Proiezioni ortogonali - Definizione - Amazon S3
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Proiezioni ortogonali Definizione Il metodo delle proiezioni ortogonali o di Monge risolve il problema di rappresentare con esattezza sullo spazio bidimensionale del foglio gli oggetti tridimensionali. Il lungo percorso storico di matematizzazione delle tecniche grafiche costruttive, le ha associate al disegno in pianta, sezione e prospetto, cioè alle forme fondamentali per la redazione grafica del progetto di architettura. Fondamenti geometrici Il metodo delle proiezioni ortogonali richiede che gli oggetti da rappresentare siano riferiti a due piani, tra loro perpendicolari, detti piani di riferimento. Su questi piani si costruiranno le “proiezioni ortogonali” dell’oggetto e pertanto sono chiamati piani di proiezione. L’oggetto può trovarsi in qualsiasi posizione rispetto ai piani di riferimento e comunque sarà sempre possibile risalire dalla rappresentazione all’oggetto stesso, collocato nello spazio. Alcune posizioni particolari possono rendere più veloci le operazioni da effettuare e, di conseguenza, più chiara l’immagine mentale dell’intero processo, così solitamente il primo piano di proiezione è assunto come piano orizzontale e il secondo piano quale piano verticale. Scelta la posizione di piani di riferimento, per ottenere una rappresentazione con questo metodo, è necessario effettuare operazioni di proiezione e sezione. A questo scopo, individuati due centri di proiezione impropri, ovvero le due direzioni S1∞ e S2∞ normali ai due piani, si costruiscono due fasci di rette paralleli per i punti del corpo e si sezionano quindi con i piani stessi. Nello spazio bidimensionale del foglio di carta, le operazioni
appena descritte corrispondono al ribaltamento del secondo piano di proiezione sul primo, effettuando la rotazione intorno alla loro retta di intersezione, detta linea di terra o fondamentale. Operazioni fondamentali delle proiezioni ortogonali. I due piani di riferimento coincidono in tal modo con il foglio del disegno.
Operazioni fondamentali delle proiezioni ortogonali. Temi culturali Le proiezioni ortogonali esplicano il loro potenziale descrittivo dello spazio architettonico nella associazione alle forme canoniche della pianta, della sezione e del prospetto che sintetizzano convenzioni e codici grafici impiegati nel disegno architettonico e vengono generalmente accettate come il linguaggio più idoneo a coordinare i diversi e complessi livelli necessari per rendere esplicite le soluzioni formali, tecniche ed estetiche, richieste dalla progettazione. Tuttavia il sodalizio tra impiego di rappresentazioni in vera misura e forme canoniche è relativamente recente: nella cultura occidentale, l’architettura greca e quella romana venivano messe in opera senza ricorrere a un vero e proprio progetto grafico. Il trattato di Vitruvio, il più antico tra quelli pervenutici dall’antichità è un testo che prescrive i principi e i precetti per una corretta, solida e bella costruzione, senza fare un ricorso esplicito all’impiego di grafici. Vitruvio enuncia però le “forme del disegno”, e indica i tre elaborati principali della rappresentazione architettonica – ichonographia, orthographia e scaenographia (pianta, prospetto e scorcio prospettico) – senza farne uso esplicito nel suo testo. Nella ripresa rinascimentale del testo vitruviano, a differenza al originale, appaiono invece considerevoli apparati iconografici, indizio di un passaggio epocale che dalla “oralità della costruzione” si avvia alla condizione, attualmente perdurante di un progetto disegno attraverso pianta, sezione e prospetto. La traduzione “per via grafica” del testo vitruviano, con la rilevanza assunta dalla sua illustrazione, rappresenta dunque un momento significativo dell’importanza rivestita dal disegno dal Rinascimento in poi, per l’architettura e, in particolare, per il progetto di architettura.
In relazione, infatti, al nuovo statuto della professione dell’architetto che, a partire da L.B. Alberti, si tenderà a collocare l’architettura tra le arti liberali piuttosto che tra quelle meccaniche, il disegno e, di conseguenza, i suoi codici acquistano una importanza vitale nell’elaborazione del progetto, che può essere prodotto in momenti separati e indipendentemente dalla presenza dell’architetto sul cantiere della costruzione. Nella prima metà del Cinquecento, la rappresentazione dell’architettura, si adatta alle modalità del disegno «lineato»: Raffaello, nella Lettera a Leone X del 1520, sostiene che «el modo di disegnar che più si appartiene all’architetto è differente da quel del pictore», e precisa che le forme di rappresentazione sono tre, pianta, alzato e sezione; insieme queste fanno riferimento a una idea generale di misura e proporzione degli elementi della fabbrica nonché alla loro correlazione nello spazio e quindi anche nel disegno. In tutta l’epoca moderna proseguirà un processo di matematizzazione delle tecniche grafiche della rappresentazione dell’architettura, le cui origini René Taton ha suggerito, a ragione, di rintracciare nella codificazione della prospettiva teorica e della geometria descrittiva. Più in generale nei modi della rappresentazione grafica del tardo Settecento e del secolo successivo, la linea di tendenza sarà quella di associare le nozioni fondamentali di verità e misura, alla base della Geometria Descrittiva di Gaspard Monge, al processo di unificazione dei sistemi di misurazione lineare realizzato dall’istituzione dell’unità “oggettiva” del metro. Manlio Brusatin ha notato che in questa fase cruciale, il disegno dell’ingegnere moderno diventa “efficiente”, atto a esemplificare con chiarezza il processo costitutivo dell’oggetto rappresentato, a illustrare contemporaneamente con rigore analitico ogni singolo pezzo, a mostrare con efficacia il funzionamento della “macchina”: la rappresentazione si fa dunque garante della verità mensoria
dell’oggetto. La richiesta di una tale funzionalità del disegno tecnico deriva in definitiva dalle necessità della nascente produzione industriale, i cui codici, chiari ed “efficienti” infatti, verranno assunti anche dal disegno delle costruzioni edilizie. Proiezioni ortogonali progetto architettura Il principio della doppia proiezione ortogonale, codificato da Gaspard Monge, introduce dunque nella rappresentazione il parametro della vera misura e della vera forma, soggiacenti a un’idea di spazio isotropo, perfettamente esplorabile con l’ausilio della matematica e della fisica. La concezione spaziale della geometria descrittiva si registra sulla stessa lunghezza d’onda dell’idea di spazio newtoniana, laddove la quantità e la misura hanno relegato a un ruolo subalterno le qualità ottiche e tattili della materia. «Per presentare l’idea completa di un edificio», scrive Durand in perfetta sintonia con il pensiero di Monge, «bisogna fare tre disegni che si chiamano pianta, sezione e alzato; il primo rappresenta l’edificio secondo la direzione orizzontale, il secondo la sua disposizione verticale o la sua costruzione, il terzo infine, che non può essere altro che il risultato dei primi due, rappresenta il suo aspetto esterno». Da un tale impiego della rappresentazione deriva un’idea di architettura essenzialmente semplice e, come il suo disegno, fondata su un linguaggio naturale astratto e rigoroso, in armonia con le idee di cui è espressione. Il disegno così inteso si rivela strettamente funzionale alla diffusione di tecniche, arti e mestieri sottratti ai segreti delle corporazioni e ora “veicolati” dal manuale, erede in questo senso dell’Encyclopédie, e che vede incrementare la sua ricca produzione durante tutto il XIX secolo nei paesi in cui va rapidamente diffondendosi l’industrializzazione. La struttura del manuale, in generale, risulta articolata intorno a un numero limitato di proposizioni teoriche e a una
modalità di descrizione e possibilità combinatorie di oggetti, a cui viene delegata la capacità di rapida consultazione. Per quanto attiene l’architettura il sapere costruttivo vi è espresso soprattutto per via grafica, il che richiede una particolare attenzione nei criteri illustrativi e nelle forme di rappresentazione che illustrano principi e regole della costruzione. In altre parole, una grafica semplice e funzionale, richiede un uso diffuso del disegno in proiezione ortogonale, che si diffonde non soltanto durante il periodo della consistente espansione industriale ottocentesca ma anche successivamente, durante il razionalismo architettonico europeo, estendendosi fino anche ai manuali utilizzati per la ricostruzione, dopo il secondo conflitto mondiale. Alcuni esempi serviranno a rendere più chiare le linee di continuità di questo fenomeno: nei manuali del razionalismo architettonico europeo, attraverso piante, sezioni, prospetti, l’oggetto architettonico viene scomposto e analizzato secondo le sue proiezioni ortogonali sui due piani, orizzontale e verticale. In tal modo i disegni si offrono quali modelli di architettura costruita, coniugando spazio razionale e misurabile, costituito di giaciture, direzioni, angoli preferenziali. Una tale impalcatura grafica e teorica è ciò che permette di mettere a fuoco il concetto e l’uso della tipologia architettonica e funzionale. È questa infatti «che lega nella pratica della progettazione l’insieme delle proiezioni mongiane allo spazio percepibile e fruibile nella sua complessità, formando il codice che garantisce ed esprime la corrispondenza biunivoca tra esperienza dello spazio e sua costruzione. Da questa impostazione si diramano, da una parte, lo “schema” distributivo funzionale che ha lo scopo di ottimizzare le relazioni tra i diversi settori dal punto di vista della utilizzazione economica degli spazi (vedasi Architettura pratica del Carbonara), e dall’altra la manualistica analitica che riporta i dati sugli ingombri, le misure, le possibilità combinatorie, ecc./vedansi gli studi del Klein, di Diotallevi e Marescotti, del Neufert, ecc.)»
(Ugo, 1994). Architettura, forme del disegno e manuale possiedono quindi un analogo statuto di razionalità e di congruenza, basato sulla comune caratteristica dell’analiticità, e offerto alla comparazione tipologica delle diverse soluzioni, in un quadro teorico generale che tuttavia non produce risposte sempre identiche né esaustive. In tale contesto di argomenti, Il Manuale dell’architetto richiede qualche riflessione aggiuntiva, se non altro perché ancora in uso, grazie alle sue riedizioni: elaborato da Mario Ridolfi già nell’anteguerra, si propone come uno strumento essenzialmente “tecnico”, utile all’interno del processo analitico e progettuale, basato su un ordine logico e su un’esperienza largamente comunicabile, tuttavia indirizzato a un procedimento compositivo più coerente rispetto alla pratica professionale dell’epoca. Il linguaggio grafico impiegato attinge abbondantemente all’uso del particolare costruttivo associato a un gran numero di piante schematiche, schemi distributivi, schemi planimetrici, schemi funzionali, disposizioni planimetriche tipiche, schema tipo ecc. È evidente che più in generale i manuali riflettono e diffondono una cultura progettuale che affonda le proprie radici in un’idea di architettura riferibile all’impiego della tipologie edilizie e funzionali, ben veicolate attraverso la pianta. La distribuzione in pianta permette infatti da una parte di controllare il dimensionamento dell’edificio, dall’altra di esplicitare la razionalità complessiva dell’organizzazione generale e delle possibilità d’uso. Il razionalismo e il funzionalismo europei della prima metà del Novecento, hanno impiegato non a caso la pianta come forma rappresentativa del progetto di architettura, primo fra tutti Le Corbusier che ne ha indicato le potenzialità generatrici rispetto all’intero edificio: declinazioni diverse dell’impiego della pianta sono riferibili ai grafici di Alexander Klein, nell’ambito degli studi dell’Existenzminimum, fino alla ripresa tipologica degli anni Settanta ad opera di
Aldo Rossi. Bibliografia Brusatin M., Disegno/progetto, ad vocem in Enciclopedia Einaudi, vol. 4, Einaudi, Torino, 1979; Cardone V., Gaspard Monge scienziato della rivoluzione, Cuen, Napoli, 1966; Docci M., Migliari R., Scienza della rappresentazione. Fondamenti e applicazioni della geometria descrittiva, Roma, 1992; Durand J.-N., Précis des leçons d’Architecture, Paris 1819, ed. it., Lezioni di architettura, E. D’Alfonso (a cura), CittàStudi, Milano, 1986; Le Corbusier, Verso un’architettura, 1921, ed. it. Nicolin P.L. (a cura), Longanesi, Milano, 1979; Muratore G., L’esperienza del Manuale, in «Controspazio», 1, 1974; Oechslin W., Astrazione e architettura, in «Rassegna» 9, 1982; Oechslin W., Geometrie und Linie. Die Vitruvianische Wissenschaft von der Architekturzeichnung, in «Daidalos» 1, 1981; Ridolfi M. e aa.vv., Manuale dell’Architetto, 1a ed., Roma, 1946; Salerno R., Rappresentazione e Architettura. Il paradigma vitruviano, in Ciotta G. (a cura), Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna, De Ferrari, Genova, 2003; Taton R., Les grandes étapes de la mathématisation des techniques graphiques: des origines à Dürer, à Desargues et à Monge, in «X-Y, Dimensioni del Disegno», 1, 1985; UGO V., Fondamenti della rappresentazione architettonica, Esculapio, Bologna, 1994. Photogallery Elementi degli edifici, da Durand J.N., "Précis des leçons d’Architecture", 1819. Chiudi
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