STRUTTURE DI MERCATO E BENESSERE SOCIALE - Corso di Laurea in Economia e commercio Tesi di Laurea
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Corso di Laurea in Economia e commercio Tesi di Laurea STRUTTURE DI MERCATO E BENESSERE SOCIALE Relatore Ch. Prof. Federico Etro Laureando Silvia Griselda Matricola 832591 Anno Accademico 2012/2013
INTRODUZIONE ................................................................................................................... 3 COMPETIZIONE E DIVERSE STRUTTURE DI MERCATO ............................................................ 5 COMPETIZIONE CON BENI OMOGENEI E COSTI MARGINALI COSTANTI ................................... 5 Il modello di Cournot..................................................................................................................... 6 Il modello di Cournot con entrata endogena ................................................................................ 7 Il modello di Stackelberg ............................................................................................................... 7 Il modello di Stackelberg con entrata endogena .......................................................................... 9 COMPETIZIONE CON FUNZIONE DI COSTO DI “FORMA AD U”............................................... 12 Il modello di Cournot................................................................................................................... 13 Il modello di Stackelberg ............................................................................................................. 14 Il modello di Stackelberg con entrata endogena ........................................................................ 15 COMPETIZIONE CON PRODUZIONE DIFFERENZIATA ............................................................ 18 Il modello di Cournot................................................................................................................... 19 Il modello di Stackelberg ............................................................................................................. 20 Il modello di Stackelberg con entrata endogena ........................................................................ 21 LIBERA ENTRATA E INEFFICIENZA SOCIALE .......................................................................... 23 IL MODELLO DI MERCATO CON BENI OMOGENEI ................................................................. 24 ESEMPIO 1: L’ENTRATA INEFFICIENTE NEL CONTESTO DI COURNOT. ........................................................ 30 ESEMPIO 2: LA COSTITUZIONE DI UN CARTELLO ................................................................................... 33 PRODUZIONE DIVERSIFICATA ............................................................................................. 38 COSTI DI ATTIVAZIONE BASSI E REGOLAMENTAZIONE ALL’ENTRATA. ................................... 41 CONCLUSIONE ................................................................................................................... 45 COMPETIZIONE MONOPOLISTICA E PRODUZIONE DIVERSIFICATA OTTIMA ......................... 46 IL MODELLO....................................................................................................................... 46 CASO CON ELASTICITA’ COSTANTE ...................................................................................... 47 L’EQUILIBRIO DI MERCATO ................................................................................................................. 51 OTTIMO VINCOLATO ......................................................................................................................... 53 OTTIMO NON VINCOLATO .................................................................................................................. 54 COMPETIZIONE MONOPOLISTICA: L’APPROCCIO DUALE DI BERTOLETTI-ETRO ..................... 57 CONCLUSIONE ................................................................................................................... 62 BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................... 64 2
INTRODUZIONE L’idea che una maggior concorrenza aumenti sempre e comunque l’efficienza economica, e sia, per questo, sempre socialmente desiderabile, è un idea che ha pervaso per molti anni la letteratura economica. Questa concezione si basava sull’idea che al crescere del numero di imprese operanti nel mercato ci si avvicinasse ad una situazione di concorrenza perfetta, dove si realizzasse l’allocazione ottima delle risorse date e si raggiungesse il benessere sociale massimo. Il paradigma della concorrenza perfetta, infatti, richiede che vi sia un numero elevato di operatori nel mercato, ognuno dei quali offre una quota talmente irrisoria del bene, da non riuscire a influenzare il livello dei prezzi variando la quantità offerta. Già con il modello di Cournot (1838) si comprende come un aumento del numero di imprese nel mercato comporti una maggior concorrenza e porti ad un risultato in cui nessuna impresa è in grado di influenzare il prezzo di mercato. Al momento però la teoria economica non sembra essere in grado di dimostrare che l’entrata di nuove imprese sia sempre benefica. Al contrario, studi recenti hanno dimostrato come la concorrenza e quindi la libera entrata, possa risultare anche economicamente e socialmente eccessiva: pionieri di questi studi sono senza dubbio N. Gregory Mankiw e Michael D. Whinston, che scrissero nel 1986 un articolo intitolato “Free entry and social inefficiency”. In questo contributo si dimostra, sotto condizioni abbastanza generali, come l’esternalità negativa che provoca l’entrata di una nuova impresa nel mercato, la quale si appropria di parte delle vendite delle imprese già esistenti (“business-stealing effect” o effetto di furto di vendite), supera l’esternalità positiva che i consumatori ricevono da un prezzo di mercato inferiore. La risposta alla domanda se una maggior concorrenza abbia o meno effetti positivi sull’efficienza economica nel suo complesso è una domanda fondamentale per impostare correttamente politiche a tutela della concorrenza. Qualora si riconoscesse il fatto che un maggior livello di concorrenza sia sempre economicamente e socialmente desiderabile, allora il processo competitivo dovrebbe essere sempre salvaguardato a priori e tutti quei meccanismi che ostacolano il suo pieno operare (come le barriere strategiche all’entrata) sarebbero da perseguire a priori. In caso contrario, cioè qualora si riconosca come una più significativa concorrenza non porti necessariamente un maggior livello di benessere sociale, si dovrebbe esaminare come impostare le politiche antitrust: è essenziale interrogarsi se esse debbano salvaguardare la concorrenza come bene comune, o piuttosto perseguire la massimizzazione del benessere economico e subordinare a questo obbiettivo la tutela della concorrenza. Il secondo filone di pensiero risulta senza dubbio il più accettato dagli economisti moderni: non spetta infatti alla politica della concorrenza massimizzare il numero di imprese nel mercato cercando di avvicinare qualsiasi contesto di mercato al paradigma della concorrenza perfetta. 3
In questo breve lavoro, in primo luogo analizzerò analiticamente i modelli classici della teoria industriale, illustrando il modello di Cournot-Nash sia con entrata esogena che con entrata endogena, passando poi ad analizzare più approfonditamente il contesto ideato da Stackelberg, concentrandomi sulle differenze che si verificano qualora l’entrata sia esogena o endogena. In secondo luogo tratterò in maniera approfondita il modello di Mankiw-Whinston (1986), analizzando il caso in cui le imprese commercializzano tutte lo stesso identico bene e confrontandolo con il caso in cui la produzione è diversificata. Successivamente analizzerò il modello di Dixit-Stiglitz (1977) della concorrenza monopolistica in un mercato con produzione diversificata ed economie di scala. Questo modello offre nuove spunti per affrontare la questione dell’ottimalità del processo di entrata. In ultima istanza affronterò due esempi presenti nel recente modello di Bertoletti-Etro (2013) che ridiscute la concorrenza monopolistica e la questione dell’ottimalità dell’entrata su diverse micro fondazioni rispetto al modello di Dixit-Stiglitz. 4
COMPETIZIONE E DIVERSE STRUTTURE DI MERCATO In questo capitolo prenderò in considerazione alcuni semplici modelli di competizione tra imprese, che stanno alla base delle teorie sull’oligopolio: dopo aver riassunto velocemente i modelli di Cournot con un numero di imprese dato in maniera esogena prima, e con entrata endogena successivamente, concentrerò la mia attenzione sul modello di Stackelberg con un numero di imprese dato, e successivamente sul medesimo modello considerando l’entrata endogena. Tutte queste strutture di mercato saranno analizzate prima nel caso di beni omogenei e funzione di produzione con costi marginali costanti, in secondo luogo con una funzione di costo di forma a U e infine, con beni differenziati. L’analisi segue Etro (2007, 2008). COMPETIZIONE CON BENI OMOGENEI E COSTI MARGINALI COSTANTI I modelli che considererò successivamente sono modelli in cui la quantità è la variabile strategica: le imprese decidono la quantità da produrre e il prezzo di mercato viene determinato di conseguenza. La scelta dell’utilizzare il prezzo o la quantità come variabile strategica non è superflua: nei settori dove le imprese stabiliscono i loro programmi di produzione molto prima di mettere in vendita i loro prodotti, come per le grandi industrie manifatturiere, è ragionevole ritenere che le imprese competano in termini di quantità. Al contrario in molte industrie di servizi, come banche e assicurazioni, dove non sono necessari ingenti investimenti in impianti produttivi, le imprese competono in termini di prezzo. Il primo modello a cui farò riferimento analizzerà un mercato in cui le imprese producono un singolo bene omogeneo attraverso una tecnologia produttiva che richiede costi fissi positivi uguali a F e costi marginali costanti pari a c. La funzione di domanda inversa è descritta dall’equazione dove 1, 2, …, n è la quantità prodotta da ogni impresa e n è il numero di imprese nel mercato. I profitti di ogni impresa sono pari alla differenza tra ricavi e costi di produzione, essi cioè sono pari a 5
Il modello di Cournot La prima tipologia di equilibrio che considero è quella conosciuta come oligopolio di Cournot, dal matematico francese Augustin Cournot, che nel 1838 la introdusse. In questo modello le imprese decidono quanto produrre simultaneamente e indipendentemente dalle altre imprese. Esse quindi, massimizzando il loro profitto e considerando la quantità delle altre imprese come data, si suddividono nelle medesime quote il mercato. Massimizzando il profitto di ogni impresa è possibile trovare la funzione di riposta ottima: date le quantità prodotte dalle altre imprese, l’impresa i-esima sceglierà di produrre Come è facile notare da questa funzione all’aumentare della quantità scelta dalle altre aziende, diminuisce la quantità ottima dell’impresa i, cioè, in termini economici, le strategie delle imprese sono sostituti strategici. Risolvendo il sistema per n imprese è possibile trovare la quantità di ciascuna impresa, pari a e il prezzo a cui ogni impresa vende il proprio prodotto, pari a Quest’ultimo diminuisce all’aumentare del numero di imprese, fino a convergere nel costo marginale per n molto grandi. Per quanto concerne il profitto di ogni impresa questo è pari a ed è anch’esso inversamente proporzionale al numero di imprese nel mercato. 6
Il modello di Cournot con entrata endogena La seconda tipologia di modello, analizza il numero di imprese in equilibrio in un contesto di mercato simile a quello descritto precedentemente: le imprese non hanno incentivo ad entrare nel mercato se i profitti che ottengono entrando sono negativi. È importante sottolineare che all’interno della funzione profitti sono inseriti come costi fissi, anche il costo opportunità di non competere in un altro mercato (oltre al costo opportunità dell’imprenditore). Questo modello è perciò suddiviso in due stadi: in primo luogo i potenziali entranti decidono se competere o meno nel mercato e in secondo luogo, le imprese che hanno stabilito di entrare nel mercato scelgono quanto produrre. Poiché nel mercato entrano imprese fintanto che esse non ottengono profitti negativi, per trovare il numero di imprese presenti è sufficiente porre la funzione di profitto pari a zero. Conoscendo quindi il numero di imprese è possibile trovare la quantità che produce ogni impresa la quantità totale prodotta nel mercato, pari a e il prezzo di mercato, pari a Il modello di Stackelberg Il terzo modello preso in considerazione è il modello di Stackelberg, che deve il suo nome all’economista tedesco che nel 1934 lo ideò. In questo paradigma vi è un’impresa, chiamata leader che può effettuare la propria scelta prima delle altre imprese, denominate followers. Quest’ultime, solo successivamente stabiliranno la quantità da produrre simultaneamente e conoscendo la scelta adottata dal leader. Per risolvere questo equilibrio è utile sottolineare come tutte le imprese del mercato si comportino in modo razionale: il leader, nell’effettuare la propria scelta, tiene in considerazione la risposta ottimale delle altre imprese. Analiticamente questo si 7
traduce nel determinare la risposta ottimale dei followers ipotizzando di conoscere la quantità del leader, e in secondo luogo ricavare la strategia di quest’ultimo conoscendo le risposte dei suoi rivali. Se il numero di imprese presenti nel mercato, compreso il leader, è pari a n la funzione di domanda inversa sarà pari a Di conseguenza la funzione di profitto di un generico follower i è pari a Ponendo la derivata prima del profitto (rispetto a qi ) pari a zero si ottiene Il modello ipotizza che i diversi followers scelgano le loro quantità simultaneamente e indipendentemente: essi competono tra loro alla Cournot. È utile quindi porre Sapendo la risposta ottima dei suoi concorrenti il leader massimizza la propria funzione di profitto: Conoscendo la quantità di produzione del leader è possibile a questo punto, ricavare la quantità prodotta da ogni follower: 8
Il prezzo di mercato è pari a e i profitti sono pari a Poiché n è sicuramente non inferiore a 1, in quanto rappresenta i numero di agenti nel mercato, i profitti dei followers sono inferiori a quelli del leader: il vantaggio di effettuare la prima mossa, quando gli attori del mercato competono sulle quantità, porta maggiori profitti all’impresa a cui spetta tale vantaggio. Il modello di Stackelberg con entrata endogena In ultima istanza analizziamo l’equilibrio di Stackelberg con entrata endogena. In questo contesto di mercato vi è un leader che sceglie per primo quale strategia attuare; in un secondo momento, dopo aver visto l’azione del leader i potenziali followers decidono se entrare o meno nel mercato. In terzo luogo, le imprese che hanno deciso di competere sul mercato stabiliscono la loro quantità ottimale. Questo contesto si differenzia dal precedente in quanto il leader, nel scegliere la propria strategia ottimale, deve valutare gli effetti del suo impegno non solo per quanto riguarda la strategia dei concorrenti, ma anche per quanto concerne la loro decisione di entrata. Il leader infatti è perfettamente a conoscenza che nessun follower ha incentivo ad entrare nel mercato dal momento in cui otterrebbe profitti negativi, cioè : il leader, producendo una determinata quantità, in grado di rendere i profitti dei followers nulli, è quindi in grado di compiere deterrenza all’entrata. Per determinare questa quantità analiticamente è sufficiente risolvere l’equazione Per risolvere invece il modello, in primo luogo stabiliamo il numero di imprese presenti nel mercato risolvendo l’equazione : 9
Il secondo obbiettivo che il modello si pone è quello di stabilire la quantità prodotta da ciascun followers, conoscendo il numero di essi disposti a competere nel mercato, pari a Questi risultati ci portano a concludere che la quantità prodotta da ogni follower, in un mercato con entrata endogena, è indipendente dalla quantità stabilità dal leader: quest’ultima variabile influisce unicamente sul numero di imprese partecipi (maggiore è il livello di produzione del leader, minore sarà il numero di entranti), ma non anche sulla loro produzione. È agevole a questo punto determinare prima la produzione totale, e in secondo luogo il prezzo a cui i beni vengono scambiati: Come ultimo passo, il leader, conoscendo il numero di agenti nel mercato e le loro strategie, compie la propria scelta, massimizzando la funzione di profitto. Quest’ultima è pari a qualora egli permetta l’entrata , al contrario pari a Quando l’impresa non compie deterrenza i profitti sono proporzionali alla propria quantità di produzione, sopra questo limite il loro livello aumenta, ma essi diventano inversamente proporzionali alla quantità che produce. (fig 1 ) Come è possibile notare dalla rappresentazione grafica, il leader massimizza il proprio profitto per una Figura 1 : la funzione profitto dell’impresa quantità esattamente pari a quella di leader nel mercato deterrenza, cioè 10
Di conseguenza l’equilibrio di questo modello è identificabile nella situazione in cui vi è un’impresa nel mercato che adotta una strategia tale da impedire l’entrata di altri concorrenti e vende il bene ad un prezzo pari a superiore a quello riscontrabile in presenza di altre imprese nel mercato. Questo modello pone in evidenza l’importanza dei costi fissi nella determinazione della struttura di mercato: qualora essi fossero pari a zero, il numero di imprese sarebbe indeterminato e il prezzo eguaglierebbe il costo marginale. La presenza di costi fissi, anche se modesta, porta il leader ad adottare una strategia di deterrenza all’entrata che determina una perdita di benessere dei consumatori dovuta ad un prezzo di vendita maggiore ( nel caso di deterrenza pari a c + mentre nel caso di libera entrata pari a c + , ed ad un livello di produzione inferiore (la quantità di deterrenza è pari a , inferiore alla quantità totale prodotta nel mercato nel caso non vi fosse deterrenza, pari a ). Ciò nonostante il benessere totale, calcolato come somma del benessere dei consumatori e quello dei produttori (quest’ultimo coincidente con i profitti), è maggiore nell’equilibrio di Stackelberg con entrata endogena, rispetto al caso di equilibrio di Cournot con entrata endogena. Il benessere totale infatti può essere calcolato come l’area del triangolo rappresentato in giallo nella figura 2, rappresentante il surplus dei consumatori, sommata ai profitti totali di mercato, che in questo caso coincidono con quelli del leader, in quanto solo lui compete nel Figura 2 mercato. Calcoliamo ora il benessere totale in equilibrio di Stackelberg con entrata endogena: Quindi 11
Al contempo il benessere totale in equilibrio di Cournot è pari a Quindi È essenziale sottolineare come i risultati del modello siano fortemente legati alle ipotesi di base: qualora vengano meno le ipotesi di funzione di costo lineare e beni omogenei la deterrenza non si configura in assoluto come strategia ottimale. Questi casi sono analizzati nelle pagine seguenti. COMPETIZIONE CON FUNZIONE DI COSTO DI “FORMA AD U” Le ipotesi di base del modello precedente presupponevano una funzione di costo lineare, raramente riscontrabile nella realtà. Grazie infatti ad economie di scala, nella maggior parte delle situazioni, la funzione di costo che le imprese si trovano a fronteggiare assume la tipica forma ad U, cioè all’aumentare della Figura 3 quantità i costi medi totali diminuiscono, per effetto dell’economie di scala, fino ad un certo livello, denominato scala efficiente di produzione, oltre il quale la richiesta di nuova capacità produttiva e di nuovi investimenti, comporta un aumento del costo medio. È possibile dimostrare che la funzione di costo marginale interseca la funzione di costo medio nel punto di minimo di quest’ultima, che coincide con la scala efficiente di produzione (figura 3). 12
Ipotizzando una funzione di costo del tipo , dove il d è un parametro indicante il grado di convessità della funzione di costo ed il denominatore è utile solo a rendere più scorrevoli i calcoli una volta effettuata la derivata, è possibile trovare la scala efficiente di produzione. Prendiamo ora in considerazione le diverse forme competitive analizzate in precedenza. Il modello di Cournot Per quanto riguarda l’equilibrio di Cournot, chiamato anche equilibrio di Nash, è sufficiente massimizzare la funzione di profitto per trovare le funzioni di risposta ottima delle singole imprese e quindi trovare la quantità che ognuna di esse adotta. Per quanto concerne l’equilibrio di Nash con entrata endogena, per trovare il numero di imprese presenti nel mercato è sufficiente rispettare la condizione per cui Per cui in equilibrio ogni impresa produce È immediato osservare che la quantità totale in equilibrio di Nash con entrata endogena è minore della scala efficiente di produzione. Questo risultato non sorprende: la presenza di costi fissi fa sì che per coprire gli oneri le imprese debbano 13
applicare un prezzo pari al costo medio e superiore al costo marginale, e questa situazione si ha solo per livelli di prodotto inferiori alla scala efficiente di produzione; solo per tali quantità la funzione di costo medio è maggiore della funzione di costo marginale. (figura 3). Il modello di Stackelberg Nell’ esaminare l’equilibrio di Stackelberg si procede ricavando innanzitutto la risposta ottima di ciascun follower: In secondo luogo si trova la quantità ottima che massimizza i profitti del leader: Da questi primi risultati si nota come, contrariamente al caso base, in un mercato in cui le imprese fronteggiano una curva di costo a “forma ad U”, il leader produce una quantità inferiore a quella del monopolista e la sua strategia ottimale è inversamente proporzionale al numero di imprese presenti nel mercato (nel caso in cui la funzione di costo era lineare la quantità non dipendeva dal numero di imprese presenti nel mercato). In altre parole la quantità ottima del leader diminuisce all’aumentare dei concorrenti nel mercato. Infine ricavo la quantità prodotta dai followers: 14
Il modello di Stackelberg con entrata endogena In riferimento all’equilibrio di Stackelberg con entrata endogena è opportuno ricavare in prima istanza la quantità totale immessa nel mercato e successivamente il prezzo di vendita: Conoscendo queste variabili è possibile risolvere la condizione che soddisfa l’equilibrio nell’entrata: Tale quantità è la medesima di quella riscontrabile nell’equilibrio di Nash con entrata endogena. Questa quantità viene prodotta solo se vi è almeno un follower che compete nel mercato, cioè analiticamente quando n 2, cioè 15
In altre parole, quando vi è solo un follower a competere nel mercato la produzione totale è pari a e il prezzo di mercato è pari a In questo equilibrio, come in quello corrispondente con costi marginali costanti, sia la quantità totale immessa nel mercato, sia il prezzo di equilibrio non dipendono dalla produzione del leader. Per comprendere che tipo di strategia adotta il leader di mercato analizziamo la funzione di profitto che esso si trova a fronteggiare: Per studiare la forma di quest’equazione operiamo la derivata seconda rispetto e notiamo che è pari a – : poiché essa è minore di zero la funzione profitto è una funzione concava. Per livelli di significativi, il leader permette alle altre imprese di entrare nel mercato producendo la quantità che massimizza i propri profitti pari a: maggiore della quantità ottima di ciascun follower. Il leader in questo caso, anche qualora applichi un prezzo pari al costo marginale, ottiene profitti positivi: la funzione di costo marginale per la sua quantità ottimale è superiore alla funzione di costo medio nello steso punto. Poiché questa situazione si ha solo dal momento in cui i costi medi totali sono crescenti, la quantità ottima per il leader non può non Figura 4 16
essere superiore alla scala efficiente di produzione. Il leader, inoltre, produce in ogni caso una quantità maggiore di quella dei followers. Mentre quest’ultimi producono una quantità inferiore alla scala efficiente di produzione, il leader, produce una quantità superiore a questo livello. La libera entrata nel mercato comporta che il prezzo al quale le imprese vendono il loro prodotto sia pari al costo medio. Se fosse maggiore altre imprese otterrebbero profitti e entrerebbero nel mercato, comportando nel lungo periodo l’uguaglianza sopra citata; se fosse minore esse otterrebbero profitti negativi e quindi uscirebbero dal mercato. Poiché solo per livelli di produzioni inferiori alla scala efficiente di produzione i costi medi sono superiori ai costi marginali, i followers stabiliranno di produrre una quantità pari a questi livelli. Per quanto concerne la condizione del leader, il prezzo di mercato che si trova ad affrontare, è determinato dalla condizione di entrata endogena nel mercato. Il leader non può far altro che trovare una quantità, tale per cui i ricavi marginali siano almeno pari ai costi marginali. Esso deve quindi, per ottenere profitti positivi stabilire un livello di produzione maggiore della scala efficiente, in cui i costi marginali, e quindi il prezzo di vendita, è maggiore ai costi medi. Come ultimo passaggio trovo il numero di imprese in equilibrio: È importante notare che la quantità totale e il prezzo di mercato sono pari a quelli ricavati nell’equilibrio di Nash con entrata endogena: il surplus dei consumatori non cambia, mentre quello dei produttori è maggiore nell’equilibrio di Stackelberg dove il leader ottiene profitti positivi. Dopo questa parte molto tecnica è utile riassumere le diverse strutture di mercato che si vengono a delineare qualora le imprese fronteggino una funzione di costo lineare, o al contrario, adottino una tecnologia la cui funzione di costo ha forma ad U. Per quando riguarda l’equilibrio di Nash il comportamento delle imprese non cambia in maniera considerevole; per quanto concerne l’equilibrio di Stackelberg con entrata endogena le differenze sono notevoli. 17
Nel primo caso il leader compiva deterrenza all’entrata: esso era l’unica impresa a competere e il benessere totale era maggiore in questo caso, rispetto al caso in cui vi fossero più imprese a competere alla Cournot. In quest’ultimo caso infatti il surplus del consumatore sarebbe stato maggiore, in quanto la quantità totale sarebbe stata maggiore e il prezzo di vendita minore, ma le imprese ottenevano profitti nulli. La presenza di una sola impresa, il leader, il quale non permette l’entrata di ulteriori concorrenti, porta ad una quantità totale immessa nel mercato inferiore, ma ad un profitto positivo del leader. Pertanto il benessere totale, inteso come somma del benessere del consumatore e quello dei produttori, coincidente con i loro profitti, è maggiore nel secondo caso rispetto al primo. COMPETIZIONE CON PRODUZIONE DIFFERENZIATA Dopo aver eliminato le ipotesi poco realistiche riguardo alla funzione di costo, passiamo ora ad eliminare l’ipotesi di produzione omogenea. Nei seguenti modelli le imprese non commercializzano più il medesimo bene, ma immettono nel mercato beni differenti e tra loro non perfettamente sostituibili. Nei modelli che seguono, ad ogni modo, si manterranno le ipotesi di costi marginali costanti e competizione sulla quantità. La funzione di domanda inversa, quando vi è produzione differenziata è pari a dove rappresenta il coefficiente di sostituibilità tra i beni. Livelli di prossimi ad 0 indicano che i beni sono poco sostituibili, e nel caso limite con i beni sono completamente indipendenti e l’impresa che lo produce agisce da monopolista. Al contrario, livelli di prossimi a 1 indicano una maggior sostituibilità tra i beni, con il caso limite di , che si verifica quando i beni sono perfettamente sostituibili, cioè quando vi è produzione omogenea. In tale contesto, la funzione di profitto che ogni impresa si trova a fronteggiare è pari a 18
Il modello di Cournot Per risolvere il modello di Cournot, quando vi è produzione differenziata nel mercato, si procede con il medesimo meccanismo utilizzato precedentemente: vengono massimizzati i profitti di ciascuna impresa sapendo che le imprese si ripartiscono il mercato in quote uguali. Per trovare il numero di imprese che entrano nel mercato quando vi è entrata endogena applico la condizione di profitti nulli: È immediato osservare, da quest’ultimo risultato come il parametro b influisca sul numero di imprese presenti nel mercato. Se i beni sono molto diversificati, cioè b è vicino allo zero, il numero di imprese presenti nel mercato aumenta. Se, al contrario, i beni sono omogenei, cioè b è vicino a 1 il numero di imprese diminuisce, in quanto la concorrenza diventa più sentita quando i beni sono maggiormente sostituibili, fino ad eguagliare i risultati del modello di Cournot con entrata endogena, nel caso in cui b=1. Troviamo infine la quantità prodotta da ciascuna impresa sapendo che 19
Dallo studio di questo modello si comprende come nonostante le imprese commercializzino beni differenziati, la loro produzione è la medesima di quella che venderebbero se la produzione fosse omogenea, e non dipende dal numero di imprese che competono nel mercato, ma solo dai costi fissi. Il modello di Stackelberg Per analizzare il modello di Stackelberg con produzione differenziata procedo a ritroso trovando, prima di tutto, la quantità ottima di ciascun follower, data la quantità del leader. Conoscendo la strategia dei followers il leader massimizza il proprio profitto: E la quantità di ciascun follower 20
Il modello di Stackelberg con entrata endogena Considerando l’equilibrio di Stackelberg con entrata endogena, purché la sostituibilità tra i beni sia abbastanza limitata, cioè b prossimo a zero, il leader non compie deterrenza all’entrata (come nel caso di produzione omogenea) e gli entranti producono: Applicando la condizione tale per cui i followers ottengono profitti nulli si ottiene il numero di imprese nel mercato: La produzione di ciascun follower è È sorprendente il risultato di questo modello: anche con produzione differenziata, quando vi è un leader di mercato, i concorrenti producono una quantità indipendente da quella di quest’ultimo e pari a quella che produrrebbero in una struttura di mercato in cui tutte le imprese hanno le medesime quote di mercato e non vi è un leader. La produzione del leader quando vi è entrata endogena è pari E il numero di imprese nel mercato è pari a È importante notare che i risultati di questo modello ci suggeriscono come il leader di mercato offra il suo bene ad un prezzo inferiore a quello dei suoi concorrenti. Nello specifico: 21
Concludendo il leader, quando vi è produzione differenziata, produce una quantità sempre superiore a quella di ciascun follower e la commercializza ad un prezzo inferiore. 22
LIBERA ENTRATA E INEFFICIENZA SOCIALE Nel corso della letteratura economica si è spesso considerata la libera entrata nel mercato una condizione profondamente desiderabile per il benessere sociale. Recenti studi hanno cercato di confutare questa tesi: Spence 1 prima, e successivamente Dixit e Stiglitz hanno analizzato un mercato monopolistico arrivando a dimostrare che il meccanismo della libera entrata porta ad un numero di imprese nel mercato superiore a quello che massimizzerebbe il benessere sociale. Seguendo le orme di Von Weizsacker (1980) e Perry (1984), che evidenziarono la tendenza verso un entrata eccessiva nei mercati caratterizzati da produzione omogenea e in presenza di costi fissi, gli autori dell’articolo, N. Mankiw e Whinston, cercano di delineare le condizioni per le quali un entrata può risultare eccessiva, insufficiente o ottimale rispetto al benessere sociale. Per compiere il loro obbiettivo gli autori confrontano il numero di imprese che entrano nel mercato quando vi è libera entrata con il numero di imprese che stabilirebbe un pianificatore sociale, o meglio un autorità, per massimizzare il benessere totale. È importante sottolineare come quest’ultima non sia in grado di influenzare il comportamento delle imprese una volta che competono nel mercato. Questa considerazione porta a trattare il comportamento strategico delle imprese come dato e a presuppone una concorrenza imperfetta nel mercato. È proprio una competizione imperfetta, attuata dalle imprese una volta che esse sono entrate nel mercato, una delle due forze che gli autori identificano come fondamentale per comprendere l’efficienza a livello sociale dell’entrata. La seconda forza che influenza l’efficacia dell’entrata a livello sociale è il cosiddetto “business- stealing effect” (letteralmente effetto di furto di attività o vendite), che si verifica allorché i comportamenti delle imprese siano sostituti strategici. In altre parole questo tipo di effetto si configura qualora l’entrata di una nuova impresa diminuisca la quantità prodotta dalle altre imprese già operanti nel mercato, comportando un aumento dei costi medi che le imprese stesse si trovano a fronteggiare. Questo tipo di effetto si verifica anche nel modello di oligopolio alla Cournot, analizzato precedentemente dove la quantità ottimale di una singola impresa è inversamente proporzionale al numero di imprese che entrano nel mercato, oltre che in molti altri mercati. Nella prima parte dell’articolo gli autori analizzano un mercato caratterizzato da produzione omogenea: essi dimostrano che se esiste concorrenza imperfetta (cioè le imprese non agiscono come price-takers e di conseguenza il prezzo eccede il costo 1 Spence (1976a) 23
marginale) ed è presente l’effetto di furto di vendite, allora il mercato sarà caratterizzato da un numero di imprese superiore a quello ottimale per il benessere sociale. Questo risultato è dovuto alla divergenza tra le valutazioni di un ulteriore entrante, che competendo nel mercato otterrà profitti positivi, in quanto il prezzo è superiore al costo marginale, e quelle di un’autorità interessata alla massimizzazione del benessere sociale. Successivamente, nell’articolo, viene analizzato un esempio in cui la divergenza tra il numero ottimale e il numero che si configura con la libera entrata è ampia. In secondo luogo gli autori riprendono la dimostrazione effettuata in precedenza considerando ora il vincolo sul numero intero di imprese. Con questa nuova ipotesi essi dimostrano che il numero di imprese con libera entrata può essere inferiore al numero che massimizza il benessere sociale, ma mai per più di un’unità. Infine gli autori esaminano l’efficacia dell’entrata rispetto al benessere sociale in contesti di mercato con produzione differenziata. In questo contesto non si è in grado di delineare in maniera univoca se l’entrata sia o meno eccessiva: vi sono infatti due diverse forze che spingono in direzione opposte. La prima di queste è l’effetto di furto delle vendite, che tende a ridurre il surplus totale all’entrata di nuove imprese nel mercato, il secondo è rappresentato dalla diversificazione di prodotti, che aumenta con l’aumentare del numero di imprese. In conclusione, gli autori con questo lavoro arrivano a sostenere che in quei mercati in cui le imprese devono sostenere costi fissi di attivazione e con beni omogenei e in numerosi mercati con beni differenziati la regolamentazione all’entrata diviene desiderabile; al contrario, diventa poco auspicabile qualora i costi fissi di attivazioni siano esigui e approssimativamente pari a zero. IL MODELLO DI MERCATO CON BENI OMOGENEI Il modello che gli autori delineano per confrontare il numero che si configura da un mercato sottoposto a libera entrata e il numero ottimale per il benessere sociale, è composto da due stadi: nel primo stadio vi è un numero potenzialmente infinito di eventuali entranti, tra loro identici, i quali devono compiere una decisione sull’entrata o meno nel mercato. Qualora un’impresa decida di entrare essa dovrà sostenere un costo fisso di attivazione chiamato F. Nel secondo stadio le imprese che hanno deciso di competere nel mercato producono il bene, agendo in maniera oligopolista. Ogni impresa possiede una tecnologia con una funzione di costo c (q) passante per l’origine (c(0)=0) , continua e crescente ( c’(q) 0). Definiamo inoltre qN la quantità di equilibrio per ciascuna impresa e N il livello di profitti, quando N imprese entrano nel mercato. Chiamiamo Ne il numero di imprese che si viene a delineare in un mercato di libera entrata. Affinché Ne rappresenti effettivamente questa condizione è necessario che 24
nessuna impresa nel mercato sia incentivata ad uscire a causa del conseguimento di profitti negativi, e al contempo, che nessuna impresa che aveva precedentemente stabilito di non competere nel mercato sia incentivata ad entrare ottenendo profitti positivi. Analiticamente queste due condizioni si risolvono rispettivamente con le disuguaglianze: 0 0 La funzione di domanda inversa P(Q), dove Q è la quantità totale immessa nel mercato, è delineata da una funzione decrescente ( P’(Q) < 0 ). I profitti di un ipotetica impresa, supponendo N imprese nel mercato, sono pari alla differenza tra i ricavi, cioè la quantità venduta per il prezzo di vendita, meno i costi, delineati dalla funzione di costo: N = P (N qN) qN – c(qN) – F Per quanto concerne l’autorità in grado di stabilire il numero di imprese che massimizza il benessere sociale è importante sottolineare che essa non è in grado di controllare il comportamento delle imprese nel secondo stadio; in altre parole essa non può assicurare che esse si comportino come price-takers. Questo significa che le imprese si comporteranno in maniera oligopolista stabilendo un prezzo superiore al costo marginale. Esse infatti, consapevoli che qualora fissassero un prezzo inferiore si aggiudicherebbero il mercato, ma sarebbero soggette alla rivendicazione delle altre imprese, non distribuiscono il prodotto al costo marginale. Definiamo N* il numero di imprese socialmente ottimo che massimizza il benessere sociale, cioè: max W(N) = dove W(N) è il benessere totale, composto dal surplus dei consumatori e quello dei produttori, pari ai loro profitti, quando N imprese competono nel mercato. All’area sottostante la curva di domanda inversa, pari a vengono sottratte le funzioni di costo di ogni impresa, . L’obbiettivo degli autori è quello di delineare la relazione tra Ne e N* che soddisfi le seguenti tre ipotesi: 1. NqN > per ogni N > e ; 2. qN per ogni N > 3. P(NqN) – c’(qN) per ogni N La prima ipotesi indica che la quantità totale è proporzionale al numero di imprese nel mercato, e cresce fino a raggiungere il limite superiore chiamato M. 25
Quest’assunzione garantisce che in equilibrio il numero di imprese presenti nel mercato Ne sia ben definito. Per quanto concerne la seconda ipotesi essa indica che al crescere del numero di imprese diminuisce la quantità che ognuna di esse immette nel mercato; quest’ipotesi riguarda in sostanza il “business-stealing effect”. La terza ipotesi garantisce che per qualsiasi numero di entranti, il prezzo di equilibrio non sia inferiore al costo marginale. In caso contrario vi sarebbero entranti che otterrebbero perdite. Una volta definite le ipotesi del modello, è possibile procedere nel trovare i due livelli di N. Il numero di imprese in equilibrio di libera entrata Ne deve soddisfare la condizione di profitti nulli: in altre parole entrano imprese nel mercato fintanto che esse realizzano profitti positivi, e non entrano ulteriori imprese qualora esse ottengano profitti negativi. Per questa ragione: =0 Il numero di imprese socialmente ottimale N* dev’essere tale da massimizzare il benessere totale. Risolvendo le condizioni del primo ordine: W’(N*) = 0 Viene ipotizzato che qN sia una funzione differenziabile in N. Gli autori del modello vogliono dimostrare che se le ipotesi sopra indicate sono valide, allora qualora si ignori il vincolo sul numero intero di imprese, il numero di agenti che entrano nel mercato in equilibrio di libera entrata non è minore del numero che massimizza il benessere sociale. Analiticamente questo si risolve in Ne N* Per quanto concerne la disuguaglianza posta in essere nella terza ipotesi, se essa è strettamente verificata, cioè se il prezzo di mercato è strettamente superiore al costo marginale (P(NqN) – c’(qN) per ogni N), allora il numero di imprese in equilibrio di libera entrata è strettamente superiore al numero di imprese ottimale a livello sociale: Ne N*. 26
Per dimostrare il teorema sopra definito gli autori iniziano ricavando il numero di imprese che massimizza il benessere sociale. Per le condizioni del primo ordine si procede differenziando la funzione W(N) rispetto a N: W’(N) = P(NqN) 2 W’(N) = P(NqN) Riordinando i termini W’(N) = + P(NqN) I primi tre termini dell’equazione formano il profitto di equilibrio di un impresa quando vi sono N imprese nel mercato. Quindi l’equazione risulta: W’(N) = N + . (1) Se le ipotesi del modello sono verificate allora il secondo termine a destra dell’uguale è non positivo, e risulta strettamente negativo quando l’ipotesi 3 è strettamente verificata. Questo è dovuto al fatto che il termine all’interno della parentesi quadrata è positivo per la terza ipotesi, ed è moltiplicato per la derivata della quantità individuale rispetto ad N che è sempre negativa: all’aumentare del numero di imprese nel mercato la quantità ottimale di ciascuna impresa diminuisce. Questo risultato porta ad affermare che W’(N) N e che >0 È utile a questo punto dimostrare che i profitti di un’impresa sono inversamente proporzionali ad N. Questo implica che se = 0, per la condizione di profitti nulli, e se e > 0, allora N N*. In altri termini se i profitti che ottiene ciascuna impresa in equilibrio di mercato sono inferiori a quelli che otterrebbe in un mercato regolamentato per massimizzare il benessere sociale, allora il numero di imprese che massimizza il benessere sociale è inferiore a quello di equilibrio, se vale la relazione inversa tra profitti di un’impresa e numero di imprese nel mercato. Per dimostrare ciò è sufficiente analizzare la derivata prima del profitto rispetto N: 3 = 2 La derivata di P (N qN) qN si trova svolgendo la derivata di una funzione e la derivata del prodotto: la derivata della funzione è pari a N P(N qN) + P(N qN) qN. La derivata di Nc(qN) si svolge compiendo la derivata di un prodotto, quindi : c(q N) + N’c(qN) . Infine la derivata di N F rispetto a N è semplicemente F. 27
Questa derivata è senza dubbio negativa in quanto il termine all’interno della parentesi quadra è positivo per l’ipotesi 3, e viene moltiplicato per un numero sicuramente negativo: la derivata prima della quantità rispetto a N, come più volte ripetuto è negativa. Il secondo termine è composto da che è sicuramente positivo, in quanto indica una quantità, da che è negativa in quanto il prezzo di mercato decresce all’aumentare della quantità di prodotto immessa nel mercato (la funzione di domanda inversa è supposta decrescente), e infine da , che rappresenta la derivata dell’output totale al variare del numero di imprese, ed è positiva in quanto l’ipotesi 1 afferma che all’aumentare del numero di imprese presenti nel mercato la quantità totale cresce fino a raggiungere il limite massimo M. Per riassumere il secondo termine è inequivocabilmente negativo in quanto prodotto di due fattori positivi e uno negativo. Poiché la somma di due numeri negativi non può che essere un numero negativo si può concludere che la derivata prima del profitto rispetto a N è negativa: all’aumentare del numero di imprese operanti nel mercato, i profitti che ciascuna di esse guadagna decrescono. Questo risultato risulta intuitivo in quanto all’aumentare del numero di imprese entranti la quantità ottimale di ciascun agente diminuisce; in aggiunta esso vende il suo prodotto ad un prezzo inferiore (una maggior quantità immessa nel mercato porta alla riduzione del prezzo di vendita). Al contempo i costi fissi che l’azienda deve affrontare rimangono costanti, facendo diminuire il livello di profitto. Dimostrato questo è possibile affermare con chiarezza che se = e 0e > 0 allora N N*. Figura 5 3 È utile ricordare che la funzione di profitto è pari a N = P (N qN) qN – c(qN) – F. Per calcolarne la derivata rispetto a N, è sufficiente compiere la derivata del prodotto P (N qN) qN a cui verrà sottratto la derivata della funzione composta c(qN). La derivata del primo termine è pari a P’(N qN) qN + P (N qN) , mentre la derivata del secondo termine è c’(qN) 28
Per chiarire meglio i risultati ottenuti e darne una spiegazione economica gli autori concludono questa breve dimostrazione analizzando l’equazione (1). Il cambiamento del benessere sociale provocato da un ulteriore entrante è formato da due componenti. Il primo riguarda il contributo del nuovo entrante ai profitti totali di mercato: competendo nel mercato e ottenendo un profitto non nullo, o comunque non negativo, la nuova impresa aggiunge ai profitti di mercato la sua quota di profitto. Il secondo effetto riguarda la contrazione del livello di produzione delle imprese già presenti nel mercato, pari a . Una riduzione del livello di produzione delle imprese comporta anche una riduzione dei profitti di quest’ultime e una riduzione del surplus totale pari a . Questa situazione, secondo il parere degli autori è dovuta essenzialmente all’effetto di furto di vendite: quest’ultimo, infatti, crea un divario tra la valutazione di un entrante marginale, che suggerisce di accedere al mercato, e la valutazione di una qualche autorità preposta all’ottimizzazione del surplus totale del settore che comprende come un’ulteriore concorrente possa ridurre il benessere sociale. Solo qualora l’entrante non provocasse un cambiamento del livello di produzione , cioè nel caso non fosse presente il “business-stealing effect”, le due valutazioni coinciderebbero. Nondimeno il minor surplus è causato dalla presenza di costi fissi di attivazione che provocano un innalzamento dei costi medi di produzione per livelli inferiori di output. Qualora i costi di attivazione venissero a mancare un ulteriore entrata diminuirebbe in ogni modo il profitto individuale di ciascuna azienda, arrivando ad una situazione in cui le imprese ottengono profitti nulli, ma questa diminuzione sarebbe più che compensata dal maggior surplus dei consumatori che si troverebbero ad acquistare il bene al costo marginale. In questa situazione ideale le imprese non si devono preoccupare di quale sia il livello della scala efficiente di produzione, in quanto la mancanza di costi fissi determina una funzione di costo lineare. Quindi se le imprese agissero come price-takers allora il numero di imprese in equilibrio di libera entrata sarebbe esattamente pari al numero di imprese efficiente, nonostante la presenza dell’effetto di furto di vendite. La ragione di ciò è dovuta al fatto che la riduzione delle quantità delle imprese provocata da un ulteriore entrante non ha più alcun valore sociale. Gli autori sintetizzano quest’ultime considerazioni nel corollario 1. COROLLARIO 1: Supponendo che le prime due ipotesi siano verificate e che P(NqN) – c’(qN) = 0 per ogni N, allora, ignorando il vincolo numerico sul numero di imprese, il livello di imprese in libera entrata è esattamente uguale al livello di imprese socialmente efficiente (N e = N*). 29
ESEMPIO 1: l’entrata inefficiente nel contesto di Cournot. In quest’analisi gli autori forniscono un chiaro esempio di quanto la differenza tra il numero di imprese che si configura in equilibrio di mercato e il numero di imprese socialmente ottimale possa risultare altamente significativa. Per far ciò i due economisti considerano una struttura di mercato lineare nella quale le imprese, nel periodo di produzione, si comportano come oligopolisti alla Cournot. Analiticamente, supponendo una funzione di domanda inversa data da P(Q) = a- bQ e una funzione di costo lineare pari a c(q) = cq – F, è agevole determinare la quantità di equilibrio con la stessa metodologia adottata nei capitoli precedenti per risolvere l’equilibrio di Nash-Cournot. πi = P(Q) ∙ q – c(q) - F = (a – bqN-1 – bqN – c) qi π’i = a – bqn-1 – 2bqN – c = 0 qi = (a – bqN-1 – c)/ 2b. So che qN-1 = (n – 1) qN, di conseguenza 2bqi = a – b(n – 1) qN – c qN = Conoscendo la quantità ottima di ciascuna impresa è possibile trovare il numero di imprese in equilibrio di libera entrata, Ne, che soddisfa la condizione di profitti nulli. Troviamo innanzitutto il prezzo di mercato: e infine poniamo i profitti individuali pari a zero: Possiamo a questo punto trovare il numero socialmente ottimo di imprese, N*, che massimizza il benessere totale: W’ = 0 30
Sapendo che: ; ; ; allora: Considerando quindi le due equazioni trovate, per Ne e per N* è facile dimostrare che e quindi N*< Ne. Gli autori hanno in questo caso hanno dimostrato che in un mercato lineare come quello sopra descritto il numero di imprese socialmente ottimale è minore di quello che si configura con la libera entrata nel mercato. Per quanto concerne l’intento degli autori di dimostrare, con questo esempio, che la differenza tra il livello socialmente ottimale e quello che si configura liberamente può diventare molto significativa, esso è attuato analizzando alcuni esempi. Essi infatti affermano che quando il numero delle imprese socialmente ottimale è pari a 3, il numero di imprese che entra nel mercato quando non vi sono barriere all’entrata è pari a 7. Al contempo, quando il numero delle imprese che massimizza il surplus totale è pari a 6 o 9, allora il livello di imprese che competono è pari, rispettivamente a 13 e 26. La differenza tra Ne e N* , relativamente agli esempi portati dagli autori, è proporzionale al numero di imprese socialmente ottimale. Per dimostrare l’affermazione sopra menzionata poniamo N* pari ad un livello, e troviamo il corrispondente livello Ne come segue: 31
Ipotizzando N* compreso tra [1;100] e trovando i valori di N e corrispondenti è possibile tracciare un grafico (figura 6) in cui nell’asse orizzontale è posto il livello di imprese socialmente ottimale, mentre nell’asse verticale il pregiudizio, dato dalla differenza tra il numero di imprese che entrano nel mercato e quello ottimo a livello sociale, dovuto alla libera entrata. Entry Bias 1000 900 differenza tra i due livelli di entrata 800 700 600 500 400 300 200 100 0 0 20 40 N* 60 80 100 120 Figura 6 È chiaro dal grafico che, come prima accennato, la differenza tra i due livelli di entrata diventa tanto più significativa quanto maggiore è il numero di imprese ottimale. Chiaramente, benché il pregiudizio dovuto ad un’entrata eccessiva in un mercato con libera entrata possa essere molto elevato, non è corretto considerare la differenza tra il numero di imprese in equilibrio e quello che massimizza il surplus una misura corretta e univoca della perdita di benessere. 32
Gli autori infatti fanno notare come nel contesto sopra descritto la diminuzione di benessere dovuta alla libera entrata sia inversamente proporzionale al numero di imprese socialmente ottimale. In altre parole quando il numero di imprese che massimizza il benessere sociale aumenta, il decremento di surplus totale dovuto ad un’entrata non regolamentata diminuisce. Infatti calcolando il benessere come superficie totale presente tra la curva di domanda e la curva di costo marginale, la perdita di benessere nei tre casi precedenti è rispettivamente 7.87%, 5.20% e 3.80%. Concludendo l’analisi di questo contesto di mercato, dove gli autori evidenziano come la perdita di benessere possa essere non trascurabile, essi formulano delle possibili azioni di governo. Essi ritengono che una qualche autorità potrebbe ottenere un miglioramento del benessere aumentando i costi che le imprese private si trovano a fronteggiare qualora entrino nel mercato. Uno strumento di questo tipo è sicuramente una tassa all’entrata (identificabile come una quota di licenza). È chiaro quindi che i due economisti suggeriscono l’istituzione di una barriera all’entrata che ha l’effetto di restringere la concorrenza, ma aumentare il benessere sociale. A questa tesi gli autori aggiungono la considerazione che la rimozione di eventuali restrizioni artificiali del mercato possa provocare una perdita di benessere. Il filone di pensiero a cui i gli autori del modello si aggrappano è sicuramente quello di non considerare la concorrenza come una sorta di bene pubblico da difendere a priori, ma subordinare gli interventi del governo ad analisi approfondite del contesto specifico in cui ci si trova ed avere come unico obbiettivo la massimizzazione del benessere sociale, anche a scapito della libera concorrenza. ESEMPIO 2: la costituzione di un cartello L’intento degli autori in questa parte è quello di dimostrare che i loro risultati non dipendono dall’assunzione che le imprese si comportino in modo non cooperativo. Per far ciò essi ipotizzano la costituzione di un accordo collusivo tra imprese. Gli accordi collusivi sono da sempre lo strumento più semplice che le imprese possono utilizzare per distorcere il gioco concorrenziale. Essi possono assumere la forma di accordi sui prezzi di vendita, sulla spartizione della produzione o divisione geografica del mercato. Queste pratiche consentono alle imprese di esercitare un potere di mercato simile a quello di un monopolista e ridurre quindi il benessere dei consumatori (per questo motivo la lotta ai cartelli rappresenta una delle aree di maggior impegno delle autorità antitrust). Supponendo che nel mercato lineare descritto nell’esempio 1 le imprese che entrano nel mercato nel secondo stadio si comportino formando un cartello, è facile dimostrare che in tal caso esse massimizzano la quantità totale immessa nel mercato, come se si comportassero da monopolista per poi suddividersi in quote uguali tale quantità. 33
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