(RET) ANNÉE ET TOME IX - 2019-2020 publiée par l'Association " Textes pour l'Histoire de l'Antiquité Tardive " (THAT) - Revue des Études ...
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Histoire, textes, traductions, analyses, sources et prolongements de l’Antiquité Tardive (RET) publiée par l’Association « Textes pour l’Histoire de l’Antiquité Tardive » (THAT) ANNÉE ET TOME IX 2019-2020
REVUE DES ETUDES TARDO-ANTIQUES REVUE DES ÉTUDES TARDO-ANTIQUES (RET) fondée par E. Amato et †P.-L. Malosse COMITÉ SCIENTIFIQUE INTERNATIONAL Nicole Belayche (École Pratique des Hautes Études), Giovanni de Bonfils (Università di Bari), Aldo Corcella (Università della Basilicata), Raffaella Cribiore (New York University), Kristoffel Demoen (Universiteit Gent), Elizabeth DePalma Digeser (University of California), Leah Di Segni (The Hebrew University of Jerusalem), José Antonio Fernández Delgado (Universidad de Salamanca), Jean-Luc Fournet (Collège de France), Geoffrey Greatrex (University of Ottawa), Malcom Heath (University of Leeds), Peter Heather (King’s College London), Philippe Hoffmann (École Pratique des Hautes Études), Enrico V. Maltese (Università di Torino), Arnaldo Marcone (Università di Roma 3), Mischa Meier (Universität Tübingen), Laura Miguélez-Cavero (Universidad de Salaman- ca), Claudio Moreschini (Università di Pisa), Robert J. Penella (Fordham University of New York), Lorenzo Perrone (Università di Bologna), Claudia Rapp (Universität Wien), Francesca Reduzzi (Università di Napoli Federico II), Jacques-Hubert Sautel (Institut de Recherche et d’Histoire des Textes), Claudia Schindler (Universität Hamburg), Antonio Stramaglia (Università di Bari). COMITÉ ÉDITORIAL Eugenio Amato (Université de Nantes et Institut Universitaire de France), Béatrice Bakhouche (Université de Montpellier 3), †Jean Bouffartigue (Université Paris Nanterre), Sylvie Crogiez- Pétrequin (Université de Tours), Pierre Jaillette (Université de Lille 3), Juan Antonio Jiménez Sán- chez (Universitat de Barcelona), †Pierre-Louis Malosse (Université de Montpellier 3), Annick Mar- tin (Université de Rennes 2), Sébastien Morlet (Université Paris-Sorbonne et Institut Universitaire de France), Bernard Pouderon (Université de Tours et Institut Universitaire de France), Stéphane Ratti (Université de Franche-Comté), Giampiero Scafoglio (Université de Nice Sophia Antipolis), Jacques Schamp (Université de Fribourg en Suisse). DIRECTEURS DE LA PUBLICATION Eugenio Amato (responsable) Sylvie Crogiez-Pétrequin Giampiero Scafoglio Delphine Lauritzen SECRÉTAIRE DE RÉDACTION Gianluigi Tomassi Peer-review. Les travaux adressés pour publication à la revue seront soumis – sous la forme d’un double anonymat – à évaluation par deux spécialistes, dont l’un au moins extérieur au comité scientifique ou édito- rial. La liste des experts externes sera publiée tous les deux ans. Normes pour les auteurs. Tous les travaux, rédigés de façon définitive, sont à soumettre par voie électro- nique en joignant un fichier texte au format word et pdf à l’adresse suivante : redaction@revue-etudes-tardo-antiques.fr La revue ne publie de comptes rendus que sous forme de recension critique détaillée ou d’article de synthèse (review articles). Elle apparaît exclusivement par voie électronique ; les tirés à part papier ne sont pas prévus. Pour les normes rédactionnelles détaillées, ainsi que pour les index complets de chaque année et tome, prière de s’adresser à la page électronique de la revue : www.revue-etudes-tardo-antiques.fr La mise en page professionnelle de la revue est assurée par Arun Maltese, Via Tissoni 9/4, I-17100 Savona - (Italie) – E-mail : bibliotecnica.bear@gmail.com (www.bibliobear.com). ISSN 2115-8266
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA NELLA TARDA ANTICHITÀ Résumé : L’ouvrage “Ovid in Late Antiquity”, dirigé par F. E. Consolino, constitue le point de départ d’une série de réflexions concernant la réception d’Ovide dans la littérature de l’Antiquité tardive, une réception qui prend souvent une forme particulière et élusive, en demandant une approche méthodologique consciente et flexible. Abstract : The collective book “Ovid in Late Antiquity”, edited by F. E. Consolino, constitutes the starting point of a series of reflections concerning the reception of Ovid in the literature of Late Antiquity, a reception that often takes a particular and elusive form, asking for a conscious approach and a flexible method. Mots-clefs : réception d’Ovide, littérature de l’Antiquité tardive, problématique méthodologique. Keywords : Ovid Reception, Literature of Late Antiquity, Methodological Issue. La tarda antichità è una delle tappe meno studiate nella vasta e varia fortuna di cui Ovidio ha goduto nella storia della cultura occidentale. A questa carenza si è cercato di ovviare soltanto in tempi recenti, anche sotto lo stimolo del bimillenario della morte del poeta, che ha visto prodursi numerose iniziative scientifiche e divulgative1. Nel 2017 è uscito il volume di Ian Fielding, Transformations of Ovid in Late Antiquity (Cambridge), che affronta la ricezione ovidiana in modo selettivo e trasversale, soffermandosi su autori e fenomeni culturali differenti, in modo apparentemente disorganico, ma con sondaggi non privi di efficacia2. Alla tarda 1 In tema di ricezione (ma senza un’attenzione specifica per la tarda antichità), mi piace ricordare il convegno « Lettres d’exil. Autour des Tristes et des Pontiques d’Ovide », che ho organizzato a Nizza con Odile Gannier nel 2019. Gli atti sono disponibili on line, come supplemento della rivista Loxias: http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1224. 2 Argomenti del volume sono, in particolare: la corrispondenza tra Ausonio e Paolino di Nola; il riuso delle Metamorfosi nel De reditu di Rutilio Namaziano; la presenza della poesia ovidiana dell’esilio nella Satisfactio di Draconzio; l’influenza elegiaca su Boezio e Massimiano; per finire con Venanzio Fortunato, di cui è esaminato il rapporto con le Heroides. « RET » 9, 2019-2020, pp. 151-163
152 GIAMPIERO SCAFOGLIO antichità è stata poi devoluta una sessione dell’importante convegno internazionale sulle « Présences ovidiennes », organizzato da Rémy Poignault ed Hélène Vial a Clermont-Ferrand nel 2018, di cui sono stati appena pubblicati gli atti3. Il lavoro più cospicuo, dedicato specificamente all’argomento, resta però il volume collettivo curato da Fanca Ela Consolino, Ovid in Late Antiquity4, su cui mi accingo a soffer - marmi. Nell’introduzione (pp. 7-16), la Curatrice comincia già a definire la peculiarità della presenza ovidiana, che appare « as pervasive as it was, to a certain extent, elusive » nelle opere tardoantiche, che spesso da questo poeta attingono motivi, immagini, schemi narrativi, « not necessarily supported by lexical references ». Si presenta qui un problema che, se da un lato rende la ricerca più difficile e la espone ai rischi del soggettivismo e dell’impressionismo (sarà forse questa la ragione della minore attenzione dedicata dalla critica a questa fase della fortuna ovidiana?), dall’altro offre l’occasione per aprire un dibattito metodologico che può, anzi deve portare dei progressi negli studi sui rapporti dei poeti tardoantichi con i modelli, e non soltanto con Ovidio. Bisogna infatti ripensare i concetti ormai tradizionali di « allusiveness » e di aemulatio, per adeguarli a un dialogo intertestuale più complesso e al tempo stesso più duttile (e perciò appunto sfuggente), che non si lascia ingessare in rigide griglie di interpretazione e classificazione5. Quanto al rischio di una deriva impressionistica, che ossessiona molti filologi dall’ambizione positivistica (ossia pseudoscientifica) quale reazione tardiva e inutile ai pregiudizi crociani, che non saranno mai veramente superati fin quando continuano a condizionare la ricerca (sia pur ex contrario), è proprio qui che si riconosce il talento dello studioso: nella sua capacità non tanto di individuare, descrivere, classificare ciò che è materialmente evidente, quanto di portare alla luce ciò che non lo è, ricostruendo con un buon margine di probabilità (quasi mai con sicurezza: la critica letteraria, ahimè, non è una scienza esatta) relazioni intertestuali non sempre documentabili a livello verbale, ma non per questo meno significative. Inoltre, ha ragione Consolino anche nel dire che l’analisi della presenza ovidiana nei diversi autori tardi « tells us a lot about them and about their compositional technique »: infatti lo studio della ricezione, svolto 3 R. POIGNAULT & H. VIAL (éds.), Présences ovidiennes, Clermont-Ferrand 2020 (= Caesarodunum 52-53 bis). I capitoli riguardanti il periodo tardoantico: M. ONORATO, La parola e il silenzio. Echi dell’ultimo Ovidio in un dittico paratestuale sidoniano; L. FURBETTA, Les multiples formes de la mémoire d’Ovide en Gaule du Ve au VIe siècle; G. SCAFOGLIO, La présence d’Ovide dans la poésie d’Ausone; J. ELFASSI, Ovide chez Isidore de Séville. 4 Nella collana « Studi e testi tardoantichi. Profane and Christian Culture in Late Antiquity», diretta dalla stessa Consolino per l’editore Brepols (Turnhout), 506 pagine, ISBN: 9782503578088. 5 È quanto ho tentato di fare con Massimiano, in merito al suo rapporto (dialettico) con Cicerone e con gli autori cristiani, nel mio contributo « La vieillesse comme tragédie individuelle et comme signe des temps dans l’élégie de Maximien », LEC 86, 2018, pp. 357-381.
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 153 in una prospettiva autenticamente multidirezionale, aspira ad addivenire a una migliore comprensione dell’autore o degli autori sia « di partenza » che « di arrivo », oltre che a illuminare tappe più o meno consistenti della storia culturale. Per cominciare, Franz Dolveck passa in rassegna il corpus delle « menzioni » di Ovidio nella tarda antichità: « toute référence à la personne ou à l’œuvre du poète, presque toujours accompagnée de son nom », ovvero 17 passi, da Tertulliano a Giuliano di Toledo6. In generale, gli scrittori cristiani assumono atteggiamenti opposti nei confronti di Ovidio, poeta dell’Ars amatoria ma anche del rerum opifex che apre le Metamorfosi e che assomiglia al Dio cristiano, creatore del mondo. Se Lattanzio si mostra « notoirement bienveillant » verso Ovidio e ne fa « un usage assez intensif » nelle Institutiones diuinae, Tertulliano e Girolamo non lo citano che « à des fins d’ironie », per metterlo in cattiva luce col pubblico cristiano. Il conseguimento dell’obiettivo è probabilmente confermato dal silenzio degli autori che, come Agostino, ignorano o fingono di ignorare Ovidio; sarà però il proposito di Lattanzio a prevalere sul lungo termine, avviando la trasformazione del poeta augusteo in una sorta di visionario protocristiano e perfino di profeta inconsa- pevole, che godrà di tale successo nel Medioevo da dare il nome all’aetas Ouidiana. Uscendo dall’ambito cristiano, Dolveck si interroga sul silenzio di Ausonio (grande conoscitore e imitatore di Ovidio) in un passo programmatico che fa riferimento al noto topos della pagina lasciua sed uita proba (nella postfazione ad Assio Paolo, Cent. nupt. pp. 153-154 nell’ed. Green 1999): Ausonio richiama tutti i precedenti possibili, a partire ovviamente da Marziale, ma non Ovidio. Dolveck si chiede quindi se Ausonio, « produit et défenseur de l’establishment, aurait-il une prévention contre (ou au moins une réticence à nommer) quelqu’un qui regarde le pouvoir en place de loin, et avec un certain amusement ? » Mi permetto di rispondere senza dubbio di no: Ausonio non esita a citare Ovidio in altre circostanze; se qui non lo fa, deve esserci un motivo specifico. Direi anzi che quell’interrogativo muove da un presupposto sbagliato: la definizione di Ausonio quale « produit et défenseur de l’establishment » non si addice a uno studioso brillante come Dolveck, che di questo poeta si è occupato spesso e con buoni risultati. In quale delle sue numerose opere, e a quale riguardo, Ausonio si presenta come « défenseur de l’establishment » ? Se poi si intende « défenseur » in senso lato, come sinonimo di « partisan », certo che Ausonio lo è stato (peraltro non più di quanto lo siano stati Virgilio e Orazio, nei confronti di Augusto), ma in una fase tarda e breve della sua vita: come lo si può chiamare « produit » di un establishment che egli non ha conosciuto se non in prossimità dei sessant’anni? Lo si potrebbe definire se mai « prodotto della scuola », a cui Ausonio deve la propria formazione e la propria mentalità, in cui egli ha lavorato per trent’anni e a cui non ha mai cessato di appartenere idealmente 6 Que dit-on (ou ne dit-on pas) d’Ovide dans l’Antiquité tardive ? (pp. 17-46).
154 GIAMPIERO SCAFOGLIO (dopotutto, a corte è stato precettore di Graziano, prima che suo consigliere e uomo politico): alla scuola molto più che alla corte sono legate più o meno strettamente quasi tutte le sue opere7. La domanda posta da Dolveck attende dunque una risposta diversa, da cercare forse nella biografia di Ovidio, in particolare nel suo esilio che, da un lato, come conseguenza del carmen (vale a dire, la pagina lasciua), forse infirmava l’efficacia dell’argomento agli occhi di Ausonio; dall’altro, come conseguenza di un misterioso error, poteva sollevare qualche dubbio anche sulla uita proba. In ogni caso, Ausonio avrà pensato che l’esempio di Ovidio, condannato all’esilio nonostante la celebre autodifesa, avrebbe indebolito la sua causa, invece di rafforzarla. La presenza di Ovidio nella poesia di Ausonio è oggetto di tre interessanti contributi, il primo dei quali dedicato da Silvia Mattiacci agli epigrammi8. Veniamo così alla menzione esplicita del poeta augusteo in Epigr. 72 Green, che riveste una funzione programmatica, « namely to make explicit the significant impact of this model on the erotic and mythological sub-genres in Ausonius’ epigrams ». Per la categoria erotica, Ausonio mostra una tendenza a riprodurre su scala ridotta i momenti salienti dell’elegia ovidiana, adattandoli così al genere epigrammatico. Ma la presenza ovidiana è ancora più cospicua nei componimenti di argomento mitologico, specialmente in quelli riguardanti leggende di metamorfosi: Ausonio si concentra di volta in volta su un aspetto particolare del racconto ovidiano e lo pone al centro del proprio epigramma, realizzando « a condensation of the myth into a few allusive brush strokes », che rimandano a una nota tradizione letteraria e iconografica. Per questa operazione di « miniaturisation of the myth », Ausonio si vale della mediazione di Marziale, che ha già perseguito (segnatamente nella sezione ecfrastica degli Apophoreta, 170-182) un analogo processo di selezione e di reductio ad minimum degli elementi presenti negli episodi ovidiani. L’influenza ovidiana nel Cupido cruciatus è affrontata dalla stessa Consolino, che si sofferma sulla rassegna dei fiori negli aerei campi (vv. 8-12) e sul «catalogo delle eroine» (vv. 16-74)9. I fiori sono legati a leggende di trasformazione che si trovano già nelle Metamorfosi, a cui Ausonio si rifà in particolare per gli episodi di Narciso e Giacinto. Nel primo caso, egli richiama il modello con un solo termine dal significato pregnante, mirator, che si collega al verbo miror e ai suoi derivati, di cui Ovidio fa largo uso. Nel secondo caso, quest’ultimo ha combinato due leggende diverse sull’origine del giacinto, dal personaggio omonimo e dal sangue di Aiace: Ausonio le riprende entrambe, ma con una significativa variazione, in quanto parla 7 Cf. G. SCAFOGLIO, « Il lusus come strategia pedagogica nella poesia di Ausonio », Pallas 114, 2020 (= V. DASEN & M. VESPA [éds.], Bons ou mauvais jeux? Pratiques ludiques et sociabilité), pp. 43-67. 8 “An uos Nasonis carmina non legitis?”: Ovid in Ausonius’ Epigrams (pp. 49-87). 9 Flowers and heroines: some remarks on Ovid’s presence in the Cupudo cruciatus (pp. 89-117).
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 155 di due fiori distinti e non dice il nome di quello nato dal sangue di Aiace10. Nel cata- logo delle eroine, Ausonio contamina il modello ovidiano con l’episodio virgiliano dei lugentes campi (Aen. VI); dalle Heroides e dalle Metamorfosi deriva la tecnica selettiva e combinatoria, «the talent for developing certain moments or character details from the myth and linking them to each other». In generale, l’estensione limitata di alcune allusioni le rende difficili da identificare, accessibili dunque unicamente ai lettori più fini e competenti: il Cupido cruciatus sembra presupporre per questa ragione (ma penso che non sia l’unica) diversi livelli di fruizione da parte del pubblico, presentandosi di conseguenza come «a particularly open work, demanding and stimulating the collaboration of the reader more that other late antique compositions». Jesús Hernández Lobato ritorna sulla Mosella11, muovendo dalla giusta consta- tazione di una presenza testuale ovidiana relativamente circoscritta, rispetto all’«undisguised Ovidian flavour» che pervade tutto il poemetto «far beyond the actual number of intertexts and allusions». Ho cercato a suo tempo di spiegare questo fenomeno, mettendo a fuoco il rapporto di Ausonio con i suoi auctores principes, tra i quali Ovidio riveste un ruolo a sé stante, non cospicuo a livello strettamente testuale, ma importante e perfino fondativo per l’ispirazione e per la concezione stessa della poesia: il ruolo di «modello estetico», da cui Ausonio ha appreso il gusto descrittivo, impressionistico, che alimenta i quadri paesaggistici e che, nei momenti migliori, sconfina nell’illusionismo12. Da qui parte Hernández Lobato, che si spinge però più avanti, tentando di dimostrare che le Metamorfosi sono, per la Mosella, «its ubiquitous and consistent point of reference». La descrizione delle acque, che costituisce la parte forse più peculiare e affascinante dell’opera (vv. 23-81), è interpretata come «a literarily creative and philosophically far-reaching development» di una sola frase ovidiana, segnatamente Met. I, 587-589, di cui Ausonio realizzerebbe un’amplificazione iperbolica mediante «a series of unexpected images, audacious metaphors, conceptual tropes and precious similes», rivelandosi «more Ovidian than Ovid himself». Sul medesimo contesto ausoniano incide però anche un altro passo ovidiano (Met. XI, 231-233), che richiama il tema del confronto tra l’arte e la natura, in cui Ovidio riconosce la superiorità della prima, Ausonio della seconda. Ora, nella descrizione ausoniana della natura, Hernández Lobato individua delle implicazioni epistemologiche: un’oscillazione tra una 10 La trasformazione di Aiace in fiore è ricordata da Ausonio anche in uno degli Epitaphia heroum (3), su cui cf. l’ottimo commento recentemente pubblicato da T. PRIVITERA, Roma 2019, pp. 48-54. 11 Late antique metamorphoses: Ausonius’ Mosella and Fulgentius’ Mythologies as ovidian revisitations (pp. 237-266). 12 Cf. G. SCAFOGLIO, «La présence d’Ovide dans la Moselle d’Ausone», LEC 68, 2000, pp. 264- 286; IDEM, « Una nuova edizione della Mosella », RET 3, 2013-2014, pp. 87-101.
156 GIAMPIERO SCAFOGLIO concezione della conoscenza illusoria e ingannevole, che rispecchia gli artifici del linguaggio (riconducibile alle Metamorfosi di Ovidio), e la rivelazione immediata ed evidente delle cose, che trova riscontro nella trasparenza delle acque (secondo un paradigma filosofico neoplatonico). L’aspetto «ovidiano» di questo «bipolarismo epistemologico» è indicato dalla parola-chiave simulamen, che Ausonio attinge dalle Metamorfosi. La descrizione stessa della Mosella, che sembra abbracciare i diversi aspetti della realtà, si conclude con un’ultima trasformazione che la porta a identificarsi con la Garonna, il fiume del paese natale di Ausonio, realizzando l’ideale neoplatonico del ritorno all’origine mediante lo strumento ovidiano del cambia- mento metamorfico. Hernández Lobato interpreta dunque la Mosella, analogamente alle Metamorfosi di Ovidio, in chiave filosofica: per quanto interessante, mi sembra problematico lo slittamento dal piano estetico a quello epistemologico, dalla rappresentazione artistica alla teoria della conoscenza. Nella descrizione delle immagini riflesse sulle acque, Ausonio realizza un’operazione imitativa, anzi emulativa, tanto nei confronti del paesaggio reale quanto rispetto ai modelli: un’operazione che implica una percezione sia immediata che ragionata della natura, ma soprattutto una visione dell’arte come riproduzione della natura: fin qui siamo nell’ambito estetico. Il «salto» di Hernández Lobato nel campo epistemologico è senz’altro legittimo in termini di reader-response, ma non credo rispecchi gli intenti di Ausonio e il concreto sviluppo del suo lavoro letterario. Così, se da un lato lo studioso sopravvaluta il poemetto ausoniano, attribuendogli uno spessore filosofico che non mi pare di vedere nel testo, dall’altro lato ne sminuisce indirettamente un aspetto di primo piano quale il talento descrittivo, considerandolo uno strumento concettuale e non ricono- scendone il valore autonomo, squisitamente estetico. Questa lettura della Mosella merita tuttavia attenzione, se non piena condivisione, non soltanto per la qualità delle riflessioni che sviluppa e che stimola, ma anche per la sua costruttiva funzione di contrappeso e bilanciamento, rispetto al vecchio refrain, stancamente ripetuto da qualcuno ancora oggi, che riduce la Mosella a un mero esercizio retorico-enco- miastico13. A Claudiano sono dedicati altri tre contributi. Quello di Cecilia Paravani14 segnala immagini ed espressioni ovidiane riprese dal poeta per descrivere i nemici di Stilicone e/o dell’impero (Rufino, Eutropio, gli usurpatori Massimo ed Eugenio) e per rendere più truce il loro ritratto con riferimenti a miti crudeli e sanguinari, come 13 La chiave di lettura filosofica (neoplaonica) risulta invece appropriata per le Mythologiae di Fulgenzio, che sono oggetto della seconda parte del contributo di Hernández Lobato. Questi interpreta l’opera come una retractatio delle Metamorfosi di Ovidio (ma direi, in generale, della mitologia tradizionale) in un processo di «systematic allegorization with clear Neo-Platonic tones». 14 Claudian and the Metamorphoses (pp. 119-139).
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 157 le drammatiche uccisioni di Penteo e di Atteone. Nei Carmina minora, invece, Claudiano valorizza alcuni aspetti peculiari e affascinanti di animali ed elementi naturali (la fenice, il porcospino, il corallo, il Nilo) mediante richiami ovidiani che infondono alle descrizioni un senso di meraviglia e di surreale straniamento. Sui Carmina minora 9 e 28 torna Angelo Luceri15, partendo da un accurato status quaestionis che va dalla tradizione esegetica rinascimentale (segnatamente Giulio Cesare Scaligero e Aulo Gellio Parrasio) all’edizione di Theodor Birt (1892) e alla dissertazione inedita di Annette Hawkins Eaton (1943), giungendo alla conclusione che manca un lavoro approfondito e di ampio respiro sul rapporto di Claudiano con Ovidio. L’analisi del carme sul porcospino non si sovrappone a quella di Paravani, ma la amplia e la completa, rivolgendosi a un diverso modello: la descrizione del cinghiale calidonio (Met. VIII, 284-289), a cui il piccolo animale spinoso è implicitamente e iperbolicamente paragonato (forse con una sfumatura di ironia?). Per quanto riguarda il carme sul Nilo, Luceri fornisce un valido esempio di come lo studio dell’intertestualità possa coadiuvare il lavoro critico-testuale. Al v. 23, et gens compositis crimen uallata sagittis, il confronto con Heroid. 4, 159 e soprattutto con Pont. I, 2, 21 consente di sostituire credibilmente la lezione uallata alla più cospicuamente attestata e più banale uelata (difesa ancora da Jeep e Birt). Nel finale idillico del carme si intravede «a vague imitation» di un verso ovidiano (Met. I, 294) che appartiene alla descrizione del paesaggio dominato dalle acque dopo il diluvio mandato da Giove: il «trionfo delle acque» celebrato da Claudiano si giova di questo suggestivo quadro ovidiano, a dispetto del carattere circoscritto e appena percettibile dell’intertesto. Jean-Louis Charlet svolge un esame istruttivo delle diverse, più sfumate e sfuggenti modalità dell’imitazione che caratterizzano la poesia tardoantica16. Lo studioso si sofferma in particolare sul tema della gigantomachia, che Ovidio tratta brevemente nelle Metamorfosi (I, 151-162) e che acquista una grande importanza nella tarda antichità come rappresentazione della lotta del disordine e del male contro le forze dell’ordine e del bene, metafora del conflitto tra i barbari e l’impero romano. Claudiano sviluppa questo tema nelle due Gigantomachie, quella greca (di cui restano due frammenti) e quella latina, senza seguire visibilmente il modello ovidiano. Tuttavia, nella descrizione della pietrificazione del gigante Pallante alla vista della Gorgone di Atena (Carm. min. 53, 91-113), la scelta delle parole e la costruzione delle iuncturae configurano « une stylistique de la métamorphose », generando « une coloration ovidienne diffuse », sia pur in assenza di reminiscenze consistenti ed evidenti. La tecnica stessa della descrizione della pietrificazione, che 15 Echoes of Ovid in Claudian’s Carmina minora 9 and 28 (pp. 141-163). 16 Rivaliser avec Ovide (presque) sans Ovide. À propos de Claudien, Gigantomachie (Carm. min. 53), vv. 91-113 (pp. 165-178).
158 GIAMPIERO SCAFOGLIO è una vera e propria trasformazione, presentata da Claudiano « non pas immé- diatement dans son résultat, mais dans son accomplissement », deriva dalle Metamorfosi di Ovidio: di qui il « parfum ovidien » riconoscibile in un episodio che costituisce « un exemple palmaire d’aemulatio » nei confronti dell’auctor « quasiment sans emprunt de détail et sans retractatio formelle évidente ». La presenza ovidiana nelle opere di Girolamo è vagliata da Philip Polcar, che passa in rassegna la Quellenforschung praticata in precedenza e compila una classificazione degli elementi intertestuali («quotation», «paraphrase», «allusion»), raccolti infine in un quadro sinottico17. Da questi dati lo studioso deduce quali opere ovidiane sono note a Girolamo (gli Amores, una parte dell’Ars amatoria, alcuni libri delle Metamorfosi, il libro IV delle Epistulae ex Ponto), che però non cita apertamente il poeta, pagano e per di più libertino. Questo lavoro, per quanto condotto in modo accurato e puntuale, non esaurisce il complesso problema del rapporto instaurato da Girolamo con Ovidio, che si inserisce nel tema notoriamente controverso dell’approccio dell’autore cristiano con i classici. Per esempio, se a proposito dell’espressione uersiculus ille uulgatus (in riferimento ad Am. III, 2, 83) Polcar riconosce a Girolamo «a good reason to conceal his familiarity with […] the sexually free-wheeling Amores», mi interrogherei ugualmente sulla denominazione di insignis poeta che lo stesso Girolamo attribuisce a Ovidio in merito a un passo delle Metamorfosi: è forse un’espressione di ammirazione, che tuttavia rimane implicita e quasi contraddittoriamente negata, tacendo il nome del poeta? L’epillio anonimo De Sodoma, che racconta l’episodio biblico di Genesi 19, dedicando ampio spazio alla descrizione dei personaggi (in particolare Lot e la moglie), è oggetto del capitolo di Amy Oh18. Se è nota l’influenza dell’episodio ovidiano di Fetonte sullo sviluppo narrativo del poemetto, la studiosa dimostra che la caratterizzazione di Lot e di sua moglie si basa sul confronto intertestuale con alcuni personaggi delle Metamorfosi: Lot è accostato dapprima a Licaone, da cui poi si distacca, mostrandosi un ospite migliore; la moglie condivide la punizione- trasformazione con Niobe, ma la subisce più pesantemente, divenendo «solely an issue of blood because of her lack of faith». L’influenza (diretta o indiretta) dell’episodio ovidiano di Fetonte su diversi autori dell’ultimo periodo imperiale e di epoca romano-barbarica è studiata da Michael Roberts19. La lettura politica del racconto ovidiano, invalsa fin dai primi secoli dell’impero, è ripresa da Claudiano, Sidonio Apollinare e Corippo, come pure in due dei Panegyrici Latini. Un’influenza ancora più cospicua, direi pervasiva, anche se 17 Ovidian traces in Jerome’s works. Re-evaluation and beyond (pp. 179-219). 18 Ovid in the De Sodoma (pp. 221-234). 19 The influence of Ovid’s Metamorphoses in Late Antiquity: Phaethon and the palace of the Sun (pp. 267- 292).
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 159 talvolta più sfumata e non facile da identificare, è stata esercitata dalle descrizioni ovidiane del palazzo e del carro del sole: ne sono testimoni ancora una volta Claudiano, Sidonio, Corippo, ma anche Prudenzio, Venanzio Fortunato e altri. Questo contributo mi sembra importante soprattutto per l’aspetto metodologico: in primis, ne risulta confermata la configurazione specifica dell’imitazione nella poesia tardoantica, che non segnala necessariamente i propri modelli a livello verbale. Se ciò è asserito chiaramente da Roberts (p. 274), dalla sua trattazione si evince una conseguenza ugualmente rilevante, ma spiazzante a tutta prima: non sempre l’influenza intertestuale diretta si lascia distinguere da quella indiretta; un principio, questo, che dovrebbe essere noto a priori, ma che rischia di mettere in crisi un approccio « geometrico » con l’intertestualità20. A ben guardare, anche in presenza di una corrispondenza fedele sia nella forma che nel contenuto tra un’opera e il suo presunto modello, si può sempre ipotizzare l’esistenza di una perduta fonte intermedia. Può sembrare una provocazione, quasi un esercizio cartesiano del dubbio iperbolico; ma si tratta di un’evenienza tutt’altro che impossibile a prodursi nella multiforme realtà dei fenomeni letterari (un’evenienza tanto più difficile da escludere, alla luce della perdita di molta parte della letteratura antica). Questo assunto, lungi dal precludere la possibilità di studiare l’intertestualità, costituisce piuttosto un concetto-limite, che dovrebbe orientare il filologo verso un sano e realistico relativismo: talvolta l’imitazione diretta può essere riconosciuta con (un margine di) sicurezza; talaltra può essere messa plausibilmente in conto, ma non dimostrata; mentre in alcuni casi non si può che sospendere il giudizio, rinunciando a distinguere puntualmente l’imitazione diretta da quella indiretta, ma non rinunciando a segnalare e indagare il rapporto tra autori e soprattutto tra testi che, in un modo o nell’altro, dialogano tra loro21. 20 E.g. G. D’IPPOLITO, « Intertestualità in antichistica », Lexis 13, 1995 (Atti del Convegno internazionale Intertestualità: il “dialogo” fra testi nelle letterature classiche, Cagliari, 24-26 novembre 1994), pp. 69-116. 21 Un esempio significativo, per restare (non a caso) nell’ambito tardoantico, estendendo però lo sguardo al di là di Ovidio (sulla cui ricezione peculiare questo libro curato da Consolino fa luce ormai adeguatamente), è il rapporto di Ausonio con Catullo. L’ottimo lavoro di A. M. MORELLI, Catulle est- il un “classique” pour Ausone ? La connaissance et l’émulation de Catulle chez Ausone, in É. WOLFF (éd.), Ausone en 2015 : bilan et nouvelles perspectives, Paris 2018, pp. 43-62, in termini ipersemplificati, dimostra che (a) Ausonio conosce sicuramente Catullo, (b) legge certamente alcuni (pochi) dei suoi componimenti, (c) riprende temi e immagini catulliani con la mediazione di Marziale e, nella maggior parte dei casi, non sussistono prove che risalga direttamente a Catullo. Se si accolgono queste conclusioni con spirito positivistico, non si riconoscerà a Catullo un ruolo importante nella poesia di Ausonio, commettendo a mio avviso un errore che impedisce non soltanto una corretta valutazione della ricezione catulliana, ma pure una piena comprensione dell’attività letteraria di Ausonio. Penso infatti che Catullo sia uno degli auctores principes di Ausonio, a prescindere da quanti suoi componimenti Ausonio leggesse, quanto spesso o quanto estesamente li imitasse. Direi anzi che Catullo, per alcuni aspetti tutt’altro che irrilevanti (quali l’approccio con i generi letterari, l’espressione dei sentimenti,
160 GIAMPIERO SCAFOGLIO Se l’influenza consistente della poesia ovidiana dell’esilio nelle opere di Rutilio Namaziano, Sidonio Apollinare e Avito di Vienne è stata studiata già da tempo, la presenza delle Metamorfosi è rimasta in ombra: se ne occupa qui Luciana Furbetta22, che muove da una disamina delle reminiscenze individuate da studiosi precedenti e ne verifica l’attendibilità, l’estensione, l’incidenza semantica. Nel De reditu suo, il poeta si rifà alle Metamorfosi per lo più a scopo di innalzamento stilistico, laddove «the context requests an exalted tone that the elegiac model cannot provide». Si può confrontare il capitolo dedicato a Rutilio Namaziano da Ian Fielding, nel volume Transformations of Ovid in Late Antiquity citato supra (pp. 52-88, specialmente p. 62 ss.), che ovviamente Furbetta non ha potuto vedere: qui l’influenza delle Metamorfosi è considerata nelle sua implicazioni culturali e ideologiche, tra cui spicca la concezione ciclica della storia, basata sul principio che «even what appears to be an ending may in fact be a new beginning»; le reminiscenze verbali più o meno circoscritte sono inserite in una visione complessiva del De reditu suo come risposta alla crisi storica e reazione «against a growing current of apocalyptic thought». Per quanto riguarda Sidonio Apollinare e Avito, Furbetta prende in considerazione rispettivamente il carme 7 e la descrizione del paradiso nel poemetto 1, riscontrando «compact sequences with a continuous use of the same loci» delle Metamorfosi, principalmente del libro II; ma l’influenza ovidiana «is limited to the aesthetic surface of the poetic dictio», nella misura in cui non investe la struttura dell’opera. Mi chiedo nondimeno se l’aggettivo aesthetic, che Furbetta riferisce all’aspetto esteriore del testo (il livello fonico-morfologico), nel quadro di un decorativismo superficiale e quasi fine a sé stesso, non si possa collegare invece ai valori estetici, ossia alla poetica sottesa all’opera. Mi chiedo, per esempio, se il «manierismo» di Sidonio Apollinare, la sua tendenza «a rendere autonome le forme»23, non derivi proprio dalle Metamorfosi, attraverso un processo di impoverimento contenutistico e di accentuazione di certe movenze stilistiche ovidiane. Stefania Filosinisi si sofferma sulla Satisfactio di Draconzio24: ne delinea un’interpretazione d’insieme come panegirico poetico in chiave cristiana, che non si esaurisce nell’«act of reparation» annunciato fin dal titolo, ma che «in substance» finanche la concezione della poesia) è per Ausonio più importante di quel Virgilio che è onnipresente nelle sue opere a livello intertestuale, ma che resta comunque diverso e lontano. D’altro canto, se è vero che l’influenza catulliana negli Opuscula è sovente mediata da Marziale, non è meno vero che Ausonio attinge da Marziale soprattutto gli elementi tematici e stilistici che quest’ultimo deve a Catullo. 22 Presence of, references to and echoes of Ovid in the works of Rutilius Namatianus, Sidonius Apollinaris and Avitus of Vienne (pp. 293-323). 23 Mi riferisco al noto contributo di F. E. CONSOLINO, «Codice retorico e manierismo stilistico nella poetica di Sidonio Apollinare», ASNP 4, 1974, pp. 423-460. 24 The Satisfactio: strategies of argumentation and literary models. The role of Ovid (pp. 327-357).
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 161 propone «a pattern of behaviour» a Guntamondo, «showing what he should be (and is not) if he wants to follow the path of the Roman tradition and validate the Vandals’ very conception of power», un potere concesso e legittimato da Dio. In questa ottica, gli exempla clementiae attinti dalla storia romana mostrano «the tyrannical implications of power», che riguardano più che mai Guntamondo: una degenera- zione che si può evitare o risolvere soltanto con la cultura, che deve essere «the source of pietas for the sovereign and of civilization for barbarians». La presenza di Ovidio si inserisce appunto nel progetto di integrazione di Romanitas e Christia- nitas, che sta alla base dell’integrazione tra Romani e Vandali. L’identificazione di Draconzio con Ovidio, favorita dalla comune natura della causa della condanna (un’opera poetica), comporta il confronto tra Augusto e Guntamondo, offrendo a quest’ultimo l’opportunità di mostrarsi più clemente del suo predecessore. L’analogia più rilevante tra la Satisfactio e la poesia ovidiana dell’esilio consiste in una duplice chiave di lettura, «the underlying parameters of the two compositions», secondo che il sovrano si consideri il destinatario o l’oggetto del discorso poetico: nel primo caso, l’opera esprime un atto di pentimento e una richiesta di perdono; nel secondo caso, diventa invece una denuncia del dispotismo tirannico del potere. Sull’opera profana di Draconzio si sofferma invece Annick Stoher-Monjou, coniugando una fine analisi di dettaglio con un’ingegnosa ed efficace proposta interpretativa25. La studiosa definisce « paradoxale » l’influenza ovidiana, che permea minutamente il livello testuale (« le microcosme du vers »), mentre sul piano contenutistico, strutturale e ideologico (« le macrocosme des poèmes »), si riscontra una presa di distanze e finanche una retractatio di questo modello. Ovidio è paragonato a « un joyau », di cui « l’orfèvre tardif » si serve per decorare il proprio stile; ma è al tempo stesso « un point de référence incontournable », con cui Draconzio instaura un dialogo dialettico, che a tratti si colora di ironia. Il poeta augusteo si rivela quindi un modello ambivalente per Draconzio, che ammira sinceramente la sua poesia, ma ne rifiuta recisamente alcuni aspetti (in particolare la metamorfosi, la leggerezza nel trattare l’adulterio, il fascino della magia) e per questo lo sottopone a « une lecture et récriture paradoxale ». In apertura del suo contributo sull’Appendix Maximiani26, Benjamin Goldlust si interroga lui pure sulla peculiarità della ricezione ovidiana nella tarda antichità, trovando una risposta credibile nella contaminazione dei generi praticata da Ovidio e nella mancata appartenenza delle sua opere ad ambiti letterari ben precisi. Segue una presentazione dell’Appendix Maximiani, che secondo Goldlust comprende 25 Ovide dans l’œuvre profane de Dracontius : une influence paradoxale ? Du microcosme du vers au macrocosme des poèmes (pp. 359-412). 26 La présence d’Ovide dans l’Appendix Maximiani (Carmina Garrod-Schetter) : enjeux théoriques et pratiques d’intertextualité (pp. 413-430).
162 GIAMPIERO SCAFOGLIO componimenti di diversi autori successivi a Massimiano, ragion per cui costituisce « une bonne pierre de touche » per studiare la ricezione ovidiana « face à différents ancrages génériques ». Se nei carmi erotici (1 e 2) Ovidio è imitato in modo evidente e spesso puntuale, nei poemetti politici (3-6) non si constata un procedimento uniforme: l’approccio con Ovidio e con gli altri modelli cambia da un componi- mento all’altro, confermando l’impressione di eterogeneità del corpus. È avvalorata di conseguenza anche l’ipotesi di partenza, che riconduce le modalità della ricezione al ruolo ricoperto dal poeta nell’ambito del genere letterario. Se i carmi 1 e 2 si inseriscono nella tradizione elegiaca, di cui Ovidio è uno degli auctores principes, negli altri componimenti « le poète est reçu prioritairement dans une perspective orna- mentale, et non auctoriale »: non è infatti ricontestualizzato e integrato in un progetto poetico, come lo è invece Virgilio. Roberto Mori studia la presenza ovidiana in un episodio dell’Historia apostolica di Aratore: la morte di Giuda raccontata da Pietro27. In questa interpretazione dell’e- vento, la cui originalità si deve soprattutto alla demonizzazione di Giuda (presentato invece nel Nuovo Testamento come strumento necessario all’adempimento delle Scritture), Aratore si rifà a due dei suoi principali modelli, Ovidio e Lucano, richiamando in particolare l’episodio ovidiano di Dedalo e Icaro, «per ciò che con- cerne la sfida alla divinità e l’immagine del corpo sospeso tra terra e cielo». L’analisi è ben condotta; tuttavia consiglierei di evitare i riferimenti pur marginali al «livello inconscio» (p. 438), ovvero al materiale linguistico «richiamato inconsciamente alla memoria» (p. 440)28. Il volume si conclude col contributo di Lucio Ceccarelli, che vaglia l’influenza ovidiana sulla struttura metrica del distico elegiaco di Venanzio Fortunato29. Se l’esametro di Ovidio è caratterizzato dalla cospicua presenza dattilica, questo aspetto è perfino accentuato nell’esametro di Venanzio che, d’altro canto, presenta una più equilibrata distribuzione dei dattili nelle varie sedi. Lo stesso vale per il pentametro, nella cui costruzione Venanzio supera Ovidio per la frequenza dei dattili, che sono però distribuiti più equilibratamente tra il primo e il secondo piede. Anche nella 27 Caelo terraeque perosus inter utrumque perit: un’eco ovidiana nella descrizione della morte di Giuda in Aratore (pp. 431-444). 28 Questo linguaggio, impiegato spesso incautamente anche da studiosi maturi, sposta un feno- meno testuale (reminiscenze realmente o apparentemente prive di un significato specifico) sul piano psicologico: ma come si può appurare se la ripresa di un segmento verbale inerte sia consapevole o inconscia? Che cosa impedisce di pensare che un poeta compia comunque un atto volontario, nel riusare le parole di un auctor con un significato diverso e senza tener in alcun conto il contesto di provenienza? Conviene se mai considerare questa categoria di reminiscenze come un gesto di adesione o di omaggio alla tradizione letteraria, da cui si attingono movenze convenzionali, topoi e stilemi, ma anche associazioni di parole, talvolta in sedi metriche fisse, che passano fluidamente da un testo all’altro (ma non si tratta necessariamente di un automatismo, né di un processo inconscio). 29 The metrical forms of the elegiac distich in Late Antiquity. Ovid in Venantius Fortunatus (pp. 445-467).
QUALCHE OSSERVAZIONE SULLA RICEZIONE OVIDIANA 163 collocazione delle cesure, Venanzio segue in qualche misura Ovidio, ma non rigida- mente: per esempio, riduce ma non elimina del tutto i versi con pausa nel quarto piede. I risultati del minuzioso esame di Ceccarelli, riuniti in una serie di quadri sinottici, dimostrano che Venanzio Fortunato risente dell’influsso del modello me- trico ovidiano, ma che «he did not feel bound to it to the point of not introducing personal variation», sia nell’accentuare alcune tendenze, sia nel ridimensionarle e finanche nel rifiutarle. Un lavoro diligente, questo, che costituisce un valido punto di partenza per una ricerca tesa a una reale comprensione della metrica di Venanzio Fortunato, in relazione all’influenza ovidiana. Come incide la struttura del distico di Venanzio sull’espressione delle idee, sulla rappresentazione di immagini e scene, sull’esternazione emotiva, sulla resa estetica? Qual è il valore aggiunto che Venanzio attinge dal modello ovidiano, in questi diversi aspetti? Quale interazione si riscontra tra le scelte metriche e il (rimodellamento del) genere letterario, anche rispetto al problematico paradigma ovidiano?30 A queste domande e ad altre analoghe si do- vrebbe tentare di rispondere, sulla base del prezioso repertorio approntato da Ceccarelli. In conclusione, il volume curato da Consolino è ricco di contributi interessanti che stimolano ulteriori riflessioni e aprono nuove piste di ricerca. L’opera colma una lacuna nella storia della fortuna e della ricezione di Ovidio, ma arricchisce anche la conoscenza dei principali autori tardoantichi, tra cui non pochi trovano nel poeta augusteo un modello importante. Non meno rilevante mi sembra poi l’aspetto metodologico: l’imitazione ovidiana nella tarda antichità si rivela un ottimo banco di prova per testare la validità, e soprattutto i limiti, dell’impostazione tradizionale dell’analisi intertestuale: il polimorfismo generico, tematico e stilistico di Ovidio spinge i poeti tardoantichi ad adottare approcci e metodi innovativi, che richiedono a loro volta una grande duttilità e apertura mentale agli studiosi di oggi. Infine il modo, anzi i vari modi in cui i poeti tardi interpretano e rielaborano Ovidio forniscono talvolta valide chiavi di lettura per la comprensione della sua opera, che rivela curvature e sfumature inusitate dall’angolazione particolare della ricezione. In questo senso, mi sembra oltremodo efficace la definizione della poesia ovidiana proposta da Michael Roberts, quale «late Latin poetry avant la lettre» (p. 278). Il volume si chiude con un utile indice degli autori antichi e delle opere citate, mentre ogni capitolo ha la propria bibliografia. Université Côte d’Azur Giampiero SCAFOGLIO CNRS CEPAM-UMR 7264 Giampiero.Scafoglio@univ-cotedazur.fr 30 Come esempio di studio tecnicamente rigoroso della metrica, ma senza dimenticarne l’appar- tenenza a opere letterarie, cf. J.-L. CHARLET, « L’hexamètre de Corippe dans la Johannide et dans le Panégyrique de Justin II », in B. GOLDLUST (éd.), Corippe. Un poète latin entre deux mondes, Paris-Lyon 2015, pp. 337-346.
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