineare fatto di piccole annusate, porterà avanti la traccia nella maniera
più continua possibile, ma dopo essersi accorto che non riesce più a proseguire, dovrà
con cerchi concentrici cercare di riannodarla, in questa fase non dovremmo penalizzare i
soggetti che fidandosi del lavoro dei cani di centro, bordano il territorio cercando la via
d’uscita. I soggetti più anziani ed esperti cercheranno in maniera abbastanza autonoma
sulla pastura della notte. Il rintraccio della passata al covo verrà fatto con voce e
movimenti più marcati ed intensi, tanto da comunicare agli altri l’importanza del
ritrovamento. A questo punto il lavoro si farà più corale e l’odorato servirà da collante
per la coesione della muta. I componenti diventeranno più meticolosi, precisi e
concentrati, una certa tensione trasparirà dai loro movimenti, si avrà l’impressione che
stanno risolvendo un problema importante. Alcuni comportamenti nelle diverse fasi
varieranno da individuo a individuo secondo le esperienze acquisite, dal dialogo e
dall’affiatamento tra i compagni e dal carattere del cane,. Inoltre ho notato che la
quantità di voce emessa spesso è in relazione al carattere del soggetto. Per esempio,
quelli che trovano la via d’uscita, gli scovatori e gli indipendenti in genere sono più
parchi di voce dei segugi che tengono molto la traccia e hanno più spirito di muta, ci
sono cani innamorati dell’odore della lepre e altri della stessa, forse con più il cane ha
conservato il suo istinto di predatore e meno abbaia. Ricordo di essere stato in
disaccordo su questo punto con il compianto dott. Antonio Tonali, il quale metteva la
quantità di voce in relazione inversamente proporzionale all’intelligenza, infatti secondo
me le capacità intellettive in rapporto alla voce hanno meccanismi più complessi, in cui
confluiscono diverse componenti, tra le quali non ultima l’emotività. Personalmente
essendo sempre stato attratto dai realizzatori, pur avendo selezionato segugi italiani
usciti campioni dalle prove di lavoro, ho sempre avuto grosse difficoltà nel farli
abbaiare la pastura. Come tutte le qualità che si discostano da quelle predatorie, sono da
tenere sempre presenti nella selezione.

        Torniamo ora al comportamento a caccia.
        Nelle vicinanze della lepre alcuni si fermeranno a guardarsi attorno per vederla
fuggire, altri procederanno a balzi per farla saltare o annuseranno gli steli della
vegetazione, l’eccitazione che li pervade sembrerà allontanarli dal mondo che li
circonda (i cinofili lo chiamano il senso del selvatico). Lo scovo a vista avverrà con un
urlo fatto spesso con la iii nelle femmine con la aaa oppure la ooo nei maschi (“i nostri
vecchi dicevano vanno via con il fiato”, perdono il fiato non inspirano più). Dei soggetti
lo fanno anche non vedendo la preda, altri di consenso (in questa fase ci può stare)
        L’inseguimento avverrà con muso ne alto ne radente al terreno, ma ad una
altezza che consentirà al segugio di seguire sia la via al suolo che quella del campo
odorante (Vedi Marcel S. Jean) Nella risoluzione dei falli o quando la lepre prenderà
terreno vedremo il nostro segugio applicare il tartufo a terra e seguire fedelmente la
traccia. La risoluzione del fallo verrà eseguita con sagacia, cioè senza perdersi d’animo,
insistendo nella risoluzione, e ognuno con il suo metodo, marcherà l’ultima pesta, farà
cerchi concentrici oppure tornerà indietro per capire se è stato fatto un raddoppio
(questa ultima operazione dovrà essere fatta senza abbaiare, altrimenti incorreremo nel
rebuffo, imballando così la muta). Un'altra situazione in cui il cane sarebbe opportuno
che stesse zitto, è il riscovo. Il segugio accortosi che la traccia è diventata fredda, cioè
che la lepre si è allontanata molto, naso a terra con passo allegro, a volte soffermandosi
su una pedata, a volte bordando i cigli delle strade, dei forteti o delle siepi,
sommessamente andrà a ritrovarla. Dei segugi nel pieno della seguita a fiato tengono la
coda ferma e sembrano degli archi che si tendono e distendono in continuazione, è uno
spettacolo coinvolgente anche per i neofiti.
        Vorrei a questo punto ribadire un concetto già espresso in precedenza cioè che il
comportamento del cane varia in rapporto alle esperienze fatte. Ricordo della
Margherita che non abbaiava più nelle vicinanze della lepre dopo averne catturate
alcune e aveva poi cambiato modo di lavorare con la morte del compagno Filippo,
segugio avvinto alla traccia. Finché lui era in vita, lei boschettava nei dintorni, in
seguito iniziò a fare il suo lavoro. Margherita, in presenza di molte lepri, le cercava
direttamente al covo, una, la rintracciava passo, passo. In coppia con la figlia Mia si
scambiava ad inseguire, mentre una rimaneva sull’odorato l’altra riannodava con tagli
concentrici. Più di una volta mi accorsi che rifiutava la compagnia dei cani
chiacchieroni e bugiardi o con poca valutazione dell’odorato. Ma per sapere veramente
se un cane è segugio, deve dirtelo lui, sembra una battuta, mentre è la verità. Diverse
generazioni e anni dopo la Margherita, nacque il Mambo. Un giorno a caccia uscì da
una piantagione di kiwi, ci guardò, e tutti e tre i presenti capimmo dalla sua espressione,
che aveva qualcosa da dirci o da farci vedere. Lo seguimmo all’interno del frutteto, ad
un tratto si fermò a ispezionare e annusare un ciuffo di erba secca attorno ad una pianta,
poi con la zampa estrasse un leprotto, e con il muso iniziò a spingerlo per farlo correre.
Di una lepre che stava ferma non sapeva che farsene. Penso che altri cinofili potranno
portare esempi simili. L’accenno a questa mia “mitica” cagna mi induce a riproporre il
discorso della selezione, dopo anni che io la pratico, avendo mantenuto come punto
fermo il ceppo della Margherita, ho la presunzione di capire cosa hanno apportato altri
cani nel nucleo originario. Per farmi capire meglio, se sono tipo Don Nando o
Fioravanti. Chi è riuscito a fissarli nel cane ha impiegato tempo, intelligenza e ha avuto
fortuna. Per dirla in breve, se accoppi con famiglie di segugi in cui è stata fatta una
selezione oculata puoi progredire o mantenere un buon livello nei tuoi cani. Se invece
incappi con l’accoppiamento in un soggetto bravo, ma uscito per caso, o torni indietro, o
non sai più dove sei finito. Il buono è un equilibrio instabile che si deve ricercare in
continuazione e che è più facile trovare presso chi questa ricerca la pratica da molto
tempo Se prendi un gatto da un contadino è facile che mangi i topi, ma quelli da salotto
al massimo ti fregano la bistecca dal piatto.
        Spero in conclusione, di aver presentato molti aspetti che definiscono la
specificità del segugio italiano, anche se è difficile definire le caratteristiche di
differenziazione preminenti. Ad esempio Don Nando A. differisce il segugio italiano
dagli altri perché in diversi soggetti possiamo riscontrare il metodo di cerchiare per
riannodare la traccia.
        Zacchetti parla di iniziativa, fattore che lo differenzia specialmente dai Segugi
Francesi. Pesenti Gritti dal giusto equilibrio esistente nello stesso soggetto, che ora usa
il metodo sulla passata, ora avanza a memoria (cerca dove pensa che ci sia l’odorato) o
a istinto, o a intelligenza toccando i punti più significativi ma continui cioè dello stesso
animale. Tutti e tre sono d’accordo che nella fase di scovo, il cane deve saperti dire cosa
sta facendo (un mio amico ha una cagna che prima di scovare si gira a guardarlo).
Inoltre due dei fattori che possono contraddistinguere ulteriormente il comportamento
del nostro cane quindi anche lo stile, risultano, secondo Mario Quadri, “il S.I. ha un
movimento ondulatorio del cranio più o meno marcato che evidenzia ogni singola
annusata”. Secondo me dal fatto che molti soggetti puntualizzano la traccia, in pratica
soffermandosi sui punti significativi e manifestando con aumento della voce e dei
movimenti danno importanza a quello che hanno rilevato. Questo metodo di
comportarsi da il tempo ai compagni di recepire la valutazione fatta dai singoli,
aumentando di fatto il dialogo e la comprensione tra i componenti della muta, infatti
bisognerebbe avere, guardandoli, la sensazione o la certezza che esista un dialogo, e non
un accozzaglia meccanica che a volte fa partire una lepre. E qui conviene ribadire un
concetto fondamentale: non si ritengono validi i sistemi del gatto, della volpe, dei cani
da ferma o da cerca, che si basano su alcune probabilità e situazioni meccaniche o
fortuite. Però i modi di agire del cane intelligente e esperto (Dante Alighieri “Cagne
studiose e conte”) spesso differiscono dal lavoro classico ma fanno concludere la
cacciata in maniera proficua. E anche Colombi ha detto:
        “Non si può penalizzare un comportamento positivo per la caccia, nelle
        prove di lavoro”.

        Voglio infine toccare per ultimo, riportando una mia esperienza, l’argomento:
bellezza nel segugio. Era il 1980, e stavo partecipando ad una prova di lavoro in quel di
Casina (RE). Avevo un cane bassetto tipo Giura, i miei amici lo chiamavano Tir.
Appena liberato rilevò sulla carraia, e iniziò un bel lavoro con molta continuità di
traccia. Il giudice Don Nando, esclamò: “Questo, Artegiani, è un bello, bello cane”. Usò
persino una licenza poetica per descriverlo, però pensai che mi prendesse in giro, di
solito me lo squalificavano. Solo quando conobbi a fondo don Nando capii che il suo
concetto di bellezza si riferiva quasi esclusivamente allo stile, e alla capacità di avanzare
in maniera sicura sulla traccia. Lo stesso Solaro definiva la bellezza armonica come il
risultato di una unicità di stile di costruzione del cane, per conseguire questa rara
forma di bellezza debbono concorrere una serie di fattori non sempre facili a
riscontrarsi contemporaneamente in un animale. Da allora le mie osservazioni critiche
sui cani da esposizione aumentarono maggiormente.
        Ho sempre riscontrato molte difficoltà nel far combaciare il lavoro e lo stile del
nostro segugio con la lunghezza delle orecchie, con le canne nasali lunghe e montanine,
con taglie superiori ai 55 cm o più di 20 kg di peso, con l’assenza di bianco sia nel
fulvo, che nel nero focato, con la mancanza di speroni, con cani che stanno nel
quadrato, con garresi importanti. Inoltre nei soggetti da esposizione spesso ho trovato:
poca passione venatoria, scarsa resistenza alle malattie, fisico debole e alcune difficoltà
nella riproduzione. Per questi motivi ho sempre cercato di preservare solamente lo stile.
Purtroppo mi ritrovo a tutt’oggi ad iscrivere i miei cani come lepraioli dell’Appennino,
anche se sono simili ai segugi di Zacchetti o ai campioni di 60 anni fa, oppure
assomigliano più al disegno di Del Vecchio che a quello del Solaro

         In questo scritto ho messo troppa carne al fuoco, e sembra che la mia ricerca non
approdi a nulla. Può darsi che la razza come la verità non esista, e possiamo solo
pensarla come divenire, come ricerca, come studio sulla morfologia funzionale e sulla
trasmissibilità genetica comportamentale.
         Tuttavia penso che ne sia scaturito un fattore importante; cioè che lo stile
mantiene la sua incolumità attraverso i secoli, che lo stile è il filo conduttore che unisce
tutte le componenti che hanno creato il segugio italiano ed è l’unico modo d’essere con
il quale può farsi sentire come nostro.
                                                                            Gianni Artegiani
                                                                   Abitazione: 045-7975061
                                                                     Cellulare: 349-1863901
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